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Bonus ristrutturazione casa: adempimenti

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Detrazione Irpef del 50% sugli interventi di ristrutturazione: che cosa comunicare, quali documenti conservare.

Per il tutto il 2019 continua a essere operativo il cosiddetto maxibonus sulla casa: si tratta di una detrazione del 50% dall’Irpef dei costi degli interventi di recupero del patrimonio edilizio (manutenzioni, ristrutturazioni e restauro e risanamento conservativo). Gli interventi agevolati sono tanti, dal rifacimento della pavimentazione alla ristrutturazione del balcone, dalla porta blindata alle pareti. Per approfondire: Bonus ristrutturazione, quali sono gli interventi incentivati?

Per ogni unità immobiliare (comprensiva di pertinenza), il tetto massimo di spesa è pari a 96mila euro: è dunque possibile detrarre dalle tasse sino a 48mila euro, in 10 quote annuali.

Ma procediamo per ordine, e facciamo il punto sul bonus ristrutturazione casa: adempimenti necessari per ottenere l’agevolazione.

Notifica preliminare alla Asl

In alcune ipotesi, previste dal Testo unico sulla sicurezza [1] (cantieri in cui è prevista la presenza di più imprese esecutrici, cantieri in cui opera un’unica impresa la cui entità presunta di lavoro non sia inferiore a duecento uomini giorno), è necessario inviare alla Asl territorialmente competente (Spisal) un’apposita notifica preliminare, nella quale indicare:

  • la natura dell’intervento da realizzare;
  • il costo complessivo presunto dei lavori, in euro;
  • la data presunta di inizio dei lavori;
  • la durata presunta dei lavori;
  • le generalità del committente dei lavori;
  • l’ubicazione dei lavori;
  • i dati (nome, cognome, codice fiscale e indirizzo) del responsabile dei lavori;
  • i dati del coordinatore per la salute e la sicurezza durante la progettazione dell’oper;
  • i dati del coordinatore per la salute e la sicurezza durante la realizzazione dell’opera;
  • il numero massimo presunto dei lavoratori sul cantiere;
  • il numero previsto di imprese e di lavoratori autonomi sul cantiere (tutti i soggetti già selezionate) e i loro dati identificativi, con allegate le loro assunzioni di responsabilità circa il corretto adempimento di tutti gli obblighi imposti dalla legge in materia di sicurezza del lavoro e in materia di previdenza.

La notifica preliminare può essere inviata tramite pec o raccomandata.

Se la notifica non è inviata, nonostante risulti obbligatoria sulla base della normativa non fiscale, la sua omissione determina la decadenza dalla detrazione.

Se nell’esecuzione della ristrutturazione vengono violate le norme in materia di tutela della salute e della sicurezza sul luogo del lavoro e nei cantieri, oppure non sono versati i contributi previdenziali dei lavoratori, il contribuente perde il diritto alla detrazione, a meno che non sia in possesso di una dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà della ditta esecutrice dei lavori, che attesti l’osservanza delle disposizioni. In ogni caso, questa dichiarazione non sana il mancato invio della notifica preliminare all’Asl, ma evita solo che il contribuente perda il bonus ristrutturazione casa.

Bonifico parlante

Il pagamento delle fatture relative agli interventi di ristrutturazione agevolati deve avvenire tramite bonifico bancario o postale, cosiddetto “parlante”.

La ricevuta, nello specifico, deve contenere:

  • la causale del versamento (ad esempio: “detrazione Irpef del 36-50%, per l’articolo 16-bis, Dpr 917/86 o Tuir”);
  • il codice fiscale del beneficiario della detrazione (che può anche essere diverso dall’ordinante);
  • il numero di partita Iva o il codice fiscale del soggetto a favore del quale il bonifico è effettuato.

Titolo abilitativo

Per l’esecuzione dei lavori può essere necessario risultare in possesso di un’abilitazione amministrativa, se previsto dalla vigente legislazione edilizia:

  • Cil o Cila (comunicazione di inizio lavori asseverata);
  • Scia (segnalazione certificata di inizio attività);
  • Scia alternativa al permesso di costruire;
  • permesso di costruire.

Dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà

Per poter beneficiarie del bonus ristrutturazione casa, nel caso in cui non sia necessario presentare al Comune dove è situato l’immobile una delle comunicazioni elencate, è sufficiente una dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà.

Tra gli interventi che non richiedono alcuna comunicazione ci sono i 58 elencati nel cosiddetto glossario unico per l’edilizia libera, tra i quali rientrano, ad esempio, le manutenzioni ordinarie, l’eliminazione delle barriere architettoniche, le opere di pavimentazione e di finitura di spazi esterni…Per conoscere l’elenco completo: Lavori in casa senza permesso.

Non necessita di autorizzazioni comunali, inoltre, la maggior parte degli interventi minori, indicati nel Testo unico imposte sui redditi [2], come le opere finalizzate alla prevenzione di atti illeciti di terzi, la cablatura dell’edificio, gli interventi finalizzati alla riduzione degli infortuni domestici (sostituzione del tubo del gas, riparazione di prese malfunzionanti).

Nela dichiarazione bisogna:

  • indicare la data di inizio dei lavori;
  • attestare che l’intervento effettuato rientra tra quelli agevolabili.

La dichiarazione va sottoscritta e conservata.

Altri documenti da conservare per il bonus ristrutturazione casa

Per beneficiare legittimamente della detrazione del 50% sulle ristrutturazioni bisogna poi conservare i seguenti documenti, che vanno esibiti in caso di controllo da parte dell’Amministrazione finanziaria:

  • domanda di accatastamento, per gli immobili non ancora censiti;
  • ricevute di pagamento dell’Ici, se dovuta fino al 2011;
  • delibera assembleare di approvazione dell’esecuzione dei lavori con tabella millesimale di ripartizione delle spese, per gli interventi sulle parti comuni dell’edificio;
  • dichiarazione di consenso all’esecuzione lavori, rilasciata dal possessore dell’abitazione: la dichiarazione serve se gli interventi sono effettuati dal detentore dell’immobile, nel caso in cui non sia un familiare convivente del possessore dell’immobile;
  • comunicazione preventiva alla Asl nella quale sia indicata la data di inizio dei lavori, se obbligatoria secondo la normativa in materia di sicurezza dei cantieri;
  • fatture e ricevute fiscali comprovanti le spese sostenute;
  • ricevute dei bonifici.

Bonus ristrutturazione casa: che cosa indicare nella dichiarazione dei redditi?

Per beneficiare della detrazione Irpef per gli interventi di ristrutturazione, il contribuente deve indicare nella dichiarazione dei redditi:

  • i dati catastali identificativi dell’immobile: se manca l’indicazione, si decade dall’agevolazione;
  • gli estremi di registrazione dell’atto che dà titolo al possesso dell’immobile, se i lavori sono effettuati dal detentore, ad esempio dall’inquilino o il comodatario (che è diverso dal familiare convivente, per il quale non serve alcun comodato).

Calcolo contributi colf

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Contributi Inps colf e badanti: come si calcolano e si versano, fasce orarie di retribuzione, quali rischi coprono, adempimenti.

Anche i datori di lavoro domestici, come la generalità dei datori di lavoro, sono tenuti al pagamento della contribuzione previdenziale all’Inps. L’aliquota contributiva dovuta, cioè la percentuale da applicare allo stipendio per determinare i contributi da versare, risulta però più bassa per la generalità dei collaboratori domestici, come colf e badanti.

L’aliquota IVS della gestione (che serve a finanziare la pensione di vecchiaia, d’invalidità e ai superstiti), da applicare alla retribuzione, è infatti pari al 17,4275%, contro il 33% della generalità degli altri lavoratori assicurati presso l’Inps. A questa aliquota si devono poi aggiungere ulteriori percentuali che servono per finanziare le prestazioni di disoccupazione, le prestazioni Inail e il fondo Tfr. Complessivamente l’aliquota sulla cui base calcolare i contributi da versare è pari al 19,9675%.

La retribuzione di riferimento sulla quale applicare l’aliquota comprende, oltre alla paga oraria del lavoratore domestico, anche la tredicesima mensilità e l’eventuale indennità di vitto e alloggio, calcolate in misura oraria. I contributi sono versati anche per le ore di assenza retribuite.

Le prestazioni garantite ai collaboratori domestici, grazie al versamento dei contributi, sono la pensione, l’indennità di maternità, l’indennità di disoccupazione Naspi, gli assegni al nucleo familiare, l’assicurazione contro gli infortuni e le malattie professionali.

Vediamo allora il calcolo contributi lavoratori domestici: a quanto ammontano i versamenti, quando si versa la contribuzione dovuta per colf e badanti.

Come si calcolano i contributi lavoratori domestici?

Per capire quanto bisogna pagare a titolo di contribuzione dei lavoratori domestici, è necessario prima comprendere il meccanismo di calcolo dei contributi.

Diversamente da quanto avviene per la generalità dei dipendenti, i contributi di colf e badanti si calcolano sulla paga oraria, e non sulla retribuzione mensile; il calcolo, inoltre, non avviene applicando una percentuale, cioè un’aliquota, alla paga, ma l’aliquota (pari al 19,9675%, di cui il 17,4275 è il contributo Ivs, invalidità- vecchiaia- superstiti; è dovuta un’addizionale dell’1,40% per i lavoratori a termine) si applica sulla fascia in cui rientra la retribuzione oraria; bisogna poi moltiplicare i contributi così calcolati per il numero delle ore di lavoro prestate.

La paga oraria, nel dettaglio, è composta in questo modo:

  • retribuzione oraria concordata;
  • valore convenzionale di vitto e alloggio, frazionato ad ore, se dovuto;
  • tredicesima mensilità, frazionata ad ore.

Per trovare la paga oraria effettiva, da utilizzare come base per calcolare i contributi, bisogna sommare:

  • la paga oraria contrattuale;
  • il rateo orario di tredicesima (quota oraria diviso 12: ad esempio, per una paga oraria di 9 euro, il rateo di tredicesima da sommare è pari a 0,75, cioè 9 diviso 12);
  • l’importo orario di vitto e alloggio, se dovuto (che si ricava in questo modo: valore convenzionale giornaliero Inps di vitto e alloggio, per il numero delle giornate lavorate, diviso il numero di ore lavorate).

Dalla paga oraria si ricava il contributo orario utilizzando le tabelle Inps, pubblicate annualmente [1]: ogni tabella contiene le diverse fasce di retribuzione oraria effettiva, a ciascuna delle quali è collegato il contributo orario corrispondente.

Per capire qual è il contributo orario da pagare, è dunque sufficiente vedere in quale fascia retributiva è ricompresa la paga oraria.

Calcolo trimestre contributi lavoratori domestici

Il calcolo dei contributi dovuti per ciascun trimestre si ottiene moltiplicando la contribuzione oraria per il numero delle ore retribuite nel periodo.

Le ore retribuite trimestralmente si ricavano moltiplicando le ore retribuite ogni settimana per le settimane del trimestre di riferimento, considerando che:

  • la settimana decorre dalla domenica al sabato, per cui contano solo le settimane del trimestre che si concludono con il sabato (logicamente, le ore successive all’ultimo sabato devono essere contate nel trimestre solare successivo);
  • -qualora dalla somma delle ore e delle frazioni di ora il numero ottenuto non sia intero, l’ammontare va arrotondato all’unità superiore.

Per chi è in difficoltà col calcolo dei contributi, sul sito dell’Inps è prevista una specifica applicazione guidata, di semplice utilizzo.

Aumento della retribuzione oraria 2019

Di seguito, gli aumenti 2019 previsti per la paga oraria minima dei lavoratori domestici, a seconda del livello d’inquadramento:

  • A: 4,62 euro
  • AS: 5,45euro;
  • B: 5,78 euro;
  • BS: 6,13 euro;
  • C: 6,47 euro;
  • CS: 6,82 euro;
  • D: 7,87 euro;
  • DS: 8,21 euro.

Sono poi aumentate le indennità sostitutive di vitto e alloggio:

  • pranzo o cena 1,96 euro;
  • alloggio 1,69 euro.

Vediamo ora le tabelle dei contributi 2019 per i lavoratori domestici

Contributi lavoratori domestici 2019

La tabella mostra i contributi orari per i lavoratori domestici assunti a tempo indeterminato ed a termine, i primi non soggetti all’addizionale per la disoccupazione.

Gli importi tra parentesi, inseriti nelle colonne relative al contributo orario, sono quelli a carico del lavoratore, che devono essere trattenuti dalla sua busta paga, e versati trimestralmente dal datore, assieme ai contributi a suo carico.

Il contributo CUAF (Cassa Unica Assegni Familiari) non è dovuto solo se il rapporto è fra coniugi o tra parenti o affini entro il terzo grado conviventi (nelle ipotesi in cui la legge lo consenta: ad esempio, il rapporto di lavoro domestico tra coniugi è consentito solo se il coniuge non lavoratore è titolare di assegno di accompagnamento).

Fascia oraria di retribuzione
Contributo orario
Lavoratori Domestici a tempo indeterminato
Lavoratori Domestici a termine
Retribuzione effettiva
Retribuzione convenzionale
Con quota CUAF
Senza quota CUAF
Con quota CUAF
Senza quota CUAF
fino a € 8,06 € 7,13 € 1,42 (0,36) € 1,43 (0,36) € 1,52 (0,36) € 1,53 (0,36)
oltre € 8,06 e fino a € 9,81 € 8,06 € 1,61 (0,40) € 1,60 (0,40) € 1,72 (0,40) € 1,73 (0,40)
oltre € 9,81 € 9,81 € 1,96 (0,49) € 1,97 (0,49) € 2,10 (0,49) € 2,11 (0,49)
oltre le 24 ore settimanali € 5,19 € 1,04 (0,26) € 1,04 (0,26) € 1,11 (0,26) € 1,12 (0,26)

Aliquote contributi lavoratori domestici 2019

Il contributo orario dovuto è così suddiviso:

  • fondo pensioni lavoratori dipendenti: gran parte della contribuzione pagata va al F.P.L.D., e serve a coprire l’assicurazione Ivs, invalidità vecchiaia e superstiti (in pratica, serve per la pensione dei lavoratori domestici); l’aliquota è pari al 17,4275%;
  • Aspi: la quota Aspi serve per assicurare il dipendente contro la disoccupazione; nel caso in cui il rapporto sia a termine, è dovuta un’addizionale dell’1,40%;
  • Cuaf: La Cassa unica assegni familiari serve per finanziare l’erogazione degli assegni al nucleo familiare (Anf) ai lavoratori domestici;
  • maternità: i contributi versati alla Gestione maternità servono all’erogazione dell’indennità alle lavoratrici domestiche per il periodo di astensione obbligatoria (2 mesi prima del parto e 3 mesi successivi, oppure un mese più 4 mesi, qualora la lavoratrice si avvalga della flessibilità);
  • Inail: la quota Inail copre l’assicurazione per gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali;
  • fondo garanzia Tfr: la quota versata a tale fondo serve a coprire il dipendente dal rischio del mancato pagamento della liquidazione da parte del datore di lavoro.

Quando e come si pagano i contributi lavoratori domestici 2019

Anche per quest’anno, i termini per il pagamento dei contributi, che devono essere versati trimestralmente, sono:

  • primo trimestre: 1-10 aprile;
  • secondo trimestre: 1-10 luglio;
  • terzo trimestre: 1-10 ottobre;
  • quarto trimestre: 1-10 gennaio.

I contributi possono essere versati utilizzando i bollettini Mav, inviati dall’Inps e precompilati con gli importi dovuti. Nel caso siano intervenute variazioni orarie, dal sito dell’Istituto, alla sezione Servizi online, è possibile indicare le variazioni e stampare un altro bollettino MAV con gli importi conformi.

I Mav possono essere pagati presso:

  • sportelli postali;
  • tabaccherie convenzionate (Circuito Reti Amiche);
  • sportelli bancari e sito internet Unicredit;
  • online, direttamente sul sito web dell’Inps, alla pagina Portale dei Pagamenti, utilizzando una carta di credito;
  • tramite contact center Inps-Inail, utilizzando una carta di credito.

Le variazioni degli importi possono essere richieste anche agli operatori del Circuito, del Contact Center, o effettuate tramite procedura online.

Calcolo contributi partita Iva

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Quanti contributi paga chi ha la partita Iva aperta: liberi professionisti iscritti alla gestione Separata, commercianti, artigiani.

Stai pensando di aprire la partita Iva: a spaventarti, più delle tasse, sono i contributi previdenziali che, a quanto ti dicono, dovrai pagare ogni anno. Ma è davvero così? Chi ha la partita Iva aperta deve pagare i contributi all’Inps anche se non guadagna nulla?

Il pagamento di un minimo di contribuzione in misura fissa dipende dal tipo di attività esercitata e dalla gestione previdenziale presso la quale si è iscritti: chi esercita come libero professionista, e non è obbligato ad iscriversi a una cassa di categoria, ad esempio, versa i contributi alla gestione Separata Inps solo sulla base di quanto ha guadagnato. Se nulla guadagna, nessun versamento è dovuto. I liberi professionisti iscritti a una gestione previdenziale di categoria, invece, possono essere obbligati a dei versamenti minimi in misura fissa, secondo il regolamento dell’ente: quasi tutte le casse professionali, però, per i nuovi iscritti prevedono agevolazioni.

Chi esercita attività d’impresa ed è iscritto alla gestione degli artigiani o dei commercianti, invece, è sempre tenuto ad effettuare dei versamenti all’Inps sulla base di un reddito minimo, detto minimale: in pratica, anche se l’imprenditore non guadagna nulla, deve versare un minimo di contributi, che allo statp attuale superano i 3800 euro annui.

Ma come stabilire a quanto ammontano i contributi dei lavoratori autonomi?

Facciamo il punto sul calcolo contributi partita Iva.

Come si calcolano i contributi da versare alla gestione separata?

I contributi dovuti alla gestione separata dai liberi professionisti, non obbligati all’iscrizione presso una cassa professionale, si calcolano applicando una specifica aliquota, cioè una percentuale, che varia a seconda della categoria a cui appartiene l’iscritto, al reddito imponibile.

Il reddito imponibile per i lavoratori autonomi coincide, per grandi linee, con la differenza tra ricavi e spese inerenti all’attività.

Non è prevista l’applicazione obbligatoria dell’aliquota contributiva dovuta a un minimale di reddito, né è previsto un minimale contributivo: in sostanza, i contributi alla gestione separata si pagano solo se viene prodotto un reddito, mentre nulla è dovuto in assenza di reddito.

Ad ogni modo, un minimale di reddito, presso la gestione separata, esiste, anche se non è previsto l’obbligo del versamento dei contributi sulla base del minimale.

Nello specifico, si tiene conto del minimale valido nella gestione artigiani e commercianti Inps (pari a 15.878 euro per il 2019) per calcolare il raggiungimento dei requisiti contributivi utili a ottenere determinate prestazioni, come la pensione.

In buona sostanza, se i versamenti sono effettuati sulla base di un reddito imponibile inferiore al reddito minimale, i mesi di contribuzione utili alla pensione e alle altre prestazioni sono ridotti sulla base del minimale.

I contributi sono interamente a carico del professionista (salvo l’eventuale applicazione sui clienti/committenti della rivalsa pari al 4%); per quanto riguarda i lavoratori autonomi occasionali (con reddito sopra i 5milaeuro), invece, i contributi calcolati sui compensi sono per 1/3 a carico del lavoratore e per 2/3 a carico del committente.

Aliquote gestione separata 2019: quanto si paga con la partita Iva?

Vediamo ora, in base agli ultimi aumenti, quali sono le aliquote contributive da applicare ed a quanto ammontano i contributi da pagare per i lavoratori autonomi iscritti alla gestione separata, per il 2019:

  • venditori porta a porta e lavoratori autonomi occasionali con reddito oltre 5milaeuro: 33,72% sul minimale di reddito pari a 15.878 euro; all’anno, per l’accredito di 12 mesi di contributi, si devono pagare dunque 5.354,06 euro; per l’accredito di un mese di contributi è necessario pagare 446,17 euro; questi lavoratori non hanno diritto alla disoccupazione Dis Coll;
  • lavoratori autonomi: 25,72% sul minimale di reddito pari a 15.878 euro; all’anno, per l’accredito di 12 mesi di contributi, si devono pagare dunque 4.083,82 euro; per l’accredito di un mese di contributi è necessario pagare 340,32 euro; gli appartenenti a queste categorie non hanno diritto alla disoccupazione Dis Coll; lo 0,72% in più di contribuzione è dovuto in quanto la Gestione separata assicura anche ai professionisti iscritti alla gestione in via esclusiva un’indennità in caso di maternità, ricovero ospedaliero o malattia.
  • lavoratori autonomi pensionati o iscritti ad altre gestioni previdenziali: 24% sul minimale di reddito pari a 15.878 euro; all’anno, per l’accredito di 12 mesi di contributi, si devono pagare dunque 3.810,72 euro; per l’accredito di un mese di contributi è necessario pagare 317,56 euro; gli appartenenti a queste categorie non hanno diritto alla disoccupazione Dis Coll, né all’indennità in caso di maternità, ricovero ospedaliero o malattia.

Massimale di reddito 2019 gestione separata

Il nuovo massimale di reddito vigente presso la gestione separata è pari a 102.543 annui: oltre questo importo, non sono accreditati e dovuti contributi.

Quando si versano i contributi alla gestione separata?

I liberi professionisti iscritti presso la gestione separata versano la contribuzione sulla base della dichiarazione dei redditi, a saldo e in acconto.

Per il 2019 si devono versare i contributi entro le seguenti date:

  • 30 giugno 2019: saldo 2018 e primo acconto 2019; il primo acconto ammonta al 40% della contribuzione dovuta nell’anno;
  • 30 novembre 2019: secondo acconto 2019; il secondo acconto ammonta al 40% della contribuzione dovuta nell’anno.

Minimale di reddito 2019 artigiani e commercianti

Gli artigiani ed i commercianti, a differenza di altri lavoratori, come i dipendenti ed i liberi professionisti iscritti presso la gestione separata, pagano i contributi in rapporto ad un reddito minimo, o minimale di reddito, che per il 2019, come osservato, ammonta a 15.878 euro.

In parole semplici, anche se il guadagno dell’artigiano, o del commerciante, è molto basso, o pari a zero, l’interessato deve versare la contribuzione allo stesso modo di un collega che ha guadagnato 15.878 euro nell’anno.

Come si calcolano i contributi 2019 artigiani e commercianti?

I contributi dovuti degli artigiani e dei commercianti si determinano applicando un’aliquota, cioè una determinata percentuale, al reddito prodotto, o al reddito minimale. Le aliquote contributive da applicarsi sul reddito per il 2019 sono pari al:

  • 24% per gli artigiani;
  • 24,09% per i commercianti;
  • 21,45% per i coadiutori artigiani di età inferiore a 21 anni;
  • 21,54% per i coadiutori commercianti di età inferiore a 21 anni.

Il reddito minimale sul quale la contribuzione deve essere versata è cambiato, come appena esposto, ed è pari a 15.878 euro; di conseguenza il contributo minimale obbligatorio da liquidare ammonta a:

  • 3.818,16 euro (3.810,72 contributo IVS più 7,44 euro contributo maternità) per gli artigiani;
  • 3.832,45 euro (3.825,01 contributo IVS più 7,44 contributo maternità) per i commercianti;
  • 3.413,27 euro (3.405,83 contributo IVS più 7,44 contributo maternità) per i coadiutori artigiani di età inferiore a 21 anni;
  • 3.427,56 euro (3.420,12 contributo IVS più 7,44 contributo maternità) per i coadiutori commercianti di età inferiore a 21 anni.

Contributi 2019 eccedenti il minimale per commercianti e artigiani

Se il reddito eccede il minimale di 15.878 euro annui, si applicano le aliquote contributive esposte nel paragrafo precedente, sino al limite della prima fascia di retribuzione annua pensionabile pari, per il 2019, all’importo di 47.143 euro.

Per i redditi superiori a 47.143 euro annui, l’aliquota aumenta di un punto percentuale; le aliquote contributive sul reddito oltre il minimale, pertanto, risultano determinate come segue:

  • 25% per gli artigiani;
  • 25,09% per i commercianti;
  • 22,45% per i coadiutori artigiani di età inferiore a 21 anni;
  • 22,54% per i coadiutori commercianti di età inferiore a 21 anni.

Massimale contributivo 2019 per artigiani e commercianti

Artigiani e commercianti hanno anche un massimale contributivo, cioè un reddito annuo di riferimento oltre il quale non vanno applicati contributi. Per il 2019, il massimale è pari a 78.572 euro. Per i lavoratori privi di anzianità contributiva al 31 dicembre 1995, iscritti con decorrenza 1° gennaio 1996 o successiva, il massimale annuo è pari, per il 2019, a 102.543 euro: questo massimale non è frazionabile mensilmente.

Data di pagamento dei contributi 2019 commercianti e artigiani

I contributi sul minimale devono essere versati, utilizzando il modello di pagamento unificato F24, in 4 rate di pari importo, entro le seguenti scadenze:

  • 1° rata: 16 maggio 2019;
  • 2°rata: 20 agosto 2019;
  • 3° rata: 18 novembre 2019;
  • 4° rata: 17 febbraio 2020.

I contributi eccedenti il minimale devono essere invece versati entro i termini previsti per il pagamento delle imposte sui redditi delle persone fisiche: saldo 2018, primo acconto 2019 e secondo acconto 2019.

Sconto contributi Inps 2019 commercianti e artigiani

Commercianti e artigiani beneficiano di sconti sui contributi Inps, se over 65 o aderenti al regime forfettario. Si tratta di agevolazioni che non sono attribuite automaticamente, ma solo su domanda.

Riduzione contributi forfettari

Per quanto riguarda gli aderenti al regime forfettario, in particolare, la base imponibile della contribuzione dovuta alle gestioni artigiani e commercianti, costituita dal reddito forfettario individuato ai fini fiscali, è decurtata del 35%.

In sostanza, la contribuzione dovuta entro e oltre il minimale è ridotta, per i forfettari che desiderano avvalersi del beneficio, del 35%.

Per fruire dell’agevolazione contributiva bisogna inviare un’apposita dichiarazione all’Inps secondo le seguenti modalità:

  • per chi esercita attività d’impresa dal 2018, per la quale si intende fruire del regime agevolato nel 2019, è necessario compilare il modello telematico appositamente predisposto all’interno del “Cassetto Previdenziale per Artigiani e Commercianti”, disponibile nel sito web dell’Inps, entro il 28 febbraio 2019; l’agevolazione viene concessa a decorrere dal 1° gennaio dell’anno in corso; se non viene rispettato il termine, l’agevolazione si perde, ma si può presentare la domanda l’anno successivo;
  • per chi inizia una nuova attività d’impresa dal 2019 è necessario presentare la stessa dichiarazione con tempestività rispetto alla data di iscrizione alla gestione previdenziale.

Chi ha già richiesto l’agevolazione contributiva, se permangono i requisiti, non deve presentare una nuova domanda. Se non si intende più avvalersi del beneficio, bisogna presentare un’espressa dichiarazione di rinuncia [1].

Riduzione contributi Inps per over 65

I lavoratori ultrasessantacinquenni, titolari di impresa o collaboratori familiari, già pensionati presso le gestioni Inps, che continuano a svolgere lavoro autonomo, possono chiedere all’istituto di pagare la metà dei contributi dovuti sia sul minimale di reddito, sia sull’eventuale quota eccedente il minimale [1].

Quest’agevolazione spetta anche ai titolari di assegno di invalidità, mentre non riguarda i titolari di pensione di reversibilità.

Conseguentemente alla riduzione dei contributi, anche il supplemento di pensione corrispondente è ridotto della metà, se la quota è calcolata col sistema retributivo. Se calcolata col sistema contributivo, non è necessaria alcuna riduzione in quanto il supplemento è determinato sulla sola base dei contributi versati.

In pratica, come abbiamo inizialmente osservato in merito alle riduzioni contributive, i minori versamenti si traducono in una pensione più bassa: in questo caso, però, si tratta di un supplemento di pensione, quindi di un importo aggiuntivo rispetto al trattamento base, che resta invariato.

Sono esclusi dal beneficio della riduzione contributiva del 50% coloro che si avvalgono del regime contributivo agevolato, finché dura la permanenza nel regime.

Riduzione contributi Inps forfettari

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Imprenditori che aderiscono al nuovo regime forfettario: quando spetta e a quanto ammonta lo sconto sui contributi Inps?

Hai da poco aderito al nuovo regime forfettario, il regime fiscale agevolato che consente di beneficiare di una tassazione sostitutiva del 15% (del 5%, per le start-up che presentano specifici requisiti)?

Forse non sai che, oltre allo sconto nella tassazione, puoi aver diritto anche a uno sconto contributivo, cioè ad uno sconto sui contributi da pagare all’Inps. Questo sconto ti spetta, però, se sei iscritto all’Inps come imprenditore, ossia presso le gestioni degli artigiani e dei commercianti, e non se sei un libero professionista iscritto alla gestione separata.

Che cos’è la riduzione contributi Inps forfettari? Si tratta di una riduzione dei contributi complessivamente dovuti all’Inps, pari al 35%. Questa riduzione, però, non sempre si traduce in un vantaggio, perché determina un minor ammontare dei contributi accreditati per la pensione: in parole semplici, per colpa della riduzione dei contributi si ottiene una pensione più bassa, e si può addirittura arrivare più tardi al pensionamento.

Ma procediamo per ordine e vediamo, dopo aver chiarito chi può beneficiare del nuovo regime fiscale forfettario e quali sono i vantaggi previsti, come funziona lo sconto dei contributi per gli imprenditori forfettari: a chi spetta, che cosa fare per ottenerlo, che cosa fare se non ci si vuole più avvalere della riduzione contributiva, che cosa succede alla pensione.

Come funziona il regime forfettario?

Il forfettario è un regime fiscale agevolato introdotto dalla Legge di Stabilità 2015 [1]: questo regime è simile, per molti aspetti, al vecchio regime dei contribuenti minimi; ad oggi, considerando che non è più possibile fruire dei vecchi minimi, avvalersi di questo regime risulta la scelta più conveniente per i liberi professionisti che avviano l’attività e che non prevedono grosse spese o investimenti.

Il regime forfettario, infatti, prevede la tassazione sostitutiva ridotta al 5% per i primi 5 anni di attività, se si soddisfano particolari requisiti, e la tassazione sostitutiva al 15% negli altri casi, l’esenzione dall’Iva e dai relativi adempimenti (dichiarazione Iva, spesometro, comunicazione delle liquidazioni periodiche…), dagli studi di settore, dall’Irap, dall’Irpef, dalle addizionali e dalla tenuta delle scritture contabili.

Chi può aderire al regime forfettario?

Possono accedere al regime forfettario le persone fisiche, sotto forma di ditta individuale o liberi professionisti; non sono ammesse le società, né i soci di società di persone (come Snc o Sas), di associazioni assimilate o di società a responsabilità limitata trasparenti (Srl trasparenti).

Dal 2019 non sono ammessi coloro che controllano direttamente o indirettamente società a responsabilità limitata o associazioni in partecipazione, che esercitano attività economiche direttamente o indirettamente riconducibili a quelle svolte dagli esercenti attività d’impresa, arti o professioni.

Non sono ammessi neanche coloro la cui attività sia esercitata prevalentemente nei confronti di datori di lavoro con i quali sono in corso rapporti di lavoro o erano intercorsi rapporti di lavoro nei due precedenti periodi d’imposta, ovvero nei confronti di soggetti direttamente o indirettamente riconducibili a questi datori di lavoro.

Quali sono i requisiti per aderire al forfettario?

I requisiti per accedere al regime forfettario sono i seguenti:

  • i compensi dell’anno precedente non devono risultare superiori alla soglia massima di ricavi annua, che varia a seconda dell’attività esercitata; dal 2019, la soglia massima di ricavi è uguale per tutti, e pari a 65mila euro;
  • le spese per lavoro dipendente, nell’anno precedente, devono risultare inferiori a 5mila euro; questo limite è stato abolito dalla legge di Bilancio 2019;
  • il costo complessivo, al lordo degli ammortamenti, dei beni strumentali alla chiusura dell’esercizio precedente non deve superare 20mila euro; anche questo limite è stato abolito dalla legge di Bilancio 2019;
  • per chi fruisce della riduzione della tassazione, cioè del forfettario super agevolato con tassazione al 5%, i requisiti sono gli stessi un tempo previsti per i contribuenti minimi:
    • il contribuente non deve avere esercitato, nei 3 anni precedenti l’inizio dell’attività, attività artistica, professionale ovvero d’impresa, anche in forma associata o familiare;
    • l’attività da esercitare non deve costituire, in nessun modo, una mera prosecuzione di un’altra attività precedentemente svolta sotto forma di lavoro dipendente o autonomo, escluso il caso in cui l’attività precedentemente svolta consista nel periodo di pratica obbligatoria ai fini dell’esercizio di arti o professioni;
    • se viene proseguita un’attività svolta in precedenza da un altro soggetto, l’ammontare dei relativi ricavi e compensi, realizzati nel periodo d’imposta precedente quello di riconoscimento del beneficio, non deve risultare superiore al limite che consente l’accesso al regime.

Quanto può fatturare chi aderisce al forfettario?

La soglia massima annua di ricavi, per chi rientra nel forfettario, sino al 31 dicembre 2018 cambia a seconda dell’attività esercitata.

  • commercio (al dettaglio e all’ingrosso): 50.000 euro annui;
  • commercio di alimenti e bevande e commercio ambulante di alimenti e bevande: 40.000 euro annui;
  • commercio ambulante non alimentare: 30.000 euro annui;
  • costruzioni e attività immobiliari: 25.000 euro annui;
  • intermediari del commercio: 25.000 euro annui;
  • servizi di alloggio e di ristorazione: 50.000 euro annui;
  • attività professionali, scientifiche, tecniche, sanitarie, di istruzione, servizi finanziari ed assicurativi: 30.000 euro annui
  • altre attività economiche: 30.000 euro annui;
  • industrie alimentari e delle bevande: 45.000 euro annui.

Un libero professionista aderente al forfettario poteva fatturare, dunque, sino a 30mila euro annui, mentre una ditta individuale del commercio, come un negozio, poteva fatturare sino a 50mila euro.

Dal 2019, le soglie di ricavi sono uguali per tutti e pari a 65mila euro.

Quanto dura il regime forfettario?

Il regime forfettario ha durata illimitata, sinché non si superano i requisiti previsti dalla normativa. Dura 5 anni, invece, il forfettario super agevolato per chi avvia l’attività, ossia il regime che prevede la tassazione del 5%.

Per aderire al forfettario si deve fare una domanda?

L’adesione al regime forfettario, o regime di vantaggio, si deve comunicare all’atto dell’apertura della partita Iva. Per chi è già in attività e vuole aderire non è necessaria alcuna domanda, purché si possiedano i requisiti, in quanto il forfettario è il “regime naturale” per i contribuenti per cui risultano verificate tutte le condizioni d’accesso. Bisogna comunque ricordare che, se si possiedono i requisiti per il forfettario e si è optato per il regime Iva ordinario, l’opzione vincola per 3 anni, salvo rilevanti modifiche ai regimi fiscali.

Chi ha optato sino al 2018 per il regime contabile ordinario e semplificato è comunque svincolato dall’opzione, grazie alle rilevanti modifiche introdotte dalla legge di Bilancio 2019.

Quali sono le agevolazioni per chi aderisce al forfettario?

Le agevolazioni per chi aderisce al forfettario sono:

  • tassazione del 5% o 15% che sostituisce Irap, Irpef e addizionali;
  • non soggezione all’Iva e ai relativi adempimenti (dichiarazione, liquidazioni periodiche, spesometro…);
  • non soggezione agli studi di settore, ora indici di affidabilità sintetici;
  • nessun obbligo di tenere i registri Iva obbligatori (acquisti, vendite, etc.), ma solo di numerare progressivamente le fatture e conservarle (escluse le fatture acquisti);
  • sulle fatture non deve essere addebitata l’Iva, e non si deve subire ritenuta d’acconto;
  • sconto del 35% sulla contribuzione dovuta, entro e oltre il minimale, per chi è iscritto alla gestione Inps commercianti o artigiani.

Soffermiamoci ora sull’agevolazione contributiva, dopo aver aperto una breve parentesi sul pagamento dei contributi per artigiani e commercianti.

Minimale di reddito artigiani e commercianti

Gli artigiani ed i commercianti, a differenza dei liberi professionisti iscritti presso la gestione separata, pagano i contributi in rapporto ad un reddito minimo, o minimale di reddito, che per il 2019 ammonta a 15.878 euro.

In parole semplici, anche se il guadagno dell’artigiano, o del commerciante, è molto basso, o pari a zero, deve versare la contribuzione allo stesso modo di un collega che ha guadagnato 15.878 euro.

Come calcolano i contributi 2019 artigiani e commercianti?

I contributi dovuti degli artigiani e dei commercianti si calcolano applicando un’aliquota, cioè una determinata percentuale, al reddito prodotto, o al reddito minimale. Le aliquote contributive da applicarsi sul reddito per il 2019 sono pari al:

  • 24% per gli artigiani;
  • 24,09% per i commercianti;
  • 21,45% per i coadiutori artigiani di età inferiore a 21 anni;
  • 21,54% per i coadiutori commercianti di età inferiore a 21 anni.

Il reddito minimale sul quale la contribuzione deve essere versata è cambiato, come appena esposto, ed è pari a 15.878 euro; di conseguenza il contributo minimale obbligatorio da liquidare ammonta a:

  • 3.818,16 euro (3.810,72 contributo IVS più 7,44 euro contributo maternità) per gli artigiani;
  • 3.832,45 euro (3.825,01 contributo IVS più 7,44 contributo maternità) per i commercianti;
  • 3.413,27 euro (3.405,83 contributo IVS più 7,44 contributo maternità) per i coadiutori artigiani di età inferiore a 21 anni;
  • 3.427,56 euro (3.420,12 contributo IVS più 7,44 contributo maternità) per i coadiutori commercianti di età inferiore a 21 anni.

Contributi eccedenti il minimale per commercianti e artigiani

Se il reddito eccede il minimale di 15.878 euro annui, si applicano le aliquote contributive esposte nel paragrafo precedente, sino al limite della prima fascia di retribuzione annua pensionabile pari, per il 2019, all’importo di 47.143 euro.

Per i redditi superiori a 47.143 euro annui, l’aliquota aumenta di un punto percentuale; le aliquote contributive sul reddito oltre il minimale, pertanto, risultano determinate come segue:

  • 25% per gli artigiani;
  • 25,09% per i commercianti;
  • 22,45% per i coadiutori artigiani di età inferiore a 21 anni;
  • 22,54% per i coadiutori commercianti di età inferiore a 21 anni.

Massimale contributivo per artigiani e commercianti

Artigiani e commercianti hanno anche un massimale contributivo, cioè un reddito annuo di riferimento oltre il quale non vanno applicati contributi. Per il 2019, il massimale è pari a 78.572 euro. Per i lavoratori privi di anzianità contributiva al 31 dicembre 1995, iscritti con decorrenza 1° gennaio 1996 o successiva, il massimale annuo è pari, per il 2019, a 102.543 euro: tale massimale non è frazionabile in ragione mensile.

Regime contributivo agevolato forfettari

Chi aderisce al nuovo regime fiscale forfettario ed esercita attività d’impresa (titolare di una o più ditte individuali), come osservato può fruire di un’importante agevolazione relativa ai contributi da versare alle gestioni Inps artigiani e commercianti. In particolare, la base imponibile della contribuzione dovuta alle gestioni artigiani e commercianti, costituita dal reddito forfettario individuato ai fini fiscali, è ridotta del 35%.

In sostanza, la contribuzione dovuta entro e oltre il minimale è ridotta, per i forfettari che desiderano avvalersi del beneficio, del 35%.

Come si chiede la riduzione contributiva per i forfettari?

