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Colf e badanti: si possono pagare solo con vitto e alloggio?

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È possibile offrire pasti e ospitalità in cambio di lavori domestici e assistenza ai bambini e agli anziani?

Hai bisogno di una mano in casa: non hai necessità di una colf o di una badante a tempo pieno, ma di una persona che ti dia un piccolo aiuto quotidiano nelle faccende domestiche, nelle commissioni, o che faccia compagnia ai bambini o agli anziani per qualche ora. Purtroppo, considerando il periodo di crisi che stiamo attraversando, non sei in grado di garantire una retribuzione: tuttavia, puoi offrire la disponibilità di un alloggio signorile nel centro di una grande città e vitto illimitato. Ma colf e badanti si possono pagare solo con vitto e alloggio? In altre parole, quando il valore dell’alloggio offerto e del vitto è elevato, ad esempio perché si offre la disponibilità di un appartamento nel centro di Roma, di Milano, a Porto Cervo, con colazioni, pranzi, cene e spuntini abbondanti e di qualità, pasti e ospitalità possono sostituire la retribuzione? Per rispondere alla domanda, dobbiamo verificare che cosa prevedono, a tal proposito, le leggi ed il contratto collettivo nazionale dei lavoratori domestici.

Il lavoratore dipendente si può pagare solo con vitto e alloggio?

In merito alla retribuzione dei lavoratori dipendenti, la Costituzione [1] stabilisce che questa deve essere proporzionata alla quantità ed alla qualità del lavoro prestato, e che deve essere sufficiente a garantire un’esistenza libera e dignitosa al lavoratore ed alla sua famiglia.

La Costituzione, quindi, non stabilisce un divieto di pagamento in natura, ma chiarisce che, a prescindere dalle modalità con cui il lavoratore è pagato, quanto corrisposto deve essere sufficiente a garantire il sostentamento personale e della famiglia, in proporzione all’attività svolta.

Il codice civile [2] stabilisce, a proposito della paga, che il lavoratore possa essere retribuito in tutto o in parte con partecipazioni agli utili o ai prodotti, con provvigioni o con prestazioni in natura. Tra le prestazioni in natura è compresa anche la concessione del vitto e dell’alloggio.

In ogni caso, come chiarito dalla Cassazione con una nota sentenza [3], la giusta retribuzione spettante al lavoratore deve essere individuata nei minimi retributivi stabiliti per ciascuna qualifica dalla contrattazione collettiva. I minimi retributivi devono applicarsi necessariamente, a prescindere dall’iscrizione ad una delle associazioni sindacali stipulanti, ed a prescindere dalle dimensioni del datore di lavoro.

Tornando dunque alla possibilità di pagare colf e badanti solo con vitto e alloggio, è fondamentale verificare che cosa dispone, in merito, il contratto collettivo di categoria.

Colf e badanti: retribuzione, vitto e alloggio

Secondo quanto previsto dal contratto collettivo nazionale del lavoro domestico [4], la retribuzione del lavoratore è composta dalle seguenti voci:

  • retribuzione minima contrattuale, comprensiva per i livelli D e D super di uno specifico elemento denominato indennità di funzione;
  • eventuali scatti di anzianità;
  • eventuale compenso sostitutivo di vitto e alloggio;
  • eventuale superminimo.

Il contratto collettivo [5] dispone poi che, nei casi in cui è stato concordato l’obbligo per il datore di lavoro di fornire vitto e alloggio, questi deve garantire al lavoratore:

  • un vitto che assicuri una nutrizione sana e sufficiente;
  • un ambiente di lavoro non nocivo all’integrità fisica e morale;
  • un alloggio idoneo a salvaguardarne la dignità e la riservatezza.

Nulla vieta la sostituzione del vitto e dell’alloggio con la corresponsione di un’indennità, purché l’indennità corrisposta consenta alla colf, o alla badante di ottenere un’alimentazione sana e sufficiente, ed una sistemazione che garantisca dignità e riservatezza. In base a quanto disposto nel contratto collettivo, l’indennità, se almeno pari ai valori convenzionali fissati nella tabella F allegata al contratto, è idonea a compensare la mancata corresponsione in natura di vitto e alloggio.

Si può sostituire lo stipendio di colf e badanti con vitto e alloggio?

In base a quanto disposto dal contratto collettivo, è possibile sostituire il vitto e l’alloggio con un’indennità, ma non è possibile il contrario, cioè sostituire la retribuzione col vitto e l’alloggio. Questo perché vitto ed alloggio costituiscono dei benefici aggiuntivi rispetto alla paga mensile, e non prendono il posto della retribuzione.

Vitto, alloggio e paghetta: assumere una ragazza alla pari

Se non hai la possibilità di offrire alla collaboratrice domestica una retribuzione minima, ma hai la disponibilità di vitto e alloggio, forse la soluzione che fa per te è assumere una ragazza alla pari. Non si tratta di un vero e proprio rapporto di lavoro, ma della possibilità di ospitare uno studente straniero (sino ai 30 anni di età) in cambio di piccoli lavori domestici.

Oltre al vitto ed all’alloggio, dovrai comunque fornire un piccolo compenso, a seconda delle ore di collaborazione di cui benefici settimanalmente: il compenso non può mai essere inferiore a 70 euro settimanali, in caso d’impegno minimo in famiglia (Demi Pair: 3 ore al giorno per 5 giorni alla settimana).

Per assumere una ragazza alla pari, ci sono però diversi adempimenti da effettuare. Ci si può far aiutare da un’agenzia affiliata Iapa- International Au Pair Association, come Aniap – Associazione Nazionale Italiana delle Agenzie Alla Pari o Eur Aupair.


Lavoro e contratti: le ultime novità

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Ultimi aggiornamenti in materia d’impiego e contratti di lavoro: come si evolvono la legge e le regole operative ministeriali.

Quando si parla di lavoro si affronta un argomento molto delicato, particolarmente complesso ed in continua evoluzione. I rapporti di lavoro, difatti, possono avere numerose peculiarità: al contratto di lavoro a tempo pieno e indeterminato, difatti, si sono affiancate negli anni numerose tipologie di contratti “cosiddetti” flessibili, dal contratto a termine a quello stagionale, dalla somministrazione al lavoro a chiamata, sino ad arrivare al nuovo contratto di prestazione occasionale. Per non parlare delle disposizioni che regolamentano ciascun rapporto di lavoro derivanti dai contratti collettivi, che possono cambiare a seconda dell’inquadramento del lavoratore e della sua anzianità, o, ancora, delle disposizioni in materia di contributi ed assicurazione, o, ancora, di incentivi all’assunzione. Oltre alla legge ed ai contratti collettivi, bisogna aver riguardo anche alle circolari del ministero del Lavoro, dell’Inps e dell’Inail (quando si toccano aspetti fiscali collegati al rapporto lavorativo, anche dell’Agenzia delle Entrate).

Le novità sono quasi quotidiane: per restare aggiornati è necessario leggere i giornali o, in alternativa, leggere ogni giorno la Gazzetta Ufficiale, le informative sindacali riguardo ai contratti collettivi, le circolari e i messaggi degli enti preposti.

In questo articolo cercheremo di fornire, costantemente, un quadro su quelle che sono le ultime novità su lavoro e contratti, in modo da poter tenere costantemente informato il nostro lettore. Non dovrai quindi trovare altri link su Google: potrai mettere questa pagina tra le preferite del tuo browser in modo da richiamarla, di tanto in tanto, e scoprire cosa di nuovo è successo in materia di lavoro e contratti.

Incentivi all’assunzione per chi percepisce il reddito di cittadinanza

Fino a 18 mesi di reddito di cittadinanza per le aziende che assumeranno i disoccupati beneficiari della misura: in “soldoni”, assumere un disoccupato avente diritto al reddito di cittadinanza potrebbe fruttare all’impresa un risparmio sino a 14040 euro, cioè a 780 euro, l’importo massimo mensile del sussidio, per 18 mesi, il periodo massimo di godimento del reddito.

In particolare, in caso di assunzione a tempo pieno e indeterminato, è riconosciuto, sotto forma di esonero dal versamento dei contributi previdenziali e assistenziali a carico del lavoratore e del datore di lavoro, un importo pari alla differenza tra 18 mensilità di reddito di cittadinanza e l’importo del sussidio già goduto dal beneficiario assunto.