Per fruire dell’agevolazione contributiva bisogna inviare un’apposita dichiarazione all’Inps secondo le seguenti modalità:

  • per chi esercita attività d’impresa dal 2018, per la quale si intende fruire del regime agevolato nel 2019, è necessario compilare il modello telematico appositamente predisposto all’interno del “Cassetto Previdenziale per Artigiani e Commercianti”, disponibile nel sito web dell’Inps, entro il 28 febbraio 2019; l’agevolazione viene concessa a decorrere dal 1° gennaio dell’anno in corso; se non viene rispettato il termine, l’agevolazione si perde, ma si può presentare la domanda l’anno successivo;
  • per chi inizia una nuova attività d’impresa dal 2019 è necessario presentare la stessa dichiarazione con tempestività rispetto alla data di iscrizione alla gestione previdenziale.

Chi ha già richiesto l’agevolazione contributiva, se permangono i requisiti, non deve presentare una nuova domanda. Se non si intende più avvalersi del beneficio, bisogna presentare un’espressa dichiarazione di rinuncia [3].

Quando si perde la riduzione contributiva forfettari?

Il regime agevolato si perde:

  • al venir meno dei requisiti che consentono l’applicazione del beneficio;
  • se il contribuente sceglie di abbandonare il regime agevolato;
  • se l’Agenzia delle Entrate comunica all’Inps che il contribuente non ha mai aderito al regime fiscale agevolato, oppure non ha mai avuto i requisiti per aderire.

Nei primi due casi il regime ordinario viene ripristinato dal 1° gennaio dell’anno successivo alla presentazione della dichiarazione di perdita dei requisiti o della domanda di uscita.

Nel terzo caso il regime ordinario viene imposto retroattivamente, con la stessa decorrenza che era stata fissata per il regime agevolato.

Quanto si perde con la riduzione contributiva forfettari?

Nel caso in cui l’importo complessivamente versato risulti inferiore all’importo ordinario della contribuzione dovuta sul minimale di reddito, viene accreditato un numero di mesi proporzionale a quanto versato. In pratica, ai fini della pensione non è accreditato un anno intero: la riduzione contributiva può dunque far tardare il pensionamento.

Ai fini dell’accredito di 12 mesi di contribuzione, dunque, dovrà essere versata una somma pari all’importo del contributo dovuto sul minimale. Se viene effettuato un versamento corrispondente al contributo calcolato sul minimale ordinario ma inferiore rispetto al dovuto, si procede al recupero della differenza, nel rispetto del limite del 65%.

In ogni caso, un minor versamento di contributi determina un importo minore della pensione. Vuoi capire perché? Puoi prendere spunto dalla nostra guida: Quota 100, quanto si perde.

Quando si versano i contributi Inps?

I contributi Inps di chi esercita attività d’impresa, sia per chi ha diritto allo sconto in quanto aderente al regime forfettario, sia per chi non ha diritto all’agevolazione, vanno versati entro le date seguenti, per l’anno 2019, mediante i modelli di pagamento unificato F24:

  • per il versamento delle quattro rate dei contributi dovuti sul minimale di reddito:
    • 16 maggio 2019;
    • 20 agosto 2019;
    • 18 novembre 2019;
    • 17 febbraio 2020;
  • per i contributi dovuti sulla quota di reddito eccedente il minimale, a titolo di saldo 2018, primo acconto 2019 e secondo acconto 2019, entro i termini previsti per il pagamento delle imposte sui redditi delle persone fisiche.

Pensione quota 100 da aprile 2019 con finestre

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Tornano le vecchie finestre di attesa per le pensioni con quota 100: si parte dal 1° aprile 2019, uscite ogni 3 mesi, ogni 6 mesi per i dipendenti pubblici.

La pensione quota 100 inizierà ad essere corrisposta dal mese di aprile 2019, e ritorneranno le finestre di attesa: è quanto emerge dal cosiddetto “pacchetto previdenza” 2019, il decreto in materia di pensioni appena pubblicato in Gazzetta Ufficiale [1]. Le finestre per l’uscita anticipata con quota 100 sono volte ad evitare l’esodo di massa dei lavoratori e ad assicurare le corrette tempistiche per il turnover. In particolare, per scaglionare i pensionamenti, sono state previste delle date fisse di uscita ogni 3 mesi per i lavoratori del settore privato, ogni 6 mesi per i dipendenti pubblici e ogni anno per il personale della scuola.

In buona sostanza, chi si pensiona con la quota 100 non può ricevere il trattamento subito, ma deve attendere un arco di tempo, la finestra appunto, tra la maturazione dei requisiti e la liquidazione della pensione.

Le finestre di attesa sono state ripristinate anche per la pensione anticipata ordinaria: in base a quanto disposto nel decreto, i requisiti per la pensione anticipata restano gli stessi, pari a 42 anni e 10 mesi per gli uomini ed a 41 anni e 10 mesi per le donne, ma con la decorrenza spostata in avanti di 3 mesi a causa dell’applicazione delle finestre.

Ma facciamo il punto della situazione sulla pensione quota 100 2019 con finestre: come funziona questo nuovo pensionamento anticipato, che cosa sono le finestre, come funzionano le finestre che sono ancora in vigore, come potrebbero funzionare le nuove finestre per la quota 100.

Come funziona la pensione quota 100?

La pensione quota 100 è una pensione anticipata, che si potrà raggiungere quando la quota maturata dal lavoratore risulta almeno pari a 100.

La quota è il risultato della somma dell’età pensionabile dell’interessato e degli anni di contributi posseduti: per fare un esempio, se il lavoratore ha compiuto 62 anni ed ha maturato 38 anni di contributi, raggiunge la quota 100 perché la somma di età e contribuzione è pari a 100 (62+38=100).

Quando l’età o le annualità di contribuzione non corrispondono a una cifra esatta, per calcolare la quota i mesi devono essere trasformati in decimi:

  • ad esempio, se il lavoratore ha raggiunto 63 anni e 6 mesi di età, ai fini del calcolo della quota deve indicare 63,5;
  • teoricamente, potrebbe ottenere la pensione quota 100 se possiede almeno 36 anni e 6 mesi di contributi (perché 100-63,5= 36,5, ossia 36 anni e 6 mesi).

Bisogna però considerare che, in base a quanto descritto nel decreto pensioni, per pensionarsi con la quota 100 è stabilita un’età minima e un requisito contributivo minimo.

Quali sono età e anni di contributi minimi per la quota 100

La pensione anticipata quota 100 potrà essere ottenuta con un’età minima di 62 anni ed una contribuzione minima pari a 38 anni. In buona sostanza, anche se si raggiunge la quota 100, non ci si potrà pensionare se l’età non sarà almeno pari a 62 anni ed i contributi non risulteranno almeno pari a 38 anni. Per chi ha 63 anni, dunque, la quota diventa 101, in quanto resta fermo il requisito contributivo dei 38 anni, per chi ne ha 64 102, per chi ne ha 65 103, e così via…

Altre proposte invece fissavano l’età minima a 64 anni ed la contribuzione minima a 36 anni, ma sono state scartate.

Come funzionano le finestre per la pensione?

La finestra per la pensione è il periodo di tempo che trascorre tra la data di maturazione dei requisiti per il trattamento e la liquidazione dell’assegno da parte dell’ente pensionistico.

Ma quali sono i requisiti che devono maturare per la pensione, a partire dai quali scatta il periodo di finestra? I requisiti stabiliti per la pensione sono differenti a seconda della gestione previdenziale a cui si è iscritti, della categoria di appartenenza e del tipo di trattamento che si vuole richiedere.

Per la maggior parte delle pensioni, i requisiti richiesti riguardano l’età e il possesso di un minimo di anni di contributi: ad esempio, per l’attuale pensione di vecchiaia ordinaria, si richiedono 67 anni di età assieme al possesso di vent’anni di contributi.

In alcuni casi, per il trattamento si richiede anche la maturazione  di un assegno minimo: per il diritto alla stessa pensione di vecchiaia ordinaria, per fare un esempio, si richiede la maturazione di un assegno pari ad almeno 1,5 volte l’assegno sociale, cioè a circa 686 euro mensili, se non si possiedono versamenti alla previdenza obbligatoria anteriori al 1996. Bisogna considerare, a scanso di equivoci, che per la pensione di vecchiaia attuale non sono previste finestre.

Spesso, le gestioni previdenziali dei liberi professionisti richiedono, oltre all’accredito di un minimo di anni di contributi, anche una determinata anzianità di iscrizione. Ma, considerando che i requisiti da maturare per la pensione possono essere diversi e numerosi, da quando iniziano a trascorrere le finestre?

Da quando partono le finestre?

Se i requisiti stabiliti per la pensione, da soddisfare contemporaneamente, sono differenti, nella generalità dei casi la finestra inizia a trascorrere a partire dalla maturazione dell’ultimo requisito, cioè dal requisito necessario al trattamento raggiunto più recentemente. Questo succede con le finestre mobili, attualmente in vigore per alcune tipologie di pensione.

Con le finestre fisse, invece, ci si può pensionare all’apertura della finestra successiva rispetto alla data di maturazione dei requisiti, con un’ulteriore tempistica di attesa eventualmente stabilita dalla normativa. Con la quota 100 per i lavoratori del settore privato, ad esempio, se l’ultimo requisito utile alla pensione si matura in data 20 dicembre, bisogna considerare che la finestra fissa utile per chi ha maturato i requisiti entro il 31 dicembre si apre il 1° aprile dell’anno successivo: di conseguenza, chi raggiunge i requisiti entro il 31 dicembre 2018 si pensiona il 1° aprile 2019.

Quanto durano le finestre?

La durata delle finestre non è unica, ma cambia a seconda del tipo di finestra, mobile o fissa, del tipo di pensione e anche della categoria di appartenenza. Le finestre attualmente ancora operative sono le cosiddette finestre mobili, che si calcolano a partire dalla data di maturazione dell’ultimo requisito per il trattamento. Vediamo come funzionano:

  • per chi richiede la pensione di vecchiaia in regime di totalizzazione, la finestra è pari a 18 mesi; la pensione viene liquidata a partire dal primo giorno del 19º mese dalla data di maturazione dell’ultimo requisito;
  • per chi richiede la pensione di anzianità in regime di totalizzazione, invece, la finestra è ancora più lunga ed è pari a 21 mesi;
  • per chi vuole richiedere l’opzione donna, che sarà prorogata alle nate sino al 31 dicembre 1959 (1958 se autonome), a partire dalla maturazione dell’ultimo requisito tra quello contributivo (35 anni)  e quello di età, la finestra è pari a 12 mesi per le lavoratrici dipendenti, ed a 18 mesi per le lavoratrici autonome.
  • per quanto riguarda la pensione di vecchiaia anticipata per invalidità, che ad oggi può essere richiesta dei lavoratori dipendenti del settore privato che possiedono un’invalidità pari almeno all’80%, la finestra è pari a 12 mesi.

Come funzionano le finestre per la pensione quota 100?

Ecco come funzionano le finestre di attesa per chi matura i requisiti della quota 100:

  • i lavoratori del settore privato che maturano i requisiti entro il 31 dicembre 2018 conseguono il diritto alla decorrenza della pensione il 1° aprile 2019;
  • i lavoratori del settore privato che maturano i requisiti dal 1° gennaio 2019 conseguono il diritto alla decorrenza della pensione trascorsi tre mesi dalla data di maturazione dei requisiti stessi;
  • i dipendenti pubblici che maturano i requisiti entro l’entrata in vigore del decreto pensioni, cioè entro il 29 gennaio 2019, conseguono il diritto alla decorrenza della pensione il 1° agosto 2019;
  • i dipendenti pubblici che maturano i requisiti dal giorno successivo alla data di entrata in vigore del decreto, conseguono il diritto alla decorrenza del trattamento pensionistico trascorsi 6 mesi dalla data di maturazione dei requisiti stessi;
  • la domanda di collocamento a riposo, per i dipendenti pubblici, deve essere presentata all’amministrazione di appartenenza con un preavviso di sei mesi;
  • per i dipendenti del comparto scuola si applica la finestra unica di uscita.

In base a quanto esposto nel decreto, dunque, escluse le finestre per i dipendenti della scuola, e la finestra del 1° aprile e del 1° agosto, rispettivamente dedicate ai lavoratori del settore privato e pubblico, le ulteriori finestre dovrebbero essere mobili, e non finestre fisse.

Se il trattamento pensionistico è liquidato a carico di una gestione esclusiva dell’assicurazione generale obbligatoria (come l’ex Inpdap), la prima decorrenza utile della pensione è fissata al primo giorno successivo all’apertura della finestra.

Se, invece, il trattamento è liquidato a carico di una gestione diversa da quella esclusiva dell’assicurazione generale obbligatoria, la prima decorrenza utile della pensione è fissata al primo giorno del mese successivo all’apertura della finestra.

Durante la finestra si può lavorare?

Durante il periodo di finestra lavorare è permesso: sarebbe iniquo il contrario, in quanto si tratta di un periodo in cui il lavoratore non riceve alcun trattamento di pensione.

Legge 104: guida alle agevolazioni

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Tutte le agevolazioni per i beneficiari della Legge 104: permessi, congedi, pensione, sussidi, agevolazioni fiscali e lavorative.

I benefici che spettano ai destinatari della legge 104, cioè gli aiuti che la normativa prevede per i disabili e i loro familiari, sono numerosi e operano in campi diversi: molte di queste agevolazioni, tra l’altro, sono poco conosciute. Vediamo, in questa guida, tutte le agevolazioni previste dalla Legge 104, assieme agli altri benefici per chi è in possesso del riconoscimento di handicap, invalidità e non autosufficienza.

Legge 104: chi sono i beneficiari?

La legge 104 [1] è la normativa quadro in materia di disabilità. Quando si parla di beneficiari della Legge 104 si intendono, generalmente, i portatori di handicap in situazione di gravità, oppure i lavoratori che assistono un parente in queste condizioni. Sono comunque previste delle agevolazioni anche per i portatori di handicap non grave e per i portatori di handicap superiore ai 2/3. Ulteriori agevolazioni sono previste per gli invalidi: l’invalidità non deve essere confusa con l’handicap, in quanto, mentre quest’ultimo consiste in una condizione di svantaggio sociale, l’invalidità consiste in una riduzione della capacità lavorativa. La non autosufficienza è una condizione ancora differente: per soggetto non autosufficiente, in particolare, si intende chi è impossibilitato a compiere gli atti quotidiani della vita o chi non può camminare senza l’aiuto di un accompagnatore.

Vediamo le ipotesi in cui spettano i benefici della legge 104.

Permessi retribuiti per il lavoratore disabile

Il lavoratore maggiorenne disabile, ciascun mese, ha diritto alternativamente a permessi retribuiti di:

  • 2 ore giornaliere;
  • 3 giorni, continuativi o frazionati.

Il tipo di permesso richiesto (giornaliero o orario) può essere cambiato dal lavoratore da un mese all’altro, modificando la domanda precedentemente presentata. La variazione può essere eccezionalmente consentita anche durante il mese, per esigenze improvvise e imprevedibili all’atto della richiesta dei permessi, che devono essere documentate dal lavoratore.

In caso di part-time verticale o misto, con attività lavorativa limitata ad alcuni giorni del mese, o in caso di riduzione dell’attività lavorativa coincidente con un periodo di integrazione salariale, il numero dei giorni di permesso spettanti deve essere ridimensionato in proporzione. Il risultato della proporzione viene arrotondato all’unità inferiore o a quella superiore, a seconda che la frazione sia fino allo 0,50 o superiore.

Permessi retribuiti per i familiari del disabile

I permessi retribuiti non spettano solo al disabile, ma anche ai suoi familiari, se sono lavoratori dipendenti.

I permessi possono essere accordati ad un unico lavoratore per assistere lo stesso disabile, il referente unico: il referente beneficia dei permessi mensili per tutti i mesi di assistenza alla persona con handicap grave.

Il diritto non può essere riconosciuto a più di un lavoratore dipendente per l’assistenza dello stesso disabile: questi deve dunque dichiarare all’Inps  il lavoratore suo familiare prescelto, da cui vuole essere assistito. Se il disabile è assistito alternativamente, per periodi di tempo predeterminati, da parenti diversi (entro il 2° grado), ciascun avente diritto deve presentare, di volta in volta, la domanda per ottenere il riconoscimento dei permessi retribuiti legge 104.

Un’eccezione alla regola generale del “referente unico” è prevista nel caso dei genitori, che possono beneficiare alternativamente dei permessi per l’assistenza dello stesso figlio con handicap grave.

Il diritto ai permessi retribuiti è concesso anche se:

  • nel nucleo familiare del disabile si trovano familiari conviventi non lavoratori idonei a prestare assistenza;
  • sono presenti altre forme di assistenza pubblica o privata (ricorso alle strutture pubbliche, al cosiddetto “no profit” e al personale badante).

Come usare i permessi della legge 104

Spesso ci si chiede se il lavoratore che utilizza i permessi della legge 104 debba stare tutta la giornata o solo le ore lavorative presso il familiare con handicap. In generale la giurisprudenza sostiene che l’impiego per scopi personali della giornata di permesso retribuita costituisce un comportamento illegittimo che può essere configurabile come reato: quello di truffa ai danni dello Stato (difatti l’indennità per la giornata di riposo viene corrisposta dall’Inps e solo inizialmente anticipata dal datore di lavoro). Inoltre tale comportamento giustifica il licenziamento visto che il dipendente si macchia di una condotta infedele. Il datore potrebbe far pedinare il lavoratore, a tal proposito, e verificare se lo stesso sta usando i permessi della legge 104 per scopi personali o per assistere l’invalido.

Di recente però la Cassazione ha adottato un’interpretazione più larga. Secondo la Corte, poiché il lavoratore con la legge 104, durante il normale corso della settimana, alterna il lavoro all’assistenza, non trovando quindi spazi per le proprie necessità (fosse anche fare la spesa, comprare un vestito o incontrarsi con gli amici) è legittimo pensare che lo faccia durante i giorni di permesso in cui ha più tempo. Infatti la legge ha cancellato l’obbligo dell’assistenza continuativa. Ciò che però resta vietato è l’utilizzo dell’intera giornata per scopi personali come, ad esempio, per allungare il weekend e il ponte o fare gite con gli amici. In passato è stato ritenuto legittimo il licenziamento della lavoratrice sorpresa, in uno dei giorni di permesso con la legge 104, a partecipare a una serata in discoteca.

Domanda Legge 104

Per ottenere le agevolazioni collegate alla Legge 104 è prima necessario il riconoscimento dello stato di disabilità. Per domandarne il riconoscimento, dopo aver ottenuto il certificato medico dal proprio medico curante, si deve inoltrare, tramite il sito dell’Inps, il contact center Inps Inail, o mediante Patronato, la domanda di accertamento dei requisiti sanitari. L’accertamento medico potrà, poi, consentire l’accesso non solo ai benefici legati alla Legge 104, ma anche a quelli connessi alla non autosufficienza, all’invalidità civile, cecità, sordità, etc. La procedura, dunque, è unica sia per l’handicap che per l’invalidità, anche se le due condizioni danno diritto a benefici differenti.

Come viene accertata la disabilità?

Lo stato di gravità della minorazione è accertato da un’apposita commissione medica Asl, che deve pronunciarsi entro 90 giorni dalla data di presentazione della relativa domanda.

Se la commissione non si pronuncia entro 45 giorni dalla presentazione della domanda, l’accertamento è provvisoriamente effettuato da un medico specialista nella patologia denunciata, in servizio presso l’Asl da cui è assistito l’interessato. L’accertamento provvisorio è efficace fino all’emissione dell’accertamento definitivo della commissione.

Inoltre, su richiesta motivata dell’interessato, la commissione medica può rilasciare un certificato provvisorio al termine della visita, efficace fino all’emissione dell’accertamento definitivo.

Nel caso di disabili affetti da sindrome di down, l’accertamento della gravità della disabilità è effettuato dal medico curante previa richiesta di presentazione del cariotipo, cioè del patrimonio cromosomico di un organismo.

La certificazione provvisoria è utile per beneficiare:

  • dei 3 giorni di permesso mensile retribuito per assistere i disabili gravi;
  • del prolungamento del congedo parentale fino al 3° anno di vita del bambino, portatore di handicap grave;
  • delle 2 ore di permesso giornaliero retribuito fino al 3° anno di vita del bambino, portatore di handicap grave (in alternativa al prolungamento del congedo parentale);
  • del congedo straordinario biennale retribuito per assistere i disabili gravi.

Permessi retribuiti Legge 104

Come abbiamo visto, il lavoratore che assiste un figlio o un familiare (coniuge, affine o parente entro il 2° grado, eccezionalmente entro il 3° grado) con handicap grave ha diritto a 3 giorni di permesso retribuito mensile.

L’assistenza al portatore di handicap, perché siano concessi i permessi retribuiti, deve essere continuativa: questo non comporta necessariamente la convivenza tra il lavoratore ed il disabile, secondo un noto interpello del Ministero del Lavoro [2]. Ciò che interessa è che sia presente un’assistenza sistematica ed adeguata: in base a ciò, è possibile chiedere i permessi presentando un programma delle modalità di assistenza. Sulla congruità medico-legale del programma deve esprimersi il dirigente del centro medico legale della sede Inps competente .

In caso di ricovero ospedaliero, si possono fruire i permessi se:

  • è richiesta l’assistenza da parte di un familiare;
  • il disabile è in stato vegetativo persistente;
  • il disabile ha una prognosi infausta a breve termine.
  • il disabile deve uscire dalla strutturaper visite specialistiche e terapie.

Anche il lavoratore portatore di handicap grave, come già esposto, ha diritto agli stessi permessi lavorativi. Il permesso può essere anche frazionato ad ore (2 ore al giorno) ed è necessaria, in tutti i casi, la certificazione specifica di handicap grave, rilasciata dall’apposita commissione medica Asl (integrata da un medico dell’Inps), per poterne fruire.

I permessi per l’assistenza del disabile sono retribuiti dall’Inps, ma anticipati dal datore di lavoro, che provvede poi al recupero in sede di denuncia mensile Uniemens.

Per ottenerli è necessario inviare un’apposita domanda all’Inps ed al datore di lavoro.

L’azienda non può rifiutare la concessione dei permessi, ma può richiederne la programmazione, se:

  • il lavoratore può individuare in anticipo le giornate di assenza;
  • non è pregiudicato il diritto dell’invalido all’effettiva assistenza;
  • la programmazione è condivisa con lavoratori e rappresentanze sindacali.

Ad ogni modo, il lavoratore può sempre spostare unilateralmente i permessi, perché l’interesse di assistenza e tutela del disabile prevale sulle esigenze organizzative aziendali.

I giorni di permesso della legge 104 spettano ai familiari non conviventi?

Secondo quanto disposto dalla legge 104beneficiari dei permessi retribuiti per l’assistenza del portatore di handicap grave sono il coniuge, gli affini, i parenti entro il secondo grado, o entro il terzo grado a determinate condizioni di legge. La legge, come anticipato, esclude la convivenza tra i presupposti necessari per la concessione dei benefici . Ciò vuol dire che il diritto ad ottenere i permessi retribuiti è riconosciuto anche se gli affini ed i parenti non abitano con il disabile che deve ricevere assistenza.

Al partner convivente spettano i giorni di permesso della legge 104?

In passato, se il disabile aveva un rapporto di convivenza more uxorio (ossia una famiglia di fatto), per il fatto di non essere legato da vincolo matrimoniale, restava sprovvisto di tutela, anche nel caso in cui non esistessero altri familiari disponibili all’assistenza. La legge escludeva, difatti, il convivente more uxorio dall’elenco dei soggetti beneficiari dei permessi retribuiti legge 104 per l’asistenza, privando così i soggetti portatori di handicap grave interessati a ricevere assistenza da persone cui sono legate da un rapporto stabile e certo della tutela garantita dalla costituzione. Dal 2016, grazie a una nota sentenza della Corte Costituzionale, non è più così: secondo la Consulta, difatti, la Legge 104 , non prevedendo la concessione dei permessi retribuiti al convivente del disabile, viola la Costituzione per irragionevolezza e viola il diritto alla salute psico-fisica del disabile grave sia come singolo che nella società .

La Corte costituzionale, riconoscendo il ruolo del convivente nell’assistenza al portatore di handicap grave, lo ha dunque equiparato a quello del gruppo di soggetti che, in via prioritaria, possono fruire dei permessi, cioè coniuge, parenti e affini entro il secondo grado.

Al partner dell’unione civile spettano i giorni di permesso della legge 104?

Il lavoratore parte dell’unione civile, essendo equiparato al coniuge, ha diritto ai permessi retribuiti mensili per l’assistenza del partner disabile grave, come se fosse il marito, o la moglie, dell’assistito.

In attuazione delle nuove previsioni, la procedura online dell’Inps per l’invio della domanda dei permessi Legge 104 è stata recentemente implementata, per consentire anche agli uniti civilmente di inviare la domanda.

Congedo retribuito di due anni

Chi assiste un familiare convivente con handicap grave certificato ha diritto a un congedo straordinario retribuito, della durata massima di 2 anni nell’arco della vita lavorativa: è possibile assentarsi anche in maniera frazionata, ma la frazionabilità è soltanto giornaliera e non oraria.

Il beneficio spetta, nell’ordine: al coniuge che convive col lavoratore, ai genitori, ai figli conviventi, ai fratelli ed alle sorelle conviventi e, in mancanza, ad altri parenti o affini fino al terzo grado; è indispensabile, al contrario di quanto avviene per i permessi retribuiti, la convivenza col soggetto disabile.

I due anni di congedo straordinario sono da intendersi come massimo utilizzabile, per ciascun dipendente, nell’intero arco della vita lavorativa. Pertanto, se vi sono più familiari per i quali si possa fruire del congedo, in ogni caso non è possibile superare i due anni totali, comprensivi di tutte le assenze inerenti ogni assistito.

Nel computo del limite dei 2 anni rientrano anche le giornate festive e non lavorative ricomprese tra le giornate di assenza.

La domanda per il congedo straordinario consiste in un’autocertificazione, accompagnata dal certificato di handicap grave; deve essere presentata al proprio dirigente o alla propria amministrazione, se si lavora per un ente pubblico. I dipendenti privati, invece, devono inoltrare la domanda direttamente all’Inps: dopo che l’Istituto verifica la correttezza formale e accoglie l’istanza, devono effettuare la richiesta al proprio datore di lavoro.

L’indennità per il congedo straordinario corrisponde alle voci fisse e continuative dell’ultima retribuzione, sino ad un massimo di circa 48mila euro annuali (cifra rivalutata periodicamente); si ha diritto, inoltre, alla contribuzione figurativa.

Il congedo legge 104 spetta se non si convive col genitore?

La Corte Costituzionale, con una recente sentenza [4], consente anche al figlio non convivente al momento della domanda la possibilità di fruire del congedo straordinario legge 104, ossia del congedo, pari a un massimo di 2 anni nella vita lavorativa, per assistere familiari disabili.

In particolare, la Corte ha dichiarato la parziale incostituzionalità del testo unico maternità-paternità [5], nella parte in cui non elenca tra i beneficiari del congedo straordinario il figlio che, al momento della presentazione della richiesta, ancora non convive con il genitore con handicap grave, se instaura la convivenza successivamente, in caso di mancanza, decesso o in presenza di patologie invalidanti del coniuge convivente, del padre e della madre, anche adottivi, dei figli conviventi, dei fratelli e delle sorelle conviventi, dei parenti o affini entro il terzo grado conviventi, legittimati a richiedere il beneficio in via prioritaria secondo l’ordine determinato dalla legge.

Prolungamento del congedo parentale

Il lavoratore, secondo la Legge 104, può fruire di 2 ore di permesso giornaliero indennizzato per assistere il figlio disabile (portatore di handicap grave), oppure di 3 giorni mensili di permesso retribuito.

Se il figlio disabile è minore di 12 anni, però, può fruire del prolungamento del congedo parentale sino a un massimo di 3 anni, o di riposi alternativi al prolungamento.

Le ultime due agevolazioni non possono essere cumulate col congedo parentale orario.

Diritto alla scelta della sede

Il dipendente portatore di handicap grave, beneficiario di Legge 104, o che assiste un parente in possesso del medesimo stato, ha il diritto di scegliere la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio, a meno che non sussistano ragioni contrarie motivate dall’azienda. Più che di un diritto, in questi casi parliamo di interesse legittimo.

È differente la situazione dei dipendenti pubblici: in particolare, i lavoratori della P.A. che sono in possesso di un’invalidità superiore a 2/3 hanno il diritto di scelta prioritaria tra le sedi disponibili.

Rifiuto al trasferimento

Il portatore di handicap grave, o il lavoratore che assiste un familiare nella stessa condizione, non può essere trasferito in altra sede dall’azienda contro la sua volontà, a prescindere dall’esistenza di ragioni valide e motivate dall’azienda: in tale situazione, difatti, si configura un vero e proprio diritto soggettivo in capo al dipendente.

Rifiuto di prestare lavoro notturno

Il lavoratore beneficiario di Legge 104, oppure che assiste o ha a proprio carico un soggetto portatore di handicap grave, non può essere adibito dall’azienda al lavoro notturno contro la sua volontà.

Rifiuto di prestare lavoro domenicale o festivo

La legge non prevede espressamente, per i portatori di handicap grave o per i familiari che li assistono, la possibilità di rifiutarsi di prestare lavoro festivo o domenicale. Prevedono questa possibilità, tuttavia, alcuni contratti collettivi, come il CCNL Commercio e Terziario, nel quale è stabilito che i portatori di handicap grave beneficiari di Legge 104, nonché i familiari conviventi che li assistono, possono legittimamente rifiutarsi di lavorare la domenica e nei festivi.

Contributi figurativi aggiuntivi

Il possesso di handicap, a prescindere dalla gravità, non dà diritto a particolari agevolazioni previdenziali. Queste, infatti, sono dovute in base all’invalidità, cioè alla riduzione della capacità lavorativa. In particolare, il lavoratore con invalidità sopra il 74% ha diritto, a partire dalla data di riconoscimento di tale percentuale di riduzione della capacità lavorativa, a 2 mesi l’anno di contributi figurativi, che si aggiungono alla contribuzione versata per raggiungere prima la pensione. In questo modo, è possibile anticipare la pensione sino a 5 anni.

Pensione anticipata

I lavoratori invalidi dall’80% in su hanno anche diritto di accedere alla pensione di vecchiaia anticipata, ossia con 60 anni e 7 mesi di età per gli uomini e 55 anni e 7 mesi per le donne (e 20 anni di contributi). Si applica, a questi requisiti, l’attesa di un periodo di finestra pari a 12 mesi dalla maturazione dei requisiti alla liquidazione della pensione.

Assegno ordinario d’invalidità

L’assegno ordinario d’invalidità è riconosciuto a prescindere dal possesso di handicap, per i soggetti con riduzione della capacità lavorativa superiore a 2/3. Sono necessari 5 anni di contributi versati, di cui 3 nell’ultimo quinquennio e sono previsti di limiti di cumulo tra assegno e altri redditi.

In particolare, la normativa prevede una riduzione:

  • del 25% se il reddito totale supera quattro volte il trattamento minimo;
  • del 50% se il reddito totale supera cinque volte il trattamento minimo;

Quando l’assegno d’invalidità è trasformato in pensione di vecchiaia, al compimento dell’età pensionabile, diviene pienamente cumulabile con tali redditi; inoltre, cadono tutti i limiti al cumulo dei redditi in presenza di almeno 40 anni di contributi.

L’assegno ordinario d’invalidità è compatibile con l’attività lavorativa, ma non è compatibile col trattamento di disoccupazione: in questo caso, è possibile optare per l’indennità più favorevole.

Pensione d’invalidità civile

La pensione d’invalidità, o assegno d’invalidità civile, è una prestazione assistenziale, dunque spetta a prescindere dal versamento di contributi; la prestazione non è collegata al possesso di handicap, ma è necessaria un’invalidità riconosciuta superiore al 74%. Per ottenere l’assegno, il reddito posseduto non deve essere superiore a 4.800,38 euro, per l’anno 2016.

Il sussidio è compatibile sia con l’attività lavorativa che con la disoccupazione, ma è incompatibile con qualsiasi pensione diretta d’invalidità e con tutte le prestazioni pensionistiche d’invalidità per causa di guerra, di lavoro o di servizio, comprese le rendite Inail. L’interessato può comunque optare per il trattamento più favorevole.

Pensione d’inabilità

La pensione d’inabilità ordinaria è anch’essa indipendente dal possesso di handicap, in quanto spetta in presenza di un’assoluta e permanente impossibilità a svolgere qualsiasi lavoro; sono necessari i seguenti requisiti contributivi: 5 anni di contributi di cui 3 versati nell’ultimo quinquennio. La pensione è incompatibile con qualsiasi attività lavorativa, dipendente, parasubordinata o autonoma.

L’ammontare della pensione di inabilità risulta dalla somma:

  • dell’importo dell’assegno di invalidità (che si calcola in proporzione ai contributi versati, col metodo retributivo sino al 2011, misto o contributivo, a seconda dell’anzianità assicurativa), non integrato al trattamento minimo;
  • della maggiorazione, pari agli anni di contribuzione compresi tra la decorrenza della pensione di inabilità ed il compimento dei 60 anni di età (in pratica, la pensione è pari a quella che il lavoratore avrebbe avuto una volta raggiunti 60 anni di età).

Se , in sede di accertamenti sanitari, viene invece riscontrato il possesso d’inabilità per assoluta e permanente impossibilità a svolgere le proprie mansioni lavorative o a proficuo lavoro, hanno diritto alla pensione d’inabilità soltanto i dipendenti pubblici, in casi particolari.

Pensione per invalidi civili totali

La pensione d’inabilità per invalidi civili totali (soggetti con riconosciuta invalidità totale e permanente del 100%) è un assegno dovuto a soggetti di età tra i 18 e i 65 anni, impossibilitati a svolgere qualsiasi attività lavorativa. L’emolumento è dunque incompatibile con qualsiasi lavoro: a differenza della pensione d’inabilità ordinaria, però, si tratta di una prestazione assistenziale, dunque la provvidenza è dovuta indipendentemente dal versamento di contributi, ma è soggetta al limite di reddito annuale di 16.532,10 euro.

Indennità di accompagnamento

L’indennità di accompagnamento è un trattamento che spetta agli invalidi civili totali non in grado di deambulare senza l’aiuto di un accompagnatore o non in grado di compiere gli atti quotidiani della vita.

Tale indennità non è incompatibile con l’attività lavorativa (poiché l’impossibilità di lavorare si determina soltanto in presenza dello status di inabilità assoluta e permanente a svolgere qualsiasi attività lavorativa), né con la percezione di altri redditi. Per il 2016 l’importo mensile spettante è pari a 512,34 euro, e l’importo annuale è pari a 6.148,48 euro.

Collocamento mirato

I lavoratori con invalidità civile superiore al 45%, a prescindere dal possesso di handicap, hanno diritto al collocamento mirato, cioè ad accedere ai servizi di sostegno dedicati, e ad iscriversi alle liste speciali, secondo quanto previsto dalla Legge 68 [3].

Inoltre possono essere computati nelle quote di riserva dell’azienda.

Hanno gli stessi diritti anche gli invalidi di guerra, del lavoro e per cause di servizio con percentuale sopra il 33%, con minorazioni ascritte dalla prima all’ottava categoria.

Agevolazione Legge 104 per l’acquisto di veicoli

Per quanto riguarda l’acquisto dell’auto da parte di un soggetto disabile, la normativa prevede 4 tipologie di benefici, tra loro cumulabili:

  • detrazione Irpef pari al 19% del costo del veicolo ( in pratica, se il costo del veicolo è pari a 10mila euro, si possono togliere 1.900 euro dalle imposte); la detrazione, che va indicata nella dichiarazione dei redditi, può essere effettuata in un’unica soluzione o in 4 quote; la spesa massima consentita è di 18.075,99 euro;
  • pagamento dell’Iva sull’acquisto del veicolo in misura ridotta, pari al 4%;
  • esenzione dal bollo auto (si tratta di un’esenzione perpetua, non limitata alle prime annualità);
  • esonero dal pagamento dell’imposta di trascrizione sui passaggi di proprietà.

Gli incentivi sono validi non solo per le autovetture, ma anche per alcuni autoveicoli specifici e per il trasporto promiscuo, autocaravan, motocarrozzette, motoveicoli per il trasporto promiscuo e specifici. Oltreché per l’acquisto, i benefici possono essere fruiti anche per la riparazione.

Non tutti i disabili possono usufruire, però, di queste agevolazioni, ma solo le seguenti categorie:

  • sordi e non vedenti ;
  • portatori di handicap grave secondo la Legge 104, qualora si tratti di disabili psichici o mentali titolari d’indennità di accompagnamento, o di disabili affetti da pluriamputazioni, o con capacità di deambulazione notevolmente limitata;
  • soggetti disabili con capacità motorie ridotte o assenti.

Le spese possono essere detratte anche dal familiare che ha fiscalmente a carico il disabile(il reddito annuo, perché il familiare sia considerato fiscalmente a carico, non deve superare 2.840,51 euro).

Agevolazioni fiscali Legge 104: spettano per l’auto cointestata?

I benefici fiscali legati all’acquisto di autoveicoli per disabili sono riconosciuti, alternativamente, o al disabile stesso, o al familiare che lo ha a carico.

Anche se, da un punto di vista logico, sarebbe più che corretto concedere l’agevolazione in presenza di cointestazione del veicolo, tanto più se uno dei cointestatari è il soggetto che ha a carico il disabile, una nota risoluzione dell’Agenzia delle Entrate è stato negato questo beneficio: secondo l’Agenzia, difatti, le norme che accordano agevolazioni devono essere interpretate in maniera letterale. Impossibile, dunque, riconoscere il beneficio in presenza di cointestazione del veicolo, poiché si violerebbe la legge, che prevede l’alternativa fruizione delle agevolazioni fiscali da parte o del soggetto disabile, o del familiare che lo ha in carico, senza ulteriori possibilità.

Detrazione Irpef per figlio disabile a carico

Se si ha un figlio a carico portatore di handicap grave secondo la Legge 104, l’ordinaria detrazione Irpef per figli a carico spettante è aumentata di 400 euro. Ciò vuol dire che la detrazione base, per il figlio minore di 3 anni, sarà pari a 1.620 euro annui anziché 1.220, e , se di età pari o superiore a 3 anni, sarà di 1.350 euro anziché 950.

Resta fermo l’aumento di 200 euro della detrazione per ciascun figlio a carico, nel caso in cui siano superiori a tre.

Contributo Inps da mille euro al mese

Una tra le agevolazioni più significative per i disabili ed i familiari che li assistono, in termini economici, è senza dubbio il programma Inps Home Care Premium, al quale si può aderire sino al 31 dicembre 2018: questo progetto si rivolge però ai soli dipendenti e ai pensionati pubblici, ai i loro coniugi, parenti o affini di primo grado non autosufficienti. Pertanto, potrebbe essere utile nel caso in cui chi presta assistenza sia o sia stato dipendente pubblico, o in cui l’assistito sia dipendente o pensionato pubblico.
Il progetto Home Care Premium, nel dettaglio, prevede due tipologie di prestazioni da parte dell’Inps, con il coinvolgimento di enti pubblici e ambiti territoriali sociali:
• un contributo economico mensile, sino a un massimo di 1.050 euro, denominato prestazione prevalente, da utilizzare per rimborsare le spese sostenute per l’assunzione di un assistente familiare;
• un servizio di assistenza alla persona, la cosiddetta prestazione integrativa (servizi personali domiciliari, prestazioni di sollievo, protesi, ausili, apparecchi…), erogata attraverso la collaborazione degli ambiti territoriali sociali (Ats), oppure da enti pubblici convenzionati che abbiano competenza a rendere i servizi di assistenza alla persona.
È possibile, se si possiedono i requisiti, inviare la domanda tramite il sito dell’Inps o tramite patronato; se si vuole presentare domanda dal portale Inps, bisogna accedere alla sezione Servizi, e successivamente alla prestazione Gestione dipendenti pubblici: domanda Assistenza Domiciliare (Progetto Home Care Premium).

Deduzione dal reddito delle spese mediche generiche e di assistenza specifica

Un altro beneficio, valido sia per i disabili che per i familiari che li abbiano a carico, è l’integrale deduzione dal reddito dei seguenti costi:

  • spese mediche generiche (come, ad esempio, l’acquisto di medicinali);
  • spese di assistenza specifica. Rientrano nella categoria l’assistenza infermieristica e riabilitativa, le prestazioni fornite dal personale in possesso della qualifica di OSS, addetti all’assistenza di base, coordinatori delle attività assistenziali di nucleo, educatori professionali, addetti all’attività di animazione e di terapia occupazionale.

Detrazione dall’Irpef delle spese sanitarie per i disabili

Beneficiano di una detrazione del 19% dall’Irpef:

  • le spese mediche specialistiche sostenute per il disabile;
  • l’acquisto di mezzi d’ausilio alla deambulazione;
  • l’acquisto di poltrone per inabili e minorati, di apparecchi correttivi e di ulteriori ausili specifici.

Anche in questo caso, tali spese possono essere detratte sia dal soggetto portatore di handicap, che dai familiari che lo hanno a carico.

Detrazione dall’Irpef dei costi per l’abbattimento delle barriere architettoniche

L’eventuale adattamento di un ascensore, la costruzione di rampe e l’abbattimento di barriere architettoniche in genere, se a favore di un disabile beneficiano della detrazione dall’Irpef pari al 36% dei costi. Dato che, però, l’attuale bonus per gli interventi di ristrutturazione è più alto (attualmente si ha diritto a una detrazione Irpef pari al 50% dei costi di ristrutturazione, sino a un tetto massimo di 96mila euro) la detrazione al 36% può essere richiesta soltanto sull’eventuale eccedenza della quota di spesa per la quale è stata già domandata l’agevolazione per ristrutturazione edilizia.

Anche in questo caso, la detraibilità è valida per il parente che ha in carico il disabile, o, in alternativa, per il soggetto stesso.

Detrazione Irpef dei costi di assistenza per i soggetti non autosufficienti

I soggetti non autosufficienti, se la condizione risulta da un’apposita certificazione medica ed a prescindere dal possesso di handicap, possono detrarre dall’Irpef il 19% delle spese per l’assistenza, sino ad un massimo di 2.100 euro l’anno, se il reddito annuo non supera 40mila euro. L’agevolazione, fruibile anche dai familiari che hanno a carico questi soggetti, può essere cumulata con la deduzione dei contributi versati ai lavoratori domestici (nella misura massima, ricordiamo, di 1.549,37 euro).

Agevolazione Legge 104 per l’acquisto di pc e sussidi informatici

Sono previsti degli incentivi per l’acquisto di mezzi tecnici ed informatici a beneficio dei portatori di handicap grave secondo la Legge 104.

Le apparecchiature devono essere atte a facilitare la comunicazione, l’elaborazione scritta o grafica, il controllo dell’ambiente, l’accesso all’informazione ed alla cultura.

Sono agevolabili, ad esempio, computer, modem, fax, telefoni con vivavoce, tablet, etc.

I benefici consistono, nel dettaglio:

  • in una detrazione dei costi dall’Irpef pari al 19%;
  • nell’applicazione dell’Iva agevolata al 4%.

Altre agevolazioni fiscali per disabili

Ricordiamo, tra i residui benefici fiscali per i disabili, l’agevolazione forfettaria per l’acquisto ed il mantenimento di un cane guida, l’esenzione dalla tassa sulle imbarcazioni, il trattamento di vantaggio sull’imposta sulle successioni e le donazioni (ossia l’applicazione di una franchigia pari a un milione e mezzo di euro), l’aliquota Iva al 4% per l’acquisto di prodotti editoriali specifici (con supporti audio o scrittura braille).

Ape social per chi assiste disabili

Chi assiste da almeno 6 mesi un familiare convivente di 1° grado portatore di handicap grave, se ha almeno 63 anni di età e 30 anni di contributi può chiedere l’Ape sociale: si tratta di un assegno che spetta sino al perfezionamento del requisito di età per la pensione di vecchiaia. L’assegno, a carico dello Stato, è pari alla futura pensione, ma non può superare 1500 euro mensili.

Ultime sentenze sulla legge 104

Tribunale Bologna, sez. lav., 20/07/2017,  n. 765 

In tema di fruizione dei permessi previsti dall’art. 33, comma 3, legge 104/1992, la concessione dei permessi comporta un disagio per il datore di lavoro, giustificabile solo a fronte di un’effettiva attività di assistenza. Pertanto, l’uso improprio del permesso, anche soltanto per poche ore, costituisce un abuso del diritto, in forza del disvalore sociale alla stessa attribuibile, tale da determinare nel datore di lavoro la perdita della fiducia nei confronti del lavoratore e legittimare la sanzione del licenziamento per giusta causa.

Cassazione civile, sez. lav., 07/06/2017,  n. 14187 

I permessi ex legge 104 concorrono nel computo dei giorni di ferie annuali

La limitazione della computabilità dei permessi previsti dalla legge n. 104 opera esclusivamente nei casi in cui questi debbano cumularsi con il congedo parentale ordinario e con il congedo di malattia del figlio, ipotesi nelle quali è prevista un’indennità minore rispetto a quella vigente per la retribuzione normale. Ne consegue che, nella specie, i permessi, accordati per l’assistenza del genitore portatore di handicap concorrono nella determinazione dei giorni di ferie maturati dal lavoratore che ne ha beneficiato.

Cassazione civile, sez. lav., 07/06/2017,  n. 14187 

I giorni dedicati all’assistenza al genitore portatore di handicap ex legge 104/92 concorrono alla determinazione dei giorni di ferie maturati dal lavoratore

I permessi di cui all’art. 33, comma 3, della l. n. 104 del 1992 (nella specie accordati per l’assistenza a genitore portatore di handicap), fondati sulla tutela dei disabili prevista dalla normativa interna (artt. 2, 3 e 38 Cost.) ed internazionale (direttiva n. 2000/78/CE e Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità, ratificata e resa esecutiva con l. n. 18 del 2009), concorrono alla determinazione dei giorni di ferie maturati dal lavoratore che ne ha beneficiato, in quanto il diritto alle ferie, assicurato dall’art. 36 Cost., garantisce il ristoro delle energie a fronte della prestazione lavorativa svolta e ciò si rende necessario anche in caso di assistenza ad un invalido, che comporta un aggravio in termini di dispendio di energie fisiche e psichiche.

Tribunale Roma, sez. lav., 04/05/2017,  n. 4093

Mancato riconoscimento dei permessi ex l. 104/1992: la prova è a carico del lavoratore

La lavoratrice che rivendica di aver fruito dei permessi ex art. 33, comma 3, legge 104/92 in misura inferiore a quella spettanti di diritto deve produrre in atti la relativa richiesta di permesso dalla stessa avanzata e elementi dai quali risulti che tale richiesta sia stata successivamente respinta dalla società, ovvero che tali ore di permesso siano state imputate a ferie o ROL.

Tribunale Roma, sez. lav., 04/05/2017,  n. 4093

I permessi ex art. 33 della legge n. 104/1992 costituiscono un beneficio a carico dell’INPS finalizzato a garantire assistenza ai familiari disabili e vengono concessi nei limiti in cui tale assistenza venga effettivamente prestata. Ne consegue che la richiesta di un numero maggiore di ore di permesso può essere oggetto di domanda giudiziale solo laddove il ricorrente ne abbia fatto previa specifica domanda all’INPS con esito negativo a fronte di specifiche esigenze assistenziali del genitore disabile.

Cassazione penale, sez. II, 01/12/2016,  n. 54712

Permessi legge 104, occorre prestare assistenza altrimenti è truffa

In tema di permessi “ex lege” n. 104 del 1992, il lavoratore pur non essendo obbligato a prestare assistenza alla persona handicappata nelle ore di lavoro, deve comunque garantire un minimo di assistenza. Di conseguenza risponde di truffa chi utilizzi questi permessi per recarsi all’estero, in viaggio di piacere.

Cassazione civile, sez. lav., 13/10/2016,  n. 20684

In tema di permessi giornalieri per i lavoratori, ai sensi dell’art. 33, comma 3, della legge n. 104 del 1992, per l’assistenza a persone portatrici di grave handicap, la norma di interpretazione autentica contenuta nell’art. 2, comma 3 ter, del d.l. n. 324 del 1993, convertito in legge n. 423 del 1993, ha chiarito che tanto nel settore privato, quanto in quello pubblico, i permessi devono intendersi retribuiti, sicché anche nei giorni di fruizione spetta la corresponsione del compenso incentivante previsto dall’art. 18 della legge 9 marzo 1989, n. 88.

Cassazione civile, sez. lav., 22/03/2016,  n. 5574 

L’utilizzazione dei permessi ai sensi della legge n. 104 del 1992 per scopi estranei a quelli presentati dal lavoratore costituisce comportamento oggettivamente grave, tale da determinare, nel datore di lavoro, la perdita di fiducia nei successivi adempimenti e idoneo a giustificare il recesso.

Cassazione civile, sez. lav., 17/02/2016,  n. 3065

Superamento del comporto e fruizione dei permessi ex L. n. 104

La fruizione dei permessi ex l. n. 104 del 1992, non presuppone un previo rientro in servizio dopo un periodo di assenza per malattia od aspettativa (non essendo – questa – una condizione prevista dalla legge), ma soltanto l’attualità del rapporto di lavoro. Di conseguenza, l’assenza dal lavoro verificatasi nel giorno in cui il lavoratore avrebbe dovuto far rientro al lavoro, al termine del periodo massimo di conservazione del posto di lavoro, se imputabile a permesso ex l. n. 104 del 1992, non è computabile ai fini del superamento del periodo massimo di comporto.

T.A.R. Roma, (Lazio), sez. I, 20/07/2015,  n. 9857 

I permessi previsti dalla l. n. 104 del 1992 per assistenza ai disabili in situazione di gravità possono essere fruiti a condizione che l’assistenza abbia le caratteristiche richieste dalla legge, sotto il profilo della continuità e dell’esclusività. Per i fini di interesse, viene precisato che l’esclusività va intesa nel senso che il lavoratore richiedente deve essere l’unico soggetto che presta assistenza al disabile e che questa non può considerarsi realizzata se il portatore di disabilità convive con altri lavoratori che già beneficiano dei permessi per prestare al medesimo assistenza, ovvero con altri soggetti non lavoratori in grado di assisterlo. Sono, peraltro, previste eccezioni, ancorché nel nucleo familiare del disabile vi sia una persona che non lavora, che, comunque, fermi gli altri requisiti, consentono la fruizione dei tre giorni di permesso mensile tra cui “quando la persona che non lavora non abbia la patente di guida (in tal caso il permesso potrà essere concesso per i giorni in cui il disabile deve essere accompagnato per visite mediche, terapie specifiche e simili, che dovranno essere documentate e giustificate a cura del dipendente).

Cassazione civile, sez. lav., 22/12/2014,  n. 27232

La presenza in famiglia di altra persona che sia tenuta o che possa provvedere all’assistenza del parente non escluda di per sé il diritto ai tre permessi mensili retribuiti, non potendo in tal modo frustrarsi lo scopo perseguito dalla legge ed essendo presumibile che, essendo il lavoratore impegnato con il lavoro, all’assistenza del parente provveda altra persona, mentre è senz’altro ragionevole che quest’ultima possa fruire di alcuni giorni di libertà, in coincidenza con la fruizione dei tre giorni di permessi del lavoratore (nella specie, la Corte ha riconosciuto il diritto ai tre giorni di permesso mensile ex art. 33 l. n. 104 pur in presenza di una colf).

Tribunale Livorno, sez. lav., 15/09/2014

L’art. 33, comma 3, l. n. 104/1992, tanto nell’originaria formulazione della norma che nella versione successiva, è chiaro nell’escludere il convivente more uxorio tra i beneficiari dei permessi retribuiti, espressamente individuati nel coniuge ovvero nel parente o affine sino al terzo grado. L’espressa indicazione da parte del legislatore dei beneficiari dei permessi de quibus, indicazione peraltro ribadita con la l. n. 183/2010, che ha escluso qualsivoglia rilevanza della convivenza tra il soggetto che aspira al beneficio e il familiare affetto da handicap grave, preclude infatti l’estensione in via esegetica al convivente more uxorio del beneficio.

Legge 104

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Agevolazioni per disabili e loro familiari riconosciute dalla Legge 104: benefici su pensioni, lavoro, tasse, sussidi.

Sei portatore di handicap grave, oppure assisti un familiare che si trova in queste condizioni? La normativa ti riconosce numerose agevolazioni, con l’intento di garantire l’assistenza, la cura e l’integrazione dei disabili. Gran parte dei benefici è riconosciuta dalla legge 104 [1], la legge quadro in materia di disabilità, nata con la finalità di favorire non solo l’assistenza di chi è portatore di handicap, ma anche l’inserimento sociale, familiare e lavorativo. Nell’individuare i destinatari delle agevolazioni, però, la legge distingue gli invalidi dai disabili, destinando benefici differenti; ulteriori incentivi sono poi specificamente destinati ai non autosufficienti. La procedura per richiedere il riconoscimento della disabilità, presupposto essenziale per fruire dei benefici di legge, ad ogni modo, è unica, e coinvolge sia la Asl (in quanto il riconoscimento dello stato di invalidità, handicap o non autosufficienza è effettuato da apposite commissioni mediche), sia l’Inps (che riconosce i benefici economici, e i cui funzionari integrano le commissioni mediche). Ma a chi è destinata la legge 104 nello specifico? Quali sono i diritti riconosciuti ai disabili ed ai loro familiari?

Che cosa dice la legge 104?

La legge 104, legge quadro in materia di disabilità, ha le seguenti finalità:

  • rispetto della dignità umana e tutela dei diritti di libertà e di autonomia della persona handicappata;
  • integrazione nella famiglia, nella scuola, nel lavoro e nella società;
  • rimozione delle condizioni invalidanti che impediscono lo sviluppo della persona umana;
  • garanzia dei servizi e delle prestazioni necessarie per prevenire, curare e riabilitare i soggetti affetti da handicap;
  • previsione di interventi volti a superare l’emarginazione e l’esclusione sociale della persona disabile.

Nello specifico, la legge 104 è finalizzata ad aiutare chi è portatore di handicap, ossia chi presenta una minorazione fisica, psichica o sensoriale, sia stabile che progressiva, che è causa di difficoltà di apprendimento, di relazione o di integrazione lavorativa.

In base alla condizione di disabilità, il portatore di handicap ha diritto ai benefici riconosciuti in suo favore, in relazione al tipo di disabilità ed alle proprie capacità complessive. A seconda del tipo di handicap, si può avere diritto, ad esempio:

  • a dei permessi retribuiti;
  • all’insegnante di sostegno nelle scuole;
  • alle agevolazioni fiscali per l’acquisto dei presidi medici (carrozzine, auto per i disabili, etc);
  • ad un’agevolazione per l’acquisto di veicoli specifici;
  • ad un’agevolazione fiscale per l’abbattimento di barriere architettoniche.

Ad ogni modo, la legge 104 non è l’unica norma a contenere agevolazioni per i disabili, ma ci sono diverse leggi che individuano misure complementari a sostegno delle persone disabili [2].

Inoltre, alcune agevolazioni non sono collegate all’handicap, ma all’invalidità o alla non autosufficienza: è importante distinguere le tre condizioni, anche se molti disabili sono sia invalidi, che portatori di handicap, o non autosufficienti.

Quali differenze tra handicap, invalidità e non autosufficienza?

Vediamo qual è la differenza tra handicap, invalidità e non autosufficienza:

  • l’invalidità consiste nella riduzione della capacità lavorativa della persona, derivante da un’infermità o da una menomazione; se la persona non è in età lavorativa (minorenni, over 65), per valutare l’invalidità non ci si riferisce alla capacità lavorativa, ma alla capacità di svolgere i compiti e le funzioni proprie dell’età:
  • l’handicap è lo svantaggio sociale derivante da un’infermità o una menomazione; nello specifico, è considerato portatore di handicap chi presenta una minorazione fisica, psichica o sensoriale, sia stabile che progressiva, che è causa di difficoltà di apprendimento, di relazione o di integrazione lavorativa;
  • la non autosufficienza, invece, consiste nell’impossibilità di compiere gli atti quotidiani della vita senza assistenza permanente, o nell’impossibilità permanente di camminare senza l’aiuto di un accompagnatore.

Chi sono i beneficiari della legge 104?

I beneficiari della legge 104 sono, principalmente, i portatori di handicap. Molte agevolazioni, come i permessi retribuiti e il congedo straordinario, sono però a vantaggio dei familiari che assistono il portatore di handicap grave.

È comunque importante ricordare che ulteriori benefici sono riservati, anche da norme complementari, agli invalidi ed ai non autosufficienti, ed a chi si trova in condizioni di cecità e sordità.

Chi sono i disabili ai fini Isee?

La qualifica di disabile, per fruire dei benefici che possono essere richiesti attraverso la dichiarazione Isee, o Dsu, comprende invece diverse categorie, e non deve essere confusa con la disabilità ai fini della Legge 104. Sono comunque ricompresi nelle categorie anche i portatori di handicap grave ai sensi della Legge 104.

Che cos’è l’Isee? L’Isee è l’indicatore della situazione economica equivalente, in parole semplice un indice che “misura la ricchezza” delle famiglie (se vuoi approfondire puoi leggere la nostra Guida alla dichiarazione Isee).

Osserviamo chi è considerato disabile ai fini Isee sulla base della tabella prevista dalla normativa.

Categorie
Disabilità Media
Disabilità Grave
Non autosufficienza
Invalidi civili di età compresa tra 18 e 67 anni – Invalidi 67-99% – Inabili totali – Cittadini di età compresa tra 18 e 67 anni con diritto all’indennità di accompagnamento
Invalidi civili minori di età – Minori di età con difficoltà persistenti a svolgere i compiti e le funzioni propri della loro età (diritto all’indennità di frequenza) – Minori di età con difficoltà persistenti a svolgere i compiti e le funzioni proprie della loro età e in cui ricorrano le condizioni di cui alla L. 449/1997, art. 8 o della L. 388/2000, art. 30 Minori di età con diritto all’indennità di accompagnamento
Invalidi civili ultrasessantacinquenni

(dal 2019 over 67)

– Ultrasessantacinquenni (over 67) con difficoltà persistenti a svolgere i compiti e le funzioni propri della loro età, invalidi 67-99% – Ultrasessantacinquenni (over 67) con difficoltà persistenti a svolgere i compiti e le funzioni propri della loro età, inabili 100% ( – Cittadini ultrasessantacinquenni (over 67) con diritto all’indennità di accompagnamento
Ciechi civili – Art 4 L. 138/2001 – Ciechi civili parziali – Ciechi civili assoluti
Sordi civili – Invalidi Civili con cofosi esclusi dalla fornitura protesica – Sordi pre-linguali
INPS – Invalidi (L. 222/84, artt. 1 e 6 – D.Lgs. 503/92, art. 1, comma 8) – Inabili (L. 222/84, artt. 2, 6 e 8) – Inabili con diritto all’assegno per l’assistenza personale e continuativa
INAIL – Invalidi sul lavoro 50-79%- Invalidi sul lavoro 35-59% – Invalidi sul lavoro 80-100%- Invalidi sul lavoro -59% – Invalidi sul lavoro con diritto all’assegno per l’assistenza personale e continuativa
INPS gestione ex INPDAP – Inabili alle mansioni (L. 379/55, DPR 73/92 e DPR 171/2011) – Inabili (L. 274/1991, art. 13 – L. 335/95, art. 2)
Trattamenti di privilegio ordinari e di guerra – Invalidi con minorazioni globalmente ascritte alla terza ed alla seconda categoria Tab. A DPR 834/81 – Invalidi con minorazioni globalmente ascritte alla prima categoria Tab. A DPR 834/81 – Invalidi con diritto all’assegno di superinvalidità (Tabella E allegata al DPR 834/81)
Handicap – Art 3 comma 3 L.104/92

Chi sono i disabili appartenenti alle categorie protette?

La legge sul collocamento mirato [3] comprende, tra i disabili che beneficiano di misure in materia di lavoro, delle categorie differenti.

Appartengono alle categorie protette e possono iscriversi alle relative liste speciali:

  • le persone in età lavorativa affette da minorazioni fisiche, psichiche o sensoriali ed i portatori di handicap intellettivo, in possesso di riduzione della capacità lavorativa(invalidità) superiore al 45%;
  • gli invalidi del lavoro, con un grado di invalidità, accertato dall’Inail, superiore al 33%;
  • ciechi assoluti o le persone con un residuo visivo non superiore a 1/10 a entrambi gli occhi;
  • sordomuti, cioè le persone colpite da sordità sin dalla nascita o prima dell’apprendimento della parola;
  • le persone che percepiscono l’assegno di invalidità civile, per accertamento da parte dell’Inps di una riduzione permanente a meno di 1/3 della capacità lavorativa;
  • gli invalidi di guerra, gli invalidi civili di guerra e gli invalidi per servizio con minorazioni ascritte dalla 1° all’8° categoria.

Sono soggette a una particolare tutela anche le seguenti categorie:

  • orfani e coniugi superstiti dei lavoratori deceduti per causa di lavoro, guerra o servizio, o per l’aggravarsi dell’invalidità derivante da tali cause;
  • coniugi e figli di grandi invalidi di guerra, di servizio o di lavoro;
  • profughi italiani rimpatriati;
  • familiari delle vittime del terrorismo e della criminalità organizzata.

Gli invalidi totali (con percentuale di invalidità pari al 100%) possono iscriversi nelle liste speciali per accedere al lavoro o a percorsi di inserimento mirato, ma soltanto se possiedono ancora una residua capacità lavorativa.

Domanda Legge 104

Per ottenere le agevolazioni collegate alla Legge 104 è prima necessario il riconoscimento dell’handicap. Per domandarne il riconoscimento, dopo aver ottenuto il certificato medico dal proprio medico curante, si deve inoltrare, tramite il sito dell’Inps, il contact center Inps Inail, o mediante patronato, la domanda di accertamento dei requisiti sanitari.

L’accertamento medico può, poi, consentire l’accesso non solo ai benefici legati alla Legge 104, ma anche a quelli connessi alla non autosufficienza, all’invalidità civile, cecità, sordità, etc. La domanda, è unica sia per l’handicap, che per l’invalidità, che per la non autosufficienza, anche se le condizioni danno diritto a benefici differenti.

Vediamo allora quali sono i passaggi necessari per ottenere il riconoscimento dell’handicap, dell’invalidità e della non autosufficienza.

Certificato medico introduttivo

Innanzitutto, per ottenere il riconoscimento dei requisiti sanitari per invalidità, handicap e non autosufficienza, bisogna recarsi dal proprio medico curante, che redige un certificato nel quale deve attestare che il paziente possiede una determinata percentuale di riduzione della capacità lavorativa, o un handicap.

Per il riconoscimento della non autosufficienza, che dà diritto all’accompagnamento, il medico deve anche scrivere, nel certificato, che il disabile è, alternativamente:

  • impossibilitato a deambulare senza l’aiuto di un accompagnatore (per ottenere l’assegno di accompagnamento);
  • impossibilitato a compiere gli atti quotidiani della vita senza assistenza (per l’assegno di accompagnamento).

Il medico, se riscontra ulteriori patologie, può comunque scrivere nel certificato che il disabile è anche:

  • affetto da malattia neoplastica (tumore);
  • affetto da patologia in situazione di gravità;
  • affetto da patologia di competenza Anffas (disabilità intellettiva o relazionale).

Il medico deve poi specificare che la domanda è inviata ai fini del riconoscimento delle seguenti condizioni (ne può indicare più di una):

  • handicap;
  • invalidità;
  • cecità;
  • sordità;
  • disabilità.

In ultimo luogo, deve specificare l’esistenza di problematiche connesse ad un eventuale spostamento del disabile, per richiedere, eventualmente, la visita medica domiciliare.

Una volta trasmesso il certificato all’Inps in via telematica, il medico deve rilasciare un’attestazione, con il numero di protocollo assegnato dal sistema. Bisogna conservare il documento ed il numero, servirà per inviare all’Inps la domanda di riconoscimento dei requisiti sanitari per l’assegno di accompagnamento.

Credenziali per l’accesso al sito dell’Inps

Per inviare la domanda d’invalidità, Legge 104 o accompagnamento all’Inps, attraverso il portale web dell’istituto, bisogna essere in possesso del codice pin dispositivo, o dell’identità unica spid almeno di secondo livello, per l’accesso ai servizi online dell’istituto, o della carta nazionale dei servizi.

In alternativa, ci si può rivolgere a un patronato; se ci si rivolge al call center dell’Inps è comunque necessario il pin dispositivo.

Per saperne di più: Come si ottengono le credenziali Inps?

Come si presenta la domanda d’invalidità, Legge 104 e accompagno all’Inps?

Una volta in possesso del codice pin o delle differenti credenziali, si deve:

  • accedere al sito web dell’Inps;
  • cliccare su “Accesso ai servizi”, “Servizi per il cittadino”; bisogna indicare come username il proprio codice fiscale e il codice pin di 16 cifre assegnato (che sarà cambiato, al primo accesso, in un codice di 8 cifre);
  • a questo punto si deve entrare nella sezione “Servizi per il cittadino”, nella quale appare un lungo elenco di funzioni a cui accedere: è necessario selezionare “Invalidità civile: invio domanda di riconoscimento dei requisiti sanitari”; la domanda, come già detto, vale per tutte le prestazioni richieste, sia per l’invalidità che per l’indennità di accompagnamento;
  • entrati nell’area “Invalidità civile”, bisogna selezionare, sulla sinistra, la sezione “Acquisizione richieste”.

Una volta entrati su “Acquisizione richieste”, bisogna compilare la domanda di riconoscimento dei requisiti sanitari per ottenere l’invalidità e l’assegno di accompagnamento, che è formata da 3 sezioni; verranno richieste le seguenti informazioni:

  • dati personali: indirizzo, numeri di telefono, email, eventuale domicilio per l’invio delle comunicazioni;
  • eventuale indicazione di un nominativo e di un’utenza telefonica di una seconda persona, per contatti;
  • numero del certificato rilasciato dal medico curante;
  • condizione per la quale si richiede il riconoscimento dei requisiti sanitari:
    • sordo civile;
    • cieco civile;
    • invalido civile;
    • portatore di handicap;
    • collocamento mirato.
  • si devono poi indicare:
    • l’Asl territorialmente competente;
    • eventuali giornate da escludere per fissare l’accertamento.

Effettuate queste operazioni, cliccando sul tasto “continua”, compare una schermata contenente i seguenti dati:

  • numero di protocollo assegnato alla domanda;
  • giorno e ora della visita medica (assegnata automaticamente dal sistema);
  • identificativo visita;
  • commissione medica competente ed indirizzo presso cui sarà effettuata la visita.

Lo stesso procedimento va utilizzato non solo per la domanda di riconoscimento dei requisiti sanitari per le prestazioni connesse all’invalidità (o all’handicap, alla cecità, alla sordità…), ma anche per quella di aggravamento dei requisiti.

Da “Recupero richiesta” (se la domanda non è completata) o “Modifica richiesta”, è possibile correggere eventuali errori. Si può anche modificare la data dell’appuntamento per la visita medica, alla sezione “Cambio appuntamento”, ma solo entro 48 ore dall’acquisizione della richiesta.

Come sono riconosciuti invalidità, handicap e non autosufficienza?

Una volta effettuata la visita medica da parte della commissione Asl, questa si conclude con un verbale, nel quale possono essere riconosciute o meno la condizione d’invalidità, di handicap, ulteriori condizioni ed i correlati benefici.

In caso di mancato accoglimento delle richieste, è possibile ricorrere al tribunale, dopo essersi sottoposti un accertamento tecnico preventivo.

Come viene accertato l’handicap per la legge 104?

Per quanto riguarda, nello specifico, il riconoscimento dell’handicap, quindi dei requisiti per la legge 104, l’accertamento è effettuato da un’apposita commissione medica Asl, che deve pronunciarsi entro 90 giorni dalla data di presentazione della relativa domanda.

Se la commissione non si pronuncia entro 45 giorni dalla presentazione della domanda, l’accertamento è provvisoriamente effettuato da un medico specialista nella patologia denunciata, in servizio presso l’Asl da cui è assistito l’interessato. L’accertamento provvisorio è efficace fino all’emissione dell’accertamento definitivo della commissione.

Inoltre, su richiesta motivata dell’interessato, la commissione medica può rilasciare un certificato provvisorio al termine della visita, efficace fino all’emissione dell’accertamento definitivo.

Nel caso di disabili affetti da sindrome di down, l’accertamento della gravità della disabilità è effettuato dal medico curante previa richiesta di presentazione del cariotipo, cioè del patrimonio cromosomico di un organismo.

La certificazione provvisoria è utile per beneficiare:

  • dei 3 giorni di permesso mensile retribuito Legge 104 per assistere i disabili gravi;
  • del prolungamento del congedo parentale fino al 3° anno di vita del bambino, portatore di handicap grave;
  • delle 2 ore di permesso giornalieroretribuito fino al 3° anno di vita del bambino, portatore di handicap grave (in alternativa al prolungamento del congedo parentale);
  • del congedo straordinario biennale retribuito per assistere i disabili gravi.

Permessi retribuiti legge 104 per il lavoratore disabile

Uno dei principali benefici offerti dalla legge 104 ai portatori di handicap è il riconoscimento di permessi retribuiti, detti permessi legge 104. In particolare, il lavoratore maggiorenne disabile, ciascun mese, ha diritto alternativamente a permessi retribuiti pari a:

  • 2 ore giornaliere;
  • 3 giorni, continuativi o frazionati.

Il tipo di permesso richiesto (giornaliero o orario) può essere cambiato dal lavoratore da un mese all’altro, modificando la domanda precedentemente presentata. La variazione può essere eccezionalmente consentita anche durante il mese, per esigenze improvvise e imprevedibili all’atto della richiesta dei permessi, che devono essere documentate dal lavoratore.

Permessi legge 104 per i familiari del disabile

I permessi retribuiti non spettano solo al disabile, ma anche ai suoi familiari, se sono lavoratori dipendenti.

I familiari che hanno diritto ai permessi retribuiti, nel dettaglio, sono:

  • i genitori;
  • il coniuge, o il partner dell’unione civile, o il convivente more uxorio;
  • i parenti e affini entro il 2° grado;
  • i parenti e affini entro il 3° grado, se i genitori o il coniuge/ la parte dell’unione civile/ il convivente del disabile hanno compiuto i 65 anni, oppure sono anch’essi affetti da patologie invalidanti a carattere permanente, o sono deceduti o mancanti.

I permessi possono essere accordati ad un unico lavoratore per assistere lo stesso disabile, il referente unico: il referente beneficia dei permessi mensili per tutti i mesi di assistenza alla persona con handicap grave.

Il diritto non può essere riconosciuto a più di un lavoratore dipendente per l’assistenza dello stesso disabile: questi deve dunque dichiarare all’Inps il lavoratore suo familiare prescelto, da cui vuole essere assistito. Se il disabile è assistito alternativamente, per periodi di tempo predeterminati, da parenti diversi (entro il 2° grado), ciascun avente diritto deve presentare, di volta in volta, la domanda per ottenere il riconoscimento dei permessi retribuiti legge 104.

Un’eccezione alla regola generale del “referente unico” è prevista nel caso dei genitori, che possono beneficiare alternativamente dei permessi per l’assistenza dello stesso figlio con handicap grave.

Il diritto ai permessi retribuiti può essere concesso (purché si provino, in concreto, le specifiche esigenze di assistenza) al familiare anche se:

  • nel nucleo familiare del disabile si trovano familiari conviventi non lavoratori idonei a prestare assistenza;
  • sono presenti altre forme di assistenza pubblica o privata(ricorso alle strutture pubbliche, al cosiddetto “no profit” e al personale badante).

Congedo straordinario Legge 104 per il figlio non convivente

La Corte Costituzionale, con una recente sentenza [5], consente anche al figlio non convivente al momento della domanda la possibilità di fruire del congedo straordinario legge 104, ossia del congedo, pari a un massimo di 2 anni nella vita lavorativa, per assistere familiari disabili .

In particolare, la Corte ha dichiarato la parziale incostituzionalità del testo unico maternità-paternità [6], nella parte in cui non elenca tra i beneficiari del congedo straordinario il figlio che, al momento della presentazione della richiesta, ancora non convive con il genitore con handicap grave, se instaura la convivenza successivamente, in caso di mancanza, decesso o in presenza di patologie invalidanti del coniuge convivente, del padre e della madre, anche adottivi, dei figli conviventi, dei fratelli e delle sorelle conviventi, dei parenti o affini entro il terzo grado conviventi, legittimati a richiedere il beneficio in via prioritaria secondo l’ordine determinato dalla legge.

Quanti giorni di permessi legge 104 spettano ai lavoratori part time?

In caso di part-time orizzontale, le giornate di permesso legge 104 spettanti sono sempre tre, ma con un orario ridotto (i lavoratori in regime di part time orizzontale prestano servizio in tutte le giornate lavorative, ma per un numero minore di ore ogni giorno).

In caso di part time verticale o misto, con attività lavorativa limitata ad alcuni giorni del mese, o in caso di riduzione dell’attività lavorativa coincidente con un periodo di integrazione salariale, il numero dei giorni di permesso spettanti deve essere ridimensionato in proporzione. Il risultato della proporzione viene arrotondato all’unità inferiore o a quella superiore, a seconda che la frazione sia fino allo 0,50 o superiore.

Non si procede ad alcun ridimensionamento nel caso in cui il dipendente presti servizio per più della metà delle giornate lavorative settimanali.

Come si calcola la riduzione dei permessi legge 104?

Nei casi in cui si debba procedere a riproporzionare i permessi legge 104, bisogna eseguire i seguenti calcoli:

  • giorni di permesso spettanti: numero dei giorni di lavoro effettivi= 3 giorni di permesso teorici: giorni lavorativi teoricamente eseguibili (si legge: il numero dei giorni di permesso spettanti sta al numero dei giorni di lavoro effettivi, come 3 giorni di permesso teorici stanno al numero dei giorni lavorativi teoricamente eseguibili).

Se, ad esempio, un lavoratore in part time verticale presta servizio per 10 giornate mensili, su un totale di 24 giorni lavorativi teoricamente eseguibili, il calcolo da eseguire è: x: 10 = 3: 24

Perciò:

  • x = 30: 24;
  • x = 1,25 giorni di permesso, che devono essere arrotondati per difetto a 1, in quanto la frazione è inferiore a 0,50.

Nel mese considerato spetta quindi un solo giorno di permesso.

Come si usano i permessi della legge 104?

Spesso ci si chiede se il lavoratore che utilizza i permessi della legge 104 debba assistere tutta la giornata o solo durante le ore lavorative il familiare con handicap. In generale la giurisprudenza sostiene che l’impiego per scopi personali della giornata di permesso retribuita costituisce un comportamento illegittimo che può essere configurabile come reato: quello di truffa ai danni dello Stato (difatti l’indennità per la giornata di riposo viene corrisposta dall’Inps e solo inizialmente anticipata dal datore di lavoro). Inoltre, questo comportamento può giustificare il licenziamento, visto che il dipendente si macchia di una condotta infedele. Il datore potrebbe far pedinare il lavoratore, a questo proposito, e verificare se lo stesso sta usando i permessi della legge 104 per scopi personali o per assistere l’invalido.

Di recente però la Cassazione ha adottato un’interpretazione più larga. Secondo la Corte, poiché il lavoratore con la legge 104, durante il normale corso della settimana, alterna il lavoro all’assistenza, non trovando quindi spazi per le proprie necessità (fosse anche fare la spesa, comprare un vestito o incontrarsi con gli amici) è legittimo pensare che lo faccia durante i giorni di permesso in cui ha più tempo. Infatti, la legge ha cancellato l’obbligo dell’assistenza continuativa.

Ciò che però resta vietato è l’utilizzo dell’intera giornata per scopi personali come, ad esempio, per allungare il weekend e il ponte o fare gite con gli amici. In passato è stato ritenuto legittimo il licenziamento della lavoratrice sorpresa, in uno dei giorni di permesso legge 104, a partecipare a una serata in discoteca.

Una recentissima sentenza della Cassazione [4] si è espressa in modo ancora più elastico, consentendo l’utilizzo dei permessi Legge 104 per attività svolte fuori casa, se connesse all’assistenza. Secondo quest’orientamento più flessibile, attività di carattere ordinario (come un prelievo al bancomat) che richiedono pochi minuti e che possono essere svolte in qualsiasi momento della giornata (non solo in favore del disabile ma, al contempo, in favore di chi lo assiste) possono essere portate a termine con l’aiuto dei permessi al lavoratore finanziati dalla collettività.

I giorni di permesso della legge 104 spettano ai familiari non conviventi?

Secondo quanto disposto dalla legge 104, i beneficiari dei permessi retribuiti per l’assistenza del portatore di handicap grave sono il coniuge, gli affini, i parenti entro il secondo grado, o entro il terzo grado a determinate condizioni di legge. La legge, come anticipato, esclude la convivenza tra i presupposti necessari per la concessione dei benefici. Ciò vuol dire che il diritto ad ottenere i permessi retribuiti è riconosciuto anche se gli affini ed i parenti non abitano con il disabile che deve ricevere assistenza.

Al partner convivente spettano i giorni di permesso della legge 104?

In passato, se il disabile aveva un rapporto di convivenza more uxorio (ossia una famiglia di fatto), per il fatto di non essere legato da vincolo matrimoniale, restava sprovvisto di tutela, anche nel caso in cui non esistessero altri familiari disponibili all’assistenza. La legge escludeva, difatti, il convivente more uxorio dall’elenco dei soggetti beneficiari dei permessi retribuiti legge 104 per l’assistenza, privando così i soggetti portatori di handicap grave interessati a ricevere assistenza da persone cui sono legate da un rapporto stabile e certo della tutela garantita dalla costituzione. Dal 2016, grazie a una nota sentenza della Corte Costituzionale, non è più così: secondo la Consulta, difatti, la Legge 104 , non prevedendo la concessione dei permessi retribuiti al convivente del disabile, viola la Costituzione per irragionevolezza e viola il diritto alla salute psico-fisica del disabile grave sia come singolo che nella società .

La Corte costituzionale, riconoscendo il ruolo del convivente nell’assistenza al portatore di handicap grave, lo ha dunque equiparato a quello del gruppo di soggetti che, in via prioritaria, possono fruire dei permessi, cioè coniuge, parenti e affini entro il secondo grado.

Al partner dell’unione civile spettano i giorni di permesso della legge 104?

Il lavoratore parte dell’unione civile, essendo equiparato al coniuge, ha diritto ai permessi retribuiti mensili per l’assistenza del partner disabile grave, come se fosse il marito, o la moglie, dell’assistito.

In attuazione delle nuove previsioni, la procedura online dell’Inps per l’invio della domanda dei permessi Legge 104 è stata recentemente implementata, per consentire anche agli uniti civilmente di inviare la domanda.

Come si richiedono all’Inps i permessi Legge 104?

Il lavoratore dipendente che assiste un familiare con handicap grave deve, per ottenere i permessi mensili retribuiti, presentare un’apposita richiesta di autorizzazione all’Inps.

La richiesta permessi Legge 104 deve essere presentata all’istituto, che paga l’indennità, su un apposito modulo, reperibile anche dal portale web dell’ente, il modello SR08_Hand 2.

Il modello deve poi essere consegnato al datore di lavoro

Come si compila la richiesta di rinnovo permessi Legge 104?

Per quanto riguarda la richiesta annuale di rinnovo dei permessi retribuiti, il lavoratore deve inviare all’Inps lo stesso modello SR08_ Hand 2, compilando l’apposita sezione dedicata al rinnovo. In questa sezione deve dichiarare che la commissione Asl non ha rivisto il giudizio di gravità della condizione di handicap del disabile, e che la certificazione rilasciata dalla Asl non è scaduta e non ha subito modifiche.

Come si invia la richiesta all’Inps dei permessi Legge 104?