L’incentivo potrà essere poi accompagnato dagli sgravi contributivi per l’assunzione di disoccupati, come il bonus assunzione Mezzogiorno, che è recentemente stato prorogato, o il nuovo sgravio contributivo del 50% per l’assunzione di under 35 o, ancora, il nuovo bonus assunzione giovani eccellenze, rivolto ai datori di lavoro che assumeranno laureati con un voto pari a 100 e lode o dottori di ricerca.

Ma le agevolazioni non finiscono qui: le imprese che assumeranno disoccupati beneficiari del reddito di cittadinanza, difatti, potranno usufruire del bonus formazione, ossia di percorsi di formazione gratuiti per riqualificare i nuovi assunti.

Il tutto sarà accompagnato da una radicale riforma dei centri per l’impiego: tutti i centri, in particolare, saranno dotati di un nuovo sportello per le imprese, dedicato all’incontro tra domanda e offerta di lavoro. Ciò che vuol fare il Governo, a questo proposito, è rilanciare il canale dei centri per l’impiego, cioè degli ex uffici di collocamento, perché tornino ad essere, come in origine, la corsia preferenziale per trovare un nuovo lavoro e perché smettano di rappresentare uno strumento inefficace e inutilizzato dalle imprese.  Ad oggi, in effetti, sono veramente pochissimi i datori di lavoro che si rivolgono ai centri per l’impiego per trovare nuovi addetti, così come sono pochissimi i lavoratori che sperano di trovare un’occupazione grazie a queste strutture. Tutto, secondo quanto affermato dal Governo, cambierà con la riforma di questi centri, il cui organico sarà rafforzato e gli strumenti potenziati.

Proroga bonus occupazione giovani Neet

È stato appena prorogato, con un nuovo decreto dell’Anpal [23], il bonus assunzione giovani Neet, previsto nell’ambito del programma operativo nazionale Iniziativa occupazione giovani: l’agevolazione all’assunzione, per la precisione, si chiama Incentivo occupazione Neet ed è dedicata ai giovani sino ai 29 anni che non studiano e non lavorano.

L’incentivo consiste in un esonero totale dal versamento dei contributi previdenziali a carico del datore di lavoro (sono quindi esclusi premi e contributi Inail) per 12 mesi, e può essere cumulato col Bonus occupazione giovani under 35 riconosciuto dal decreto Dignità.

Per l’incentivo, che vale per le assunzioni effettuate sino al 31 dicembre 2019 e che deve essere fruito entro il 28 febbraio 2021, le risorse stanziate nel 2019 sono complessivamente pari a 160 milioni di euro: l’agevolazione si ottiene presentando un’apposita domanda all’Inps, nei limiti di disponibilità delle risorse.

Per approfondire: Incentivo occupazione giovani Neet.

Per conoscere tutti gli incentivi all’assunzione operativi nel 2019: Bonus assunzione 2019.

Proroga Bonus occupazione Mezzogiorno

Confermati gli sgravi contributivi per le assunzioni a tempo indeterminato per il 2019 e il 2020 di under 35, o di disoccupati da almeno sei mesi, nelle regioni del Mezzogiorno. L’agevolazione massima è di 8.060 euro all’anno per ogni lavoratore assunto.

Bonus assunzione giovani eccellenze

Stabilito un esonero contributivo fino a 12 mesi per le assunzioni a tempo indeterminato di giovani laureati con il massimo dei voti. I beneficiari sono:

  • coloro che hanno ottenuto una laurea magistrale dal 1° gennaio 2018 al 30 giugno 2019, con voto di 110 e lode e prima dei 30 anni;
  • coloro che hanno conseguito un dottorato nello stesso periodo prima dei 34 anni.

Il tetto massimo degli sgravi contributivi è pari a 8mila euro annui.

Mobilità aggiuntiva

Spettano 12 mesi di mobilità in più ai lavoratori che hanno cessato o cessano la mobilità ordinaria o in deroga dal 22 novembre 2017 al 31 dicembre 2018, a condizione che siano applicate misure di politica attiva. Proroga anche per i lavoratori delle aree di Termini Imerese e di Gela

Mini Ires al 15% per incremento dell’occupazione

Agli utili reinvestiti in azienda destinati a incremento degli investimenti e ad incremento occupazionale si applica un’aliquota Ires agevolata al 15%. L’agevolazione vale anche per le imprese soggette a Irpef.

Cigs per cessazione attività

Dal 2019, torna la Cigs per le imprese che cessano l’attività produttiva, cancellata con il Jobs act nel 2016. La sua durata massima è di 12 mesi, e vale per un biennio, ossia per gli anni 2019 e 2020 [1] .

Cigs per riorganizzazione o crisi 

Anche per l’anno 2019 è stata prorogata la Cigs per le imprese di rilevanza economica e strategica, anche a livello regionale, con una rilevante percentuale di lavoratori in esubero, a prescindere dal numero di occupati. La Cigs è applicabile anche in caso di contratto di solidarietà difensivo. Per le aziende che avevano in essere un programma in scadenza nel trimestre precedente il 29 ottobre 2018 possono essere richieste delle proroghe.

Inail: 370 milioni di contributi a fondo perduto per le imprese col bando Isi 2019

Anche per il 2019, l’Inail ha pubblicato il bando Isi, che offre alle aziende incentivi a fondo perduto per gli investimenti  nel campo della salute e della sicurezza. Per quest’anno (è importante ricordare, per non fare confusione, che il bando Inail per il 2019 si chiama Isi 2018) sono stati messi a disposizione ben 370 milioni di euro: in totale, i contributi a fondo perduto erogati dall’Istituto alle aziende, dal 2010 ad oggi, sono pari a circa due miliardi di euro.

Una disponibilità di risorse notevole, che però risulta essere un investimento per l’Inail: difatti, i contributi sono destinati esclusivamente al miglioramento della salute e della sicurezza e la spesa per la prevenzione si rivela essere di gran lunga inferiore ai costi degli infortuni.

Per accedere alla misura, gli interessati dovranno presentare l’apposita domanda in modalità telematica, attraverso il sito web dell’Inail, dall’11 aprile 2019 fino alle ore 18 del 30 maggio 2019; il cosiddetto “click day”, cioè la giornata in cui sarà possibile l’inoltro delle domande, sarà reso noto sul sito dell’istituto a partire dal 6 giugno 2019. Se l’impresa si troverà collocata in graduatoria in una posizione utile per accedere al contributo, la domanda dovrà poi essere confermata tramite l’invio della documentazione indicata nell’avviso pubblico per la specifica tipologia di progetto.

Per saperne di più: Inail, bando Isi 2018 per il 2019.

Congedo straordinario Legge 104 per il figlio non convivente

La Corte Costituzionale, con una recente sentenza [22], consente anche al figlio non convivente al momento della domanda la possibilità di fruire del congedo straordinario legge 104, ossia del congedo, pari a un massimo di 2 anni nella vita lavorativa, per assistere familiari disabili .

In particolare, la Corte ha dichiarato la parziale incostituzionalità del testo unico maternità-paternità, nella parte in cui non elenca tra i beneficiari del congedo straordinario il figlio che, al momento della presentazione della richiesta, ancora non convive con il genitore con handicap grave, se instaura la convivenza successivamente, in caso di mancanza, decesso o in presenza di patologie invalidanti del coniuge convivente, del padre e della madre, anche adottivi, dei figli conviventi, dei fratelli e delle sorelle conviventi, dei parenti o affini entro il terzo grado conviventi, legittimati a richiedere il beneficio in via prioritaria secondo l’ordine determinato dalla legge.

Sconto dei contributi Inail

Il taglio del cuneo fiscale inizia dai premi Inail: in particolare, è in arrivo una rimodulazione in arrivo delle tariffe Inail.

Per i premi Inail, è previsto il 32,72% in meno rispetto al tasso medio tariffario in vigore dal 2000. Il risparmio previsto per le imprese è di 600 milioni di euro.

Reddito di cittadinanza: l’offerta di lavoro si può rifiutare se non è equa

Il reddito di cittadinanza spetta anche a chi rifiuta il lavoro? In base a quanto più volte annunciato dal Vicepremier Di Maio, per perderlo bisognerà rifiutare tre offerte di lavoro. Non solo: è anche necessario che l’offerta di lavoro rifiutata sia equa.