Il lavoratore deve inoltrare la domanda di autorizzazione ai permessi Legge 104 all’Inps con una delle seguenti modalità:

  • sito web dell’Inps, accedendo alla sezione “Servizi per i cittadini”, scegliendo il servizio “Invio domande di prestazioni a sostegno del reddito”, e compilando il modello online, al quale deve essere allegata la documentazione necessaria;
  • call center dell’Inps: per inviare la domanda tramite call center, il dipendente deve chiamare il numero 803.164 (da telefono fisso, 06.164.164 da mobile), munito dello stesso Pin valido per l’accesso ai servizi online dell’istituto;
  • patronato: in quest’ipotesi, il lavoratore dece compilare il modulo cartaceo SR08_Hand2, che il patronato invierà telematicamente all’Inps, assieme alla certificazione e all’ulteriore documentazione.

Congedo straordinario retribuito di due anni per assistere familiari disabili

Chi assiste un familiare convivente con handicap grave certificato ha diritto a un congedo straordinario retribuito, della durata massima di 2 anni nell’arco della vita lavorativa: è possibile assentarsi anche in maniera frazionata, ma la frazionabilità è soltanto giornaliera e non oraria.

Il beneficio spetta, nell’ordine: al coniuge che convive col lavoratore, ai genitori, ai figli conviventi, ai fratelli ed alle sorelle conviventi e, in mancanza, ad altri parenti o affini fino al terzo grado; è indispensabile, al contrario di quanto avviene per i permessi retribuiti, la convivenza col soggetto disabile.

I due anni di congedo straordinario sono da intendersi come massimo utilizzabile, per ciascun dipendente, nell’intero arco della vita lavorativa. Pertanto, se vi sono più familiari per i quali si possa fruire del congedo, in ogni caso non è possibile superare i due anni totali, comprensivi di tutte le assenze inerenti ogni assistito.

Nel computo del limite dei 2 anni rientrano anche le giornate festive e non lavorative ricomprese tra le giornate di assenza.

La domanda per il congedo straordinario consiste in un’autocertificazione, accompagnata dal certificato di handicap grave; deve essere presentata al proprio dirigente o alla propria amministrazione, se si lavora per un ente pubblico. I dipendenti privati, invece, devono inoltrare la domanda direttamente all’Inps: dopo che l’Istituto verifica la correttezza formale e accoglie l’istanza, devono effettuare la richiesta al proprio datore di lavoro.

L’indennità per il congedo straordinario corrisponde alle voci fisse e continuative dell’ultima retribuzione, sino ad un massimo di circa 48mila euro annuali (cifra rivalutata periodicamente); si ha diritto, inoltre, alla contribuzione figurativa.

Prolungamento del congedo parentale per assistere figli disabili

Il lavoratore, secondo la Legge 104, può fruire di 2 ore di permesso giornaliero indennizzato per assistere il figlio disabile (portatore di handicap grave), oppure di 3 giorni mensili di permesso retribuito.

Se il figlio disabile è minore di 12 anni, però, può fruire del prolungamento del congedo parentale sino a un massimo di 3 anni, o di riposi alternativi al prolungamento.

Le ultime due agevolazioni non possono essere cumulate col congedo parentale orario.

Diritto alla scelta della sede per invalidi e portatori di handicap

Il dipendente portatore di handicap grave, beneficiario di Legge 104, o che assiste un parente in possesso del medesimo stato, ha il diritto di scegliere la sede di lavoro più vicina al proprio domicilio, a meno che non sussistano ragioni contrarie motivate dall’azienda. Più che di un diritto, in questi casi parliamo di interesse legittimo.

È differente la situazione dei dipendenti pubblici: in particolare, i lavoratori della P.A. che sono in possesso di un’invalidità superiore a 2/3 hanno il diritto di scelta prioritaria tra le sedi disponibili.

Rifiuto al trasferimento

Il portatore di handicap grave, o il lavoratore che assiste un familiare nella stessa condizione, non può essere trasferito in altra sede dall’azienda contro la sua volontà, a prescindere dall’esistenza di ragioni valide e motivate dall’azienda: in tale situazione, difatti, si configura un vero e proprio diritto soggettivo in capo al dipendente.

Rifiuto di prestare lavoro notturno

Il lavoratore beneficiario di Legge 104, oppure che assiste o ha a proprio carico un soggetto portatore di handicap grave, non può essere adibito dall’azienda al lavoro notturno contro la sua volontà.

Rifiuto di prestare lavoro domenicale o festivo

La legge non prevede espressamente, per i portatori di handicap grave o per i familiari che li assistono, la possibilità di rifiutarsi di prestare lavoro festivo o domenicale. Prevedono questa possibilità, tuttavia, alcuni contratti collettivi, come il CCNL Commercio e Terziario, nel quale è stabilito che i portatori di handicap grave beneficiari di Legge 104, nonché i familiari conviventi che li assistono, possono legittimamente rifiutarsi di lavorare la domenica e nei festivi.

Agevolazione Legge 104 per l’acquisto di veicoli

Per quanto riguarda l’acquisto dell’auto da parte di un soggetto disabile, la normativa prevede 4 tipologie di benefici, tra loro cumulabili:

  • detrazione Irpefpari al 19% del costo del veicolo (in pratica, se il costo del veicolo è pari a 10mila euro, si possono togliere 1.900 euro dalle imposte); la detrazione, che va indicata nella dichiarazione dei redditi, può essere effettuata in un’unica soluzione o in 4 quote; la spesa massima consentita è di 18.075,99 euro;
  • pagamento dell’Ivasull’acquisto del veicolo in misura ridotta, pari al 4%;
  • esenzione dal bollo auto(si tratta di un’esenzione perpetua, non limitata alle prime annualità);
  • esonero dal pagamento dell’imposta di trascrizione sui passaggi di proprietà.

Gli incentivi sono validi non solo per le autovetture, ma anche per alcuni autoveicoli specifici e per il trasporto promiscuo, autocaravan, motocarrozzette, motoveicoli per il trasporto promiscuo e specifici. Oltreché per l’acquisto, i benefici possono essere fruiti anche per la riparazione.

Non tutti i disabili possono usufruire, però, di queste agevolazioni, ma solo le seguenti categorie:

  • sordi e non vedenti;
  • portatori di handicap grave secondo la Legge 104, qualora si tratti di disabili psichici o mentali titolari d’indennità di accompagnamento, o di disabili affetti da pluriamputazioni, o con capacità di deambulazione notevolmente limitata;
  • soggetti disabili con capacità motorie ridotte o assenti.

Le spese possono essere detratte anche dal familiare che ha fiscalmente a carico il disabile (il reddito annuo, perché il familiare sia considerato fiscalmente a carico, non deve superare 2.840,51 euro).

Agevolazioni fiscali Legge 104: spettano per l’auto cointestata?

I benefici fiscali legati all’acquisto di autoveicoli per disabili sono riconosciuti, alternativamente, o al disabile stesso, o al familiare che lo ha a carico.

Anche se, da un punto di vista logico, sarebbe più che corretto concedere l’agevolazione in presenza di cointestazione del veicolo, tanto più se uno dei cointestatari è il soggetto che ha a carico il disabile, una nota risoluzione dell’Agenzia delle Entrate è stato negato questo beneficio: secondo l’Agenzia, difatti, le norme che accordano agevolazioni devono essere interpretate in maniera letterale. Impossibile, dunque, riconoscere il beneficio in presenza di cointestazione del veicolo, poiché si violerebbe la legge, che prevede l’alternativa fruizione delle agevolazioni fiscali da parte o del soggetto disabile, o del familiare che lo ha in carico, senza ulteriori possibilità.

Detrazione Irpef per figlio disabile a carico

Se si ha un figlio a carico portatore di handicap grave secondo la Legge 104, l’ordinaria detrazione Irpef per figli a carico spettante è aumentata di 400 euro. Ciò vuol dire che la detrazione base, per il figlio minore di 3 anni, sarà pari a 1.620 euro annui anziché 1.220, e , se di età pari o superiore a 3 anni, sarà di 1.350 euro anziché 950.

Resta fermo l’aumento di 200 euro della detrazione per ciascun figlio a carico, nel caso in cui siano superiori a tre.

Per approfondire: bonus figli a carico.

Contributo Inps da mille euro al mese

Una tra le agevolazioni più significative per i disabili ed i familiari che li assistono, in termini economici, è senza dubbio il programma Inps Home Care Premium, al quale si può aderire sino al 31 dicembre 2018: questo progetto si rivolge però ai soli dipendenti e ai pensionati pubblici, ai i loro coniugi, parenti o affini di primo grado non autosufficienti. Pertanto, potrebbe essere utile nel caso in cui chi presta assistenza sia o sia stato dipendente pubblico, o in cui l’assistito sia dipendente o pensionato pubblico.
Il progetto Home Care Premium, nel dettaglio, prevede due tipologie di prestazioni da parte dell’Inps, con il coinvolgimento di enti pubblici e ambiti territoriali sociali:
• un contributo economico mensile, sino a un massimo di 1.050 euro, denominato prestazione prevalente, da utilizzare per rimborsare le spese sostenute per l’assunzione di un assistente familiare;
• un servizio di assistenza alla persona, la cosiddetta prestazione integrativa (servizi personali domiciliari, prestazioni di sollievo, protesi, ausili, apparecchi…), erogata attraverso la collaborazione degli ambiti territoriali sociali (Ats), oppure da enti pubblici convenzionati che abbiano competenza a rendere i servizi di assistenza alla persona.
È possibile, se si possiedono i requisiti, inviare la domanda tramite il sito dell’Inps o tramite patronato; se si vuole presentare domanda dal portale Inps, bisogna accedere alla sezione Servizi, e successivamente alla prestazione Gestione dipendenti pubblici: domanda Assistenza Domiciliare (Progetto Home Care Premium).

Deduzione dal reddito delle spese mediche generiche e di assistenza specifica

Un altro beneficio, valido sia per i disabili che per i familiari che li abbiano a carico, è l’integrale deduzione dal reddito dei seguenti costi:

  • spese medichegeneriche (come, ad esempio, l’acquisto di medicinali);
  • spese di assistenza specifica. Rientrano nella categoria l’assistenza infermieristica e riabilitativa, le prestazioni fornite dal personale in possesso della qualifica di OSS, addetti all’assistenza di base, coordinatori delle attività assistenziali di nucleo, educatori professionali, addetti all’attività di animazione e di terapia occupazionale.

Detrazione dall’Irpef delle spese sanitarie per i disabili

Beneficiano di una detrazione del 19% dall’Irpef:

  • le spese mediche specialistichesostenute per il disabile;
  • l’acquisto di mezzi d’ausilioalla deambulazione;
  • l’acquisto di poltroneper inabili e minorati, di apparecchi correttivi e di ulteriori ausili specifici.

Anche in questo caso, tali spese possono essere detratte sia dal soggetto portatore di handicap, che dai familiari che lo hanno a carico.

Detrazione dall’Irpef dei costi per l’abbattimento delle barriere architettoniche

L’eventuale adattamento di un ascensore, la costruzione di rampe e l’abbattimento di barriere architettoniche in genere, se a favore di un disabile beneficiano della detrazione dall’Irpef pari al 36% dei costi. Dato che, però, l’attuale bonus per gli interventi di ristrutturazione è più alto (attualmente si ha diritto a una detrazione Irpef pari al 50% dei costi di ristrutturazione, sino a un tetto massimo di 96mila euro) la detrazione al 36% può essere richiesta soltanto sull’eventuale eccedenza della quota di spesa per la quale è stata già domandata l’agevolazione per ristrutturazione edilizia.

Anche in questo caso, la detraibilità è valida per il parente che ha in carico il disabile, o, in alternativa, per il soggetto stesso.

Detrazione Irpef dei costi di assistenza per i non autosufficienti

I soggetti non autosufficienti, se la condizione risulta da un’apposita certificazione medica ed a prescindere dal possesso di handicap, possono detrarre dall’Irpef il 19% delle spese per l’assistenza, sino ad un massimo di 2.100 euro l’anno, se il reddito annuo non supera 40mila euro. L’agevolazione, fruibile anche dai familiari che hanno a carico queste persone, può essere cumulata con la deduzione dei contributi versati ai lavoratori domestici (nella misura massima, ricordiamo, di 1.549,37 euro).

Agevolazione Legge 104 per l’acquisto di pc e sussidi informatici

Sono previsti degli incentivi per l’acquisto di mezzi tecnici ed informatici a beneficio dei portatori di handicap grave secondo la Legge 104.

Le apparecchiature devono essere atte a facilitare la comunicazione, l’elaborazione scritta o grafica, il controllo dell’ambiente, l’accesso all’informazione ed alla cultura.

Sono agevolabili, ad esempio, computer, modem, fax, telefoni con vivavoce, tablet, etc.

I benefici consistono, nel dettaglio:

  • in una detrazione dei costi dall’Irpef pari al 19%;
  • nell’applicazione dell’Iva agevolata al 4%.

Altre agevolazioni fiscali per disabili

Ricordiamo, tra i residui benefici fiscali per i disabili, l’agevolazione forfettaria per l’acquisto ed il mantenimento di un cane guida, l’esenzione dalla tassa sulle imbarcazioni, il trattamento di vantaggio sull’imposta sulle successioni e le donazioni (ossia l’applicazione di una franchigia pari a un milione e mezzo di euro), l’aliquota Iva al 4% per l’acquisto di prodotti editoriali specifici (con supporti audio o scrittura braille).

Contrassegno disabili per il parcheggio

Il contrassegno per disabili è un tagliando concesso dal Comune alle persone invalide finalizzato a facilitare la circolazione e la sosta dei veicoli a loro servizio. Si tratta di una speciale autorizzazione che, previo accertamento medico, viene rilasciata dal sindaco del Comune di residenza dell’invalido.

Il Comune può rilasciare il contrassegno per il parcheggio disabili a persone:

  • con capacità di deambulazione sensibilmente ridotta;
  • non vedenti.
  • Il contrassegno può essere rilasciato anche a tempo determinato (inferiore a cinque anni) a persone:
  • con temporanea riduzione della capacità di deambulazione a causa di infortunio o per altre cause patologiche;
  • persone con totale assenza di ogni autonomia funzionale e con necessità di assistenza continua, per recarsi in luoghi di cura.

Per richiedere o rinnovare il contrassegno disabili è necessario rivolgersi al Comune di residenza del beneficiario. Sarà necessario presentare un’apposita domanda alla quale dovrà essere allegata la certificazione medica dell’ASL locale di appartenenza attestante la capacità di deambulazione impedita o sensibilmente ridotta o la cecità totale.

Ape sociale per chi assiste disabili

Possono fruire dell’Ape sociale, cioè di un assegno a carico dello Stato che consente di pensionarsi sino a 3 anni e 7 mesi prima della maturazione dell’età per la pensione di vecchiaia, anche coloro che assistono un familiare portatore di handicap grave.

Nello specifico, beneficiano dell’Ape sociale caregiver con 30 anni di contributi:

  • coloro che assistono continuativamente, da almeno 6 mesi, un familiare convivente di 1° grado, oppure il coniuge o il partner dell’unione civile, portatore di handicap grave;
  • possono accedere alla misura anche coloro che assistono continuativamente, da almeno 6 mesi, un disabile convivente portatore di handicap grave, se familiare entro il 2° grado, qualora i suoi genitori o il coniuge abbiano compiuto 70 anni, oppure siano anch’essi affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti;

Le donne con figli hanno diritto a una riduzione del requisito contributivo di un anno per ogni figlio, sino a un massimo di due anni.

Pensione anticipata per chi assiste disabili

Le stesse categorie beneficiarie dell’Ape sociale per i caregiver possono anche ottenere la pensione anticipata precoci, con 41 anni di contributi. Per approfondire: Ape sociale e pensione anticipata caregiver.

Agevolazioni per invalidi

Se il portatore di handicap, beneficiario della Legge 104, possiede anche una determinata percentuale d’invalidità, ha diritto a ulteriori agevolazioni. Vediamo quali sono.

Contributi figurativi aggiuntivi

Il possesso di handicap, a prescindere dalla gravità, non dà diritto a particolari agevolazioni previdenziali. Queste, infatti, sono dovute in base all’invalidità, cioè alla riduzione della capacità lavorativa. In particolare, il lavoratore con invalidità sopra il 74% ha diritto, a partire dalla data di riconoscimento di tale percentuale di riduzione della capacità lavorativa, a 2 mesi l’anno di contributi figurativi, che si aggiungono alla contribuzione versata per raggiungere prima la pensione. In questo modo, è possibile anticipare la pensione sino a 5 anni.

Pensione di vecchiaia anticipata per invalidità

I lavoratori invalidi dall’80% in su hanno anche diritto di accedere alla pensione di vecchiaia anticipata, ossia con 60 anni e 7 mesi di età per gli uomini e 55 anni e 7 mesi per le donne (e 20 anni di contributi). Si applica, a questi requisiti, l’attesa di un periodo di finestra pari a 12 mesi dalla maturazione dei requisiti alla liquidazione della pensione.

Il beneficio è riconosciuto ai soli lavoratori dipendenti del settore privato, ed il requisito di età è elevato a 61 anni per gli uomini ed a 56 anni per le donne dal 2019.

Per approfondire: Pensione di vecchiaia anticipata

Assegno ordinario d’invalidità

L’assegno ordinario d’invalidità è riconosciuto a prescindere dal possesso di handicap, per i soggetti con riduzione della capacità lavorativa superiore a 2/3. Sono necessari 5 anni di contributi versati, di cui 3 nell’ultimo quinquennio e sono previsti di limiti di cumulo tra assegno e altri redditi.

In particolare, la normativa prevede una riduzione:

  • del 25% se il reddito totale supera quattro volte il trattamento minimo;
  • del 50% se il reddito totale supera cinque volte il trattamento minimo;

Quando l’assegno d’invalidità è trasformato in pensione di vecchiaia, al compimento dell’età pensionabile, diviene pienamente cumulabile con tali redditi; inoltre, cadono tutti i limiti al cumulo dei redditi in presenza di almeno 40 anni di contributi.

L’assegno ordinario d’invalidità è compatibile con l’attività lavorativa (subisce però delle riduzioni), ma non è compatibile col trattamento di disoccupazione: in questo caso, è possibile optare per l’indennità più favorevole.

Pensione d’invalidità civile

La pensione d’invalidità civile, o assegno di assistenza, è una prestazione assistenziale, dunque spetta a prescindere dal versamento di contributi; la prestazione non è collegata al possesso di handicap, ma è necessaria un’invalidità riconosciuta almeno pari al 74%. Per ottenere l’assegno, il reddito posseduto non deve essere superiore a 4.853,29euro, per l’anno 2018.

Il sussidio, pari a 282,55 euro mensili (per il 2018) è compatibile sia con l’attività lavorativa (entro i limiti di reddito), ma richiede lo stato di disoccupazione (anche parziale), ed è incompatibile con qualsiasi pensione diretta d’invalidità e con tutte le prestazioni pensionistiche d’invalidità per causa di guerra, di lavoro o di servizio, comprese le rendite Inail. L’interessato può comunque optare per il trattamento più favorevole.

Per gli invalidi civili totali non è richiesto lo stato di disoccupazione, ed i limiti di reddito sono più elevati, pari a 16.664,36 euro annui. Per approfondire: Pensione d’invalidità civile.

Pensione d’inabilità

La pensione d’inabilità ordinaria è anch’essa indipendente dal possesso di handicap, in quanto spetta in presenza di un’assoluta e permanente impossibilità a svolgere qualsiasi lavoro; sono necessari i seguenti requisiti contributivi: 5 anni di contributi di cui 3 versati nell’ultimo quinquennio. La pensione è incompatibile con qualsiasi attività lavorativa, dipendente, parasubordinata o autonoma.

L’ammontare della pensione di inabilità risulta dalla somma:

  • dell’importo dell’assegno di invalidità (che si calcola in proporzione ai contributi versati, col metodo retributivo sino al 2011, misto o contributivo, a seconda dell’anzianità assicurativa), non integrato al trattamento minimo;
  • della maggiorazione, pari agli anni di contribuzione compresi tra la decorrenza della pensione di inabilità ed il compimento dei 60 anni di età (in pratica, la pensione è pari a quella che il lavoratore avrebbe avuto una volta raggiunti 60 anni di età), sino a un massimo di 40 anni di contributi.

Per approfondire: pensione d’inabilità al lavoro.

Se, in sede di accertamenti sanitari, viene invece riscontrato il possesso d’inabilità per assoluta e permanente impossibilità a svolgere le proprie mansioni lavorative o a proficuo lavoro, hanno diritto alla pensione d’inabilità soltanto i dipendenti pubblici, in casi particolari.

Indennità di accompagnamento

L’indennità di accompagnamento è un trattamento che spetta agli invalidi civili totali non in grado di deambulare senza l’aiuto di un accompagnatore o non in grado di compiere gli atti quotidiani della vita.

Tale indennità non è incompatibile con l’attività lavorativa (poiché l’impossibilità di lavorare si determina soltanto in presenza dello status di inabilità assoluta e permanente a svolgere qualsiasi attività lavorativa), né con la percezione di altri redditi. Per il 2018 l’importo mensile spettante è pari a 516,35 euro.

Congedo per invalidità

Il lavoratore con invalidità riconosciuta in misura superiore al 50% può fruire di un congedo per cure relative all’infermità riconosciuta, per un periodo non superiore a 30 giorni l’anno. Durante il periodo di congedo (non rientrante nel periodo di comporto) il lavoratore ha diritto a percepire un trattamento, a carico del datore di lavoro, calcolato secondo il regime economico delle assenze per malattia.

Diritto a protesi ed ausili

Chi possiede un’invalidità superiore al 33,33% ha diritto a protesi ed ausili eventualmente necessari per la patologia riconosciuta nel verbale di accertamento della commissione medica.

Esenzione ticket

Chi possiede un’invalidità superiore ai due terzi ha diritto all’esenzione totale dal ticket sulle prestazioni specialistiche e di diagnosi strumentale; è possibile inoltre fruire di un’agevolazione per il pagamento dei medicinali prescritti con ricetta medica (a tal proposito è consigliabile rivolgersi direttamente alla propria Asl o alla Regione di residenza).

Collocamento mirato

I lavoratori con invalidità civile superiore al 45%, a prescindere dal possesso di handicap, hanno diritto al collocamento mirato, cioè ad accedere ai servizi di sostegno dedicati, e ad iscriversi alle liste speciali, secondo quanto previsto dalla Legge 68 [3].

Inoltre, possono essere computati nelle quote di riserva dell’azienda.

Hanno gli stessi diritti anche gli invalidi di guerra, del lavoro e per cause di servizio con percentuale sopra il 33%, con minorazioni ascritte dalla prima all’ottava categoria.

Abbiamo già osservato, all’inizio del testo, quali sono i disabili che appartengono alle categorie protette.

Quali lavoratori appartenenti alle categorie protette possono iscriversi alle liste di collocamento mirato?

Per poter risultare iscritto nell’elenco della Legge 68, il lavoratore appartenente alle categorie protette deve risultare in stato di disoccupazione o in situazioni lavorative compatibili con il mantenimento dello stato di disoccupazione. Nel dettaglio, si mantiene lo stato di disoccupazione necessario all’iscrizione nella graduatoria se:

  • si è occupati con rapporto di lavoro subordinato di durata fino a 6 mesi (in questo caso lo stato di disoccupazione è sospeso);
  • il lavoro svolto, subordinato o parasubordinato, produce un reddito inferiore ad 8.000 euro lordi all’anno;
  • il lavoro svolto produce un reddito inferiore a 4.800 euro lordi all’anno, se autonomo;
  • il lavoro è svolto, a prescindere dai limiti di reddito, per attività lavorative nell’ambito di particolari progetti.

Se non viene svolto alcun lavoro dipendente la persona disabile iscritta nell’elenco della Legge 68 deve presentarsi spontaneamente al centro per l’impiego, almeno una volta all’anno, per riconfermare (mediante la sottoscrizione di un apposito modulo) la propria immediata disponibilità al lavoro (conferma Did).

In caso di mancata conferma, la persona perde lo stato di disoccupazione con conseguente cancellazione dall’elenco della Legge 68.

Assunzione obbligatoria di disabili

Per tutti i datori di lavoro, enti pubblici compresi, scatta l’obbligo di assumere disabili, appartenenti alle categorie protette, quando si superano i 14 dipendenti.

In particolare, aziende e amministrazioni sono tenute ad avere alle loro dipendenze i lavoratori disabili nella seguente misura:

  • se occupano oltre 50 dipendenti, la quota di riserva deve essere pari al 7% dei lavoratori occupati;
  • se occupano da 36 a 50 dipendenti, la quota è pari a 2 lavoratori;
  • da 15 a 35 dipendenti, è sufficiente un lavoratore.

Per i lavoratori tutelati non appartenenti alla categoria dei disabili, invece, è riservata una quota pari all’1%, nelle aziende o amministrazioni che occupano oltre 50 dipendenti.

Appartenenti alle categorie protette computabili nella quota di riserva

Le aziende, in ogni caso, possono computare nella quota di riserva i lavoratori che diventano disabili successivamente all’assunzione, oppure quelli che, sebbene già disabili al momento dell’assunzione, non siano stati avviati per il tramite del collocamento obbligatorio, purché abbiano una riduzione della capacità lavorativa superiore al 60%, o al 45% se disabili psichici, o al 33% se invalidi del lavoro.

Per poter computare il disabile all’interno della quota di riserva, è sufficiente che l’azienda presenti un’apposita richiesta d’inserimento di persona con disabilità nella quota d’obbligo.

Iscrizione alle liste di collocamento per gli appartenenti alle categorie protette

Per quanto riguarda le modalità d’iscrizione alle liste di collocamento mirato e il rilascio della relativa documentazione, l’ente attualmente competente è il centro per l’impiego della provincia (o del diverso ambito territoriale) in cui l’interessato risiede; in particolare, è competente il servizio per l’inserimento mirato dei disabili.

Le liste speciali, o liste di collocamento mirato, sono elenchi pubblici formati secondo una graduatoria unica che raggruppa tutte le disabilità; l’iscrizione presso le liste speciali è uno dei presupposti per l’inserimento lavorativo dei disabili, indispensabile per tutte le assunzioni dei lavoratori svantaggiati che fruiscano dei benefici della Legge 68 [1], comprese le assunzioni con chiamata nominativa.

I criteri che concorrono alla formazione della graduatoria unica sono:

  • l’anzianità di iscrizione negli elenchi del collocamento obbligatorio;
  • la condizione economica;
  • il carico familiare;
  • la difficoltà di locomozione nel territorio.
  • ulteriori elementi individuai dalle regioni in base alle esigenze territoriali;
  • non esiste più il limite massimo di età pari a 55 anni, compiuti i quali si veniva cancellati dalle liste.

Come iscriversi alle liste di collocamento mirato

Il disabile che desidera iscriversi alle liste di collocamento mirato, già in possesso del verbale della commissione medica che attesti la sua invalidità o la sua condizione di svantaggio, deve:

  • innanzitutto, rivolgersi al centro per l’impiego territoriale, in particolare ai servizi per l’inserimento mirato dei disabili;
  • deve poi effettuare un colloquio, con l’operatore di riferimento assegnato, finalizzato alla raccolta delle informazioni utili a comprendere le potenzialità lavorative;
  • sarà poi redatta, a seguito del colloquio, la relazione conclusiva da parte della commissione sanitaria integrata (da non confondersi col verbale sanitario della commissione medica che riconosce l’invalidità civile: quest’ultimo, difatti, è solo il presupposto per avviare la procedura), che convocherà il lavoratore e indicherà il tipo di percorso lavorativo da intraprendere:
  • collocamento mirato senza interventi di supporto,
  • collocamento mirato con il supporto di un servizio di mediazione,
  • collocamento mirato con il supporto di un servizio di mediazione e con l’utilizzo di strumenti tecnici,
  • percorso formativo propedeutico al collocamento mirato (valevole anche per i disabili psichici),
  • collocamento mirato per disabili psichici,
  • non collocabile al lavoro,
  • percorso per situazioni socio-sanitarie complesse.

Gli operatori di riferimento del centro per l’impiego, sulla base delle indicazioni fornite dalla commissione sanitaria integrata provvederanno poi, insieme al lavoratore e compatibilmente alle opportunità lavorative, a predisporre il progetto di inserimento lavorativo e a erogare i servizi riservati per ogni tipologia di profilo. Terminata la procedura, il lavoratore sarà inserito nella graduatoria unica.

Come possono essere assunti i disabili?

L’assunzione dei disabili può avvenire:

  • tramite richiesta nominativa: in questo caso il datore di lavoro può assumere la persona disabile che ritiene più adatta al posto, indipendentemente dalla posizione in graduatoria;
  • tramite richiesta numerica: si tratta di una modalità di assunzione residuale, applicata quando l’azienda, entro 60 giorni dal sorgere dell’obbligo di assunzione, non abbia inserito nessun soggetto disabile; l’avvio al lavoro, in questo caso, avviene d’ufficio, secondo la graduatoria;
  • tramite convenzione: si tratta di un accordo tra l’azienda e gli uffici competenti, avente ad oggetto uno specifico programma; attraverso questo accordo, grazie alla collaborazione degli uffici, gli obblighi di assunzione possono essere temporalmente diluiti, eventualmente preceduti da tirocini o assolti con contratti a termine o part time.

Per i lavoratori tutelati non appartenenti alla categoria dei disabili, invece, le aziende non possono ricorrere né a convenzioni né a richieste di esonero, ma possono solo domandare agli uffici competenti un’apposita ricerca di preselezione.

Come possono essere assunti i disabili nella Pa?

L’assunzione dei disabili negli enti pubblici può avvenire:

  • tramite richiesta di avviamento degli iscritti nelle liste di collocamento al centro per l’impiego;
  • tramite bando di concorso;
  • tramite convenzione.

Assunzione disabili senza concorso

Se l’amministrazione, nonostante l’obbligo, continua a non assumere, i centri per l’impiego possono avviare d’ufficio il collocamento obbligatorio dei disabili al suo interno. Prima di procedere all’assunzione automatica, il centro per l’impiego deve invitare la Pa ad adempiere, dando tempo 30 giorni. Trascorso il termine senza assunzioni da parte dell’amministrazione, i servizi per il collocamento mirato provvedono ad avviare numericamente i lavoratori disabili, attingendo alle graduatorie con profili professionali generici, dando comunicazione delle inadempienze al Dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei ministri.

Per approfondire: assunzione disabili senza concorso, quando?

Reddito di cittadinanza e legge 104

A partire da aprile 2019, anche i portatori di handicap potranno aver diritto a un sussidio mensile: si tratta del reddito di cittadinanza, la nuova prestazione economica a favore di coloro che vivono sotto la soglia di povertà. Questo trattamento, rivolto alla generalità dei cittadini, spetterà ovviamente anche ai disabili: peraltro, rispetto alla generalità di aventi diritto al sussidio, i disabili avranno delle agevolazioni in più. In base a quanto emerge dal decreto in  materia di reddito di cittadinanza e pensioni, in particolare, le persone con disabilità possono essere esonerate dall’obbligo di impegnarsi nelle attività di formazione, orientamento, riqualificazione e ricerca di lavoro.

I disabili, tuttavia, dovranno soddisfare le condizioni di reddito e patrimoniali previste per il diritto al sussidio, anche se, rispetto alla generalità dei cittadini, beneficiano di limiti relativi al patrimonio mobiliare posseduto (conti, libretti, depositi, carte prepagate…) più elevati.

Per approfondire: Reddito di cittadinanza per beneficiari della Legge 104.

Reddito di cittadinanza: come funziona

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Che cos’è il nuovo sussidio contro la povertà, a quanto ammonta, a chi spetta, quali requisiti e adempimenti per ottenerlo?

A breve sarà finalmente operativo il reddito di cittadinanza da 780 euro al mese, ma sarà riconosciuto a due fasce di destinatari: sotto forma di pensione minima di cittadinanza, per tutti gli over 67 sotto la soglia di povertà, mentre per coloro che si trovano in età lavorativa sotto forma di reddito di cittadinanza.

Il sussidio inizierà ad essere liquidato dal 27 aprile: è quanto recentemente annunciato dal nuovo Governo, che ha inserito  il reddito di cittadinanza tra gli interventi previsti nel decreto in materia, il cosiddetto pacchetto previdenza 2019.

Ai cittadini, in cambio del sussidio mensile sino a 780 euro, si richiederà però la ricerca assidua di un’occupazione, la frequenza di corsi di formazione e lo svolgimento di attività a favore del proprio Comune di residenza.

Il sussidio sarà sicuramente più incisivo rispetto all’attuale reddito d’inclusione Rei, dato che quest’ultima misura, attualmente vigente, offre un reddito massimo di quasi 540 euro mensili, per una famiglia di 5 e più persone (gli importi sono inferiori per i nuclei familiari di meno componenti, si parte da un minimo di circa 190 euro al mese); richiede tuttavia il soddisfacimento di numerose condizioni.

La riforma dei centri per l’impiego, in base a quanto afferma il Governo, dovrebbe però trasformare il reddito di cittadinanza in una misura straordinaria, favorendo l’incontro tra domanda e offerta di lavoro ed assicurando realmente il collocamento dei disoccupati, aspetto in cui gli attuali strumenti previsti in abbinamento al Rei si sono rivelati poco efficaci.

Resta comunque il problema delle risorse necessarie per la pensione minima di cittadinanza da 780 euro, che diventerà una misura strutturale, non essendo possibile chiedere ai pensionati di cercare lavoro per aumentare il reddito: le risorse necessarie potrebbero essere ad ogni modo sostenibili, con la riduzione del sussidio per chi non paga l’affitto e grazie alla previsione dei limiti di reddito Isee e dei limiti patrimoniali.

Ma procediamo per ordine, e facciamo il punto della situazione sul reddito di cittadinanza: come funziona, chi sono i beneficiari, a quanto ammonta, quali sono i requisiti e gli adempimenti richiesti, come ottenerlo.

Che cos’è il reddito di cittadinanza

Cerchiamo innanzitutto di capire le caratteristiche fondamentali del nuovo reddito di cittadinanza: questo sussidio consiste in una prestazione economica mensile, esentasse, accreditata a favore di coloro che possiedono un reddito sotto la soglia di povertà.

È considerato al di sotto della soglia di povertà ai fini del reddito di cittadinanza chi possiede un reddito inferiore ai 780 euro mensili, in caso di nucleo familiare con un solo componente: questa soglia è più bassa per chi non paga l’affitto o il mutuo per la casa, mentre è più alta per le famiglie con più componenti.

A quanto ammonta il reddito di cittadinanza?

Il reddito di cittadinanza dovrebbe ammontare sino a un massimo di 780 euro per ogni persona adulta e disoccupata senza alcun reddito; per chi ha un reddito sotto soglia, il reddito di cittadinanza integrerà gli importi percepiti sino ad arrivare a 780 euro al mese. Nello specifico, l’importo del reddito di cittadinanza è determinato da due quote:

  • la prima quota, a integrazione del reddito familiare, ammonta a una soglia massima pari a 6mila euro annui, 500 euro al mese (630 euro al mese, 7.560 euro annui nel caso di pensione di cittadinanza) per il singolo componente; in presenza di più componenti si può arrivare a massimo 12.600 euro, cioè a 1.050 euro al mese;
  • la seconda quota, a integrazione del reddito familiare, è riconosciuta ai nuclei che pagano l’affitto dell’abitazione, ed è pari al canone annuo previsto dal contratto di affitto (150 euro al mese, 1.800 euro annui nel caso di pensione di cittadinanza);
  • la seconda quota è pari alla rata del mutuo, fino a un massimo di 150 euro al mese, 1.800 euro annui, nel caso di nuclei familiari residenti in abitazioni di proprietà per il cui acquisto o per la cui costruzione sia stato stipulato un contratto di mutuo da un componente della famiglia.

In ogni caso il beneficio economico:

  • non può superare la soglia di 9.360 euro annui (780 euro al mese) nel caso di nucleo familiare con un solo componente, ridotta del valore del reddito familiare; la misura massima in caso di più componenti può arrivare a 19.656 euro all’anno (1.638 euro al mese , anche se nel concreto non si andrà sopra i 1.430 euro al mese);
  • non può essere inferiore a 480 euro annui (40 euro al mese).

Per una famiglia di tre persone, con genitori disoccupati a reddito zero e figlio minorenne a carico, il reddito di cittadinanza del nucleo dovrebbe aumentare del 40% per il coniuge e del 20% per il figlio minore.

Il reddito di cittadinanza sarà però ridotto per chi è proprietario della prima casa e non paga l’affitto: la riduzione, in particolare, dovrebbe corrispondere al cosiddetto affitto imputato ed ammontare a circa 280 euro al mese, 150 euro per chi percepisce la pensione di cittadinanza. Chi paga l’affitto, invece, ha diritto a un incremento in misura corrispondente, entro il tetto di 780 euro al mese.

Chi paga il mutuo, poi, ha diritto a un incremento del reddito pari a 150 euro mensili, entro il tetto di reddito di 780 euro.

Il reddito di cittadinanza sarà esentasse e non pignorabile.

Chi ha diritto al reddito di cittadinanza?

Potranno chiedere il reddito di cittadinanza i cittadini maggiorenni che soddisfano le seguenti condizioni:

  • si trovano in stato di disoccupazione o risultano inoccupati (cioè hanno perso il posto o non hanno mai lavorato); coloro che hanno presentato le dimissioni sono esclusi dal reddito per un anno, così come i detenuti ed i ricoverati in una struttura a carico dello Stato;
  • sono cittadini italiani, europei (o loro familiari in possesso del titolare del diritto di soggiorno o del diritto di soggiorno permanente) o extracomunitari in possesso di permesso di soggiorno di lungo periodo o di protezione internazionale;
  • sono residenti stabilmente in Italia da almeno 10 anni;
  • percepiscono un reddito di lavoro inferiore alla soglia di povertà, cioè sotto i 780 euro mensili;
  • percepiscono una pensione inferiore alla soglia di povertà, pari, come abbiamo detto, a 780 euro mensili;
  • possiedono un Isee del nucleo familiare inferiore a 9.360 euro;
  • possiedono un valore del reddito familiare inferiore a 6 mila euro, per il singolo componente, o a 7.560 euro, in caso di pensione di cittadinanza; l’importo è elevato sino a 9.360 euro per chi paga l’affitto ed è da adeguare col parametro della scala di equivalenza;
  • possiedono al massimo due immobili nel nucleo familiare, ma il secondo immobile non deve avere un valore superiore a 30mila euro;
  • possiedono un patrimonio mobiliare familiare (conti, carte prepagate, titoli, libretti, partecipazioni…) non superiore a 6mila euro; la soglia è incrementata di 2mila euro per ogni componente del nucleo familiare successivo al primo, fino ad un massimo di 10 mila euro, incrementati di ulteriori mille euro per ogni figlio successivo al secondo; i  massimali sono ulteriormente incrementati di 5mila euro per ogni componente con disabilità, come definita a fini Isee, presente nel nucleo;
  • nessun componente del nucleo deve possedere autoveicoli immatricolati nei 6 mesi precedenti, con cilindrata superiore a 1.600 cc e motoveicoli di cilindrata superiore a 250 cc, immatricolati nei 2 anni precedenti, navi o imbarcazioni da diporto; sono esclusi i veicoli per disabili.

Sarà dunque richiesta la dichiarazione Isee per beneficiare del reddito o della pensione di cittadinanza.

Chi lavora o percepisce la disoccupazione ha diritto al reddito di cittadinanza?

Il reddito di cittadinanza, come abbiamo osservato, sarà compatibile con l’attività lavorativa: nello specifico, se il lavoratore ha un contratto part time, il suo salario sarà integrato, attraverso il reddito di cittadinanza, fino ad arrivare a 780 euro al mese.

Naspi e altre prestazioni collegate allo stato di disoccupazione saranno compatibili col reddito di cittadinanza sino al limite di 780 euro mensili.

Chi percepisce prestazioni di assistenza avrà diritto al reddito di cittadinanza?

Il decreto prevede che ai fini del reddito di cittadinanza, il reddito familiare è determinato al netto dei trattamenti assistenziali eventualmente inclusi nell’Isee, ed include i trattamenti assistenziali in corso di godimento da parte dei componenti del nucleo familiare, fatta eccezione per le prestazioni non sottoposte alla prova dei mezzi, come l’assegno di accompagnamento.

Nel valore dei trattamenti di assistenza non rilevano il pagamento di arretrati, le riduzioni nella compartecipazione al costo dei servizi e le esenzioni e agevolazioni per il pagamento di tributi, i rimborsi di spese sostenute, i buoni servizio o altri  titoli che svolgono la funzione di sostituzione di servizi. Non rileva il bonus bebè.

Per ottenere il reddito di cittadinanza devo lavorare?

In base a quanto disposto nel decreto in materia, il reddito di cittadinanza obbligherà il beneficiario non solo a cercare assiduamente un lavoro ed a riqualificarsi, ma anche ad offrire lavoro gratuito per il proprio Comune di residenza.

Chi si rifiuterà di lavorare perderà il sussidio.

Per quanto riguarda, poi, la partecipazione alle iniziative di politica attiva del lavoro previste per il beneficiario del reddito, sarà obbligatorio (a meno che l’interessato non sia pensionato):

  • iscriversi presso i centri per l’impiego e offrire subito la disponibilità al lavoro;
  • iniziare un percorso per essere accompagnati nella ricerca del lavoro dimostrando la reale volontà di trovare un impiego;
  • offrire la propria disponibilità per progetti comunali utili alla collettività;
  • frequentare percorsi per la qualifica o la riqualificazione professionale;
  • effettuare ricerca attiva del lavoro quotidianamente;
  • comunicare tempestivamente qualsiasi variazione del reddito;
  • accettare uno dei primi tre lavori congrui che verranno offerti, o il primo lavoro, in fase di rinnovo del sussidio.

Chi ha un lavoro a tempo pieno, ma è sottopagato, avrà comunque diritto all’integrazione del reddito, senza bisogno di partecipare alle iniziative di politica attiva del lavoro. Per saperne di più: Reddito di cittadinanza, adempimenti.

Che cosa succede al reddito di cittadinanza se rifiuto un lavoro?

L’interessato che percepisce il reddito di cittadinanza può rifiutare al massimo due proposte lavorative congrue , o di recedere dall’impiego per due volte. Superati questi limiti, perde la somma.

Chi percepisce il reddito di cittadinanza in fase di rinnovo deve accettare il primo lavoro congruo proposto, anche se lontano da casa: sono esclusi i nuclei familiari con componenti disabili gravi o non autosufficienti. In questo caso, se l’interessato accetta comunque l’offerta di lavoro, percepisce il sussidio per altri 3 mesi. Se vuoi capire di più sulle agevolazioni per i disabili che percepiscono il sussidio, leggi Reddito di cittadinanza e benefici per disabili.

Per sapere quando un’offerta di lavoro è congrua: Offerta di lavoro congrua per il reddito di cittadinanza.

Come si chiede il reddito di cittadinanza?

Il modulo di domanda per il reddito di cittadinanza deve essere predisposto dall’Inps, sentito il ministero del Lavoro, entro 30 giorni dall’entrata in vigore del decreto sul reddito di cittadinanza.

Il modulo di domanda deve essere presentato dal richiedente, a partire dal 6 marzo, alle Poste, o presso uno sportello Caf o ancora, telematicamente, attraverso il nuovo portale del reddito di cittadinanza (redditodicittadinanza.gov.it). Si prevede anche la possibilità di presentare la domanda di reddito di cittadinanza assieme alla dichiarazione Isee, anche online tramite sito web dell’Inps, a breve.

Le informazioni contenute nella domanda del reddito di cittadinanza devono essere comunicate dal sito web, dalle Poste o dal Caf all’Inps, entro 10 giorni lavorativi dalla richiesta.

Per il riconoscimento del beneficio, l’Inps deve verificare, entro 5 giorni lavorativi dalla data di comunicazione, il possesso dei requisiti d’accesso. I Comuni, inoltre, devono verificare i requisiti di residenza e di soggiorno e devono comunicare l’esito della verifica.


Reddito di cittadinanza: adempimenti per ottenerlo

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Verifica requisiti, domanda, dichiarazione d’immediata disponibilità, patto per il lavoro e per l’inclusione sociale: attività obbligatorie per ottenere il reddito di cittadinanza.

Per ottenere il reddito di cittadinanza si dovranno superare numerosi ostacoli: una volta verificati i requisiti per il diritto al sussidio, difatti, ci si dovrà rivolgere alle Poste, o ai Caf, per compilare l’apposito modulo di richiesta. I dati andranno poi trasmessi all’Inps, che dovrà verificare, assieme ai Comuni l’esistenza delle condizioni dichiarate.

La procedura non termina certamente qui: una volta ricevuto l’ok per il reddito di cittadinanza, tutti i componenti maggiorenni del nucleo dovranno sottoscrivere la dichiarazione d’immediata disponibilità al lavoro (sono esclusi gli over 67, gli studenti, coloro che già lavorano e chi ha carichi di cura).

Si dovrà poi sottoscrivere il patto per il lavoro, che prevede lo svolgimento obbligatorio di diverse attività, dalla ricerca quotidiana di lavoro attraverso la piattaforma Siulp al servizio gratuito per il proprio Comune. Se il nucleo familiare si trova in condizioni di povertà e disagio, si deve invece sottoscrivere il patto per l’inclusione.

Sono poi numerose le cause di decadenza del beneficio: può bastare lo svolgimento di un lavoretto in nero per perdere il sussidio per 10 anni e rischiare anche la reclusione.

Ma procediamo per ordine e facciamo il punto sul reddito di cittadinanza: adempimenti per ottenerlo, requisiti, come mantenerlo.

Quali sono i requisiti per ottenere il reddito di cittadinanza?

Per ottenere il reddito di cittadinanza è indispensabile soddisfare le seguenti condizioni:

  • trovarsi in stato di disoccupazione o risultare inoccupati (cioè aver perso il posto o non aver mai lavorato); chi ha presentato le dimissioni è escluso dal reddito per un anno (assieme ai componenti del suo nucleo familiare), così come chi è detenuto o ricoverato in una struttura a carico dello Stato;
  • essere cittadino italiano;
  • in alternativa, essere cittadino dell’Unione Europea, o suo familiare che sia titolare del diritto di soggiorno o del diritto di soggiorno permanente, oppure cittadino di Paesi terzi in possesso del permesso di soggiorno europeo per soggiornanti di lungo periodo o apolide in possesso di analogo permesso o titolare di protezione internazionale (asilo politico, protezione sussidiaria);
  • bisogna poi risiedere in Italia, in via continuativa, da almeno 10 anni al momento di presentazione della domanda.
  • percepire un reddito inferiore alla soglia di povertà, cioè sotto i 780 euro mensili;
  • possedere un Isee del nucleo familiare inferiore a 9.360 euro;
  • possedere un valore del reddito familiare inferiore a 6 mila euro, per il singolo componente, o a 7.560 euro, in caso di pensione di cittadinanza; l’importo è elevato sino a 9.360 euro per chi paga l’affitto ed è da adeguare col parametro della scala di equivalenza;
  • possedere, oltre alla prima casa, un secondo immobile, che non deve avere un valore superiore a 30mila euro;
  • possedere un patrimonio mobiliare familiare (conti, carte prepagate, titoli, libretti, partecipazioni…) non superiore a 6mila euro; la soglia è incrementata di 2mila euro per ogni componente del nucleo familiare successivo al primo, fino ad un massimo di 10 mila euro, incrementati di ulteriori mille euro per ogni figlio successivo al secondo; i massimali sono ulteriormente incrementati di 5mila euro per ogni componente con disabilità, come definita a fini Isee, presente nel nucleo;
  • nessun componente del nucleo deve possedere autoveicoli immatricolati da meno di 6 mesi, o con cilindrata superiore a 1.600 cc e motoveicoli di cilindrata superiore a 250 cc, immatricolati nei 2 anni precedenti, navi o imbarcazioni da diporto; sono esclusi i veicoli per disabili

Come si chiede il reddito di cittadinanza?

I tempi per ottenere il sussidio non sono brevissimi, e gli adempimenti richiesti sono numerosi: i primi accrediti dovrebbero arrivare il 27 aprile.

Il modulo di domanda per il reddito di cittadinanza deve essere predisposto dall’Inps, sentito il ministero del Lavoro, entro 30 giorni dall’entrata in vigore del decreto sul reddito di cittadinanza.

Il modulo di domanda deve essere presentato dal richiedente, a partire dal 6 marzo, alle Poste, o presso uno sportello Caf o ancora, telematicamente, attraverso il nuovo portale del reddito di cittadinanza (redditodicittadinanza.gov.it). Si prevede anche la possibilità di presentare la domanda di reddito di cittadinanza assieme alla dichiarazione Isee, anche online tramite sito web dell’Inps, a breve.

Le informazioni contenute nella domanda del reddito di cittadinanza devono essere comunicate dal sito web, dalle Poste o dal Caf all’Inps, entro 10 giorni lavorativi dalla richiesta.

Per il riconoscimento del beneficio, l’Inps deve verificare, entro 5 giorni lavorativi dalla data di comunicazione, il possesso dei requisiti d’accesso. I Comuni, inoltre, devono verificare i requisiti di residenza e di soggiorno e devono comunicare l’esito della verifica.

Quali sono gli adempimenti per mantenere il reddito di cittadinanza?

Una volta ottenuto il sussidio, i componenti del nucleo familiare maggiorenni devono dichiarare l’immediata disponibilità al lavoro, presso i centri per l’impiego o tramite un’apposita piattaforma digitale (Siulp), entro 30 giorni dal riconoscimento del beneficio.

Sono esonerati i componenti del nucleo studenti, già occupati o di età pari o superiore a 67 anni, ed i disabili, come definiti dalla legge sul collocamento mirato. Possono essere esonerati dagli obblighi legati all’accettazione delle offerte di lavoro i disabili (come definiti ai fini Isee) e coloro che hanno carichi di cura (ossia assistono disabili gravi, non autosufficienti, o minori di 3 anni).

Il richiedente, se non rientra tra gli esonerati, entro 30 giorni dal riconoscimento del beneficio, è convocato dal centro per l’impiego se uno dei componenti della sua famiglia:

  • è disoccupato da non più di due anni;
  • ha un’età inferiore ai 26 anni;
  • è beneficiario della Naspi, di un altro sussidio di disoccupazione, o ne ha terminato la fruizione da non più di un anno;
  • ha sottoscritto un Patto di servizio in corso di validità presso i centri per l’impiego.

La dichiarazione di immediata disponibilità deve essere resa anche dagli altri componenti non esonerati del nucleo, entro i 30 giorni successivi al primo incontro del richiedente o del suo sostituto.

Patto per il lavoro

I beneficiari del reddito di cittadinanza non esonerati dagli obblighi devono stipulare, presso un centro per l’impiego o un intermediario accreditato, un patto per il lavoro, che ha le stesse caratteristiche del patto di servizio personalizzato previsto per chi richiede l’indennità di disoccupazione, ma prevede delle attività aggiuntive.

In particolare, sottoscrivendo il patto per il lavoro ci si obbliga a:

  • collaborare con l’operatore addetto alla redazione del bilancio delle competenze, ai fini della definizione del patto per il lavoro;
  • accettare espressamente gli obblighi e rispettare gli impegni previsti nel patto per il lavoro e, in particolare:
  • registrarsi sull’apposita piattaforma digitale Siulp, e consultarla quotidianamente come supporto nella ricerca del lavoro;
  • svolgere attività di ricerca attiva di lavoro, secondo le modalità definite nel patto;
  • accettare di essere avviato ai corsi di formazione o riqualificazione professionale, o ai progetti per favorire l’auto-imprenditorialità, secondo le modalità individuate nel patto, tenuto conto del bilancio delle competenze, delle inclinazioni professionali o di eventuali specifiche propensioni;
  • sostenere i colloqui psicoattitudinali e le eventuali prove di selezione finalizzate all’assunzione, su indicazione dei servizi competenti e in attinenza alle competenze certificate;
  • accettare almeno una di tre offerte di lavoro congrue; in caso di fruizione del beneficio in fase di rinnovo, deve essere accettata, a pena di decadenza dal beneficio, la prima offerta utile di lavoro congrua;
  • offrire la propria disponibilità per la partecipazione a progetti comunali utili alla collettività, in ambito culturale, sociale, artistico, ambientale, formativo e di tutela dei beni comuni, da svolgere presso il comune di residenza, mettendo a disposizione un massimo di 8 ore alla settimana.

Patto per l’inclusione sociale

Nel caso in cui la famiglia affronti problematiche complesse, non legate soltanto alla mancanza di lavoro, e una condizione di forte disagio e povertà, i beneficiari devono sottoscrivere un patto per l’inclusione sociale, che coinvolge i centri per l’impiego, i servizi sociali e gli altri servizi territoriali competenti.

Quando non si può rifiutare un’offerta di lavoro?

Chi percepisce il reddito di cittadinanza deve accettare almeno una di tre offerte di lavoro congrue, la prima offerta di lavoro congrua in fase di rinnovo del sussidio. Ma quando un’offerta di lavoro è congrua ai fini del reddito di cittadinanza? In base a quanto disposto dal decreto sul reddito di cittadinanza:

  • se il lavoratore percepisce il reddito di cittadinanza da non più di 6 mesi, l’offerta di lavoro deve avere le seguenti caratteristiche:
    • dal punto di vista della coerenza professionale, deve riguardare uno dei settori individuati nel patto di servizio sottoscritto dal lavoratore;
    • la retribuzione offerta deve essere maggiore di 1,2 volte l’indennità di disoccupazione percepita, se il disoccupato percepisce un trattamento di sostegno al reddito;
    • la distanza dal luogo di lavoro non può essere superiore a 100 km dalla residenza dell’interessato, o comunque deve essere raggiungibile in 100 minuti con i mezzi di trasporto pubblici, se si tratta di prima offerta; la distanza dal luogo di lavoro non può essere superiore a 250 km dalla residenza dell’interessato se si tratta di seconda offerta; la sede di lavoro può trovarsi ovunque, nel territorio italiano, se si tratta di terza offerta;
  • se il lavoratore percepisce il reddito di cittadinanza da oltre 6 mesi, l’offerta di lavoro deve avere le seguenti caratteristiche:
    • dal punto di vista della coerenza professionale, deve riguardare uno dei settori individuati nel patto di servizio sottoscritto dal lavoratore, o contigui ai settori individuati;
    • la retribuzione offerta deve essere maggiore di 1,2 volte l’indennità di disoccupazione percepita, se il disoccupato percepisce un trattamento di sostegno al reddito;
    • la distanza dal luogo di lavoro non può essere superiore a 100 km dalla residenza dell’interessato, o comunque deve essere raggiungibile in 100 minuti con i mezzi di trasporto pubblici, se si tratta di prima offerta; la distanza dal luogo di lavoro non può essere superiore a 250 km dalla residenza dell’interessato se si tratta di seconda offerta; la sede di lavoro può trovarsi ovunque, nel territorio italiano, se si tratta di terza offerta;
  • se il lavoratore ha ottenuto il rinnovo del reddito di cittadinanza, l’offerta di lavoro deve avere le seguenti caratteristiche:
    • dal punto di vista della coerenza professionale, può riguardare qualsiasi settore lavorativo;
    • la retribuzione offerta deve essere maggiore di 1,2 volte l’indennità di disoccupazione percepita, se il disoccupato percepisce un trattamento di sostegno al reddito;
    • la sede di lavoro, esclusivamente nel caso in cui nel nucleo familiare non siano presenti componenti di minore età o disabili, può trovarsi ovunque nel territorio italiano; in questo caso, il beneficiario continua a percepire il reddito di cittadinanza per altri 3 mesi, a titolo di compensazione per le spese di trasferimento sostenute.

Il rapporto di lavoro, per quanto riguarda la durata, deve essere:

  • a tempo indeterminato;
  • a termine o con contratto di somministrazione, con una durata di almeno tre mesi.

Per quanto riguarda l’orario di lavoro, il rapporto deve essere a tempo pieno, o a tempo parziale, con un orario non inferiore all’80% rispetto all’orario dell’ultimo contratto di lavoro.

Lo stipendio previsto, poi, non deve essere inferiore ai minimi della contrattazione collettiva. In base a un recente emendamento al decreto, la retribuzione deve risultare superiore alla misura massima del reddito di cittadinanza fruibile dal singolo (vale a dire a 780 euro mensili), più il 10%: in parole semplici, l’offerta di lavoro, per essere considerata congrua, deve offrire uno stipendio mensile almeno pari a 858 euro (780 euro +78  euro, il 10%).

Come si perde il reddito di cittadinanza?

È molto facile decadere dal diritto al reddito di cittadinanza: per chi utilizza documenti falsi, omette informazioni obbligatorie o non dichiara le variazioni di reddito è prevista addirittura la reclusione, assieme alla perdita del sussidio per 10 anni.

Nel dettaglio, se per ottenere o mantenere il beneficio sono utilizzati o presentati dichiarazioni e documenti falsi o attestanti cose non vere, o si omettono informazioni dovute, chi consegue indebitamente il sussidio è punito:

  • con la reclusione da 2 a 6 anni;
  • con la revoca retroattiva del beneficio;
  • con l’impossibilità di chiedere il sussidio prima che siano decorsi 10 anni dalla condanna.

Le sanzioni vanno da 1 a 3 anni di reclusione per chi non comunica la variazione del reddito: la variazione del reddito è presunta nel caso in cui sia accertato che l’interessato lavora in nero o “in grigio”, cioè che ha un rapporto di lavoro non dichiarato o un rapporto per il quale è dichiarata una retribuzione più bassa, come il “finto part time”.

Si decade dal reddito di cittadinanza anche quando uno dei componenti del nucleo familiare:

  • non sottoscrive il patto per il lavoro o il patto per l’inclusione sociale, ad eccezione dei casi di esclusione ed esonero;
  • non partecipa, in assenza di giustificato motivo, alle iniziative di carattere formativo o di riqualificazione, o ad altre iniziative di politica attiva o di attivazione;
  • non lavora gratuitamente nell’ambito dei progetti comunali, se istituiti;
  • rifiuta un’offerta di lavoro congrua, dopo averne già rifiutate due;
  • rifiuta un’offerta congrua dopo il rinnovo del beneficio;
  • non effettua le comunicazioni obbligatorie, o effettua comunicazioni mendaci producendo un beneficio economico del reddito di cittadinanza maggiore;
  • non presenta una dichiarazione Isee aggiornata, in caso di variazione del nucleo familiare;
  • rende una dichiarazione mendace (anche nella dichiarazione Isee).

Riduzione del reddito di cittadinanza

Se gli interessati non si presentano alle convocazioni disposte nel patto è prevista:

  • la decurtazione di una mensilità del sussidio, in caso di prima mancata presentazione;
  • la decurtazione due mensilità alla seconda mancata presentazione;
  • la decadenza dalla prestazione, in caso di ulteriore mancata presentazione.

Nel caso di mancata partecipazione, in assenza di giustificato motivo, alle iniziative di orientamento, da parte anche di un solo componente del nucleo familiare, si applicano le seguenti sanzioni:

  • la decurtazione di due mensilità, in caso di prima mancata presentazione;
  • la decadenza dalla prestazione in caso di ulteriore mancata presentazione.

In caso di mancato rispetto degli impegni previsti nel patto per l’inclusione sociale relativi alla frequenza dei corsi di istruzione o di formazione da parte di un componente minorenne, o degli impegni di prevenzione e cura volti alla tutela della salute, individuati da professionisti sanitari, si applicano le seguenti sanzioni:

  • la decurtazione di due mensilità dopo un primo richiamo formale al rispetto degli impegni;
  • la decurtazione di tre mensilità al secondo richiamo formale;
  • la decurtazione di sei mensilità al terzo richiamo formale;
  • la decadenza dal beneficio in caso di ulteriore richiamo.

L’Inps si occupa di applicare le sanzioni diverse da quelle penali e del recupero del sussidio non dovuto: le informazioni sulle violazioni sono trasmesse all’istituto dai centri per l’impiego e dai comuni.

Se l’interessato decade dal sussidio, il reddito di cittadinanza può essere richiesto solo decorsi 18 mesi dalla data del provvedimento di decadenza. Non può essere richiesto prima del termine da un altro componente della famiglia.

Nel caso facciano parte del nucleo familiare componenti minorenni o con disabilità, il termine per richiedere nuovamente il reddito di cittadinanza è ridotto a 6 mesi.

Il reddito di cittadinanza è ridotto sino al 20% nel caso in cui la somma accreditata non sia stata completamente spesa nel mese.

Reddito di cittadinanza: novità

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Reddito di cittadinanza: quando arriva, carta acquisti, requisiti Isee, durata massima, offerte di lavoro.

Il reddito di cittadinanza non è un assegno da 780 euro al mese per i furbetti che hanno intenzione di poltrire sul divano, ma consiste in una sorta di social card con la quale si possono acquistare beni e servizi di base e pagare bollette, mutuo e affitto: chi bara sulle condizioni per il diritto al sussidio con false dichiarazioni rischia sino a 6 anni di galera. Non è possibile, per i beneficiari del reddito di cittadinanza, stare in casa a poltrire: le attività da svolgere obbligatoriamente per il proprio comune e le attività di formazione, riqualificazione e ricerca attiva del lavoro non ne danno il tempo. Sono queste le novità emerse dal decreto sul reddito di cittadinanza [1] in merito alla nuova misura, che, come confermato di recente, diventerà pienamente operativa da aprile 2019.

Peraltro,  il sussidio è riconosciuto a due fasce di destinatari: per gli over 67, sotto forma di pensione minima di cittadinanza, cioè d’integrazione sino a 780 euro mensili di tutte le pensioni sotto la soglia di povertà, mentre a tutti coloro che si trovano sotto la soglia di povertà ed in età lavorativa spetta il reddito di cittadinanza vero e proprio.  Ai cittadini in età lavorativa, in cambio del sussidio mensile di 780 euro, si richiede però la ricerca assidua di un’occupazione, la frequenza di corsi di formazione e orientamento e di 8 ore di lavoro a favore del proprio Comune di residenza, impegno che non è richiesto ai pensionati, ai disabili, a chi già lavora e agli studenti.

Per quanto riguarda la pensione minima di cittadinanza, il sussidio, anche se esposto come un aumento “di fatto” dell’integrazione al trattamento minimo e delle maggiorazioni, è accreditato su carta acquisti, la carta Rdc, e non con un aumento dell’assegno da parte dell’Inps.

L’erogazione degli importi su social card è indispensabile, secondo chi ha ideato la misura, per evitare spese voluttuarie, come il gioco d’azzardo, servendosi del reddito di cittadinanza; in ogni caso, la riforma dei centri per l’impiego, in base a quanto affermato dal Vicepremier Di Maio, dovrebbe trasformare il reddito di cittadinanza, per coloro che si trovano in età lavorativa, in una misura straordinaria, favorendo l’incontro tra domanda e offerta d’impiego ed assicurando realmente il collocamento dei disoccupati.

Ma procediamo per ordine, e facciamo il punto della situazione sul reddito di cittadinanza: novità, come funziona, chi sono i beneficiari, a quanto ammonta, quali sono i requisiti e gli adempimenti richiesti, come ottenerlo.

Che cos’è il reddito di cittadinanza?

Cerchiamo innanzitutto di capire le caratteristiche fondamentali del nuovo reddito di cittadinanza: questo sussidio consiste in una prestazione economica mensile, esentasse, accreditata a favore di coloro che possiedono un reddito sotto la soglia di povertà relativa.

È considerato al di sotto della soglia di povertà ai fini del reddito di cittadinanza chi possiede un reddito inferiore ai 780 euro mensili, in caso di nucleo familiare con un solo componente assoggettato al pagamento dell’affitto: questa soglia è diminuita per chi è proprietario dell’abitazione principale e non paga l’affitto, ed è aumentata per chi ha un nucleo familiare con più componenti.

In base a quanto emerge dal decreto in materia, il reddito di cittadinanza non è riconosciuto con un assegno, ma accreditando l’importo spettante in una carta acquisti, la carta Rdc. La carta Rdc consentirà di prelevare, in contanti, sino a 210 euro al mese, di pagare le utenze, di acquistare beni e servizi di base, e di inviare un bonifico per pagare l’affitto o il mutuo.

Come funziona la pensione di cittadinanza?

Il reddito di cittadinanza non interesserà soltanto i lavoratori che si trovano sotto la soglia di povertà, ma anche i pensionati. Nello specifico, tutti coloro che hanno almeno 67 anni di età avranno diritto a un’integrazione della pensione sino a un massimo di 780 euro mensili, se possiedono i requisiti per il sussidio (l’integrazione è più bassa per chi non paga l’affitto). L’attuale integrazione al trattamento minimo, pari a 513 euro mensili, e le ulteriori maggiorazioni, dovrebbero dunque essere incrementate dalla pensione di cittadinanza.

In base alla bozza di decreto in materia, l’integrazione avverrà attraverso l’erogazione dell’importo spettante su una carta acquisti.

A quanto ammonta il reddito di cittadinanza?

Il reddito di cittadinanza ammonta sino a un massimo di 780 euro per ogni persona adulta e disoccupata senza alcun reddito, con affitto o mutuo a carico; per chi ha un reddito sotto soglia, il reddito di cittadinanza integra gli importi percepiti sino ad arrivare a 780 euro al mese. Nello specifico, l’importo del reddito di cittadinanza è determinato da due quote:

  • la prima quota, a integrazione del reddito familiare, ammonta a una soglia massima pari a 6mila euro annui, 500 euro al mese (630 euro al mese, 7.560 euro annui nel caso di pensione di cittadinanza) per il singolo componente; in presenza di più componenti si può arrivare a massimo 12.600 euro, cioè a 1.050 euro al mese (1.323 euro al mese, 15.876 euro annui in caso di pensione di cittadinanza);
  • la seconda quota, a integrazione del reddito familiare, è riconosciuta ai nuclei che pagano l’affitto dell’abitazione, ed è pari al canone annuo previsto dal contratto di affitto (150 euro al mese, 1.800 euro annui nel caso di pensione di cittadinanza);
  • la seconda quota è pari alla rata del mutuo, fino a un massimo di 150 euro al mese, 1.800 euro annui, nel caso di nuclei familiari residenti in abitazioni di proprietà per il cui acquisto o per la cui costruzione sia stato stipulato un contratto di mutuo da un componente della famiglia.

In ogni caso il beneficio economico:
• non può superare la soglia di 9.360 euro annui (780 euro al mese) nel caso di nucleo familiare con un solo componente,
ridotta del valore del reddito familiare; la misura massima in caso di più componenti può arrivare a 19.656 euro all’anno (1.638 euro al mese, anche se nel concreto risulta minore);
• non può essere inferiore a 480 euro annui (40 euro al mese).

Per ogni componente del nucleo, il reddito aumenta di 0,4 punti se maggiorenne, e di 0,2 punti se minorenne.

Il reddito di cittadinanza e la pensione di cittadinanza risultano, in ogni caso, esentasse.

Reddito di cittadinanza con la carta acquisti

Il reddito di cittadinanza viene riconosciuto, in base a quanto esposto nel decreto pensioni, tramite carta acquisti, che funzionerà in modo simile alla vecchia social card ed alla carta Rei, erogate alle famiglie più bisognose.

Con la carta Rdc, le operazioni consentite sono diverse. Innanzitutto, è possibile acquistare gli stessi beni e servizi che, ad oggi, è possibile acquistare con la carta Rei (la carta nella quale è accreditato il reddito d’inclusione). Si tratta, per grandi linee, dei generi alimentari, dei beni acquistabili in farmacia, parafarmacia e nella grande distribuzione.
È vietato qualsiasi acquisto legato al gioco d’azzardo: no, dunque, ai gratta e vinci, alle scommesse, alle schedine del Lotto o del Super Enalotto, ed a qualsiasi concorso a premi.
Con la carta Rdc è possibile anche pagare le utenze, come la bolletta dell’elettricità, dell’acqua e del gas.
Per approfondire: Carta Rdc.

Chi ha diritto al reddito di cittadinanza?

Possono chiedere il reddito di cittadinanza i cittadini maggiorenni che soddisfano le seguenti condizioni:

  • si trovano in stato di disoccupazione o risultano inoccupati (cioè hanno perso il posto o non hanno mai lavorato); coloro che hanno presentato le dimissioni sono esclusi dal reddito per un anno, così come i detenuti ed i ricoverati in una struttura a carico dello Stato;
  • sono in possesso della cittadinanza italiana o di paesi facenti parte dell’Unione europea, o sono familiari di un titolare del diritto di soggiorno o del diritto di soggiorno permanente, o cittadini di Paesi terzi in possesso del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo;
  • sono residenti in Italia da almeno 10 anni, di cui gli ultimi due, considerati al momento della presentazione della domanda e per tutta la durata dell’erogazione del beneficio, in modo continuativo;
  • possiedono un Isee del nucleo familiare in corso di validità, inferiore a 9.360 euro;
  • possiedono un valore del reddito familiare inferiore a 6 mila euro, per il singolo componente, o a 7.560 euro, in caso di pensione di cittadinanza; l’importo è elevato sino a 9.360 euro per chi paga l’affitto ed è da adeguare col parametro della scala di equivalenza;
  • possiedono al massimo due immobili nel nucleo familiare, ma il secondo immobile non deve avere un valore superiore a 30mila euro;
  • possiedono un patrimonio mobiliare familiare (conti, carte prepagate, titoli, libretti, partecipazioni…) non superiore a 6mila euro; la soglia è incrementata di 2mila euro per ogni componente del nucleo familiare successivo al primo, fino ad un massimo di 10 mila euro, incrementati di ulteriori mille euro per ogni figlio successivo al secondo; i  massimali sono ulteriormente incrementati di 5mila euro per ogni componente con disabilità, come definita a fini Isee, presente nel nucleo;
  • nessun componente del nucleo deve possedere autoveicoli immatricolati nei 6 mesi precedenti, o con cilindrata superiore a 1.600 cc e motoveicoli di cilindrata superiore a 250 cc, immatricolati nei 2 anni precedenti, navi o imbarcazioni da diporto; sono esclusi i veicoli adibiti al trasporto di disabili.

Risulta dunque indispensabile essere in possesso della dichiarazione Isee per beneficiare del reddito o della pensione di cittadinanza.

Chi lavora o percepisce la disoccupazione ha diritto al reddito di cittadinanza?

Il reddito di cittadinanza è compatibile con l’attività lavorativa: nello specifico, se il lavoratore ha un contratto part time, il suo salario viene integrato, attraverso il reddito di cittadinanza, fino ad arrivare a 780 euro al mese.

Naspi e altre prestazioni collegate allo stato di disoccupazione saranno compatibili col reddito di cittadinanza sino al limite di 780 euro mensili.

Chi percepisce prestazioni di assistenza avrà diritto al reddito di cittadinanza?

Il decreto prevede che, ai fini del reddito di cittadinanza, il reddito familiare è determinato al netto dei trattamenti assistenziali eventualmente inclusi nell’Isee non più in godimento, ed include i trattamenti assistenziali in corso di godimento da parte dei componenti del nucleo familiare, fatta eccezione per le prestazioni non sottoposte alla prova dei mezzi, come l’assegno di accompagnamento.

Nel valore dei trattamenti di assistenza non rilevano il pagamento di arretrati, le riduzioni nella compartecipazione al costo dei servizi e le esenzioni e agevolazioni per il pagamento di tributi, i rimborsi di spese sostenute, i buoni servizio o altri  titoli che svolgono la funzione di sostituzione di servizi. Non rileva il bonus bebè.

Obbligo di lavorare per chi percepisce il reddito di cittadinanza

In base a quanto previsto dal decreto in materia, il reddito di cittadinanza obbliga il beneficiario non solo a cercare assiduamente un lavoro ed a riqualificarsi, ma anche ad offrire lavoro gratuito per il proprio Comune di residenza.

Le attività lavorative e di riqualificazione impegneranno i beneficiari quasi ogni giorno.

Chi si rifiuterà di lavorare per il proprio Comune perderà il sussidio; il reddito si perderà anche nel caso in cui si rifiutino tre offerte di lavoro congrue, oppure la prima offerta di lavoro, se si percepisce il sussidio di cittadinanza in fase di rinnovo. Per sapere quando un’offerta di lavoro è equa: Offerta di lavoro congrua per il reddito di cittadinanza.

Per quanto riguarda, nello specifico, la partecipazione alle iniziative di politica attiva del lavoro previste per il beneficiario del reddito, sarà obbligatorio (a meno che l’interessato non sia pensionato):

  • iscriversi presso i centri per l’impiego e offrire subito la disponibilità al lavoro;
  • iniziare un percorso per essere accompagnati nella ricerca del lavoro dimostrando la reale volontà di trovare un impiego;
  • offrire la propria disponibilità per progetti comunali utili alla collettività;
  • frequentare percorsi per la qualifica o la riqualificazione professionale;
  • effettuare ricerca attiva del lavoro per almeno 2 ore al giorno;
  • comunicare tempestivamente qualsiasi variazione del reddito;
  • accettare uno dei primi tre lavori congrui che verranno offerti, oppure la prima offerta di lavoro congrua, se si percepisce il sussidio di cittadinanza in fase di rinnovo; in base a un recente emendamento al decreto, la retribuzione deve risultare superiore alla misura massima del reddito di cittadinanza fruibile dal singolo (vale a dire a 780 euro mensili), più il 10%: in parole semplici, l’offerta di lavoro, per essere considerata congrua, deve offrire uno stipendio mensile almeno pari a 858 euro (780 euro +78  euro, il 10%).

Chi ha un lavoro a tempo pieno, ma è sottopagato, avrà comunque diritto all’integrazione del reddito, senza bisogno di partecipare alle iniziative di politica attiva del lavoro.

Per saperne di più: Reddito di cittadinanza, adempimenti.

Per ottenere la pensione di cittadinanza si deve lavorare?

Per ottenere la pensione di cittadinanza non sarà necessario lavorare, in quanto i beneficiari del sostegno sono gli over 67. I beneficiari della pensione di cittadinanza sono esonerati da tutte le misure di politica attiva del lavoro.

Che cosa succede a chi imbroglia?

Se si ottiene il reddito di cittadinanza sulla base di false dichiarazioni, o si lavora in nero, non solo si perderà il sussidio, ma si rischieranno sino a 6 anni di carcere: è stabilito nel decreto in materia di reddito di cittadinanza.

Come si chiede il reddito di cittadinanza?

Il modulo di domanda per il reddito di cittadinanza deve essere predisposto dall’Inps, sentito il ministero del Lavoro, entro 30 giorni dall’entrata in vigore del decreto sul reddito di cittadinanza.

Il modulo di domanda deve essere presentato dal richiedente, a partire dal 6 marzo, oppure entro il sesto giorno di ogni mese, alle Poste, o presso uno sportello Caf o ancora, telematicamente, attraverso il nuovo portale del reddito di cittadinanza (redditodicittadinanza.gov.it). Si prevede anche la possibilità di presentare la domanda di reddito di cittadinanza assieme alla dichiarazione Isee, anche online tramite sito web dell’Inps, a breve.

Le informazioni contenute nella domanda del reddito di cittadinanza devono essere comunicate dal sito web, dalle Poste o dal Caf all’Inps, entro 10 giorni lavorativi dalla richiesta.

Per il riconoscimento del beneficio, l’Inps deve verificare, entro 5 giorni lavorativi dalla data di comunicazione, il possesso dei requisiti d’accesso. I Comuni, inoltre, devono verificare i requisiti di residenza e di soggiorno e devono comunicare l’esito della verifica.

Reddito di cittadinanza: controlli per chi rifiuta il lavoro

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Segnalazione alla Guardia di Finanza per i beneficiari del reddito che rifiutano il posto: chi lavora in nero rischia la galera.

La guerra ai furbetti del reddito di cittadinanza non è ancora iniziata, ma si preannuncia molto dura: le regole previste dal decretone [1] per chi “sgarra”, difatti, sono severissime, e prevedono sino a 6 anni di reclusione per chi dichiara il falso, per godere del sussidio.

Particolarmente severo anche il trattamento nei confronti dei beneficiari del reddito “pigri”: chi rifiuta un’offerta di lavoro congrua, difatti, sarà segnalato alla Guardia di Finanza per essere sottoposto a controlli. Le Fiamme Gialle, in particolare, dovranno verificare che il beneficiario del reddito che rifiuta il posto non stia lavorando in nero. Ma che cosa succede se si viene “beccati” a lavorare senza contratto?

Le conseguenze per chi è trovato a lavorare in nero, o in “grigio” (ossia con un contratto di lavoro nel quale figura una retribuzione inferiore rispetto a quella reale), sono piuttosto pesanti: è difatti prevista la reclusione da 1 a 3 anni per omessa comunicazione della variazione del reddito, nel caso in cui l’entità del reddito derivante dall’attività comporti la revoca o la riduzione del beneficio.

Non bisogna dimenticare, poi, che è prevista la reclusione da 2 a 6 anni, se il reddito è conseguito rendendo o utilizzando dichiarazioni o documenti falsi, o attestanti cose non vere, oppure omettendo informazioni dovute.

Ma procediamo per ordine e facciamo il punto sul Reddito di cittadinanza: controlli per chi rifiuta il lavoro, quali sono gli adempimenti obbligatori per mantenere il sussidio, quando un’offerta di lavoro è considerata congrua e non può essere rifiutata.

Come funziona il reddito di cittadinanza?

Il reddito di cittadinanza è un sussidio a sostegno delle famiglie che si trovano in condizioni di bisogno economico, ossia con un reddito, un indicatore Isee, un patrimonio mobiliare (conti, carte, libretti, partecipazioni) e immobiliare (case, terreni) al di sotto di determinate soglie. Per conoscere, nel dettaglio, i requisiti richiesti per il beneficio: Reddito di cittadinanza 2019.

Il reddito di cittadinanza integra il reddito del beneficiario sino a un massimo di 780 euro mensili, incrementati dello 0,4 per ogni componente adulto del nucleo familiare e dello 0,2 per ogni minorenne, sino a un massimo del 2,1 per i nuclei numerosi. Per capire a quanto ammonta il sussidio: Importo reddito di cittadinanza 2019.

Come si mantiene il reddito di cittadinanza?

Una volta ottenuto il sussidio, tutti i componenti della famiglia maggiorenni devono dichiarare l’immediata disponibilità al lavoro, presso i centri per l’impiego o tramite l’apposita piattaforma digitale Siulp, entro 30 giorni dal riconoscimento del beneficio.

Sono esonerati i componenti del nucleo studenti, già occupati o di età pari o superiore a 67 anni, ed i disabili, come definiti dalla legge sul collocamento mirato. Possono essere esonerati dagli obblighi legati all’accettazione delle offerte di lavoro i disabili (come definiti ai fini Isee) ed i caregiver (ossia coloro che assistono disabili gravi, non autosufficienti, o minori di 3 anni).

Il richiedente, se non rientra tra gli esonerati, entro 30 giorni dal riconoscimento del beneficio, è convocato dal centro per l’impiego se uno dei componenti della sua famiglia:

  • è disoccupato da non più di due anni;
  • ha un’età inferiore ai 26 anni;
  • è beneficiario della Naspi, di un altro sussidio di disoccupazione, o ne ha terminato la fruizione da non più di un anno;
  • ha sottoscritto un Patto di servizio in corso di validità presso i centri per l’impiego.

La dichiarazione di immediata disponibilità deve essere resa anche dagli altri componenti non esonerati del nucleo, entro i 30 giorni successivi al primo incontro del richiedente o del suo sostituto.

Reddito di cittadinanza: patto per il lavoro

I beneficiari del reddito di cittadinanza non esonerati dagli obblighi devono stipulare, presso un centro per l’impiego o un intermediario accreditato, un patto per il lavoro, un progetto che ha le stesse caratteristiche del patto di servizio personalizzato previsto per chi richiede l’indennità di disoccupazione, ma prevede delle attività aggiuntive.