Che cosa si intende per offerta di lavoro equa? I parametri che rendono equa un’offerta lavorativa non sono stati ancora resi noti, ma si pensa che saranno molto simili agli attuali requisiti che definiscono un’offerta di lavoro come congrua (ad oggi chi rifiuta un impiego congruo perde l’indennità di disoccupazione Naspi). La congruità dell’offerta, ad oggi, è commisurata su parametri diversi, a seconda della durata del periodo di disoccupazione dell’interessato: ci si basa, comunque, sulla distanza del luogo di lavoro dall’abitazione, sullo stipendio e, per chi non è disoccupato da molto, sul settore di attività.

In ogni caso, è stato anticipato che si potranno rifiutare le offerte di lavoro, se la sede dell’azienda si trova al di fuori della propria città o della propria regione. Il tutto, tenendo presente, però, che il reddito di cittadinanza non avrà una durata illimitata, e che gli interessati saranno sottoposti a verifiche periodiche e dovranno effettuare dei lavori di pubblica utilità. La misura partirà a breve, dopo l’attuazione della riforma dei centri per l’impiego.

Per approfondire:  Reddito di cittadinanza e rifiuto offerta di lavoro.

Reddito di cittadinanza: misura a tempo, niente spazio a chi non cerca lavoro

Il reddito di cittadinanza non sarà una misura a tempo indeterminato, ma avrà una durata limitata, come annunciato nei giorni scorsi dal Vicepremier Di Maio, per spronare i disoccupati alla ricerca attiva di un impiego; inoltre, anche prima della scadenza della misura, saranno disposte verifiche periodiche. Non ci sarà tempo per poltrire sul divano: il disoccupato sarà impegnato in lavori di pubblica utilità (8 ore settimanali a favore del proprio Comune) ed in percorsi di formazione e riqualificazione. Il sussidio, poi, non consisterà in un assegno per i furbetti che hanno intenzione di fare spese pazze, ma in una sorta di social card con la quale si potranno acquistare soltanto i beni essenziali: chi bara sulle condizioni per il diritto al sussidio con false dichiarazioni potrà subire sino a 6 anni di carcere.

Le stesse condizioni, eccezion fatta per la punibilità delle false dichiarazioni ovviamente, non dovrebbero riguardare la pensione di cittadinanza, ossia l’integrazione della pensione sino a 780 euro mensili, che sostituirà l’attuale trattamento minimo e le maggiorazioni, estendendosi però a tutte le pensioni. Non dovrebbe dunque essere prevista una durata massima per la pensione di cittadinanza, né l’erogazione su social card, anche se su quest’ultimo punto al momento nulla è stato chiarito.

Le due misure, in ogni caso, partiranno a breve: la pensione di cittadinanza dal 1° gennaio 2019, e il reddito di cittadinanza dal 1° aprile 2019, dopo l’attuazione della riforma dei centri per l’impiego.  Per approfondire: Reddito di cittadinanza, quanto dura?

Licenziamento: illegittimo l’indennizzo basato sulla sola anzianità

Secondo la Corte Costituzionale è illegittimo, come criterio per determinare l’indennizzo in caso di licenziamento, basarsi sulla sola anzianità del lavoratore.

Facciamo un passo indietro per capire meglio la questione: il Jobs Act aveva previsto, come risarcimento per i licenziamenti illegittimi, un’indennità economica che partiva da un minimo di 4 mensilità fino ad arrivare a un massimo di 24 mensilità, sulla base di un meccanismo di calcolo che considera 2 mensilità di indennizzo per ogni anno di servizio.

Il decreto Dignità, in vigore dallo scorso 14 luglio, non ha modificato le previsioni del Jobs Act, ma si è limitato ad aumentare del 50% gli importi degli indennizzi, e a portare a 6 mensilità il risarcimento minimo, ed a 36 mensilità il risarcimento massimo.

La Consulta, sulla base dell’attuale normativa, ha confermato le tutele crescenti, cioè la limitazione della tutela reale (la reintegrazione nel posto di lavoro in caso di licenziamento illegittimo) per lasciar spazio alla tutela risarcitoria, cioè all’integrale monetizzazione della garanzia offerta al lavoratore licenziato, confermando anche gli importi degli indennizzi.
La Corte Costituzionale ha invece giudicato illegittimo il criterio di determinazione degli indennizzi stessi: la previsione di un’indennità crescente basata sulla sola anzianità di servizio del lavoratore è stata reputata, nel dettaglio, contraria ai principi di ragionevolezza e uguaglianza, e in contrasto con il diritto e la tutela del lavoro sanciti dalla Costituzione.

In altre parole, secondo la Consulta, utilizzare come criterio per il risarcimento in caso di licenziamento la sola anzianità lavorativa crea disuguaglianze, e va contro i principi fondamentali della Costituzione.

Bonus conciliazione vita-lavoro: domande in scadenza

Il Jobs Act ha previsto degli incentivi per le aziende che promuovono, attraverso la contrattazione di secondo livello, le misure di conciliazione vita-lavoro, come l’accesso al lavoro agile, alla flessibilità oraria, asili nido aziendali e voucher per i servizi di baby-sitting. Gli incentivi per i datori di lavoro che promuovono questo tipo di misure consistono in sgravi contributivi, cioè in una riduzione della quota di contributi a carico dell’azienda. Chi vuole accedere agli sgravi deve presentare la richiesta entro il 15 settembre 2018. Nella nostra guida abbiamo fatto il punto della situazione sul bonus conciliazione vita-lavoro: come funziona, chi può richiedere gli sgravi, quali sono le misure agevolate, come si calcolano gli incentivi, come si invia la domanda.

Visita fiscale: un furbetto su 4 riesce a farla franca

Lo stop al sistema Savio, il cosiddetto cervellone dell’Inps, finalizzato all’invio delle visite fiscali nei casi sospetti, sta creando dei danni non indifferenti, considerando che ogni anno l’istituto spende 2 milioni di euro d’indennità di malattia per i lavoratori del settore privato, mentre la malattia dei dipendenti pubblici vale 2,8 milioni di euro annui.

Sino a quando il cosiddetto cervellone dell’Inps, cioè il sistema Savio, era attivo, erano più a rischio i dipendenti:

  • assenti per malattia frequentemente, con pochi giorni di prognosi (in parole semplici, con poche giornate di assenza dal lavoro assegnate dal medico, necessarie alla guarigione);
  • assenti per malattia a ridosso dei festivi e dei weekend, o comunque delle giornate non lavorative;
  • con prognosi troppo lunghe rispetto alla patologia diagnosticata, o all’infortunio non lavorativo verificatosi;
  • con patologie difficili da verificare, come cefalea (mal di testa), gastrite, colite, depressione…

In pratica, il sistema di lavorazione dei dati dell’Inps indirizzava le visite fiscali verso i casi maggiormente sospetti. Dopo lo stop imposto dal Garante della privacy, però, non è più possibile inviare le visite fiscali ai casi sospetti, ma i controlli vengono eseguiti a campione: il presidente Boeri ha calcolato una perdita, derivante dall’arresto del sistema informativo, pari a 335mila euro al mese. In sostanza, un caso su quattro di falsa malattia non viene più scoperto.

Questo, comunque, non significa che i “finti malati” possano festeggiare e dormire sonni tranquilli:

  • per quanto riguarda i dipendenti pubblici, i dirigenti delle amministrazioni hanno l’obbligo di inviare la visita fiscale sin dal primo giorno di malattia, se l’assenza si verifica prima o dopo una giornata non lavorativa; inoltre, in base alla recente riforma delle visite fiscali, i controlli dell’Inps possono avvenire più volte nell’arco della stessa malattia, e addirittura della stessa giornata;
  • per quanto riguarda i dipendenti del settore privato, anche senza il sistema “scova-furbetti” dell’Inps, permangono i controlli a campione; potrebbe poi essere il datore di lavoro stesso a richiedere, pagando di tasca l’importo, la visita fiscale.

Rapporto a termine senza causale con i contratti di prossimità

La previsione della causale obbligatoria, per i contratti a termine oltre i 12 mesi, e per i rinnovi e le proroghe che determinano il superamento di questa soglia, sta creando non pochi problemi nell’amministrazione del personale. Molti non sanno, però, che il decreto Dignità non ha abolito la normativa sui contratti di prossimità [21]: i contratti collettivi di secondo livello, che possono essere sia territoriali che aziendali, difatti, possono modificare la disciplina del contratto a tempo determinato, in deroga sia alla normativa che ai contratti collettivi nazionali, comprese le disposizioni che riguardano le causali.

I contratti di prossimità, per poter derogare alla legge, devono però prevedere una delle seguenti finalità: maggiore occupazione, qualità dei contratti di lavoro, adozione di forme di partecipazione dei lavoratori, emersione del lavoro nero, incrementi di competitività e di salario, gestione delle crisi aziendali e occupazionali, investimenti e avvio di nuove attività.

Possono essere previste dai contratti di prossimità, ad esempio, nuove causali, ossia ragioni più elastiche che giustifichino il ricorso al tempo determinato: l’importante è che non si perda di vista la finalità del contratto di secondo livello, e che questo non sia puramente volto a bypassare le nuove previsioni del decreto Dignità.

L’azienda può vietare WhatsApp?

Il datore di lavoro può vietare ai propri dipendenti di chattare via WhatsApp o postare messaggi sui social network, per evitare che il dipendente disperda le sue energie, che invece vanno indirizzate all’attività lavorativa. Per vietare WhatsApp durante l’orario di lavoro, peraltro, non è necessario che l’azienda consulti le associazioni sindacali: lo ha chiarito il Tribunale di Lecce, con una recente ordinanza [20] . Per saperne di più: WhatsApp al lavoro.

Il decreto Dignità è legge

Nonostante perplessità e discussioni, è appena diventato legge il decreto Dignità. Ecco le principali novità in tema di lavoro:

  • reintroduzione delle causali per i contratti a termine la cui durata supera i 12 mesi, in caso di rinnovi, e di proroghe che determinano il superamento di 12 mesi di rapporto;
  • durata massima del contratto a termine pari a 24 mesi;
  • aumento di 0,5 punti dei contributi dovuti in caso di rinnovo del contratto a termine;
  • numero massimo di proroghe pari a 4;
  • applicazione, nel contratto di somministrazione, delle stesse limitazioni previste per il lavoro a termine, salvo diritto di precedenza, periodo di pausa tra un contratto e l’altro e numero massimo di lavoratori a tempo determinato (pari, nella somministrazione a termine, al 30% dei lavoratori dell’azienda);
  • proroga al 2020 del bonus assunzione under 35;
  • sanzioni contro la delocalizzazione delle aziende;
  • possibile ricorso ai nuovi voucher (contratto di prestazione occasionale) per le aziende del turismo sino a 8 dipendenti, e per le aziende agricole sino a 5 dipendenti.

Contratto a termine, come funziona il regime transitorio

Le nuove regole sul contratto a termine non sono uguali per tutti, ma dipendono dalla data di assunzione e dalle date in cui sono effettuate eventuali proroghe e rinnovi.

Nel dettaglio, sono previsti tre diversi regimi:

  • se il contratto era in corso al 14 luglio 2018, si può continuare ad applicare senza modifiche il regime precedentemente in vigore, sino al 31 ottobre; il vecchio regime continuerà ad essere applicato, fino alla stessa data, anche per proroghe e rinnovi;
  • se il contratto è stipulato dopo il 14 luglio, si applicano da subito le nuove regole su durata massima, limiti quantitativi e indicazione della causale nel primo contratto di durata superiore a 12 mesi, ma è previsto un periodo limitato di sopravvivenza (fino al 31 ottobre) del vecchio regime per le proroghe e i rinnovi; quest’interpretazione della norma non è, però, unanime e quindi risulta opportuno attendere maggiori chiarimenti;
  • se il contratto è stipulato dopo il 14 luglio e non è interessato da proroghe e rinnovi fino al 31 ottobre, le nuove regole valgono da subito.

Nuovi limiti alla somministrazione

Resta, per gli ordinari contratti a tempo determinato, il limite del 20% dei lavoratori a termine che un’azienda può assumere, ma arriva una seconda soglia per la somministrazione a termine: la nuova soglia, in particolare, è pari al 30% del numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza presso l’utilizzatore al 1° gennaio dell’anno di stipula dei contratti di somministrazione stessi. Nel computo della percentuale indicata, il legislatore ha incluso anche gli eventuali contratti a termine in forza presso il datore di lavoro.

Questi limiti possono però essere cambiati dalla contrattazione collettiva (di qualsiasi livello); inoltre, esiste una previsione che ne esclude l’applicazione per la somministrazione a termine dei lavoratori svantaggiati. Se si supera il numero massimo di lavoratori, per quanto riguarda la somministrazione a termine, scatta una sanzione da 250 a 1.250 euro per l’utilizzatore, ma il lavoratore può chiedere la costituzione di un rapporto di lavoro all’utilizzatore.

Le conseguenze sono diverse per gli ordinari contratti a termine: si applica infatti una sanzione dal 20 al 50% della retribuzione dei lavoratori assunti a tempo determinato oltre il limite massimo consentito (a seconda che il numero di questi ultimi sia pari o superiore a uno),

Niente causali sino al 31 ottobre per i rinnovi del contratto a termine

Per i contratti a termine in corso al 14 luglio, non sarà necessario inserire una causale per i rinnovi sino al 31 ottobre 2018: è quanto disposto da un recente emendamento al decreto Dignità, appena approvato.

Contratti di prestazione occasionale: nuovi voucher più elastici

Dopo il flop del contratto di prestazione occasionale e del libretto famiglia non saranno reintrodotti i tanto discussi voucher, cioè i buoni per le prestazioni di lavoro occasionale accessorio: i contratti di prestazione occasionale, ossia i cosiddetti nuovi voucher, saranno invece resi più elastici, ed estesi a un maggior numero di aziende che operano nei settori del turismo e dell’agricoltura. In particolare, la prestazione occasionale potrà avere una durata massima di 10 giorni anziché 3, ed i nuovi voucher potranno essere attivati anche dalle aziende agricole con non più di 5 dipendenti, e dalle aziende del settore turismo con non più di 8 dipendenti. I pagamenti delle prestazioni potranno avvenire anche alle poste, dopo 15 giorni dallo svolgimento dell’attività lavorativa.

Confermato il bonus assunzione under 35

Il bonus per l’assunzione di giovani under 35 è confermato anche per il 2019 ed il 2020: l’età del lavoratore da assumere non scenderà, sino al 2020, al tetto massimo di 29 anni.

Numero massimo dei lavoratori a termine

Un nuovo emendamento al decreto Dignità stabilisce che il numero massimo dei lavoratori a termine in azienda debba essere pari al 30% dell’organico, salvo che il contratto collettivo non disponga diversamente.

Malattia e visita fiscale: arriva la nuova guida dell’Inps

Sei un lavoratore dipendente, ti sei ammalato e non sai come comportarti, quali adempimenti devi effettuare? Dalla visita da parte del tuo medico curante e dalla trasmissione del certificato telematico alla visita fiscale, l’Inps ti spiega tutto. In particolare, l’istituto chiarisce quali sono i requisiti, sia per i lavoratori pubblici che per i dipendenti del settore privato, per essere esonerati dalla visita fiscale, da quale giorno parte la malattia, e fornisce tantissime altre indicazioni interessanti. Se vuoi la risposta a tutti i tuoi dubbi, leggi la Guida Inps malattia e visita fiscale.

Decreto dignità: no alle causali e al periodo di pausa per le agenzie, ritorno dei voucher

Ritorno al passato e meno problemi per le agenzie interinali: le modifiche del decreto Dignità attualmente allo studio, infatti, prevedono l’esonero dall’applicazione delle causali per i contratti di somministrazione a tempo determinato, causali che varranno, però, per le aziende utilizzatrici. Le agenzie per il lavoro saranno anche esonerate dallo stop and go, cioè dal periodo di pausa tra un contratto e l’altro. Sempre con riferimento ai contratti  a termine, è previsto un periodo transitorio, fino al 31 ottobre 2018, per l’applicazione delle nuove norme ai rapporti di lavoro in corso. Infine, saranno ripristinati i voucher in agricoltura, nel turismo e per gli enti locali, con un periodo di utilizzo esteso sino a 10 giorni.