In particolare, sottoscrivendo il patto per il lavoro ci si obbliga a:

  • collaborare con l’operatore addetto alla redazione del bilancio delle competenze per definire il progetto;
  • accettare espressamente gli obblighi e rispettare gli impegni previsti nel patto per il lavoro e, in particolare:
    • registrarsi sull’apposita piattaforma digitale Siulp, e consultarla quotidianamente come supporto nella ricerca del lavoro;
    • svolgere attività di ricerca attiva di lavoro, secondo le modalità definite nel patto;
    • accettare di essere avviato ai corsi di formazione o riqualificazione professionale, o ai progetti per favorire l’auto-imprenditorialità, secondo le modalità individuate nel patto, tenuto conto delle aspirazioni e delle competenze personali;
    • sostenere eventuali colloqui psicoattitudinali e prove di selezione finalizzate all’assunzione, su indicazione dei servizi competenti e in attinenza alle competenze certificate;
    • accettare almeno una di tre offerte di lavoro congrue; in caso di fruizione del reddito in fase di rinnovo, deve essere accettata, a pena di decadenza dal beneficio, la prima offerta utile di lavoro congrua;
    • offrire la propria disponibilità per la partecipazione a progetti comunali utili alla collettività, da svolgere presso il comune di residenza, mettendo a disposizione un massimo di 8 ore alla settimana.

Reddito di cittadinanza: patto per l’inclusione sociale

Nel caso in cui nella famiglia beneficiaria del reddito siano rilevate problematiche complesse, non legate soltanto alla mancanza di lavoro, e una condizione di forte disagio e povertà, i componenti del nucleo devono sottoscrivere un patto per l’inclusione sociale, che coinvolge i centri per l’impiego, i servizi sociali e gli altri servizi territoriali competenti.

Quando non si può rifiutare un’offerta di lavoro?

Chi percepisce il reddito di cittadinanza deve accettare almeno una di tre offerte di lavoro congrue, la prima offerta di lavoro congrua in fase di rinnovo del sussidio. Ma quando un’offerta di lavoro è congrua ai fini del reddito di cittadinanza? In base a quanto disposto dal decretone sul reddito:

  • se il lavoratore percepisce il reddito di cittadinanza da non più di 6 mesi, l’offerta di lavoro deve avere le seguenti caratteristiche:
    • dal punto di vista della coerenza professionale, deve riguardare uno dei settori individuati nel patto di servizio sottoscritto dal lavoratore;
    • la retribuzione offerta deve essere superiore a 1,2 volte l’indennità di disoccupazione eventualmente percepita;
    • la distanza dal luogo di lavoro non può essere superiore a 100 km dalla residenza dell’interessato, o comunque deve essere raggiungibile in 100 minuti con i mezzi di trasporto pubblici, se si tratta di prima offerta; la distanza dal luogo di lavoro non può essere superiore a 250 km dalla residenza dell’interessato se si tratta di seconda offerta; la sede di lavoro può trovarsi ovunque, nel territorio italiano, se si tratta di terza offerta;
  • se il lavoratore percepisce il reddito di cittadinanza da oltre 6 mesi, l’offerta di lavoro deve avere le seguenti caratteristiche:
    • dal punto di vista della coerenza professionale, deve riguardare uno dei settori individuati nel patto di servizio sottoscritto dal lavoratore, o contigui ai settori individuati;
    • la retribuzione offerta deve essere superiore a 1,2 volte l’indennità di disoccupazione eventualmente percepita;
    • la distanza dal luogo di lavoro non può essere superiore a 100 km dalla residenza dell’interessato, o comunque deve essere raggiungibile in 100 minuti con i mezzi di trasporto pubblici, se si tratta di prima offerta; la distanza dal luogo di lavoro non può essere superiore a 250 km dalla residenza dell’interessato se si tratta di seconda offerta; la sede di lavoro può trovarsi ovunque, nel territorio italiano, se si tratta di terza offerta;
  • se il lavoratore ha ottenuto il rinnovo del reddito di cittadinanza, l’offerta di lavoro deve avere le seguenti caratteristiche:
    • dal punto di vista della coerenza professionale, può riguardare qualsiasi settore lavorativo;
    • la retribuzione offerta deve essere maggiore di 1,2 volte l’indennità di disoccupazione percepita, se il disoccupato percepisce un trattamento di sostegno al reddito;
    • la sede di lavoro, esclusivamente nel caso in cui nel nucleo familiare non siano presenti componenti di minore età o disabili, può trovarsi ovunque nel territorio italiano; in questo caso, il beneficiario continua a percepire il reddito di cittadinanza per altri 3 mesi, a titolo di compensazione per le spese di trasferimento sostenute.

Il rapporto di lavoro, per quanto riguarda la durata, deve essere:

  • a tempo indeterminato;
  • a termine o con contratto di somministrazione, con una durata di almeno tre mesi.

Per quanto riguarda l’orario di lavoro, il rapporto deve essere a tempo pieno, o a tempo parziale, con un orario non inferiore all’80% rispetto all’orario dell’ultimo contratto di lavoro.

Lo stipendio previsto, poi, non deve essere inferiore ai minimi della contrattazione collettiva. In base a un recente emendamento al decreto, la retribuzione deve risultare superiore alla misura massima del reddito di cittadinanza fruibile dal singolo (vale a dire a 780 euro mensili), più il 10%: in parole semplici, l’offerta di lavoro, per essere considerata congrua, deve offrire uno stipendio mensile almeno pari a 858 euro (780 euro +78  euro, il 10%).

Controlli della Guardia di Finanza per chi rifiuta un’offerta di lavoro

Come abbiamo osservato, rifiutare un’offerta di lavoro congrua è lecito, se il beneficiario non fruisce del sussidio in fase di rinnovo.

Tuttavia, il rifiuto dell’offerta di lavoro, che risulta dalla piattaforma Siulp, viene immediatamente segnalato alla Guardia di Finanza, che deve avviare una serie di accertamenti e controlli nei confronti del beneficiario che non vuole lavorare.

Le verifiche, nel dettaglio, saranno finalizzate a scovare i furbetti, cioè chi percepisce il reddito lavorando in nero, oppure in grigio, cioè con una retribuzione dichiarata inferiore a quella reale.

Quali conseguenze per i furbetti “pizzicati” dalle Fiamme Gialle?

Che cosa succede a chi lavora in nero o in grigio?

Le conseguenze per chi lavora in nero o in grigio non sono causate dallo svolgimento dell’attività lavorativa in sé, ma dal non aver dichiarato le variazioni di reddito, o dall’aver dichiarato il falso in fase di richiesta del sussidio.

Nel dettaglio, se per ottenere o mantenere il beneficio sono utilizzati o presentati dichiarazioni e documenti falsi o attestanti cose non vere, o si omettono informazioni dovute, chi consegue indebitamente il sussidio è punito:

  • con la reclusione da 2 a 6 anni;
  • con la revoca retroattiva del beneficio;
  • con l’impossibilità di chiedere il sussidio prima che siano decorsi 10 anni dalla condanna.

Le sanzioni vanno da 1 a 3 anni di reclusione per chi non comunica la variazione del reddito: la variazione del reddito è presunta nel caso in cui sia accertato che l’interessato lavora in nero o in grigio, cioè che ha un rapporto di lavoro non dichiarato o un rapporto per il quale è dichiarata una retribuzione più bassa, come il “finto part time”.

Reddito di cittadinanza: rifiuto offerta di lavoro

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In quali casi chi rifiuta un’offerta di lavoro potrà ottenere il nuovo reddito di cittadinanza?

Il reddito di cittadinanza spetta anche a chi rifiuta il lavoro? In base a quanto emerge dal decreto su reddito di cittadinanza e pensioni, per perdere il sussidio bisognerà rifiutare due offerte di lavoro, o un’offerta sola, in caso di rinnovo della prestazione. Tuttavia, è necessario che l’offerta di lavoro rifiutata sia congrua.

Che cosa si intende per offerta di lavoro congrua? I parametri che rendono congrua un’offerta lavorativa sono molto simili agli attuali requisiti che definiscono un’offerta di lavoro congrua ai fini della Naspi (ad oggi chi rifiuta un impiego congruo perde l’indennità di disoccupazione), ma risultano più elastici.

La congruità dell’offerta, ai fini della conservazione dello stato di disoccupazione, è commisurata su condizioni diverse, a seconda della durata del periodo di disoccupazione dell’interessato: ci si basa, comunque, sulla distanza del luogo di lavoro dall’abitazione, sullo stipendio e, per chi non è disoccupato da molto, sul settore di attività.

Per quanto riguarda l’offerta congrua ai fini del reddito di cittadinanza, pur tenendosi conto degli stessi requisiti, è tollerata una distanza maggiore della sede di lavoro dall’abitazione dell’interessato, sulla base della durata del sussidio: chi percepisce la prestazione da almeno 18 mesi, in pratica, deve adattarsi a qualsiasi offerta proposta nel territorio italiano, in base a quanto emerge dal decreto in materia.

Il tutto, tenendo presente, peraltro, che il reddito di cittadinanza non ha una durata illimitata, e che gli interessati saranno sottoposti a verifiche periodiche e dovranno effettuare dei lavori di pubblica utilità. La misura partirà a breve, dopo l’attuazione della riforma dei centri per l’impiego.

Ma procediamo per ordine, e facciamo il punto della situazione sul reddito di cittadinanza: rifiuto offerta di lavoro, in quali casi si perde il sussidio, quando l’offerta di lavoro è considerata congrua.

Che cos’è il reddito di cittadinanza?

Il reddito di cittadinanza consiste in un sussidio mensile, esentasse, accreditato a chi possiede un reddito sotto la soglia di povertà.

È considerato al di sotto della soglia di povertà ai fini del reddito di cittadinanza chi possiede un reddito inferiore ai 780 euro mensili, in caso di nucleo familiare che paga l’affitto o il mutuo, con un solo componente: in caso di nucleo con più componenti, il reddito è aumentato dello 0,4 per ogni componente maggiorenne e dello 0,2 per ogni componente minorenne, sino a un massimo di 2,1, quindi di 1.638 euro al mese.

Con riferimento al singolo componente, bisogna anche possedere una soglia di reddito personale non superiore ai 6mila euro annui, che sale a 7.560 euro se il beneficiario ha dai 67 anni in su, quindi ha diritto alla pensione di cittadinanza.

L’indicatore Isee della famiglia richiesto per il diritto al sussidio ammonta invece a 9.360 euro, e sono previsti ulteriori limiti, per il diritto al sussidio, legati al patrimonio mobiliare e immobiliare.

Il reddito di cittadinanza sarà riconosciuto con una carta acquisti, una sorta di bancomat, che consentirà di pagare le utenze, di acquistare beni e di prelevare contanti sino a 100 euro al mese.

A quanto ammonta il reddito di cittadinanza?

Il reddito di cittadinanza dovrebbe ammontare sino a un massimo di 780 euro per ogni persona adulta e disoccupata senza alcun reddito; per chi ha un reddito sotto soglia, il reddito di cittadinanza integrerà gli importi percepiti sino ad arrivare a 780 euro al mese. Nello specifico, l’importo del reddito di cittadinanza è determinato da due quote:

  • la prima quota, a integrazione del reddito familiare, ammonta a una soglia massima pari a 6mila euro annui, 500 euro al mese (630 euro al mese, 7.560 euro annui nel caso di pensione di cittadinanza) per il singolo componente; in presenza di più componenti si può arrivare a massimo 12.600 euro, cioè a 1.050 euro al mese;
  • la seconda quota, a integrazione del reddito familiare, è riconosciuta ai nuclei che pagano l’affitto dell’abitazione, ed è pari al canone annuo previsto dal contratto di affitto, sino a un massimo di 3.360 euro all’anno, 360 euro al mese (150 euro al mese, 1.800 euro annui nel caso di pensione di cittadinanza);
  • la seconda quota è pari alla rata del mutuo, fino a un massimo di 150 euro al mese, 1.800 euro annui, nel caso di nuclei familiari residenti in abitazioni di proprietà per il cui acquisto o per la cui costruzione sia stato stipulato un contratto di mutuo da un componente della famiglia.

In ogni caso il beneficio economico:
• non può superare la soglia di 9.360 euro annui (780 euro al mese) nel caso di nucleo familiare con un solo componente,
ridotta del valore del reddito familiare; la misura massima in caso di più componenti può arrivare a 19.656 euro all’anno (1.638 euro al mese , anche se nel concreto non si andrà sopra i 1.430 euro al mese);
• non può essere inferiore a 480 euro annui (40 euro al mese).

Quanto dura il reddito di cittadinanza?

Il reddito di cittadinanza durerà 18 mesi, e sarà rinnovabile, di volta in volta, previa verifica da parte dei servizi competenti, per altri 18 mesi.

Chi ha diritto al reddito di cittadinanza?

Ecco, nello specifico, quali sono i requisiti richiesti per ottenere il reddito di cittadinanza:

  • trovarsi in stato di disoccupazione o risultare inoccupati (cioè avere perso il posto o non aver mai lavorato); chi ha presentato le dimissioni è escluso dal reddito per un anno, così come chi è detenuto o ricoverato in una struttura a carico dello Stato;
  • essere cittadino italiano;
  • in alternativa, essere cittadino dell’Unione Europea, o suo familiare che sia titolare del diritto di soggiorno o del diritto di soggiorno permanente, oppure cittadino di Paesi terzi in possesso del permesso di soggiorno europeo per soggiornanti di lungo periodo o apolide in possesso di analogo permesso o titolare di protezione internazionale (asilo politico, protezione sussidiaria);
  • bisogna poi risiedere in Italia, in via continuativa, da almeno 10 anni al momento di presentazione della domanda;
  • bisogna percepire un reddito inferiore alla soglia di povertà, cioè sotto i 780 euro mensili; il requisito è da rapportare al parametro della scala di equivalenza, che dipende dai componenti del nucleo familiare;
  • bisogna possedere un Isee del nucleo familiare inferiore a 9.360 euro, da rapportare al parametro della scala di equivalenza;
  • bisogna possedere un valore del reddito familiare inferiore a 6 mila euro, per il singolo componente, o a 7.560 euro, in caso di pensione di cittadinanza; l’importo è elevato sino a 9.360 euro per chi paga l’affitto ed è da adeguare col parametro della scala di equivalenza;
  • è possibile possedere, oltre all’abitazione principale, un secondo immobile, che non deve avere un valore superiore a 30mila euro;
  • è possibile possedere un patrimonio mobiliare familiare (conti, carte prepagate, titoli, libretti, partecipazioni…) non superiore a 6mila euro; la soglia è incrementata di 2mila euro per ogni componente del nucleo familiare successivo al primo, fino ad un massimo di 10 mila euro, incrementati di ulteriori mille euro per ogni figlio successivo al secondo; i massimali sono ulteriormente incrementati di 5mila euro per ogni componente con disabilità presente nel nucleo;
  • nessun componente della famiglia deve possedere autoveicoli immatricolati da meno di 6 mesi, o con cilindrata superiore a 1.600 cc e motoveicoli di cilindrata superiore a 250 cc, immatricolati nei 2 anni precedenti, navi o imbarcazioni da diporto; sono esclusi i veicoli per disabili.

Dovrà quindi essere richiesta la dichiarazione Isee per beneficiare del reddito di cittadinanza, in quanto non conterà solo il reddito, ma si dovrà valutare anche il patrimonio posseduto dalla famiglia.

Chi lavora o percepisce la disoccupazione ha diritto al reddito di cittadinanza?

Il reddito di cittadinanza sarà compatibile con l’attività lavorativa: nello specifico, se il lavoratore ha un contratto part time, il suo salario sarà integrato, attraverso il reddito di cittadinanza, fino ad arrivare a un massimo di 780 euro al mese, da rapportare al parametro della scala di equivalenza, secondo il numero dei componenti del nucleo.

Naspi e altre prestazioni collegate allo stato di disoccupazione saranno compatibili col reddito di cittadinanza sino al limite di 780 euro mensili.

Il reddito di cittadinanza obbliga a lavorare?

In base a quanto previsto dal decreto, il reddito di cittadinanza obbliga il beneficiario non solo a cercare assiduamente un lavoro ed a riqualificarsi, ma anche ad offrire sino a 8 ore alla settimana di lavoro gratuito per il proprio Comune di residenza.

Non si potrà stare in casa a far nulla: le attività lavorative e di riqualificazione non ne lasceranno il tempo.

Per quanto riguarda, nello specifico, la partecipazione alle iniziative di politica attiva del lavoro previste per il beneficiario del reddito, sarà obbligatorio (a meno che l’interessato non sia over 65, disabile o con carichi di cura) sottoscrivere il patto per il lavoro, obbligandosi a:

  • collaborare con l’operatore addetto alla redazione del bilancio delle competenze, ai fini della definizione del patto per il lavoro;
  • accettare espressamente gli obblighi e rispettare gli impegni previsti nel patto per il lavoro e, in particolare:
    • registrarsi sull’apposita piattaforma digitale, e consultarla quotidianamente come supporto nella ricerca del lavoro;
    • svolgere attività di ricerca attiva di lavoro, secondo le modalità definite nel patto;
    • accettare di essere avviato ai corsi di formazione o riqualificazione professionale, o ai progetti per favorire l’auto-imprenditorialità, secondo le modalità individuate nel patto, tenuto conto del bilancio delle competenze, delle inclinazioni professionali o di eventuali specifiche propensioni;
    • sostenere i colloqui psicoattitudinali e le eventuali prove di selezione finalizzate all’assunzione, su indicazione dei servizi competenti e in attinenza alle competenze certificate;
    • accettare almeno una di tre offerte di lavoro congrue; in caso di rinnovo del beneficio deve essere accettata, a pena di decadenza dal beneficio, la prima offerta utile di lavoro congrua;
    • offrire la propria disponibilità per la partecipazione a progetti comunali utili alla collettività, in ambito culturale, sociale, artistico, ambientale, formativo e di tutela dei beni comuni, da svolgere presso il comune di residenza, mettendo a disposizione un massimo di 8 ore alla settimana.

Chi ha un lavoro a tempo pieno, ma è sottopagato, avrà comunque diritto all’integrazione del reddito, senza bisogno di partecipare alle iniziative di politica attiva del lavoro.

Chi si rifiuterà di lavorare per il proprio Comune perderà il sussidio; il reddito si perderà anche nel caso in cui si rifiutino tre offerte di lavoro congrue, o la prima offerta congrua, in caso di sussidio percepito da oltre 12 mesi.

Quando l’offerta di lavoro è congrua per la disoccupazione?

Vediamo ora, nel dettaglio, quali sono le condizioni che fanno sì che un’offerta di lavoro sia considerata congrua, quindi che non possa essere rifiutata dal lavoratore, pena la perdita dello stato e dell’indennità di disoccupazione.

I requisiti dell’offerta di lavoro congrua cambiano a seconda della durata della disoccupazione dell’interessato.

In particolare:

  • se il lavoratore è disoccupato da non più di 6 mesi, l’offerta di lavoro:
    • dal punto di vista della coerenza professionale, deve riguardare uno dei settori individuati nel patto di servizio sottoscritto dal lavoratore;
    • la retribuzione offerta deve essere maggiore di 1,2 volte l’indennità di disoccupazione percepita, se il disoccupato percepisce un trattamento di sostegno al reddito;
    • la distanza dal luogo di lavoro non può essere superiore a 50 km (35 km in mancanza di mezzi pubblici) o sia raggiungibile in media in 80 minuti con mezzi pubblici;
  • se il lavoratore è disoccupato da 6 a 12 mesi, l’offerta di lavoro:
    • dal punto di vista della coerenza professionale, deve riguardare uno dei settori individuati nel patto di servizio sottoscritto dal lavoratore, o contigui ai settori individuati;
    • la retribuzione offerta deve essere maggiore di 1,2 volte l’indennità di disoccupazione percepita, se il disoccupato percepisce un trattamento di sostegno al reddito;
    • la distanza dal luogo di lavoro non può essere superiore a 50 km (35 km in mancanza di mezzi pubblici) o sia raggiungibile in media in 80 minuti con mezzi pubblici;
  • se il lavoratore è disoccupato da oltre 12 mesi, l’offerta di lavoro:
    • dal punto di vista della coerenza professionale, può riguardare qualsiasi settore lavorativo;
    • la retribuzione offerta deve essere maggiore di 1,2 volte l’indennità di disoccupazione percepita, se il disoccupato percepisce un trattamento di sostegno al reddito;
    • la distanza dal luogo di lavoro non può essere superiore a 80 km (56 km in mancanza di mezzi pubblici) o sia raggiungibile in media in 100 minuti con mezzi pubblici.

Il rapporto di lavoro, per quanto riguarda la durata, deve essere:

  • a tempo indeterminato;
  • a termine o con contratto di somministrazione, con una durata di almeno tre mesi.

Per quanto riguarda l’orario di lavoro, il rapporto deve essere a tempo pieno, o a tempo parziale, con un orario non inferiore all’80% rispetto all’orario dell’ultimo contratto di lavoro.

Lo stipendio previsto, poi, non deve essere inferiore ai minimi della contrattazione collettiva.

Quando l’offerta di lavoro è congrua per il reddito di cittadinanza?

Ai fini del reddito di cittadinanza, all’offerta di lavoro si applicano condizioni in parte diverse perché sia definita congrua:

  • se il lavoratore percepisce il reddito di cittadinanza da non più di 6 mesi, l’offerta di lavoro deve avere le seguenti caratteristiche:
    • dal punto di vista della coerenza professionale, deve riguardare uno dei settori individuati nel patto di servizio sottoscritto dal lavoratore;
    • la retribuzione offerta deve essere maggiore di 1,2 volte l’indennità di disoccupazione percepita, se il disoccupato percepisce un trattamento di sostegno al reddito;
    • la distanza dal luogo di lavoro non può essere superiore a 100 km dalla residenza dell’interessato, o comunque deve essere raggiungibile in 100 minuti con i mezzi di trasporto pubblici, se si tratta di prima offerta; la distanza dal luogo di lavoro non può essere superiore a 250 km dalla residenza dell’interessato se si tratta di seconda offerta; la sede di lavoro può trovarsi ovunque, nel territorio italiano, se si tratta di terza offerta;
  • se il lavoratore percepisce il reddito di cittadinanza da oltre 6 mesi, l’offerta di lavoro deve avere le seguenti caratteristiche:
    • dal punto di vista della coerenza professionale, deve riguardare uno dei settori individuati nel patto di servizio sottoscritto dal lavoratore, o contigui ai settori individuati;
    • la retribuzione offerta deve essere maggiore di 1,2 volte l’indennità di disoccupazione percepita, se il disoccupato percepisce un trattamento di sostegno al reddito;
    • la distanza dal luogo di lavoro non può essere superiore a 100 km dalla residenza dell’interessato, o comunque deve essere raggiungibile in 100 minuti con i mezzi di trasporto pubblici, se si tratta di prima offerta; la distanza dal luogo di lavoro non può essere superiore a 250 km dalla residenza dell’interessato se si tratta di seconda offerta; la sede di lavoro può trovarsi ovunque, nel territorio italiano, se si tratta di terza offerta;
  • se il lavoratore ha ottenuto il rinnovo del reddito di cittadinanza, l’offerta di lavoro deve avere le seguenti caratteristiche:
    • dal punto di vista della coerenza professionale, può riguardare qualsiasi settore lavorativo;
    • la retribuzione offerta deve essere maggiore di 1,2 volte l’indennità di disoccupazione percepita, se il disoccupato percepisce un trattamento di sostegno al reddito;
    • la sede di lavoro, esclusivamente nel caso in cui nel nucleo familiare non siano presenti componenti di minore età o disabili, può trovarsi ovunque nel territorio italiano; in questo caso, il beneficiario continua a percepire il reddito di cittadinanza per altri 3 mesi, a titolo di compensazione per le spese di trasferimento sostenute.

Anche in questo caso, il rapporto di lavoro, per quanto riguarda la durata, può essere stipulato:

  • a tempo indeterminato;
  • a termine o con contratto di somministrazione, con una durata di almeno tre mesi.

Per quanto riguarda l’orario di lavoro, il rapporto deve essere a tempo pieno o a tempo parziale, con un orario non inferiore all’80% rispetto all’orario dell’ultimo contratto di lavoro.

La retribuzione prevista non deve essere inferiore ai minimi della contrattazione collettiva. In base a un recente emendamento al decreto, la retribuzione deve risultare superiore alla misura massima del reddito di cittadinanza fruibile dal singolo (vale a dire a 780 euro mensili), più il 10%: in parole semplici, l’offerta di lavoro, per essere considerata congrua, deve offrire uno stipendio mensile almeno pari a 858 euro (780 euro +78  euro, il 10%).

Bonus assunzione con reddito di cittadinanza

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In arrivo nuove agevolazioni per le imprese che assumono disoccupati beneficiari del reddito di cittadinanza.

Fino a 18 mesi di reddito di cittadinanza per le aziende che assumeranno i disoccupati beneficiari della misura: in “soldoni”, assumere un disoccupato avente diritto al reddito di cittadinanza potrebbe fruttare all’impresa un risparmio sino a 14040 euro, cioè a 780 euro, l’importo massimo mensile del sussidio, per 18 mesi, il periodo massimo di godimento del reddito.

In particolare, in caso di assunzione a tempo pieno e indeterminato, è riconosciuto, sotto forma di esonero dal versamento dei contributi previdenziali e assistenziali a carico del lavoratore e del datore di lavoro, un importo pari alla differenza tra 18 mensilità di reddito di cittadinanza e l’importo del sussidio già goduto dal beneficiario assunto.

L’incentivo potrà essere poi accompagnato dagli sgravi contributivi per l’assunzione di disoccupati, come il bonus assunzione Mezzogiorno, che è recentemente stato prorogato, o il nuovo sgravio contributivo del 50% per l’assunzione di under 35 o, ancora, il nuovo bonus assunzione giovani eccellenze, rivolto ai datori di lavoro che assumeranno laureati con un voto pari a 100 e lode o dottori di ricerca.

Ma le agevolazioni non finiscono qui: le imprese che assumeranno disoccupati beneficiari del reddito di cittadinanza, difatti, potranno usufruire del bonus formazione, ossia di percorsi di formazione gratuiti per riqualificare i nuovi assunti.

Il tutto sarà accompagnato da una radicale riforma dei centri per l’impiego: tutti i centri, in particolare, saranno dotati di un nuovo sportello per le imprese, dedicato all’incontro tra domanda e offerta di lavoro. Ciò che vuol fare il Governo, a questo proposito, è rilanciare il canale dei centri per l’impiego, cioè degli ex uffici di collocamento, perché tornino ad essere, come in origine, la corsia preferenziale per trovare un nuovo lavoro e perché smettano di rappresentare uno strumento inefficace e inutilizzato dalle imprese.  Ad oggi, in effetti, sono veramente pochissimi i datori di lavoro che si rivolgono ai centri per l’impiego per trovare nuovi addetti, così come sono pochissimi i lavoratori che sperano di trovare un’occupazione grazie a queste strutture. Tutto, secondo quanto affermato dal Governo, cambierà con la riforma di questi centri, il cui organico sarà rafforzato e gli strumenti potenziati.

Ma procediamo per ordine, e cerchiamo di capire meglio come funziona il bonus assunzione con reddito di cittadinanza.

Quando parte il reddito di cittadinanza?

Innanzitutto, bisogna tener presente che il bonus assunzione non potrà partire sin quando non sarà operativo il reddito di cittadinanza. Ma quando partirà questa nuova misura? In base a quanto recentemente reso noto, le domande per il reddito di cittadinanza potranno essere inviate da marzo 2019, ed il sussidio inizierà ad essere riconosciuto a partire da fine aprile 2019.

Il reddito di cittadinanza è recentemente diventato operativo col cosiddetto pacchetto previdenza, un decreto legge in materia di assistenza e pensioni.

A quanto ammonta il reddito di cittadinanza?

Il reddito di cittadinanza, per un single, può arrivare sino a un massimo di 780 euro al mese. Il sussidio viene tagliato per chi non paga l’affitto della prima casa, e per chi già percepisce un reddito, o altre prestazioni di assistenza. Il sussidio, invece, aumenta per i nuclei familiari con più componenti: nello specifico, l’aumento è pari allo 0,4 per ogni  familiare adulto, ed allo 0,2 per ogni familiare minorenne, sino a un massimo del 2,1.

Per approfondire: Importo del reddito di cittadinanza.

Chi ha diritto al reddito di cittadinanza?

Ricordiamo brevemente quali sono i requisiti previsti per aver diritto al reddito di cittadinanza.

Possono chiedere il reddito di cittadinanza i cittadini maggiorenni che soddisfano una delle seguenti condizioni:

  • si trovano in stato di disoccupazione o risultano inoccupati (cioè hanno perso il posto o non hanno mai lavorato); coloro che hanno presentato le dimissioni sono esclusi dal reddito per un anno, così come i detenuti ed i ricoverati in una struttura a carico dello Stato;
  • sono in possesso della cittadinanza italiana o di paesi facenti parte dell’Unione europea, o sono familiari di un titolare del diritto di soggiorno o del diritto di soggiorno permanente, o cittadini di Paesi terzi in possesso del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo;
  • sono residenti in Italia da almeno 10 anni, di cui gli ultimi due, considerati al momento della presentazione della domanda e per tutta la durata dell’erogazione del beneficio, in modo continuativo;
  • percepiscono un reddito di lavoro inferiore alla soglia di povertà, cioè sotto i 780 euro mensili;
  • percepiscono una pensione inferiore alla soglia di povertà, pari, come abbiamo detto, a 780 euro mensili;
  • possiedono un Isee del nucleo familiare inferiore a 9.360 euro;
  • possiedono un valore del reddito familiare inferiore a 6 mila euro, per il singolo componente, o a 7.560 euro, in caso di pensione di cittadinanza; l’importo è elevato sino a 9.360 euro per chi paga l’affitto ed è da adeguare col parametro della scala di equivalenza;
  • possiedono al massimo due immobili nel nucleo familiare, ma il secondo immobile non deve avere un valore superiore a 30mila euro;
  • possiedono un patrimonio mobiliare familiare (conti, carte prepagate, titoli, libretti, partecipazioni…) non superiore a 6mila euro; la soglia è incrementata di 2mila euro per ogni componente del nucleo familiare successivo al primo, fino ad un massimo di 10 mila euro, incrementati di ulteriori mille euro per ogni figlio successivo al secondo; i  massimali sono ulteriormente incrementati di 5mila euro per ogni componente con disabilità, come definita a fini Isee, presente nel nucleo;
  • nessun componente del nucleo deve possedere autoveicoli immatricolati da meno di 6 mesi, o con cilindrata superiore a 1.600 cc e motoveicoli di cilindrata superiore a 250 cc, immatricolati nei 2 anni precedenti, navi o imbarcazioni da diporto; sono esclusi i veicoli per disabili.

Risulta dunque indispensabile presentare la dichiarazione Isee per beneficiare del reddito o della pensione di cittadinanza.

A quanto ammonta il bonus assunzione con reddito di cittadinanza?

A favore dei datori di lavoro che assumono i beneficiari del sussidio, sono previsti diversi incentivi, a condizione che siano comunicate alla piattaforma digitale dedicata al reddito di cittadinanza le disponibilità dei posti vacanti.

In primo luogo, in caso di assunzione a tempo pieno e indeterminato, è riconosciuto, sotto forma di esonero dal versamento dei contributi previdenziali e assistenziali a carico del lavoratore e del datore di lavoro (con esclusione dei premi e contributi dovuti all’Inail), un importo pari alla differenza tra 18 mensilità di reddito di cittadinanza e l’importo del sussidio già goduto dal beneficiario assunto.

L’importo delle mensilità di sgravio concesse è pari a 5, nel caso in cui il lavoratore assunto risulti beneficiario del sussidio in fase di rinnovo (cioè dopo i primi 18 mesi di fruizione).

In ogni caso, il beneficio non può essere inferiore a 5 mensilità, e può ammontare a un massimo di 780 euro mensili. Il beneficio mensile non può comunque eccedere l’ammontare totale dei contributi previdenziali ed assistenziali a carico del datore di lavoro e del lavoratore, relativamente alle mensilità incentivate.

L’esonero contributivo è pari alla metà della differenza tra 18 mensilità di reddito di cittadinanza e l’importo del sussidio già goduto dal lavoratore, sino a un massimo di 390 euro mensili, in caso di assunzione grazie a un percorso di formazione.

Bonus assunzione con reddito di cittadinanza: requisiti

Per il diritto al bonus assunzione si devono rispettare i principi stabiliti dal decreto di riordino degli ammortizzatori sociali [1]: l’assunzione non deve costituire l’attuazione di un obbligo preesistente, non deve violare il diritto di precedenza, non devono essere in atto sospensioni dal lavoro connesse ad una crisi o riorganizzazione aziendale, non deve trattarsi di un dipendente licenziato nei 6 mesi precedenti da un datore di lavoro con assetti proprietari sostanzialmente coincidenti, o in rapporto di collegamento o controllo… Per saperne di più: Incentivi all’assunzione, le condizioni

Per aver diritto alle agevolazioni,  i datori di lavoro devono inoltre:

  • essere in possesso del Durc, il documento unico di regolarità contributiva;
  • rispettare gli accordi e i contratti collettivi nazionali, regionali, territoriali o aziendali, se sottoscritti, stipulati dalle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale;
  • rispettare le disposizioni previste in materia di aiuti “de minimis” [2].

Reddito di cittadinanza 2019

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Pensione minima e reddito minimo contro la povertà: come funziona, a quanto ammonta, a chi spetta, quali requisiti e adempimenti per ottenerlo?

Sarà operativo tra poco tempo il reddito di cittadinanza da 780 euro al mese, che viene riconosciuto a due fasce di destinatari: alle famiglie con soli componenti over 67 è erogata la pensione minima di cittadinanza, che costituisce, di fatto, un’integrazione di tutte le pensioni sotto la soglia di povertà. Il reddito di cittadinanza spetta invece a tutti coloro che, in età lavorativa, si trovano sotto la soglia di povertà. I primi assegni sono attesi a partire dal 27 aprile 2019.

È quanto recentemente annunciato dal nuovo Governo, che ha inserito il reddito di cittadinanza tra gli interventi previsti successivamente all’entrata in vigore della legge di Bilancio 2019, in un apposito decreto in materia di previdenza e assistenza.

Ai cittadini, in cambio del sussidio mensile sino a 780 euro, si richiede però la ricerca assidua di un’occupazione, la frequenza di corsi di formazione e di 8 ore di lavoro a favore del proprio Comune di residenza. Sono esclusi i disabili, coloro che hanno compiuto 67 anni, gli studenti e coloro che già lavorano.

Il sussidio risulta sicuramente più incisivo rispetto all’attuale reddito d’inclusione Rei, dato che quest’ultima misura, attualmente vigente, offre un reddito massimo di quasi 540 euro mensili, per una famiglia di 5 e più persone (gli importi sono inferiori per i nuclei familiari di meno componenti, si parte da un minimo di circa 190 euro al mese); il reddito di cittadinanza richiede tuttavia un impegno notevole per il beneficiario, e il soddisfacimento di numerose condizioni.

La riforma dei centri per l’impiego, in base a quanto afferma il Governo, dovrebbe comunque trasformare il reddito di cittadinanza in una misura straordinaria, favorendo l’incontro tra domanda e offerta di lavoro ed assicurando realmente il collocamento dei disoccupati, aspetto in cui gli attuali strumenti previsti in abbinamento al Rei si sono rivelati poco efficaci.

Resta ad ogni modo il problema delle risorse necessarie per la pensione minima di cittadinanza da 780 euro, che dovrebbe costituire una misura strutturale, non essendo possibile chiedere ai pensionati di cercare lavoro per aumentare il reddito: le risorse necessarie potrebbero risultare ad ogni modo sostenibili, con la riduzione del sussidio per chi non paga l’affitto e grazie alla previsione dei limiti di reddito Isee e dei limiti patrimoniali.

Ma procediamo per ordine, e facciamo il punto della situazione sul reddito di cittadinanza 2019: come funziona, chi sono i beneficiari, a quanto ammonta, quali sono i requisiti e gli adempimenti richiesti, come ottenerlo.

Come funziona il reddito di cittadinanza?

Cerchiamo innanzitutto di capire le caratteristiche fondamentali del nuovo reddito di cittadinanza: questo sussidio consiste in una prestazione economica mensile, esentasse, accreditata a favore di coloro che possiedono un reddito sotto la soglia di povertà, assieme a ulteriori requisiti patrimoniali.

È considerato al di sotto della soglia di povertà ai fini del reddito di cittadinanza chi possiede un reddito inferiore ai 780 euro mensili, in caso di nucleo familiare con un solo componente, su cui grava l’affitto o il mutuo: in caso di nucleo con più componenti, il reddito è aumentato dello 0,4 per il coniuge e dello 0,2 per ogni figlio minore, sino a un massimo di 2,1. Con riferimento al singolo componente, bisogna anche possedere una soglia di reddito personale non superiore ai 6mila euro annui, che sale a 7.560 euro se il beneficiario ha diritto alla pensione di cittadinanza.

L’indicatore Isee della famiglia (si tratta, in pratica, di un indice che “misura la ricchezza delle famiglie”) richiesto per il diritto al sussidio ammonta a 9.360 euro. Inoltre sono previsti limiti legati al patrimonio mobiliare e immobiliare.

La prestazione è accreditata con una carta acquisti, una carta Postepay, che consentirà di pagare le utenze, l’affitto e il mutuo, di prelevare contanti sino a un massimo di 210 euro al mese e l’acquisto di beni e servizi di base.

Come funziona la pensione di cittadinanza?

Il reddito di cittadinanza non interessa soltanto i lavoratori che si trovano sotto la soglia di povertà, ma anche i pensionati. A questo proposito, la nuova normativa dispone infatti che, per i nuclei familiari composti esclusivamente da uno o più componenti di età pari o superiore a 67 anni, il reddito di cittadinanza assume la denominazione di pensione di cittadinanza, quale misura di contrasto alla povertà delle persone anziane. I requisiti per l’accesso e le regole di
definizione del beneficio economico sono le stesse del reddito di cittadinanza, salvo dove diversamente specificato. L’attuale integrazione al trattamento minimo, pari a 513 euro mensili, e le ulteriori maggiorazioni, sono dunque ulteriormente integrate dalla pensione di cittadinanza per chi ne ha i requisiti.

Anche la pensione di cittadinanza è accreditata su carta acquisti.

A quanto ammonta il reddito di cittadinanza?

Il reddito di cittadinanza e la pensione di cittadinanza ammontano a un massimo di 780 euro mensili per ogni persona adulta senza reddito, con un mutuo o l’affitto a carico; per chi ha un reddito sotto soglia, il reddito di cittadinanza integra gli importi percepiti sino ad arrivare a 780 euro al mese. Nello specifico, l’importo del reddito di cittadinanza è determinato da due quote:

  • la prima quota, a integrazione del reddito familiare, ammonta a una soglia massima pari a 6mila euro annui, 500 euro al mese (630 euro al mese, 7.560 euro annui nel caso di pensione di cittadinanza) per il singolo componente; in presenza di più componenti si può arrivare a massimo 12.600 euro, cioè a 1.050 euro al mese (1.323 euro al mese, 15.876 euro annui per la pensione di cittadinanza);
  • la seconda quota, a integrazione del reddito familiare, è riconosciuta ai nuclei che pagano l’affitto dell’abitazione, ed è pari al canone annuo previsto dal contratto di affitto, sino a un massimo di 3.360 euro all’anno, 280 euro al mese (150 euro al mese, 1.800 euro annui per chi percepisce la pensione di cittadinanza);
  • la seconda quota è pari alla rata del mutuo, fino a un massimo di 150 euro al mese, 1.800 euro annui, nel caso di nuclei familiari residenti in abitazioni di proprietà per il cui acquisto o per la cui costruzione sia stato stipulato un contratto di mutuo da un componente della famiglia.

In ogni caso il beneficio economico:
• non può superare la soglia di 9.360 euro annui (780 euro al mese) nel caso di nucleo familiare con un solo componente,
ridotta del valore del reddito familiare; la misura massima in caso di più componenti può arrivare, in teoria, a 19.656 euro annui, 1.638 euro mensili; in concreto, per il 2019, la soglia massima arriva a 1.330 euro mensili per il reddito di cittadinanza ed a 1.473 euro mensili per la pensione di cittadinanza;
• non può essere inferiore a 480 euro annui (40 euro al mese).