Ok ai voucher per turismo e agricoltura

Via libera al ritorno dei voucher: i buoni lavoro, aboliti nel marzo del 2017, potranno essere nuovamente utilizzati nei settori dell’agricoltura e del turismo. Dei nuovi voucher, che saranno previsti nel decreto dignità, ancora non si conoscono gli importi esatti e gli adempimenti per la loro attivazione. In particolare, non è chiaro se si tornerà al vecchio importo orario di 10 euro, o se invece la paga oraria netta per il lavoratore sarà di 9 euro, con contributi e premi a carico del committente, come previsto ora per chi è retribuito col contratto di prestazione occasionale. In agricoltura, tra l’altro, con gli attuali contratti di prestazione occasionale ( nei casi in cui sono consentiti), il compenso minimo orario non è pari a 9 euro: la normativa rinvia infatti alle retribuzioni orarie previste dalla contrattazione collettiva agricola per i rapporti di lavoro subordinato, con valori che cambiano a seconda della provincia e del tipo di attività svolto.

Non è stato inoltre chiarito se i limiti nell’attivazione dello strumento saranno quelli previsti per i vecchi voucher o quelli, più severi, disposti per il contratto di prestazione occasionale.

Nuovo contratto di somministrazione

Col decreto Dignità cambia anche il contratto di somministrazione. A questa tipologia di rapporto di lavoro, così come previsto per l’ordinario contratto a tempo determinato, si applica ora il nuovo termine complessivo di 24 mesi. Le causali devono essere indicate obbligatoriamente nei contratti di somministrazione di durata superiore ai 12 mesi, nei rinnovi e anche nelle proroghe, se determinano il superamento di 12 mesi di durata del rapporto.

Le causali ammesse, sia per la somministrazione che per l’ordinario contratto a termine, sono:

  • esigenze temporanee e oggettive, estranee all’ordinaria attività per esigenze sostitutive di altri lavoratori;
  • esigenze connesse a incrementi temporanei, significativi e non programmabili dell’attività ordinaria.

Si valuta comunque la possibilità di introdurre nuove causali nel decreto. Anche il contratto di somministrazione è soggetto a un limite massimo di 4 proroghe, ed è stato introdotto, così come per il contratto a termine, un periodo di pausa tra un contratto e l’altro.

Per saperne di più: Come gestire il nuovo contratto di somministrazione.

Aumenta l’indennità per il licenziamento

L’indennità per licenziamento illegittimo corrisposta al lavoratore, secondo il decreto Dignità, dovrà salire da un minimo di 6 a un massimo di 36 mensilità. Ad oggi, per le aziende sopra i 15 dipendenti, l’indennità va da un minimo di 4 a un massimo di 24 mensilità.

Tornano i voucher

Dopo il flop del contratto di prestazione occasionale e del libretto famiglia tornano i tanto discussi voucher, cioè i buoni per le prestazioni di lavoro occasionale accessorio: in effetti i due strumenti, che dal 2017 hanno sostituito i buoni lavoro, si sono rivelati difficilmente fruibili, soprattutto a causa della complessità degli adempimenti collegati e dei tempi di attesa dal pagamento delle somme all’Inps all’accredito nella propria provvista telematica. I contratti di prestazione occasionale, in pratica, sono risultati inadatti a gestire la maggior parte delle attività di lavoro saltuario e, soprattutto, le attività da svolgere con urgenza, richiedendo tempistiche di attivazione eccessivamente lunghe e complicate. Ecco perché è stata proposta la reintroduzione dei voucher nel decreto Dignità, che dovrebbe essere varato a breve: in un primo momento, i buoni lavoro dovrebbero essere reintrodotti nel solo settore agricolo, per poi passare a tutte le altre attività. Abbiamo fatto il punto sulla situazione nel nostro approfondimento sui voucher: che cosa cambia con la loro reintroduzione, quali sono le differenze tra buoni lavoro, contratto di prestazione occasionale e libretto famiglia.

L’ultima stesura del decreto non dispone direttamente la riattivazione dei voucher, ma se ne prevede la reintroduzione con una norma successiva.

Contratto a termine, somministrazione, incentivi: novità decreto dignità

Guerra al precariato: è questa la finalità principale del cosiddetto decreto dignità, o decreto d’estate, che dovrebbe essere approvato in settimana. Sono numerose le novità in tema di lavoro che limitano gli strumenti di flessibilità: si va dalla reintroduzione della causale nel contratto a termine (che, rispetto alla prima stesura della bozza di decreto, sarà obbligatoria solo per i contratti superiori ai 12 mesi, o per i rinnovi), alla diminuzione della durata massima di questo rapporto, che scende dagli attuali 36 mesi a 24 mesi, alla riduzione del numero delle proroghe, da 5 a 4, all’aumento dei contributi per ogni rinnovo del contratto. Nuovi limiti anche ai contratti di somministrazione: il ricorso a questo tipo di rapporto, in particolare, sarà possibile solo se i lavoratori interinali non supereranno il 20% dell’organico totale, come avviene già per i dipendenti a tempo determinato; anche per la somministrazione è previsto l’aumento dei contributi ad ogni rinnovo contrattuale. Addio agli incentivi, poi, per le imprese che prima di 5 anni riducono l’occupazione nell’unità produttiva o nell’attività interessata dall’aiuto, e guerra a chi delocalizza, anche dentro l’Unione Europea. Per saperne di più vi invitiamo a leggere il nostro approfondimento sul lavoro: novità decreto dignità.

Nuovi contratti a termine: torna la causale, diminuiscono le proroghe

Il contratto a termine torna al passato: la flessibilità che era stata concessa col Jobs Act è stata messa in discussione dal ministro del Lavoro e dello Sviluppo economico Luigi Di Maio, per evitare gli abusi nell’utilizzo del tempo determinato da parte delle imprese. In particolare, tornerà l’indicazione obbligatoria della causale del contratto, il cui termine potrà essere giustificato per ragioni differenti dalle vecchie motivazioni tecnico-produttive, organizzative o sostitutive, mentre il numero massimo di proroghe sarà ridotto da 5 a 4.

Nel dettaglio, le causali che giustificheranno il contratto a termine, secondo la nuova bozza di decreto, sono:

  • esigenze temporanee ed oggettive;
  • esigenze estranee all’ordinaria attività del datore di lavoro;
  • esigenze sostitutive;
  • esigenze connesse ad incrementi temporanei, significativi e non programmabili d’attività;
  • esigenze relative a lavorazioni e a picchi di attività stagionali, individuati con decreto del ministero del Lavoro.

La proposta ha suscitato notevoli perplessità: da un lato, si teme che il ritorno alla causale del contratto sia fonte di contenzioso, dall’altro si teme che la riduzione delle proroghe favorirebbe ancora di più il precariato, costringendo le aziende a un maggior ricambio dei lavoratori a tempo determinato. Per saperne di più,  potete leggere il nostro approfondimento sui nuovi contratti a termine.

Contro la riduzione e la revoca della disoccupazione Naspi si può fare ricorso

Contro le sanzioni adottate dai centri per l’impiego, cioè la revoca dell’indennità di disoccupazione Naspi o la sua decurtazione, il lavoratore può proporre ricorso all’Anpal, l’Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro, che provvede ad istituire un apposito comitato con la partecipazione delle parti sociali.

L’Inps deve comunque notificare al titolare dell’indennità un’apposita comunicazione che indichi la violazione e la corrispondente sanzione, assieme alla durata dell’eventuale decurtazione della Naspi espressa in giornate.

Nel dettaglio, contro queste decisioni è possibile presentare ricorso al Comitato per la condizionalità, di cui fanno parte il direttore generale dell’Anpal ed i rappresentanti del ministero del Lavoro, dell’Inps, delle Regioni e Province autonome.

Il ricorso deve essere presentato entro 30 giorni dalla sanzione, per motivi di legittimità o di merito, utilizzando la posta elettronica certificata o la raccomandata con ricevuta di ritorno.

Successivamente l’Anpal renderà disponibile una procedura telematica sul suo portale web

Oltre al modulo messo a disposizione dall’Anpal vanno allegati la copia della sanzione ricevuta dal centro per l’impiego, un documento di identità e altri documenti a supporto della tesi sostenuta dal ricorrente.

Nuovi voucher, si può ottenere il rimborso

Chi ha effettuato dei pagamenti con i nuovi voucher per prestazioni lavorative mai rese non è obbligato a mantenere i soldi nel proprio portafoglio virtuale Inps, ma può richiedere il rimborso all’istituto, direttamente attraverso il sito dell’Inps.

Questa possibilità vale sia nel caso in cui siano stati effettuati dei pagamenti per attività lavorative con contratto di prestazione occasionale, sia nel caso in cui i versamenti siano stati effettuati nel libretto famiglia.

Chi intende utilizzare una prestazione di lavoro occasionale, in effetti, ha a disposizione, una volta registratosi nell’apposita piattaforma dell’Inps, un portafoglio virtuale per i pagamenti al lavoratore, che può essere alimentato con pagamenti tramite modello F24, addebito nel conto corrente o nella carta di credito, attraverso il sistema Pago PA. Il lavoratore viene poi liquidato dall’Inps entro il 15 del mese successivo a quello in cui è resa la prestazione.

Chi vuole ottenere il rimborso delle somme versate per prestazioni di lavoro occasionale o libretto famiglia mai utilizzate, deve accedere alla Piattaforma delle prestazioni occasionali sul sito dell’Inps (con codice pin, Spid o carta nazionale dei servizi) e presentare un’apposita domanda on line.

Nel dettaglio, all’interno della Piattaforma prestazioni occasionali bisogna compilare la sezione dell’anagrafica, “Modalità di rimborso”, indicando l’Iban sul quale si vuole ottenere il rimborso delle somme per le prestazioni occasionali non utilizzate.

Nel caso in cui i versamenti siano effettuati per contratti di prestazioni occasionali si deve indicare un codice iban riferito ad un conto corrente, mentre per il libretto famiglia si può indicare l’iban di una carta prepagata, di un libretto postale o di un conto corrente.

In ogni caso questi strumenti di pagamento devono essere intestati o cointestati all’utilizzatore che chiede il rimborso.

Sospensione dei contributi per i lavoratori autonomi in malattia

L’Inps, con una nuova circolare [18], ha illustrato come usufruire delle nuove possibilità offerte dal Jobs Act dei lavoratori autonomi [19], che riconoscono una tutela più ampia alla maternità e alla malattia degli imprenditori e dei liberi professionisti.

In particolare, il Jobs Act autonomi introduce la possibilità, nel caso di malattia o infortunio di gravità tale da impedire lo svolgimento dell’attività lavorativa per oltre 60 giorni, di sospendere il versamento contributivo.

La sospensione del versamento contributivo opera per l’intera durata della malattia o dell’infortunio fino ad un massimo di due anni.

Al termine della sospensione, il lavoratore è tenuto a versare i contributi e i premi maturati durante il periodo di sospensione in un numero di rate mensili pari a tre volte i mesi di sospensione.

Queste disposizioni interessano sia i titolari di partita IVA, sia i collaboratori coordinati e continuativi .

Come noto, l’obbligo contributivo è in capo ai seguenti soggetti:

  • al professionista, se titolare di partita Iva o associato;
  • al committente, se il rapporto è una collaborazione coordinata e continuativa, con obbligo di rivalsa sul prestatore di 1/3 del contributo.
    Pertanto, nel caso di malattia o infortunio grave il committente deve procedere nel seguente modo:
  • inviare il flusso UniEmens del prestatore interessato indicando il codice di sospensione S1;
  • sospendere il versamento della contribuzione (1/3 a carico del collaboratore e 2/3 a carico dell’azienda committente);
  • effettuare il versamento in un’unica soluzione o richiedere la rateazione degli importi sospesi (con aggravio degli interessi legali) al termine del periodo di sospensione e comunque trascorsi due anni dall’inizio dell’evento.
    Analogamente, nel caso di malattia o infortunio grave il professionista deve procedere nel seguente modo:
  • indicare nel quadro RR, sez. II, l’importo della contribuzione sospesa;
  • sospendere il versamento della contribuzione dovuta (saldo e/o acconto dovuto nel periodo di sospensione);
    presentare all’Istituto una richiesta di sospensione tramite il Cassetto previdenziale liberi professionisti Gestione separata – Comunicazione bidirezionale;
  • effettuare il versamento in unica soluzione o richiedere la rateazione degli importi (con aggravio degli interessi legali) al termine del periodo di sospensione e comunque trascorsi due anni dall’inizio dell’evento.

Aumentano gli assegni al nucleo familiare

L’Inps, con una nuova circolare [17], ha reso noto che sono stati rivalutati i livelli di reddito familiare delle tabelle contenenti gli importi mensili degli assegni al nucleo familiare (Anf), in vigore per il periodo 1° luglio 2018 – 30 giugno 2019.

La rivalutazione è dovuta alla variazione percentuale dell’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati, calcolata dall’Istat tra l’anno 2016 e l’anno 2017,  pari al +1,1%. Si tratta della variazione intervenuta tra l’anno di riferimento dei redditi per la corresponsione degli assegni al nucleo familiare e l’anno immediatamente precedente.

Alla circolare Inps sono state allegate le tabelle contenenti i nuovi livelli reddituali, assieme ai corrispondenti importi mensili degli Anf, da applicare dal 1° luglio 2018 al 30 giugno 2019, alle diverse tipologie di nuclei familiari.

Gli stessi livelli di reddito avranno validità per la determinazione degli importi giornalieri, settimanali, quattordicinali e quindicinali degli assegni al nucleo familiare.

Bonus ricollocazione per i cassintegrati

I lavoratori in cassa integrazione straordinaria possono beneficiare di nuovi incentivi. Grazie ai nuovi accordi di ricollocazione, possono infatti iniziare subito un percorso di formazione per la ricerca di un nuovo lavoro, col supporto dei servizi per l’impiego del tuo territorio. In particolare, i lavoratori in Cigs hanno diritto a un assegno di ricollocazione sino a 5mila euro e, nel caso in cui riescano a trovare un nuovo lavoro, al 50% dell’indennità di Cigs residua. Inoltre, le aziende sono incentivate ad assumere i lavoratori in cassa integrazione straordinaria, con uno sgravio contributivo del 50%: chi assume un lavoratore in Cigs, in pratica, paga la metà dei contributi dovuti.  Per approfondire: Bonus per i lavoratori in cassaintegrazione.

Assegno di ricollocazione dal mese di maggio

L’Anpal ha appena reso noto, con una nuova delibera [16], il rinvio al mese di maggio 2018 dell’entrata a regime dell‘assegno di ricollocazione. Si tratta di un voucher che può arrivare sino a 5mila euro, destinato ai disoccupati che percepiscono la Naspi da oltre 4 mesi e recentemente esteso ai beneficiari del reddito di inclusione (Rei) e ai lavoratori in cassa integrazione straordinaria (Cigs), inclusi negli accordi di ricollocazione.

L’assegno di ricollocazione non è incamerato direttamente dal lavoratore, ma dai servizi per l’impiego, nel caso in cui l’attività di assistenza intensiva alla ricollocazione si concluda con un successo occupazionale. Il rimborso spettante, nel dettaglio, varia  dai mille ai 5mila euro, in base al profilo personale di occupabilità del beneficiario, per ogni contratto a tempo indeterminato. Questi importi si dimezzano nel caso di contratti a tempo determinato di almeno sei mesi, e si riducono ancora nel caso di contratti di durata di tre mesi. Se l’assistito non trova lavoro,  agli operatori spetta solo un importo  (Fee4services) pari a 106,50 euro.

Vietati i software che monitorano i dipendenti senza autorizzazione

I software che non servono soltanto ad agevolare la gestione delle pratiche dei lavoratori, ma che li monitorano, memorizzando i dati personali riferibili all’attività dei singoli dipendenti ed estraendo report relativi al servizio svolto, devono essere preventivamente autorizzati. L’autorizzazione è necessaria, ad esempio, per i gestionali utilizzati nei call center, quando estraggono report giornalieri sulla durata e la causale delle chiamate, sul numero di telefonate ricevute e su altre informazioni collegate.

L’autorizzazione è necessaria anche quando i dati non hanno un’associazione immediata col nominativo del dipendente, ma sono comunque abbinabili al codice operatore, oppure possono essere incrociati consultando informazioni conservate in sistemi separati.