Come aumenta il reddito di cittadinanza?

Facciamo alcuni esempi per capire come aumenta il reddito di cittadinanza, al crescere dei componenti del nucleo familiare.

Per un single senza reddito che paga l’affitto, la quota base del reddito è 500 euro al mese, a cui vanno aggiunti 280 euro d’integrazione per il canone di locazione (ipotizzando che sia pari o superiore a 280 euro al mese): l’importo ammonta dunque a 780 euro mensili.

Per una famiglia di tre persone che paga l’affitto, con genitori disoccupati a reddito zero e figlio minorenne a carico, il reddito di cittadinanza del nucleo aumenta del 40% per il coniuge e del 20% per il figlio minore: in pratica, l’importo della quota base di 500 euro va aumentato dello 0,4 e dello 0,2, quindi ammonta a 800 euro, ai quali vanno aggiunti i 280 euro mensili d’integrazione per l’affitto. Il reddito mensile ammonta quindi a 1080 euro.

Per una famiglia di 5 persone, con genitori disoccupati a reddito zero e 3 figli minorenni a carico, il reddito di cittadinanza del nucleo aumenta del 40% per il coniuge e del 20% per ogni figlio minore: in pratica, l’importo della quota base di 500 euro va aumentato dello 0,4 e dello 0,6, quindi ammonta a mille euro, ai quali vanno aggiunti i 280 euro mensili d’integrazione per l’affitto. Il reddito mensile ammonta quindi a 1280 euro.

Il reddito di cittadinanza e la pensione di cittadinanza sono esentasse e non pignorabili.

Chi ha diritto al reddito di cittadinanza?

Possono chiedere il reddito di cittadinanza e la pensione di cittadinanza i cittadini maggiorenni che soddisfano le seguenti condizioni:

  • si trovano in stato di disoccupazione o risultano inoccupati (cioè hanno perso il posto o non hanno mai lavorato); se beneficiari di pensione di cittadinanza, studenti o lavoratori, il requisito non è richiesto; coloro che hanno presentato le dimissioni sono esclusi dal reddito per un anno, così come i detenuti ed i ricoverati in una struttura a carico dello Stato;
  • sono in possesso della cittadinanza italiana o di paesi facenti parte dell’Unione europea, o sono familiari di un titolare del diritto di soggiorno o del diritto di soggiorno permanente, o cittadini di Paesi terzi in possesso del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo;
  • sono residenti in Italia da almeno 10 anni, di cui gli ultimi due, considerati al momento della presentazione della domanda e per tutta la durata dell’erogazione del beneficio, in modo continuativo;
  • possiedono un Isee del nucleo familiare inferiore a 9.360 euro;
  • possiedono un valore del reddito familiare inferiore a 6 mila euro, per il singolo componente, o a 7.560 euro, in caso di pensione di cittadinanza; l’importo è elevato sino a 9.360 euro per chi paga l’affitto ed è da adeguare col parametro della scala di equivalenza;
  • possiedono immobili, oltre alla prima casa, per un valore inferiore a 30mila euro;
  • possiedono un patrimonio mobiliare familiare (conti, carte prepagate, titoli, libretti, partecipazioni…) non superiore a 6mila euro; la soglia è incrementata di 2mila euro per ogni componente del nucleo familiare successivo al primo, fino ad un massimo di 10 mila euro, incrementati di ulteriori mille euro per ogni figlio successivo al secondo; i massimali sono ulteriormente incrementati di 5mila euro per ogni componente con disabilità, come definita a fini Isee, presente nel nucleo;
  • nessun componente del nucleo deve possedere autoveicoli immatricolati da meno di 6 mesi, o con cilindrata superiore a 1.600 cc e motoveicoli di cilindrata superiore a 250 cc, immatricolati nei 2 anni precedenti, navi o imbarcazioni da diporto; sono esclusi i veicoli per disabili;
  • è presente una  dichiarazione Isee in corso di validità per il nucleo familiare.

Chi lavora o percepisce la disoccupazione ha diritto al reddito di cittadinanza?

Il reddito di cittadinanza, come abbiamo osservato, è compatibile con l’attività lavorativa: nello specifico, se il lavoratore ha un contratto part time, il suo salario viene integrato, attraverso il reddito di cittadinanza, fino ad arrivare a 780 euro al mese. L’integrazione non potrà superare i 500 euro al mese.

Naspi e altre prestazioni collegate allo stato di disoccupazione saranno compatibili col reddito di cittadinanza sino al limite di 780 euro mensili.

Chi percepisce prestazioni di assistenza avrà diritto al reddito di cittadinanza?

Il decreto prevede che ai fini del reddito di cittadinanza, il reddito familiare è determinato al netto dei trattamenti assistenziali eventualmente inclusi nell’Isee non più in godimento, ed include i trattamenti assistenziali in corso di godimento da parte dei componenti del nucleo familiare, fatta eccezione per le prestazioni non sottoposte alla prova dei mezzi, come l’assegno di accompagnamento.

Nel valore dei trattamenti di assistenza non rilevano il pagamento di arretrati, le riduzioni nella compartecipazione al costo dei servizi e le esenzioni e agevolazioni per il pagamento di tributi, i rimborsi di spese sostenute, i buoni servizio o altri  titoli che svolgono la funzione di sostituzione di servizi. Non rileva il bonus bebè.

Per ottenere il reddito di cittadinanza si deve lavorare?

In base a quanto previsto dal decreto in materia, il reddito di cittadinanza obbligherà il beneficiario non solo a cercare assiduamente un lavoro ed a riqualificarsi, ma anche a svolgere gratuitamente attività per il proprio Comune di residenza.

Chi si rifiuterà di lavorare perderà il sussidio. Saranno però esonerati i disabili (come definiti dalla legge sul collocamento mirato), gli studenti e coloro che già lavorano, nonché coloro che percepiscono la pensione di cittadinanza. Possono essere esonerati coloro che hanno carichi di cura ed i disabili gravi, come definiti ai fini Isee.

Per quanto riguarda, poi, la partecipazione alle iniziative di politica attiva del lavoro previste per il beneficiario del reddito, sarà obbligatorio (a meno che l’interessato non sia pensionato o esonerato):

  • iscriversi presso i centri per l’impiego e offrire subito la disponibilità al lavoro;
  • iniziare un percorso per essere accompagnati nella ricerca del lavoro dimostrando la reale volontà di trovare un impiego;
  • offrire la propria disponibilità per progetti comunali utili alla collettività;
  • frequentare percorsi per la qualifica o la riqualificazione professionale;
  • effettuare ricerca attiva del lavoro quotidianamente;
  • comunicare tempestivamente qualsiasi variazione del reddito;
  • accettare uno dei primi tre lavori congrui che verranno offerti, o il primo lavoro, in fase di rinnovo della percezione del sussidio; in base a un recente emendamento al decreto, un’offerta di lavoro non può essere considerata congrua se la retribuzione non risulta almeno pari a 858 euro mensili.

Chi ha un lavoro a tempo pieno, ma è sottopagato, avrà comunque diritto all’integrazione del reddito, senza bisogno di partecipare alle iniziative di politica attiva del lavoro. Ma vediamo più nel dettaglio tutti gli adempimenti per ottenere il reddito di cittadinanza.

Quali sono gli adempimenti per mantenere il reddito di cittadinanza?

Una volta ottenuto il sussidio, i componenti del nucleo familiare maggiorenni devono dichiarare l’immediata disponibilità al lavoro, presso i centri per l’impiego o tramite un’apposita piattaforma digitale (Siulp), entro 30 giorni dal riconoscimento del beneficio.

Sono esonerati i componenti del nucleo studenti, disabili (come definiti dalla normativa sul collocamento mirato), con carichi di cura, già occupati o di età pari o superiore a 65 anni.

Il richiedente, se non rientra tra gli esonerati, entro 30 giorni dal riconoscimento del beneficio, è convocato dal centro per l’impiego se uno dei componenti della sua famiglia:

  • è disoccupato da non più di due anni;
  • ha un’età inferiore ai 26 anni;
  • è beneficiario della Naspi, di un altro sussidio di disoccupazione, o ne ha terminato la fruizione da non più di un anno;
  • ha sottoscritto un Patto di servizio in corso di validità presso i centri per l’impiego.

La dichiarazione di immediata disponibilità deve essere resa anche dagli altri componenti non esonerati del nucleo, entro i 30 giorni successivi al primo incontro del richiedente o del suo sostituto.

Patto per il lavoro

I beneficiari del reddito di cittadinanza non esonerati dagli obblighi devono stipulare, presso un centro per l’impiego o un intermediario accreditato, un patto per il lavoro, che ha le stesse caratteristiche del patto di servizio personalizzato previsto per chi richiede l’indennità di disoccupazione, ma prevede delle attività aggiuntive.

In particolare, sottoscrivendo il patto per il lavoro ci si obbliga a:

  • collaborare con l’operatore addetto alla redazione del bilancio delle competenze, ai fini della definizione del patto per il lavoro;
  • accettare espressamente gli obblighi e rispettare gli impegni previsti nel patto per il lavoro e, in particolare:
  • registrarsi sull’apposita piattaforma digitale, e consultarla quotidianamente come supporto nella ricerca del lavoro;
  • svolgere attività di ricerca attiva di lavoro, secondo le modalità definite nel patto;
  • accettare di essere avviato ai corsi di formazione o riqualificazione professionale, o ai progetti per favorire l’auto-imprenditorialità, secondo le modalità individuate nel patto, tenuto conto del bilancio delle competenze, delle inclinazioni professionali o di eventuali specifiche propensioni;
  • sostenere i colloqui psicoattitudinali e le eventuali prove di selezione finalizzate all’assunzione, su indicazione dei servizi competenti e in attinenza alle competenze certificate;
  • accettare almeno una di tre offerte di lavoro congrue; in caso di fruizione del beneficio in fase di rinnovo, deve essere accettata, a pena di decadenza dal beneficio, la prima offerta utile di lavoro congrua;
  • offrire la propria disponibilità per la partecipazione a progetti comunali utili alla collettività, in ambito culturale, sociale, artistico, ambientale, formativo e di tutela dei beni comuni, da svolgere presso il comune di residenza, mettendo a disposizione un massimo di 8 ore alla settimana.

Patto per l’inclusione sociale

Nel caso in cui la famiglia affronti problematiche complesse, non legate soltanto alla mancanza di lavoro, e una condizione di forte disagio e povertà, i beneficiari devono sottoscrivere un patto per l’inclusione sociale, che coinvolge i centri per l’impiego, i servizi sociali e gli altri servizi territoriali competenti.

Quando non si può rifiutare un’offerta di lavoro?

Chi percepisce il reddito di cittadinanza deve accettare almeno una di tre offerte di lavoro congrue, la prima offerta di lavoro congrua in fase di rinnovo del sussidio.

Ma quando un’offerta di lavoro è congrua ai fini del reddito di cittadinanza? In base a quanto disposto dal decreto sul reddito di cittadinanza:

  • se il lavoratore percepisce il reddito di cittadinanza da non più di 6 mesi, l’offerta di lavoro deve avere le seguenti caratteristiche:
    • dal punto di vista della coerenza professionale, deve riguardare uno dei settori individuati nel patto di servizio sottoscritto dal lavoratore;
    • la retribuzione offerta deve essere maggiore di 1,2 volte l’indennità di disoccupazione percepita, se il disoccupato percepisce un trattamento di sostegno al reddito;
    • la distanza dal luogo di lavoro non può essere superiore a 100 km dalla residenza dell’interessato, o comunque deve essere raggiungibile in 100 minuti con i mezzi di trasporto pubblici, se si tratta di prima offerta; la distanza dal luogo di lavoro non può essere superiore a 250 km dalla residenza dell’interessato se si tratta di seconda offerta; la sede di lavoro può trovarsi ovunque, nel territorio italiano, se si tratta di terza offerta;
  • se il lavoratore percepisce il reddito di cittadinanza da oltre 6 mesi, l’offerta di lavoro deve avere le seguenti caratteristiche:
    • dal punto di vista della coerenza professionale, deve riguardare uno dei settori individuati nel patto di servizio sottoscritto dal lavoratore, o contigui ai settori individuati;
    • la retribuzione offerta deve essere maggiore di 1,2 volte l’indennità di disoccupazione percepita, se il disoccupato percepisce un trattamento di sostegno al reddito;
    • la distanza dal luogo di lavoro non può essere superiore a 100 km dalla residenza dell’interessato, o comunque deve essere raggiungibile in 100 minuti con i mezzi di trasporto pubblici, se si tratta di prima offerta; la distanza dal luogo di lavoro non può essere superiore a 250 km dalla residenza dell’interessato se si tratta di seconda offerta; la sede di lavoro può trovarsi ovunque, nel territorio italiano, se si tratta di terza offerta;
  • se il lavoratore ha ottenuto il rinnovo del reddito di cittadinanza, l’offerta di lavoro deve avere le seguenti caratteristiche:
    • dal punto di vista della coerenza professionale, può riguardare qualsiasi settore lavorativo;
    • la retribuzione offerta deve essere maggiore di 1,2 volte l’indennità di disoccupazione percepita, se il disoccupato percepisce un trattamento di sostegno al reddito;
    • la sede di lavoro, esclusivamente nel caso in cui nel nucleo familiare non siano presenti componenti di minore età o disabili, può trovarsi ovunque nel territorio italiano; in questo caso, il beneficiario continua a percepire il reddito di cittadinanza per altri 3 mesi, a titolo di compensazione per le spese di trasferimento sostenute.

Il rapporto di lavoro, per quanto riguarda la durata, deve essere:

  • a tempo indeterminato;
  • a termine o con contratto di somministrazione, con una durata di almeno tre mesi.

Per quanto riguarda l’orario di lavoro, il rapporto deve essere a tempo pieno, o a tempo parziale, con un orario non inferiore all’80% rispetto all’orario dell’ultimo contratto di lavoro.

Lo stipendio previsto, poi, non deve essere inferiore ai minimi della contrattazione collettiva. In base a un recente emendamento al decreto, la retribuzione deve risultare superiore alla misura massima del reddito di cittadinanza fruibile dal singolo (vale a dire a 780 euro mensili), più il 10%: in parole semplici, l’offerta di lavoro, per essere considerata congrua, deve offrire uno stipendio mensile almeno pari a 858 euro (780 euro +78  euro, il 10%).

Per quanto riguarda la pensione di cittadinanza, invece, non sarà necessario lavorare, in quanto rivolta agli over 67. In un certo senso, la pensione di cittadinanza funzionerà in modo analogo all’attuale integrazione al trattamento minimo ed alle maggiorazioni, perché si tratta di un sussidio condizionato dal reddito, e  non dalle misure di politica attiva del lavoro. L’integrazione, però, sarà accreditata nella carta acquisti.

Che cosa succede al reddito di cittadinanza se rifiuto un lavoro?

L’interessato che percepisce il reddito di cittadinanza può rifiutare al massimo due proposte lavorative congrue (come  definite dal decreto sulla riforma degli ammortizzatori sociali, come integrato dal decreto sul reddito di cittadinanza) nell’arco del periodo di fruizione del reddito. Ha anche la possibilità di recedere dall’impiego per due volte nell’arco dello stesso periodo. Se, però, percepisce il reddito in fase di rinnovo, deve accettare il primo lavoro congruo proposto.

In caso contrario, perde il sussidio. Ad ogni modo, per chi rifiuta un’offerta di lavoro congrua sono previsti severi controlli della Guardia di Finanza, volti a verificare lo svolgimento di lavoro nero. Si rischia anche il carcere, ne abbiamo parlato in: Reddito di cittadinanza, controlli per chi rifiuta il lavoro.

Come si perde il reddito di cittadinanza?

È molto facile decadere dal diritto al reddito di cittadinanza: per chi utilizza documenti falsi, omette informazioni obbligatorie o non dichiara le variazioni di reddito è prevista addirittura la reclusione, assieme alla perdita del sussidio per 10 anni.

Nel dettaglio, se per ottenere o mantenere il beneficio sono utilizzati o presentati dichiarazioni e documenti falsi o attestanti cose non vere, o si omettono informazioni dovute, chi consegue indebitamente il sussidio è punito:

  • con la reclusione da 2 a 6 anni;
  • con la revoca retroattiva del beneficio;
  • con l’impossibilità di chiedere il sussidio prima che siano decorsi 10 anni dalla condanna.

Le sanzioni sono le stesse per chi non comunica la variazione del reddito: la variazione del reddito è presunta nel caso in cui sia accertato che l’interessato lavora in nero o “in grigio”, cioè che ha un rapporto di lavoro non dichiarato o un rapporto per il quale è dichiarata una retribuzione più bassa, come il “finto part time”.

Si decade dal reddito di cittadinanza anche quando uno dei componenti del nucleo familiare:

  • non sottoscrive il patto per il lavoro o il patto per l’inclusione sociale, ad eccezione dei casi di esclusione ed esonero;
  • non partecipa, in assenza di giustificato motivo, alle iniziative di carattere formativo o di riqualificazione, o ad altre iniziative di politica attiva o di attivazione;
  • non lavora gratuitamente nell’ambito dei progetti comunali, se istituiti;
  • rifiuta un’offerta di lavoro congrua, dopo averne già rifiutate due;
  • rifiuta un’offerta congrua dopo il rinnovo del beneficio;
  • non effettua le comunicazioni obbligatorie, o effettua comunicazioni mendaci producendo un beneficio economico del reddito di cittadinanza maggiore;
  • non presenta una dichiarazione Isee aggiornata, in caso di variazione del nucleo familiare;
  • rende una dichiarazione mendace (anche nella dichiarazione Isee).

Riduzione del reddito di cittadinanza

Se gli interessati non si presentano alle convocazioni disposte nel patto è prevista:

  • la decurtazione di una mensilità del sussidio, in caso di prima mancata presentazione;
  • la decurtazione due mensilità alla seconda mancata presentazione;
  • la decadenza dalla prestazione, in caso di ulteriore mancata presentazione.

Nel caso di mancata partecipazione, in assenza di giustificato motivo, alle iniziative di orientamento, da parte anche di un solo componente del nucleo familiare, si applicano le seguenti sanzioni:

  • la decurtazione di due mensilità, in caso di prima mancata presentazione;
  • la decadenza dalla prestazione in caso di ulteriore mancata presentazione.

In caso di mancato rispetto degli impegni previsti nel patto per l’inclusione sociale relativi alla frequenza dei corsi di istruzione o di formazione da parte di un componente minorenne, o degli impegni di prevenzione e cura volti alla tutela della salute, individuati da professionisti sanitari, si applicano le seguenti sanzioni:

  • la decurtazione di due mensilità dopo un primo richiamo formale al rispetto degli impegni;
  • la decurtazione di tre mensilità al secondo richiamo formale;
  • la decurtazione di sei mensilità al terzo richiamo formale;
  • la decadenza dal beneficio in caso di ulteriore richiamo.

L’Inps si occupa di applicare le sanzioni diverse da quelle penali e del recupero del sussidio non dovuto: le informazioni sulle violazioni sono trasmesse all’istituto dai centri per l’impiego e dai comuni.

Se il reddito di cittadinanza non è integralmente speso nel mese di fruizione, può essere ridotto sino al 20%.

Se l’interessato decade dal sussidio, il reddito di cittadinanza può essere richiesto solo decorsi 18 mesi dalla data del provvedimento di decadenza. Non può essere richiesto prima del termine da un altro componente della famiglia.

Nel caso facciano parte del nucleo familiare componenti minorenni o con disabilità, il termine per richiedere nuovamente il reddito di cittadinanza è ridotto a 6 mesi.

Come si chiede il reddito di cittadinanza?

Il modulo di domanda per il reddito di cittadinanza deve essere predisposto dall’Inps, sentito il ministero del Lavoro, entro 30 giorni dall’entrata in vigore del decreto sul reddito di cittadinanza.

Il modulo di domanda deve essere presentato dal richiedente, a partire dal 6 marzo, alle Poste, o presso uno sportello Caf o ancora, telematicamente, attraverso il nuovo portale del reddito di cittadinanza (redditodicittadinanza.gov.it). Si prevede anche la possibilità di presentare la domanda di reddito di cittadinanza assieme alla dichiarazione Isee, anche online tramite sito web dell’Inps, a breve.

Le informazioni contenute nella domanda del reddito di cittadinanza devono essere comunicate dal sito web, dalle Poste o dal Caf all’Inps, entro 10 giorni lavorativi dalla richiesta.

Per il riconoscimento del beneficio, l’Inps deve verificare, entro 5 giorni lavorativi dalla data di comunicazione, il possesso dei requisiti d’accesso. I Comuni, inoltre, devono verificare i requisiti di residenza e di soggiorno e devono comunicare l’esito della verifica.

Il reddito può essere richiesto entro il 6 di ogni mese.

Pensione quota 100: come presentare domanda

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Come si presenta la domanda di pensione quota 100: istruzioni operative dell’Inps, la guida.

Finalmente stai per uscire dal lavoro, grazie alla nuova pensione quota 100, per la quale bastano 62 anni di età e 38 anni di contributi. Non stai più nella pelle e non vedi l’ora di dare le dimissioni: tuttavia, il solo pensiero di recarti dal patronato per presentare la domanda di pensione ti mette di malumore. Non hai voglia di fare file interminabili e di procurarti miriadi di scartoffie.

Devo darti una bella e una brutta notizia: vuoi prima la brutta notizia? Le scartoffie le devi procurare comunque, perché l’Inps, per liquidare la pensione, deve esaminare una lunga serie di documenti.

La bella notizia, però, è che puoi presentare la domanda di pensione quota 100 anche da casa tua, comodamente, utilizzando il portale web dell’Inps: lo ha confermato l’istituto, con un nuovo messaggio. Devi però procurarti le credenziali per l’accesso al sito, un pc funzionante e una buona connessione internet.

Se non sei molto pratico e utilizzi pochissimo il computer e i servizi telematici, ti consiglio di metterti l’anima in pace, fare la fila e farti assistere dai pazienti operatori del patronato. Se, invece, sei “smart” quel tanto che basta, perché non provare a presentare la domanda di pensione direttamente dal sito dell’Inps?

Facciamo allora il punto sulla pensione quota 100: come presentare domanda.

Quali sono i requisiti per la pensione quota 100?

Ti ricordo innanzitutto quali sono i requisiti per ottenere la pensione con quota 100: questo trattamento richiede, per pensionarsi, un’età minima di 62 anni, ed una contribuzione minima pari a 38 anni. In buona sostanza, anche se raggiungi la quota 100, come somma di età e contributi, non puoi pensionarti se non hai almeno compiuto 62 anni e non hai almeno 38 anni di contributi.

In pratica, la quota 100 diventa quota 101 se hai 63 anni, quota 102 se ne hai 64, quota 103 se ne haia 65 e quota 104 se ne hai 66.

Il requisito di 38 anni di contributi per la quota 100:

  • non aumenta per gli adeguamenti alla speranza di vita;
  • deve comprendere almeno 35 anni di contributi utili per il diritto alla pensione di anzianità (in pratica, devi verificare di possedere almeno 35 anni di versamenti, escludendo i contributi figurativi per malattia e disoccupazione), se richiesto dalla gestione a carico della quale è liquidata la pensione;
  • è verificato tenendo conto delle regole della gestione previdenziale che liquida il trattamento;
  • può essere raggiunto anche attraverso il cumulo gratuito dei versamenti accreditati presso le gestioni amministrate dall’Inps; per gli iscritti all’ex Enpals (gestione spettacolo e sport), è possibile cumulare i versamenti accreditati presso la gestione con i contributi accreditati presso l’Inps, secondo le disposizioni vigenti.

Puoi accedere alla pensione quota 100 anche se vuoi avvalerti dell’opzione contributiva o della facoltà di computo dei versamenti nella gestione separata.

Ricorda che per accedere alla pensione quota 100 dovrai attendere un periodo, detto finestra, come vedremo meglio più avanti.

Inoltre, ricorda che con la pensione quota 100 non puoi lavorare (fanno eccezione i soli redditi di lavoro autonomo occasionale sino a 5mila euro annui).

Come accedere al sito dell’Inps per inviare la domanda di pensione

Innanzitutto, per accedere al sito dell’Inps, devi essere in possesso delle credenziali per l’accesso ai servizi online dell’istituto:

  • pin dispositivo cittadino (per ottenere il pin dispositivo devi eseguire la procedura di identificazione, che può essere fatta anche tramite lo stesso sito Inps, attraverso la funzione di conversione del pin online in pin dispositivo; è necessario stampare, firmare e scansionare l’apposito modulo che viene proposto dall’Inps durante la procedura, assieme a un documento d’identità); il pin assegnato è già dispositivo se lo richiedi presso gli sportelli dell’Inps;
  • identità unica digitale Spid di secondo livello;
  • Cns, Carta nazionale dei servizi.

Come trovare il servizio per inviare la domanda di pensione

All’interno del portale Inps, una volta effettuato l’accesso con le tue credenziali, devi trovare, anche attraverso la mascherina di ricerca (contrassegnata da una lente d’ingrandimento) il servizio “Domanda di prestazioni pensionistiche: Ricostituzione, Ratei, ECOCERT, APE Sociale e Beneficio precoci”.

Devi poi scegliere tra le seguenti prestazioni:

  • pensione di vecchiaia (anche per gli iscritti alle gestioni pubbliche); questa è la prestazione da richiedere anche per il diritto alla pensione di vecchiaia anticipata per invalidità;
  • pensione anticipata (anche per gli iscritti alle gestioni pubbliche): ordinaria, quota 100, contributivo sperimentale lavoratrici (opzione donna);
  • pensione di inabilità;
  • assegno di invalidità;
  • assegno sociale;
  • pensione ai superstiti (reversibilità/indirette);
  • pensione di anzianità (anche per gli iscritti alle gestioni pubbliche);
  • ricostituzione della pensione;
  • ratei maturati e non riscossi (anche per gli iscritti alle gestioni pubbliche);
  • estratto conto certificativo (anche per gli iscritti alle gestioni pubbliche);
  • APE Sociale;
  • beneficio per i lavoratori precoci

Una volta entrato nell’applicazione, “Domanda di prestazioni pensionistiche, Ricostituzione, Ratei, ECOCERT, APE Sociale e Beneficio precoci”, ti apparirà la Home Page nella quale dovrai cliccare il link, presente in un menu sulla sinistra: ‘Nuova domanda’.

Una volta effettuato l’accesso e scelta l’opzione “Nuova domanda” nel menù di sinistra, devi selezionare, per la pensione quota 100: “Pensione di anzianità/vecchiaia”, “Pensione di anzianità/anticipata”, “Requisito quota 100” [1].

Devi poi selezionare il Fondo e la Gestione di liquidazione. Ma procediamo per ordine, schermata dopo schermata.

Schermata dati anagrafici

Una volta cliccato su “Nuova domanda”, accedi a una schermata in cui devi indicare i tuoi dati anagrafici, e devi inserire il numero di un valido documento d’identità.

Devi poi cliccare su “Salva e Prosegui”

Scelta della pensione anticipata quota 100

A questo punto si apre una nuova schermata, in cui devi scegliere “Pensione anticipata/requisito quota 100”.

Effettuata la scelta, devi cliccare su Prosegui, e compilare la schermata successiva indicando la gestione previdenziale ed il fondo presso il quale è liquidato il trattamento.

Ad esempio:

  • gestione: Lavoratori Dipendenti;
  • fondo: FPLD.

Dopo aver cliccato su Prosegui, nella schermata successiva devi inserire la data presunta della pensione.

Ti ricordo che per la pensione Quota 100 è prevista l’applicazione delle finestre, dei periodi di attesa.

Come funzionano le finestre quota 100?

La pensione quota 100 inizia ad essere corrisposta da aprile 2019: la sua decorrenza è spostata in avanti dalle finestre di attesa. In particolare:

  • i lavoratori del settore privato che maturano i requisiti entro il 31 dicembre 2018, conseguono il diritto alla decorrenza della pensione il 1° aprile 2019;
  • i lavoratori del settore privato che maturano i requisiti dal 1° gennaio 2019, conseguono il diritto alla decorrenza della pensione trascorsi tre mesi dalla data di maturazione dei requisiti stessi;
  • i dipendenti pubblici che maturano i requisiti entro l’entrata in vigore del decreto pensioni, conseguono il diritto alla decorrenza della pensione il 1° agosto 2019;
  • i dipendenti pubblici che maturano i requisiti dal giorno successivo alla data di entrata in vigore del decreto, conseguono il diritto alla decorrenza del trattamento pensionistico trascorsi 6 mesi dalla data di maturazione dei requisiti stessi;
  • la domanda di collocamento a riposo, per i dipendenti pubblici, deve essere presentata all’amministrazione di appartenenza con un preavviso di sei mesi;
  • per i dipendenti del comparto scuola si applica la finestra unica di uscita.

Escluse dunque le finestre per i dipendenti della scuola, e la finestra del 1° aprile e del 1° agosto, rispettivamente dedicate ai lavoratori del settore privato e pubblico, le ulteriori finestre saranno mobili, e non finestre fisse.

Se la pensione è liquidata a carico di una gestione esclusiva dell’assicurazione generale obbligatoria (come l’ex Inpdap), la prima decorrenza utile della pensione è fissata al primo giorno successivo all’apertura della finestra: in pratica, la pensione può essere liquidata infra-mese.

Se, invece, il trattamento è liquidato a carico di una gestione diversa da quelle esclusive dell’assicurazione generale obbligatoria, la prima decorrenza utile della pensione è fissata il primo giorno del mese successivo all’apertura della finestra.

Ma torniamo alla nostra domanda di pensione.

Schermata dichiarazioni attività lavorative

Cliccando su Salva e prosegui, arrivi al menu Dichiarazioni attività lavorative: in questa schermata devi inserire la data in cui è cessato l’ultimo rapporto di lavoro, o nella quale presumi di cessarlo.

Ricorda che se lavori con la pensione quota 100, il trattamento viene sospeso (a meno che non si tratti di lavoro autonomo occasionale con compensi inferiori ai 5mila euro annui): questo non vuol dire che perderai la pensione, ma soltanto che la prestazione ti verrà sospesa sino alla cessazione dell’attività lavorativa, o al compimento dell’età pensionabile (cioè dell’età per la pensione di vecchiaia, al 2019 pari a 67 anni).

Dichiarazione reddituale

Completato il quadro dichiarazioni, devi poi spostarti nel quadro redditi per inviare la dichiarazione reddituale.

Nella schermata ti viene innanzitutto richiesto se intendi rinunciare alla dichiarazione (se rinunci, non avrai diritto ad alcuna integrazione al reddito, come l’integrazione al minimo, e alle altre agevolazioni collegate).

Cliccando su NO, quindi non rinunciando a presentare la dichiarazione, comparirà invece una tabella con tutti i redditi da dichiarare (lavoro dipendente, autonomo, casa di abitazione…).

Terminata la compilazione, devi cliccare in basso su Salva e prosegui

Per compilare le altre schermate, ti devi poi spostare utilizzando il pannello a sinistra.

Pagamento della pensione

All’interno della sezione Pagamento devi selezionare la modalità di pagamento prescelta per la pensione, tra le seguenti possibilità:

  • sportello
  • conto corrente;
  • libretto nominativo;
  • carta prepagata.

Devi poi fornire, se presente, il codice Iban, il Bic e specificare se il conto è cointestato o meno.

Terminata la compilazione, devi cliccare su Salva e prosegui

Stato di famiglia

Spostandoti grazie al pannello sulla sinistra, devi poi entrare sulla schermata relativa allo stato di famiglia.

Se risulti l’unico componente del nucleo familiare, una volta effettuato l’accesso alla pagina è sufficiente che tu clicchi solamente su Salva e prosegui.

Sezione documenti

Nella sezione documenti, che puoi raggiungere sempre tramite il pannello sulla sinistra, devi allegare, per quanto riguarda la pensione anticipata quota 100:

  • i documenti che provano la cessazione dell’attività lavorativa, se avvenuta;
  • la documentazione relativa all’eventuale richiesta delle detrazioni fiscali;
  • il modello Red (dichiarazione reddituale);
  • l’eventuale modello di richiesta delle prestazioni accessorie (trattamento minimo, maggiorazione sociale, trattamento di famiglia);
  • la sentenza di divorzio o la documentazione comprovante lo stato civile;
  • i documenti per l’accredito pensione su banca o su poste (firmati e timbrati da un funzionario della filiale);
  • eventuale documentazione per l’accredito di periodi di malattia/maternità.

Terminata la compilazione, devi cliccare su Salva e Prosegui

Compilati correttamente tutti i campi e cliccando su Stampa, completerai l’acquisizione della domanda

Come hai potuto osservare, la compilazione della domanda di pensione non è difficile; è soltanto un po’ lunga. Se la tua connessione è lenta nell’upload, cioè nel caricamento degli allegati, la tua pazienza sarà messa alla prova.

Domanda pensione quota 100 in cumulo

Puoi utilizzare la modalità di presentazione della domanda che abbiamo appena illustrato se sei iscritto alle gestioni Inps dei lavoratori del settore privato, alla gestione pubblica e alla gestione spettacolo e sport.

Inoltre, con la stessa modalità di presentazione della domanda puoi richiedere, per la pensione quota 100, il cumulo dei periodi assicurativi: puoi, cioè, chiedere di sommare i versamenti accreditati presso gestioni previdenziali diverse, se amministrate dall’Inps.

In ogni caso, puoi presentare la domanda di pensione quota 100, anche in cumulo, per il tramite dei patronati e degli altri intermediari, oppure utilizzando i servizi del contact center Inps.


Carta reddito di cittadinanza: come funziona

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Che cosa si può fare con la carta Rdc: a quanto ammonta la ricarica mensile, prelievo contanti, acquisti, bonifici, divieti.
È stata già stampata la prima carta Rdc, ossia la carta acquisti nella quale sarà accreditato il reddito di cittadinanza ogni mese. Si tratta di una carta Postepay, rilasciata dunque dalle Poste, che verrà caricata mensilmente con l’importo del reddito di cittadinanza spettante al nucleo familiare.
Le domande per la carta Rdc potranno iniziare ad essere inviate a partire dal 6 marzo 2019, mentre i primi accrediti dovrebbero partire dal 27 aprile 2019, in base a quanto reso noto sinora.
Ma la carta reddito di cittadinanza come funziona? Sarà possibile prelevare contanti? A ricaricarla può essere soltanto l’Inps? Si possono eseguire dei bonifici? E gli acquisti online sono consentiti, nel caso in cui si tratti di beni o servizi di base? Si possono pagare le bollette, l’affitto o il mutuo?
Facciamo il punto della situazione sulla carta reddito di cittadinanza: che cosa si può pagare, a quanto ammontano gli accrediti, qual è l’importo minimo e massimo che può essere speso ogni mese, quali sono le operazioni vietate.

Come funziona la carta reddito di cittadinanza?

Con la carta Rdc, le operazioni consentite sono diverse. Innanzitutto, è possibile acquistare gli stessi beni e servizi che, ad oggi, è possibile acquistare con la carta Rei (la carta nella quale è accreditato il reddito d’inclusione). Si tratta, per grandi linee, dei generi alimentari, dei beni acquistabili in farmacia, parafarmacia e nella grande distribuzione.
È vietato qualsiasi acquisto legato al gioco d’azzardo: no, dunque, ai gratta e vinci, alle scommesse, alle schedine del Lotto o del Super Enalotto, ed a qualsiasi concorso a premi.
Con la carta Rdc è possibile anche pagare le utenze, come la bolletta dell’elettricità, dell’acqua e del gas.

Si possono mandare bonifici con la carta Rdc?

La carta Rdc consente l’invio di un bonifico mensile, tramite le Poste, per il pagamento del mutuo o dell’affitto.

Si possono ricevere fondi nella carta Rdc?

Nella carta reddito di cittadinanza non è possibile ricevere fondi se non dall’Inps, o eventualmente, in futuro, da altre istituzioni (ad esempio i Comuni) che potranno integrare il sussidio.
Non è quindi possibile chiedere a un parente, a un amico, a un committente o a un datore di lavoro di ricaricare la carta Rdc, che sarà una Postepay, come osservato.

Che cosa succede se non si spendono tutti i soldi dalla carta Rdc?

Peraltro, se fosse consentito effettuare una ricarica sulla carta Rdc, l’operazione apporterebbe più problemi che benefici: se tutti i fondi caricati mensilmente sulla carta non sono spesi entro il mese successivo all’accredito, difatti, l’importo risparmiato è decurtato dal reddito di cittadinanza nel mese successivo, sino a un massimo del 20% del sussidio, come disposto dal decreto in materia. Fanno eccezione i soli importi erogati a titolo di arretrati.
È prevista inoltre la decurtazione dalla carta Rdc degli importi complessivamente non spesi o non prelevati nei 6 mesi precedenti, ad eccezione di una mensilità.

Si possono prelevare contanti con la carta Rdc?

Con la carta Rdc è possibile prelevare contanti sino a un massimo di 210 euro mensili, a seconda del numero dei componenti della famiglia.
Nel dettaglio, se il reddito di cittadinanza è percepito da un single, o più precisamente da un nucleo familiare con un solo componente, il prelievo consentito è pari a 100 euro. I 100 euro devono essere moltiplicati per la scala di equivalenza, ossia per le maggiorazioni previste, che sono pari a 0,4 per ogni componente adulto del nucleo familiare, ed a 0,2 per ogni minorenne: si può arrivare sino a un massimo di 2,1.
Osserviamo degli esempi per capire meglio:
  • se in un nucleo familiare ci sono solamente marito e moglie, il prelievo di contanti possibile è pari a 140 euro, ossia 100  euro più il 40%;
  • se in un nucleo familiare ci sono marito, moglie e due figli minorenni, è possibile prelevare 180 euro ogni mese (ossia 100 euro, più il 40% per la moglie ed il 20% per ciascuno dei figli);
  • in una famiglia numerosa, per la quale la scala di equivalenza è pari al massimo di 2,1, è possibile prelevare sino a 210 euro mensili.

A quanto ammonta l’importo caricato ogni mese nella carta Rdc?

L’importo caricato ogni mese è pari al reddito di cittadinanza spettante. Ricordiamo che l’importo del reddito di cittadinanza è determinato da due quote:

  • la prima quota, a integrazione del reddito familiare, ammonta,per il singolo componente, a una soglia massima pari a 6mila euro annui, 500 euro al mese; la soglia massima è pari a 630 euro al mese, 7.560 euro annui in caso di pensione di cittadinanza; in presenza di più componenti si può arrivare a massimo 12.600 euro annui, cioè a 1.050 euro al mese, 1.323 euro al mese per la pensione di cittadinanza, dato che il parametro massimo della scala di equivalenza è 2,1 ;
  • la seconda quota, a integrazione del reddito familiare, è riconosciuta ai nuclei che pagano l’affitto dell’abitazione, ed è pari al canone annuo previsto dal contratto di affitto, sino a 280 euro al mese (150 euro al mese, 1.800 euro annui in caso di pensione di cittadinanza);
  • la seconda quota è pari alla rata del mutuo, fino a un massimo di 150 euro al mese, 1.800 euro annui, nel caso di nuclei familiari residenti in abitazioni di proprietà per il cui acquisto o per la cui costruzione sia stato stipulato un contratto di mutuo da un componente della famiglia.

In ogni caso il beneficio economico:

  • non può superare la soglia di 9.360 euro annui (780 euro al mese) nel caso di nucleo familiare con un solo componente, ridotta del valore del reddito familiare; la misura massima in caso di più componenti può arrivare, teoricamente, a 1.638 euro al mese, 19.656 euro annui; nel concreto, al momento, può arrivare a 15.960 euro all’anno, 1.330 euro al mese, per il reddito di cittadinanza, ed a 1.473 euro per la pensione di cittadinanza;
  • non può essere inferiore a 480 euro annui (40 euro al mese).

Sia il reddito che la pensione di cittadinanza sono esentasse. Per approfondire: Reddito di cittadinanza, a quanto ammonta.

Lo Stato può controllare che cosa compro con la carta Rdc?

In base a un recente emendamento al decreto sul reddito di cittadinanza, lo Stato può controllare i soli importi complessivamente spesi o prelevati con la carta Rdc, per non violare i criteri fissati dal Garante della privacy.

Integrazione al trattamento minimo 2019

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Integrazione della pensione al trattamento minimo: come funziona, chi ne ha diritto, a quanto ammonta nel 2019, come si calcola.

Salgono, nel 2019, gli importi delle pensioni, nella misura del +1,1% (come ufficializzato recentemente dal Mef, il ministero dell’Economia e delle Finanze [1]), grazie al meccanismo della perequazione, con il quale l’importo degli assegni corrisposti dall’Inps viene adeguato periodicamente al costo della vita.

Sale, dunque, anche l’importo del trattamento minimo, che passa dai 507,42 euro mensili a 513,01 euro mensili: applicando, difatti, la rivalutazione pari all’1,1% all’importo 2018 del trattamento minimo, quindi a 507,42 euro, otteniamo l’importo di 513, 00162 euro mensili, 513 euro arrotondando alla seconda cifra decimale (partendo dall’assunto che se la terza cifra decimale è minore di 5, la seconda resta invariata). L’Inps ha invece ufficializzato l’importo di 513,01 euro [2].

Il trattamento minimo, poi, può essere ulteriormente integrato dalle maggiorazioni sulla pensione, la maggior parte delle quali aumenterà nel 2019, in base alla perequazione. Dal 2019, poi, per chi possiede i requisiti, l’importo della pensione integrata al minimo, ed eventualmente maggiorata, può essere indirettamente integrato dalla pensione di cittadinanza o dal reddito di cittadinanza, sino ad arrivare a 780 euro mensili (per un single; l’importo massimo mensile è più alto per i nuclei familiari con più componenti): questa integrazione del reddito non aumenta direttamente l’importo dell’assegno di pensione, ma viene riconosciuta attraverso una carta acquisti, una sorta di social card. L’integrazione del reddito di cittadinanza viene riconosciuta anche ai pensionati con trattamenti non integrabili al minimo, ad esempio a chi percepisce la pensione calcolata col sistema interamente contributivo.

Ma torniamo all’integrazione al trattamento minimo 2019, e cerchiamo di capire come funziona questa prestazione, come si calcola, quali sono i limiti di reddito da rispettare per averne diritto.

Che cos’è il trattamento minimo?

Il trattamento minimo, o integrazione al trattamento minimo, è una prestazione che l’Inps riconosce a chi ha una pensione molto bassa, al di sotto del cosiddetto minimo vitale, pari, nel 2018, a 507,42 euro mensili. Dal 2019, in base al meccanismo della perequazione, con il quale l’importo delle pensioni viene adeguato periodicamente al costo della vita, è stata applicata una rivalutazione a tutti gli assegni previdenziali, nella misura del +1,1% : il trattamento minimo è salito dunque a 513,01 euro mensili, e conseguentemente sono salite tutte le soglie di reddito previste per la sua spettanza.

Il trattamento minimo annuo, pari a 6.596,46 euro per il 2018, ammonta dunque a 6.669,13 euro per il 2019 (513,01 euro per 13 mensilità).

In pratica, con l’integrazione al minimo, l’importo della pensione viene alzato sino ad arrivare a 513,01 euro mensili (dal 2019), per 13 mensilità: l’integrazione al minimo può essere dunque pari a 513,01 euro mensili soltanto se, per assurdo, la pensione risulta pari a zero. Negli altri casi, l’importo dell’integrazione è pari alla differenza tra la pensione e l’ammontare del trattamento minimo: ad esempio, se la pensione è pari a 400 euro mensili, l’integrazione al minimo risulta pari a 113,01 euro mensili, cioè alla cifra che serve per ottenere la pensione minima.

Non tutte le pensioni sotto la soglia minima possono essere, però, aumentate, perché per alcuni trattamenti l’integrazione al minimo è esclusa. Inoltre, per aver diritto all’incremento è necessario rispettare precisi requisiti di reddito.

Quali sono i limiti di reddito 2019 per il diritto al trattamento minimo?

Chi non è sposato, o risulta legalmente separato o divorziato, ha diritto all’integrazione al minimo:

  • in misura piena, se possiede un reddito annuo non superiore a 6.669,13 euro, cioè al trattamento minimo;
  • in misura parziale, se possiede un reddito annuo superiore a 6.669,13 euro, sino a 13.338,26 euro (cioè sino a due volte il trattamento minimo annuo).

Se il reddito supera la soglia di 13.338,26 euro, non si ha diritto ad alcuna integrazione.

I valori esposti fanno riferimento all’anno 2019, quindi alla rivalutazione del +1,1%, come ufficializzati dall’Inps [2].

Calcolo integrazione al minimo 2019: pensionato non sposato

Facciamo un esempio di calcolo dell’integrazione al minimo per capire meglio:

  • se il pensionato ha un reddito complessivo di 3mila euro annui ed una pensione di 200 euro mensili, ha diritto all’integrazione piena della pensione, sino ad arrivare a 513,01 euro;
  • se, invece, il reddito complessivo dell’interessato è pari a 10mila euro, l’integrazione della pensione non può essere totale, ma parziale, ossia pari alla differenza tra il limite di reddito di 13.338,26 euro ed il reddito complessivo.

Per calcolare l’integrazione mensile, si deve dunque:

  • sottrarre il reddito totale del pensionato dalla soglia limite;
  • dividere la cifra per 13.

Nel caso preso ad esempio dobbiamo eseguire la seguente operazione: (13.338,26-10mila) /13. Otteniamo dunque un’integrazione mensile pari a 256,79 euro.

Quali sono i limiti di reddito familiare 2019 per il diritto al trattamento minimo?

Se il pensionato risulta sposato si applicano dei limiti di reddito più alti, ai fini dell’integrazione al minimo, ma bisogna considerare anche il reddito del coniuge. In particolare, si ha diritto all’integrazione, per l’anno 2019:

  • piena, se il reddito annuo complessivo proprio e del coniuge non supera 20.007,39 euro ed il reddito del pensionato non supera i 6.669,13 euro;
  • parziale, se il reddito annuo complessivo proprio e del coniuge supera i 20.007,39 euro, ma non supera i 26.676,52 euro (cioè sino a quattro volte il trattamento minimo annuo) ed il reddito del pensionato non supera i 13.338,26 euro (deve essere applicato un doppio confronto, tra limite personale e coniugale: l’integrazione applicata è pari all’importo minore risultante dal doppio confronto).

Se il reddito personale e del coniuge supera i 26.676,52 euro, o se il solo reddito personale supera la soglia di 13.338,26 euro, non si ha diritto ad alcuna integrazione.

I valori esposti fanno riferimento all’anno 2019, quindi alla rivalutazione del +1,1%. I valori devono ancora essere ufficializzati dall’Inps.

Calcolo integrazione al minimo 2019: pensionato sposato

Facciamo alcuni esempi per capire meglio come funziona l’integrazione al minimo per i pensionati coniugati:

  • se il reddito complessivo della coppia è pari a 10mila euro annui, il reddito personale non supera i 6.669,13 euro e la pensione dell’interessato è pari a 200 euro mensili, questi ha diritto all’integrazione piena della pensione, sino ad arrivare a 513,01 euro;
  • se, invece, il reddito complessivo della coppia risulta pari a 25mila euro, l’integrazione della pensione non può essere totale, ma parziale, pari alla differenza tra il limite di reddito di 26.676,52 euro ed il reddito complessivo.

Per calcolare l’integrazione mensile, si deve dunque:

  • sottrarre il reddito totale dalla soglia limite;
  • dividere la cifra per 13.

In questo caso si deve eseguire la seguente operazione: (26.676,52 -25.000) /13. Otteniamo dunque un’integrazione mensile pari a 128,96 euro.

Attenzione, in quest’ipotesi, alla doppia soglia: se il reddito della coppia non supera i 26.676,52 euro, ma il reddito del pensionato supera il limite individuale di 13.338,26 euro, non si ha diritto ad alcuna integrazione.

Va poi applicata l’integrazione minore risultante dal confronto tra limite e reddito della coppia e limite e reddito personale.

Nessun limite di reddito riferito al coniuge, invece, può essere applicato alle integrazioni al minimo per le pensioni con decorrenza anteriore al 1994.

Quali redditi rilevano per il diritto al trattamento minimo?

Non tutti i redditi devono essere contati nella soglia limite per il diritto al trattamento minimo, ma devono essere esclusi:

  • il reddito della casa di abitazione;
  • la pensione da integrare al minimo;
  • il Tfr ed i trattamenti assimilati (Tfs, Ips), comprese le relative anticipazioni;
  • i redditi esenti da Irpef, come le pensioni di guerra, le rendite Inail, le pensioni degli invalidi civili, i trattamenti di famiglia, etc.

Tutti gli altri redditi, invece, devono essere inclusi nel conteggio.

Cristallizzazione del trattamento minimo 2019

Se il pensionato perde il diritto all’integrazione, mantiene comunque lo stesso assegno di pensione integrato, ma cristallizzato (cioè fermo) all’ultimo importo: il rateo di pensione resta uguale sino al suo superamento ad opera della perequazione automatica, cioè degli adeguamenti della pensione effettuati ogni anno.

Le pensioni contributive sono integrabili al minimo?

Nessuna integrazione al minimo è prevista, allo stato attuale, per le pensioni interamente calcolate col sistema contributivo, ad eccezione delle pensioni con opzione donna.

Sono calcolate integralmente con questo sistema:

  • le pensioni di chi non possiede contributi versati prima del 1996;
  • le pensioni degli aderenti all’opzione contributiva;
  • le pensioni degli iscritti alla Gestione Separata, comprese quelle ottenute con il computo da altre gestioni.

Pensione minima di cittadinanza 2019

Dal 2019 è prevista una pensione minima di cittadinanza per tutti, che darà luogo a un’integrazione sino a 780 euro mensili (per un single, con una maggiorazione per le famiglie con più componenti), anche per i trattamenti calcolati col solo sistema contributivo. L’integrazione non è, però, direttamente sulla pensione, ma è riconosciuta attraverso una carta acquisti.

Inoltre, non tutti coloro che hanno diritto all’integrazione al minimo hanno diritto alla pensione di cittadinanza: bisogna possedere un reddito Isee inferiore a una determinata soglia e rispettare determinati limiti relativi al patrimonio mobiliare e immobiliare.

Ape volontario 2019

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Via libera all’anticipo pensionistico volontario anche per chi matura i requisiti nel 2019: domande sino al 31 dicembre del prossimo anno.

L’Ape volontario è stato prorogato al 2019 come l’Ape sociale? In realtà, l’Ape volontario, anche se non è una misura permanente, era già stato prorogato al 2019 da tempo. Via libera dunque, sino al 31 dicembre 2019, alle domande di prestito pensionistico per ottenere l’Ape volontario, l’assegno di accompagnamento alla pensione per i lavoratori più anziani.

Ma che cos’è l’Ape volontario? Come funziona? A quali vantaggi dà diritto?

Si tratta di una prestazione che può essere richiesta da chi è vicino all’età pensionabile (non devono mancare più di 3 anni e 7 mesi al compimento dell’età per la pensione di vecchiaia e si devono possedere almeno 20 anni di contributi), ottenuta grazie a un prestito bancario: grazie alla prestazione, è possibile uscire prima dal lavoro.

L’Ape, comunque, può essere richiesto anche da chi continua a lavorare, per integrare il reddito, ed è cumulabile con l’indennità di disoccupazione, con l’Ape sociale e con la rendita integrativa anticipata Rita.

Non tutti i lavoratori che possiedono i contributi richiesti ed hanno compiuto l’età minima possono, però, ottenere l’Ape, anche se i costi sono a carico del contribuente: la futura pensione deve essere superiore a 1,4 volte il trattamento minimo (che ammonta a 513,01 euro dal 2019), e la rata di restituzione del prestito pensionistico non può essere superiore al 30% della pensione, da solo o assieme ad altri debiti che gravano sul trattamento. Non possono chiedere il prestito pensionistico, poi, i protestati, cattivi pagatori, chi ha pignoramenti in corso o problematiche simili; per conoscere l’elenco completo degli esclusi dalla misura: Niente Ape per chi ha debiti.

I costi dell’Ape volontario sono, in ogni caso, tutt’altro che leggeri (si veda la nostra guida al simulatore Inps dei costi dell’Ape sull’argomento), anche se le condizioni del finanziamento sono generalmente migliori rispetto alla maggior parte dei prestiti bancari: l’Ape, in pratica, deve essere trattato come una somma presa in prestito, che deve essere dunque restituita.

Ma procediamo per ordine e facciamo il punto della situazione sull’Ape volontario 2019.

Come funziona l’Ape volontario?

L’Ape, sigla che sa per anticipo pensionistico, è una prestazione, da non confondere con la pensione anticipata, che consente al lavoratore di anticipare la pensione di vecchiaia sino a un massimo di 3 anni e 7 mesi.

In caso di futuri adeguamenti alla speranza di vita nel 2021, il decreto sull’Ape volontario prevede la concessione dell’Ape supplementare, ossia un allungamento del periodo in cui l’assegno viene riconosciuto.

L’Ape volontario è ottenuto grazie a un prestito bancario, il cosiddetto prestito pensionistico, un finanziamento che deve essere restituito in 20 anni, una volta perfezionati i requisiti per la pensione.

Il trattamento è esentasse: ciò significa che l’assegno ricevuto mensilmente a titolo di Ape non ha trattenute tributarie, non essendo gravato dalle imposte.

A quanto ammonta l’Ape volontario?

L’Ape volontario, al contrario dell’Ape sociale, non è uguale alla futura pensione (con il tetto massimo di 1500 euro), ma può arrivare:

  • al 75% dell’importo mensile del trattamento pensionistico, se la durata di erogazione dell’Ape è superiore a 36 mesi;
  • all’80% dell’importo mensile del trattamento pensionistico, se la durata di erogazione dell’Ape è superiore a 24 e pari o inferiore a 36 mesi;
  • all’85% dell’importo mensile del trattamento pensionistico, se la durata di erogazione dell’Ape è compresa tra 12 e 24 mesi;
  • al 90% dell’importo mensile del trattamento pensionistico, se la durata di erogazione dell’Ape è inferiore a 12 mesi.

L’Ape volontario determina un taglio della futura pensione: la penalizzazione non è soltanto dovuta ai costi di restituzione di prestito pensionistico, ma anche all’assicurazione obbligatoria per il rischio di premorienza e al contributo per il fondo di garanzia.

Domanda Ape volontario 2019

Per chiedere l’Ape volontario nel 2019, la procedura è la stessa utilizzata nel 2018. Cerchiamo di riassumere i passaggi necessari per inoltrare la domanda di Ape volontario.

Come si accede al sito dell’Inps per chiedere l’Ape volontario?

Per presentare la domanda di Ape volontario, è necessario procurarsi le apposite credenziali per poter accedere ai servizi web dell’Inps: il decreto attuativo sull’Ape volontario, in particolare, richiede per l’accesso alla procedura l’identità unica digitale Spid almeno di secondo livello. Al sito dell’Inps si può comunque accedere con pin dispositivo o con carta nazionale dei servizi.

In alternativa, è possibile farsi assistere da un patronato.

Come si chiede la certificazione Inps del diritto all’Ape volontario?

Ottenute le credenziali web, non si può chiedere subito l’Ape, ma è necessario, innanzitutto, richiedere la certificazione del diritto alla prestazione. Nello specifico, bisogna accedere al sito web dell’Inps e seguire il percorso per richiedere la certificazione del diritto all’Ape: “Domanda di prestazione pensionistica: pensione, ricostituzione, ratei maturati e non riscossi, certificazione del diritto a pensione”; si deve poi cliccare su “Nuova domanda” nella colonna di sinistra e compilare l’apposito form online.

All’interno del formulario online si deve dichiarare di aver preso visione del proprio estratto conto previdenziale e di non aver riscontrato anomalie.

L’Inps, entro 60 giorni, comunica:

  • il diritto all’Ape, quindi a chiedere il prestito pensionistico, se accerta il possesso dei requisiti;
  • la data di maturazione dei requisiti di età per la domanda di Ape;
  • gli importi minimi e massimi della quota mensile di Ape ottenibile (dal 75% al 90% della pensione);
  • il rigetto della domanda, se non è accertato il possesso dei requisiti e delle condizioni che danno diritto all’anticipo pensionistico.

L’Inps certifica il diritto all’Ape tenendo conto delle disposizioni e condizioni vigenti al momento della domanda di certificazione, sulla base degli elementi e delle informazioni presenti nei suoi archivi.

Come si presenta la domanda di Ape volontario

Terminata la fase relativa alla certificazione dei requisiti, è possibile presentare la domanda di Ape volontario. Per inviare la domanda di prestito pensionistico– Ape volontario, in particolare, si deve nuovamente accedere al sito dell’Inps con le proprie credenziali. Bisogna poi sottoscrivere e inviare la domanda di prestito pensionistico, scegliere la banca che erogherà il prestito (al momento è possibile scegliere soltanto Intesa San paolo) e l’assicurazione contro il rischio di premorienza (allo stato attuale si può scegliere solo tra Allianz e Unipol) e chiedere l’accesso al fondo di garanzia.

Nella domanda di Ape volontario sono infatti incluse:

  • la proposta del contratto di finanziamento, con indicazione della banca prescelta;
  • la proposta di contratto di assicurazione contro il rischio di premorienza, con indicazione dell’impresa assicuratrice prescelta;
  • la domanda di accesso al fondo di garanzia.

Contestualmente alla domanda di Ape volontario, è necessario presentare all’Inps anche la domanda di pensione di vecchiaia.

Ci sono comunque 14 giorni di tempo per recedere: in particolare, in caso di recesso dal contratto di assicurazione o di finanziamento, la domanda di Ape, il contratto di finanziamento, la domanda di pensione di vecchiaia e l’istanza di accesso al fondo di garanzia sono inefficaci.

Per sottoscrivere validamente la domanda di Ape, la proposta del contratto di finanziamento e la proposta del contratto di assicurazione, l’identificazione è effettuata dall’Inps attraverso le credenziali assegnate.

Nella domanda di prestito pensionistico Ape bisogna inoltre indicare:

  • di voler accedere o meno al finanziamento supplementare per poter garantire l’erogazione dell’Ape fino all’effettiva età di pensionamento, nel caso in cui i requisiti per la pensione di vecchiaia aumentino a causa dell’adeguamento all’aspettativa di vita;
  • l’ammontare della quota mensile di Ape, nei limiti dell’importo minimo e dell’importo massimo;
  • l’importo di eventuali rate per debiti con l’erario;
  • l’importo di eventuali rate per prestiti, con periodo di ammortamento residuo superiore alla durata di erogazione dell’Ape;
  • l’importo di eventuali assegni divorzili, di mantenimento dei figli e di assegni stabiliti in sede di separazione tra i coniugi;
  • di non avere nei confronti delle banche o dì altri operatori finanziari, esposizioni per debiti scaduti o sconfinanti e non pagati da oltre 90 giorni;
  • di non essere a conoscenza di essere attualmente registrato negli archivi della centrale dei rischi gestita dalla Banca d’Italia e non aver ricevuto comunicazioni relative all’iscrizione in un sistema di informazioni creditizie gestito da soggetti privati, per l’inadempimento di uno o più prestiti, quali mutui, finanziamenti o altre forme di indebitamento;
  • di non aver avviato o essere oggetto di procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento;
  • di non avere pignoramenti in corso o estinti senza integrale soddisfazione dei creditori;
  • di non avere protesti a proprio carico e non essere registrato nell’archivio degli assegni bancari e postali e delle carte dì pagamento irregolari istituito presso la Banca d’Italia, denominato centrale di allarme interbancaria Cat.

L’indicazione dell’esistenza di debiti che possono gravare sulla futura pensione è indispensabile, in quanto l’Ape non può essere concesso, come già esposto, se la sua rata, assieme ad ulteriori debiti, supera il 30% della prestazione.

Come si trasmette la domanda di Ape volontario alla banca e all’assicurazione?

Una volta presentata la domanda di Ape volontario all’Inps, l’istituto la inoltra alla banca prescelta, mediante flusso telematico, assieme alla proposta di contratto di finanziamento e con evidenza dell’importo della commissione di accesso al fondo di garanzia; l’lnps trasmette poi la proposta di contratto di assicurazione contro il rischio di premorienza all’impresa assicuratrice scelta dal richiedente. L’interessato non deve dunque fare nulla, in questa fase.

Quando si riceve l’approvazione dell’Ape volontario?

Ricevuta la domanda di prestito pensionistico Ape, la banca trasmette sia all’interessato che all’Inps, con un flusso telematico, l’accettazione della proposta di contratto di finanziamento, oppure l’eventuale comunicazione di mancata accettazione della stessa. In quest’ultimo caso, la domanda di prestito pensionistico, il contratto di assicurazione e la domanda di pensione sono privi di effetti.

In caso di risposta positiva da parte della banca, L’Inps mette a disposizione dell’impresa assicuratrice dal richiedente prescelta l’accettazione della proposta di contratto di finanziamento.

L’impresa assicuratrice deve allora accettare la proposta di assicurazione e trasmetterla all’Inps e al richiedente.

Quando si perfeziona l’Ape volontario?

L’Ape si perfeziona alla data in cui sono pubblicate in formato elettronico, nella propria sezione riservata sul sito dell’Inps, l’accettazione del contratto di prestito e l’accettazione della proposta di assicurazione.

Che cos’è il prestito Ape supplementare?

Se nella fase di liquidazione dell’Ape interviene l’adeguamento dei requisiti pensionistici all’aspettativa dì vita, l’ammontare del finanziamento e la relativa durata devono essere rideterminati: ci si potrebbe dunque trovare a pagare di più, a meno che non sia stata espressa, in sede di domanda di prestito pensionistico, la volontà di non voler accedere al prestito supplementare.

Trattamento minimo

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Pensione minima: che cos’è, come funziona, come si calcola, chi ne ha diritto, che cosa succede nel 2019 con la pensione di cittadinanza.

Chi ha una pensione d’importo basso ha diritto, nella generalità dei casi, all’integrazione dell’assegno fino a un certo importo, ossia all’integrazione al trattamento minimo. Grazie all’integrazione, le pensioni basse (ad esclusione di alcuni trattamenti non integrabili, come le pensioni contributive) sono aumentate sono al cosiddetto minimo vitale, che viene aggiornato annualmente. L’integrazione al trattamento minimo non è, ad ogni modo, l’unico sostegno previsto per gli assegni Inps bassi: alcuni pensionati hanno diritto, ad esempio, alla maggiorazione sociale, che può far arrivare la pensione sino a 650 euro annui circa. Ma procediamo per ordine e vediamo, nel dettaglio, che cos’è, come funziona e come si calcola il trattamento minimo.

Che cos’è il trattamento minimo?

Il trattamento minimo, o integrazione al trattamento minimo, è una prestazione che l’Inps riconosce a chi ha una pensione molto bassa, al di sotto del cosiddetto minimo vitale, pari, nel 2018, a 507,42 euro mensili. Dal 2019, in base al meccanismo della perequazione, con il quale l’importo delle pensioni viene adeguato periodicamente al costo della vita, è stata applicata una rivalutazione a tutti gli assegni previdenziali, nella misura del +1,1% (come ufficializzato  dal Mef, il ministero dell’Economia e delle Finanze [1]). Il trattamento minimo è salito dunque a 513,01 euro mensili, e conseguentemente saliranno tutte le soglie di reddito previste per la sua spettanza.

Il trattamento minimo annuo ammonta dunque a 6.596,46 euro per il 2018, ed a 6.669,13 euro per il 2019 (513,01 euro per 13 mensilità).

In pratica, con l’integrazione al minimo, l’importo della pensione viene alzato sino ad arrivare a 513,01 euro mensili, per 13 mensilità: l’integrazione al minimo può essere dunque pari a 513,01 euro mensili soltanto se, per assurdo, la pensione risulta pari a zero. Negli altri casi, l’importo dell’integrazione è pari alla differenza tra la pensione e l’ammontare del trattamento minimo: ad esempio, se la pensione è pari a 400 euro mensili, l’integrazione al minimo risulta pari a 113,01 euro mensili, cioè alla cifra che serve per ottenere la pensione minima.

Non tutte le pensioni sotto la soglia minima possono essere, però, aumentate, perché per alcuni trattamenti l’integrazione al minimo è esclusa. Inoltre, per aver diritto all’incremento è necessario rispettare precisi requisiti di reddito.

Quali sono i limiti di reddito per il diritto al trattamento minimo?

Chi non è sposato, o risulta legalmente separato o divorziato, ha diritto all’integrazione al minimo:

  • in misura piena, se possiede un reddito annuo non superiore a 6.669,13 euro, cioè al trattamento minimo;
  • in misura parziale, se possiede un reddito annuo superiore a 6.669,13 euro, sino a 13.338,26 euro (cioè sino a due volte il trattamento minimo annuo).

Se il reddito supera la soglia di 13.338,26 euro, non si ha diritto ad alcuna integrazione.

I valori esposti fanno riferimento all’anno 2019, quindi alla rivalutazione del +1,1%, come ufficializzata dall’Inps [2].

Esempi di calcolo integrazione al trattamento minimo: pensionato single

Facciamo un esempio per capire meglio:

  • se il pensionato ha un reddito complessivo di 3mila euro annui ed una pensione di 200 euro mensili, ha diritto all’integrazione piena della pensione, sino ad arrivare a 513,01 euro;
  • se, invece, il reddito complessivo dell’interessato è pari a 10mila euro, l’integrazione della pensione non può essere totale, ma parziale, ossia pari alla differenza tra il limite di reddito di 13.338,26 euro ed il reddito complessivo.

Per calcolare l’integrazione mensile, si deve dunque:

  • sottrarre il reddito totale del pensionato dalla soglia limite;
  • dividere la cifra per 13.

Nel caso preso ad esempio dobbiamo eseguire la seguente operazione: (13.338,26-10mila) /13. Otteniamo dunque un’integrazione mensile pari a 256,79 euro.

Quali sono i limiti di reddito familiare per il diritto al trattamento minimo?

Se il pensionato risulta sposato si applicano dei limiti di reddito più alti, ai fini dell’integrazione al minimo, ma bisogna considerare anche il reddito del coniuge. In particolare, si ha diritto all’integrazione, per l’anno 2018:

  • piena, se il reddito annuo complessivo proprio e del coniuge non supera 19.789,38 euro ed il reddito del pensionato non supera i 6.596,46 euro;
  • parziale, se il reddito annuo complessivo proprio e del coniuge supera i 19.789,38 euro, ma non supera i 26.385,84 euro (cioè sino a quattro volte il trattamento minimo annuo) ed il reddito del pensionato non supera i 13.192,92 euro (deve essere applicato un doppio confronto, tra limite personale e coniugale: l’integrazione applicata è pari all’importo minore risultante dal doppio confronto).

Se il reddito personale e del coniuge supera i 26.385,84 euro, o se il solo reddito personale supera la soglia di 13.192,92 euro, non si ha diritto ad alcuna integrazione.

Per l’anno 2019 si ha diritto all’integrazione:

  • piena, se il reddito annuo complessivo proprio e del coniuge non supera 20.007,39 euro ed il reddito del pensionato non supera i 6.669,13 euro;
  • parziale, se il reddito annuo complessivo proprio e del coniuge supera i 20.007,39 euro, ma non supera i 26.676,52 euro (cioè sino a quattro volte il trattamento minimo annuo) ed il reddito del pensionato non supera i 13.338,26 euro (deve essere applicato un doppio confronto, tra limite personale e coniugale: l’integrazione applicata è pari all’importo minore risultante dal doppio confronto).

Se il reddito personale e del coniuge supera i 26.676,52 euro, o se il solo reddito personale supera la soglia di 13.338,26 euro, non si ha diritto ad alcuna integrazione.

Esempi di calcolo integrazione al trattamento minimo: pensionato sposato

Facciamo alcuni esempi per capire meglio:

  • se il reddito complessivo della coppia è pari a 10mila euro annui, il reddito personale non supera i 6.669,13 euro e la pensione dell’interessato è pari a 200 euro mensili, questi ha diritto all’integrazione piena della pensione, sino ad arrivare a 513,01 euro;
  • se, invece, il reddito complessivo della coppia risulta pari a 25mila euro, l’integrazione della pensione non può essere totale, ma parziale, pari alla differenza tra il limite di reddito di 26.676,52 euro ed il reddito complessivo.

Per calcolare l’integrazione mensile, si deve dunque:

  • sottrarre il reddito totale dalla soglia limite;
  • dividere la cifra per 13.

In questo caso si deve eseguire la seguente operazione: (26.676,52 -25.000) /13. Otteniamo dunque un’integrazione mensile pari a 128,96 euro.

Attenzione, in quest’ipotesi, alla doppia soglia: se il reddito della coppia non supera i 26.676,52 euro, ma il reddito del pensionato supera il limite individuale di 13.338,26 euro, non si ha diritto ad alcuna integrazione.

Va poi applicata l’integrazione minore risultante dal confronto tra limite e reddito della coppia e limite e reddito personale.

Nessun limite di reddito coniugale, invece, può essere applicato alle integrazioni al minimo per le pensioni con decorrenza anteriore al 1994.

Quali redditi rilevano per il diritto al trattamento minimo?

Non tutti i redditi devono essere contati nella soglia limite per il diritto al trattamento minimo, ma devono essere esclusi:

  • il reddito della casa di abitazione;
  • la pensione da integrare al minimo;
  • il Tfr ed i trattamenti assimilati (Tfs, Ips), comprese le relative anticipazioni;
  • i redditi esenti da Irpef, come le pensioni di guerra, le rendite Inail, le pensioni degli invalidi civili, i trattamenti di famiglia, etc.

Tutti gli altri redditi, invece, devono essere inclusi nel conteggio.

Come funziona la cristallizzazione del trattamento minimo?

Se il pensionato perde il diritto all’integrazione, mantiene comunque lo stesso assegno di pensione integrato, ma cristallizzato (cioè fermo) all’ultimo importo: il rateo di pensione resta uguale sino al suo superamento ad opera della perequazione automatica, cioè degli adeguamenti della pensione effettuati ogni anno.

Le pensioni contributive sono integrabili al minimo?

Nessuna integrazione al minimo è prevista, allo stato attuale, per le pensioni interamente calcolate col sistema contributivo, ad eccezione delle pensioni con opzione donna.

Sono calcolate integralmente con questo sistema:

  • le pensioni di chi non possiede contributi versati prima del 1996;
  • le pensioni degli aderenti all’opzione contributiva;
  • le pensioni degli iscritti alla Gestione Separata, comprese quelle ottenute con il computo da altre gestioni.

Pensione minima di cittadinanza 2019

Dal 2019 è prevista una pensione minima di cittadinanza per tutti, che darebbe luogo a un’integrazione sino a 780 euro mensili, anche per i trattamenti calcolati col solo sistema contributivo.

Come funziona la pace contributiva?

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Riscatto dei contributi scontato con pace contributiva: chi ne ha diritto, quanto costa, quali vantaggi per la pensione?

È stata appena approvata, col decreto in materia di reddito di cittadinanza e pensioni, una nuova misura che consente di uscire prima dal lavoro: si tratta della pace contributiva.

Grazie a questa misura, i lavoratori più giovani possono riscattare sino a un massimo di 5 anni di contributi, scaricando il costo dalle tasse. Inoltre, in alcuni casi, l’onere di riscatto può essere ridotto, o a carico del datore di lavoro.

La pace contributiva amplia notevolmente i periodi che possono essere riscattati: possono essere difatti coperti tutti i buchi contributivi compresi tra la data d’iscrizione alla forma di previdenza interessata e l’ultimo contributo accreditato nella gestione stessa, purché non soggetti a obbligo contributivo, o già coperti da contribuzione versata presso altre forme di previdenza obbligatoria.

Il costo del riscatto, inoltre, è rateizzabile senza interessi. Per gli under 45 (nella conversione in legge del decreto dovrebbero essere inclusi tutti i lavoratori sino ai 50 anni) è previsto anche il riscatto agevolato degli anni di laurea, con una spesa di circa 5mila euro per ogni anno riscattato.

Ma procediamo per ordine e vediamo come funziona la pace contributiva: quali sono i requisiti per i beneficiari, quali i periodi scoperti riscattabili, come si calcola il costo del riscatto, quali sono le agevolazioni previste.

Quali periodi si possono riscattare?

Ad oggi, per la generalità dei lavoratori, il riscatto dei contributi è consentito soltanto relativamente ad alcuni periodi:

  • lavoro all’estero: può essere riscattato l’intero periodo di lavoro all’estero, se non risultano convenzioni in materia di previdenza del paese presso cui si svolge l’attività lavorativa con l’italia; in caso contrario, si deve applicare la totalizzazione estera;
  • corso di laurea: è riscattabile la durata legale del corso;
  • corsi per:
    • diploma universitario
    • diploma di specializzazione
    • dottorato di ricerca;
  • periodi di aspettativa non retribuita per assistenza e cura dei disabili, sino a un massimo di 5 anni;
  • congedo per gravi motivi familiari, sino a un massimo di 2 anni;
  • congedo parentale fuori dal rapporto di lavoro, sino a un massimo di 5 anni;
  • sospensione o interruzione del rapporto di lavoro, sino a un massimo di 3 anni;
  • formazione professionale, studio e ricerca e inserimento nel mercato del lavoro;
  • intervalli tra lavori discontinui, stagionali o temporanei;
  • intervalli tra lavori part-time;
  • servizio civile universale, se non coperto da contribuzione.

Quali periodi si possono riscattare con pace contributiva?

In base alle previsioni del decreto in materia di reddito di cittadinanza e pensioni, è possibile riscattare, in tutto o in parte, i periodi compresi tra la data del primo e quello dell’ultimo contributo accreditato nelle seguenti forme assicurative:

  • assicurazione generale obbligatoria: l’assicurazione generale obbligatoria (Ago) è suddivisa in:
  • Fpld: fondo pensione lavoratori dipendenti;
  • fondo speciale degli addetti ad attività commerciali, o gestione speciale Commercianti;
  • fondo speciale della previdenza degli artigiani;
  • fondo speciale dei coltivatori diretti/imprenditori agricoli professionali, coloni e mezzadri;
  • fondi esonerativi dell’Ago;
    • gestione ad esaurimento degli spedizionieri doganali (confluita nell’Inps a seguito della soppressione operata nel 1997);
    • gestione speciale dei lavoratori delle miniere, cave e torbiere;
    • gestione speciale ad esaurimento del consorzio autonomo del porto di Genova e Trieste;
    • gestione speciale dei lavoratori dipendenti di ex-enti creditizi;
  •  forme sostitutive ed esclusive dell’assicurazione generale obbligatoria (Inpdap, Enpals…);
  •  gestione separata.

I periodi da riscattare non devono essere soggetti a obbligo contributivo e non devono essere già coperti da contribuzione, comunque versata e accreditata, presso forme di previdenza obbligatoria.

Questi periodi possono essere riscattati nella misura massima di cinque anni, anche non continuativi.

Facciamo degli esempi per capire meglio:

  • Mario si è iscritto alla gestione separata nel 2006, ha versato qualche mese di contributi, e poi non ha più versato nulla in questa forma assicurativa: non può riscattare né i periodi precedenti all’iscrizione, né quelli successivi al versamento dell’ultimo contributo;
  • se, però, Mario svolge un’attività di collaborazione, o di lavoro occasionale (si tratta di attività che comportano il versamento di contributi presso la gestione separata) nel 2019, può coprire tutti i buchi contributivi compresi tra la data d’iscrizione alla gestione separata e la data dell’ultimo versamento, che a questo punto non sarà più collocata nel 2006 ma nel 2019.

Chi può chiedere la pace contributiva?

Non tutti i lavoratori possono accedere alla pace contributiva, ma soltanto coloro che:

  • sono iscritti all’assicurazione generale obbligatoria, o alle forme sostitutive ed esclusive, o alle gestioni speciali dei lavoratori autonomi, o, ancora, alla gestione separata;
  • non sono già titolari di pensione;
  • sono privi di anzianità contributiva al 31 dicembre 1995.

In buona sostanza, chi possiede contributi versati entro il 31 dicembre 1995 non può beneficiare della pace contributiva. Non può beneficiare della misura nemmeno chi è iscritto solo a una o più casse professionali e non risulta iscritto a nessuna gestione amministrata dall’Inps.

L’eventuale successiva acquisizione di anzianità assicurativa precedente al 1° gennaio 1996 determina l’annullamento d’ufficio del riscatto già effettuato, con conseguente restituzione dei contributi.

Quanto costa il riscatto?

Il costo del riscatto deve essere calcolato col sistema interamente contributivo.

Nello specifico, gli oneri di riscatto si calcolano in questo modo:

  • per ogni anno da riscattare bisogna applicare l’aliquota vigente nella gestione previdenziale a cui appartiene l’iscritto (33% per i dipendenti), per il reddito imponibile degli ultimi 12 mesi;
  • in pratica, bisogna effettuare questa operazione: imponibile degli ultimi 12 mesi, per aliquota contributiva, per il numero di anni da riscattare;
  • nel caso in cui i periodi siano più brevi, o non risultino annualità intere, si deve rapportare l’imponibile dell’ultimo anno a mese, o a settimana;
  • quando l’imponibile è inferiore al reddito minimale, o non sono stati percepiti redditi, l’aliquota si applica sul minimale annuo.

Riscatto agevolato degli anni di laurea

Per gli under 45, è possibile riscattare gli anni di laurea anche ai soli fini dell’incremento dell’anzianità contributiva, cioè ai fini del diritto alla pensione, non della sua misura.

I periodi devono essere valutati con il sistema contributivo.

In quest’ipotesi, il costo del riscatto è costituito dal versamento di un contributo, per ogni anno da riscattare, pari all’imponibile minimo vigente nella gestione Inps Commercianti (15.878 euro per il 2019), moltiplicato per l’aliquota
valida presso il fondo pensione lavoratori dipendenti.

Si deve far riferimento ai valori vigenti alla data di presentazione della domanda. In pratica, per calcolare il costo di un anno di riscatto si deve eseguire quest’operazione: 15878 x 33%, dunque per ogni anno riscattato si pagano 5.239,74 euro.

In base a quanto annunciato, la conversione in legge del decreto pensioni prevede l’ampliamento del riscatto agevolato, offrendo la possibilità di richiederlo ai lavoratori sino a 50 anni di età.

Il datore di lavoro può pagare il riscatto?

Il costo del riscatto può essere sostenuto anche dal datore di lavoro, che può destinare allo scopo i premi di produzione del lavoratore; il costo può essere dedotto dal reddito d’impresa. Per il dipendente, non si tratta di un reddito imponibile.

Come si paga il riscatto con pace contributiva?

Il versamento dell’onere di riscatto può essere effettuato ai regimi previdenziali di appartenenza:

  • in un’unica soluzione;
  • in massimo 60 rate mensili (che dovrebbero essere aumentate a 120, in base a quanto reso noto, nella conversione in legge del decreto pensioni), ciascuna di importo non inferiore a 30 euro, senza applicazione di interessi per la rateizzazione.

Se la pensione deve essere liquidata in via immediata, il costo del riscatto non si può rateizzare. Lo stesso vale nel caso in cui i periodi da coprire siano determinanti per l’accoglimento di una domanda di autorizzazione ai versamenti volontari.

Il costo del riscatto si può scaricare dalle tasse?

Il costo del riscatto con pace contributiva è detraibile al 50% dall’Irpef, con una ripartizione in
5 quote annuali costanti e di pari importo, nell’anno di sostenimento e in quelli successivi.

Come si chiede la pace contributiva?

La domanda di riscatto con pace contributiva può essere inviata dal lavoratore, dai suoi superstiti o
dai suoi parenti ed affini entro il secondo grado.

La domanda deve essere inoltrata all’Inps tramite:

  • sito web, per chi possiede le credenziali di accesso (pin dispositivo, Spid, carta nazionale dei servizi);
  • call center, al numero 803.164 o 06.164.164 per chi chiama da cellulare;
  • patronato.
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