In questi casi, il Garante della privacy ha escluso che si tratti di sistemi assimilabili agli strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione, come tali non soggetti ad autorizzazione secondo lo Statuto dei lavoratori [13]. Si tratta invece di strumenti di controllo a distanza, che come tali devono essere assoggettati all’apposita procedura di autorizzazione.

Inoltre, questi sistemi violano il Codice della privacy [14], se ai dipendenti non è fornita un’informativa completa e dettagliata circa le effettive modalità e finalità delle operazioni di trattamento rese possibili dall’applicativo [15].

Fondo di integrazione salariale Fis: innalzamento del tetto aziendale

L’Inps, con un nuovo messaggio [12], ha ricordato che la legge di bilancio 2018 ha recentemente modificato la normativa sul Fondo di integrazione salariale, nella parte in cui disciplina il limite massimo in base al quale ciascun datore di lavoro può accedere alle prestazioni garantite dal Fondo, assegno ordinario e assegno di solidarietà, cioè il cosiddetto tetto aziendale.

Nello specifico, questo limite è innalzato da quattro a dieci volte l’ammontare dei contributi ordinari dovuti dal datore di lavoro.

Conseguentemente, per gli eventi di sospensione o riduzione dell’attività lavorativa decorrenti dall’anno 2018, ciascun datore di lavoro può accedere alle prestazioni garantite dal Fondo di integrazione salariale in misura non superiore a dieci volte l’ammontare dei contributi ordinari dovuti dall’azienda, tenuto conto delle prestazioni già deliberate a qualunque titolo a favore dello stesso datore di lavoro.

Resta, in ogni caso, confermata la previsione per cui le prestazioni sono erogate nei limiti delle risorse finanziarie del Fondo.

Durata massima assegno ordinario e assegno di solidarietà

L’Inps ha chiarito che, ai fini del calcolo della durata massima complessiva delle prestazioni (assegno ordinario e di solidarietà) per ciascuna unità produttiva, la durata dell’assegno di solidarietà viene contata nella misura della metà entro il limite di 24 mesi nel quinquennio mobile. Oltre tale limite la durata di tali trattamenti viene contata per intero.

Domande assegno ordinario e assegno di solidarietà

Per quanto riguarda l’inserimento del ticket esclusivamente per le domande delle prestazioni dei Fondi di solidarietà, l’Inps fa presente che il ticket deve essere richiesto obbligatoriamente al momento della compilazione della domanda on line, utilizzando l’apposita funzionalità “Inserimento ticket”,  prevista all’interno della procedura di inoltro della domanda al Fondo.

Pertanto, il ticket non deve essere richiesto tramite l’applicativo “Gestione ticket”.

Disoccupazione agricola, domande entro il 31 marzo

Scade il 31 marzo il termine per presentare le domande di disoccupazione agricola 2018, per i lavoratori dell’agricoltura che hanno alle spalle almeno 102 giornate di lavoro nell’ultimo biennio: ai dipendenti del settore agricolo, difatti, non si applica la disciplina generale della disoccupazione Naspi, in quanto per loro valgono delle disposizioni particolari.

Ricordiamo che la disoccupazione agricola è pari al 40% della retribuzione di riferimento del lavoratore, moltiplicata per il numero di giornate lavorate (al netto del contributo di solidarietà del 9%, per ogni giornata indennizzata nel limite massimo di 150 giorni). La disoccupazione agricola per gli operai a tempo indeterminato è invece pari al 30% del salario percepito nel 2017 dal lavoratore, moltiplicato per il numero di giornate svolte; non è sottratto il contributo di solidarietà.

La domanda di disoccupazione agricola deve essere inviata all’Inps entro il termine perentorio del 31 marzo 2018, tramite i seguenti canali:

  • patronati;
  • portale web dell’Istituto (sezione servizi al cittadino: l’interessato deve premunirsi del codice pin o del nuovo spid per l’accesso ai servizi pubblici online);
  • contact center Inps Inail, al numero 803.164 (è necessario anche in questo caso il possesso del Pin).

Operativi il bonus Neet e il bonus occupazione Sud

Arriva finalmente il via libera dell’Inps, con due nuove circolari [11], ai cosiddetti bonus assunzione Garanzia giovani e bonus assunzione Sud, ossia all’Incentivo occupazione Neet ed all’Incentivo occupazione Mezzogiorno. Si tratta, in entrambi i casi, di un esonero contributivo per l’assunzione di lavoratori giovani e disoccupati, che può arrivare, per un massimo di 12 mesi, al 100% della contribuzione a carico del datore di lavoro. Entrambi gli incentivi possono essere cumulati col nuovo esonero contributivo per l’assunzione di giovani previsto dalla legge di Bilancio 2018, e possono essere applicati ai contratti a tempo indeterminato ed ai contratti di apprendistato professionalizzante. Gli incentivi possono essere richiesti all’Inps, in via telematica, attraverso l’applicazione Diresco, dichiarazioni di responsabilità del contribuente.

Il periodo di maternità vale per la promozione

Se il datore di lavoro che non conteggia, ai fini dell’avanzamento di carriera automatico previsto dal contratto collettivo, i periodi in cui il lavoratore o la lavoratrice ha beneficiato del congedo di maternità e di quello parentale, il suo comportamento è illegittimo: lo ha stabilito la Corte d’appello di Venezia, con una recente sentenza [10]. In particolare, il comportamento è stato giudicato dalla Corte discriminatorio: nonostante il contratto collettivo applicato stabilisca il diritto alla progressione di carriera solo per il servizio effettivo, difatti, nell’interpretazione della clausole collettive bisogna tener presente il quadro complessivo disegnato da norme costituzionali ed europee, così come interpretate dalla prevalente giurisprudenza.

Contratti collettivi col bollino blu

Con una nuova circolare [9], l’Ispettorato Nazionale del Lavoro ha preso atto del fenomeno, sempre più diffuso, dell’utilizzo, da parte dei datori di lavoro, di contratti collettivi che prevedono delle retribuzioni minime notevolmente più basse rispetto a quelle previste dai contratti maggiormente rappresentativi.

Questo gioco al ribasso finirà presto, in quanto il Cnel individuerà i contratti maggiormente rappresentativi con un bollino blu: soltanto l’applicazione di questi contratti potrà dare luogo a benefici economici, normativi e contributivi, come gli incentivi all’assunzione.

Nuovo accordo sulla contrattazione e le relazioni industriali

Confindustria, Cgil, Cisl e Uil hanno firmato ieri, 9 marzo 2018, l’accordo sulla contrattazione e sulle relazioni industriali. I temi affrontati sono molteplici, dal welfare, ai contratti collettivi, alla sicurezza, al cuneo fiscale, al Mezzogiorno e alla formazione. Ora le linee guida contenute nel documento dovranno essere attuate, partendo dal confronto, tra le parti sociali, dei singoli capitoli del documento.

In base a quanto stabilito nell’accordo, la contrattazione collettiva continuerà ad articolarsi su due livelli, nazionale e  territoriale, o aziendale: uno dei principali obiettivi dei nuovi contratti è il miglioramento del valore reale delle retribuzioni, senza trascurare, però, la crescita del valore aggiunto e dei risultati aziendali.

In particolare, i contratti nazionali di categoria definiranno il trattamento economico complessivo (Tec), composto dal trattamento economico minimo (Tem, o minimo tabellare) e dalle ulteriori voci, come scatti di di anzianità ed Edr,  comuni ai lavoratori del settore. Saranno in seguito individuati i minimi tabellari per la vigenza contrattuale, la cui variazione avverrà secondo gli scostamenti registrati dall’indice dei prezzi al consumo armonizzato per i Paesi europei (Ipca).

In ogni caso, il modello di contrattazione definito nell’accordo è flessibile e lascia alle parti, e ai singoli contratti collettivi, la possibilità di stabilire le tempistiche degli aumenti e la loro distribuzione tra contrattazione di primo e di secondo livello.

Dall’accordo emerge anche la centralità del welfare aziendale (prestazioni di assistenza, interventi volti alla conciliazione tra lavoro e famiglia…), che dovrà essere rafforzato dai nuovi contratti, ma che comunque manterrà la sua natura integrativa rispetto agli interventi pubblici.

Fondamentale anche la formazione, soprattutto finalizzata all’apprendimento e all’utilizzo delle nuove tecnologie; saranno poi rafforzati il sistema di alternanza scuola-lavoro ed i contratti di apprendistato.

Nessun danno al lavoratore per nullità del contratto a termine

In caso di nullità del contratto a termine stipulato con la pubblica amministrazione, il danno derivante dalla perdita di occasioni lavorative deve essere dimostrato, mentre resta dovuta un’indennità forfettaria da quantificare fra un minimo di 2,5 e un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione. Lo ha stabilito la Corte di Giustizia Europea [8], in quanto gli Stati membri hanno un margine di discrezionalità nella scelta degli strumenti utilizzabili per contrastare l’abuso dei contratti a termine. Inoltre, secondo la Corte, il diritto dell’Unione Europea non prevede alcun obbligo di stabilizzare il rapporto di lavoro a seguito di contratto illegittimo, pubblico o privato, così come non impone l’adozione di misure identiche per situazioni diverse; pertanto, gli Stati membri sono liberi di prevedere conseguenze diverse all’illegittimità del contratto nel settore pubblico e nel settore privato (in quest’ultimo settore, lo ricordiamo, oltre a un’indennità forfettaria è prevista anche la conversione del rapporto).

In ogni caso, il giudice può alleggerire l’onere della prova a carico del lavoratore utilizzando presunzioni.

Cu compilata dall’Inps per i lavoratori occasionali

Chi lavora con i nuovi contratti di prestazione occasionale (nuovi voucher) troverà la Certificazione unica 2018 (Cu 2018, si tratta del modello che sostituisce il cud) direttamente nel proprio profilo personale all’interno del sito web dell’Inps.

L’utilizzatore di prestazioni occasionali non deve compilare la certificazione unica per il lavoratore.

La casella interessata dalla Cu è la numero 49. Nella pagina 62 delle istruzioni ministeriali sulla Cu 2018, in relazione alla casella 49 della certificazione, in cui si deve indicare il tipo di rapporto con riferimento alla gestione separata Inps per i parasubordinati, sono indicati anche i codici 98 e 99 da usare per indicare, rispettivamente, il libretto famiglia o il contratto di prestazione occasionale.
A questo riguardo, quindi, l’Inps ha precisato che l’utilizzatore del contratto o del libretto non deve compilare la certificazione unica per il lavoratore occasionale, in quanto l’adempimento è a carico dell’istituto di previdenza.

Offerta di lavoro congrua e perdita della disoccupazione in caso di rifiuto

Un’offerta di lavoro, secondo quanto chiarito da un recente intervento dell’Anpal (l’Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro), sulla base della recente normativa [2], è considerata congrua se possiede i seguenti requisiti:

  • corrisponde alle competenze del lavoratore;
  • la distanza tra la residenza del lavoratore e quella del luogo di lavoro non supera i 50 km, e in ogni caso deve essere raggiungibile in non più di 80 minuti con i mezzi pubblici; se il lavoratore è disoccupato da oltre 12 mesi, l’offerta è congrua se il luogo di lavoro dista non più di 80 km dal domicilio (56 km se mancano i mezzi pubblici), o sia raggiungibile in media in 100 minuti con i mezzi pubblici;
  • la retribuzione deve superare del 20% l’indennità di disoccupazione, se il lavoratore percepisce la Naspi;
  • l’assunzione deve essere a tempo pieno e indeterminato, con paga non inferiore ai minimi della contrattazione collettiva; l’assunzione può essere anche a termine, ma in questo caso deve avere una durata di almeno di tre mesi; se il contratto è part-time l’orario deve essere non inferiore all’80% dell’orario dell’ultimo rapporto di lavoro;

Se al disoccupato viene proposta un’offerta di lavoro avente tutte le caratteristiche richieste per essere valutata congrua, e l’offerta viene rifiutata, questi decade dalla Naspi (e dalle altre prestazioni percepite) e dallo stato di disoccupazione, salvo giustificato motivo, ad esempio malattia o infortunio. Il giustificato motivo che impedisce l’accettazione di un’offerta di lavoro deve essere comunicato e documentato entro due giorni dalla proposta dell’offerta di lavoro congrua.

Permessi elettorali

Tutti i partecipanti alle operazioni elettorali, per legge [2], hanno diritto ad appositi permessi retribuiti, per tutta la durata delle operazioni. Inoltre, se le elezioni si svolgono in un giorno non lavorativo o festivo, si ha diritto ad un riposo compensativo, perché le operazioni presso il seggio sono considerate a tutti gli effetti come attività lavorativa.

Nello specifico, possono beneficiare dei permessi retribuiti per la partecipazione alle elezioni tutti i lavoratori dipendenti nominati:

  • presidente;
  • vicepresidente;
  • segretario;
  • scrutatore;
  • rappresentante di lista;
  • rappresentante di gruppo di partiti;
  • rappresentante di comitati promotori di referendum.

Questi lavoratori, nominati presso i seggi elettorali in occasione di qualsiasi tipo di consultazione (compresi i referendum e le elezioni europee), hanno diritto di assentarsi dal lavoro, fruendo di permessi retribuiti, per tutto il periodo corrispondente alla durata delle operazioni.

I permessi retribuiti spettano anche ai componenti degli uffici centrali elettorali (costituiti nei Comuni con popolazione superiore a 15mila abitanti).

I giorni di assenza per lo svolgimento delle operazioni elettorali sono considerati dalla legge, a tutti gli effetti, giorni di attività lavorativa. Questo comporta che, in via generale, i giorni lavorativi passati al seggio sono retribuiti come se il lavoratore avesse normalmente lavorato.

Se le operazioni elettorali si svolgono durante una giornata festiva o non lavorata, come il sabato per chi ha la settimana corta, la giornata è compensata con quote giornaliere (non orarie) di retribuzione in aggiunta alla retribuzione normalmente percepita. In alternativa, la giornata di permesso elettorale è recuperata con una giornata di riposo compensativo.

Rete d’interscambio per chi ha perso il lavoro

L’Anpal, l’agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro, ha annunciato che sta per diventare operativa una rete d’interscambio tra domanda e offerta di lavoro, a favore dei lavoratori che hanno perso l’impiego in un determinato settore. Ad esempio, i lavoratori disoccupati a seguito di licenziamento da parte di una ditta operante nelle telecomunicazioni (il primo settore che sperimenterà la rete d’interscambio) saranno inseriti in una banca dati riservata alle aziende dello stesso settore che cercano lavoratori.

In questo modo, cioè avvalendosi di candidature e offerte mirate, si dovrebbe accelerare il reimpiego.

Limiti al contratto a tempo determinato

Il contratto a termine è stato modificato dal recente testo unico dei contratti di lavoro [3]: nonostante sia stata abolita l’indicazione di una causale che giustifichi l’apposizione del termine al contratto di lavoro (salvo la necessità di attestare comunque le esigenze che giustifichino la temporaneità, per gli enti pubblici), resta un forte limite all’utilizzo del tempo determinato, ossia l’individuazione della percentuale massima dei possibili contratti stipulabili. Il numero di contratti a tempo determinato e di contratti di somministrazione a tempo determinato non può superare complessivamente, nella generalità dei casi, il tetto annuale del 20% del personale a tempo indeterminato in servizio al 1° gennaio dell’anno di assunzione.

Ci sono però delle eccezioni previste dai contratti collettivi, oppure per particolari tipologie di rapporto, come il rapporto di lavoro stagionale.

Per gli enti pubblici locali, in base alle previsioni del nuovo contratto collettivo, è consentito superare il limite in caso di :

  • attivazione di nuovi servizi o riorganizzazione per l’accrescimento di quelli esistenti;
  • particolari necessità di enti di nuova istituzione;
  • introduzione di nuove tecnologie che comportino cambiamenti organizzativi;
  • supplenze del personale docente ed educativo;
  • assunzioni per l’esercizio delle funzioni infungibili della polizia locale e degli assistenti sociali (solo tempo determinato);
  • personale su progetti finanziati con fondi Ue, statali, regionali o privati;
  • eventi sportivi o culturali di rilievo internazionale;
  • proroghe dei contratti di personale a tempo determinato interessato dai processi di stabilizzazione (solo tempo determinato).

Diritto di precedenza per i lavoratori a termine

I lavoratori che hanno prestato la propria attività con uno o più contratti a termine, per un periodo superiore ai 6 mesi, hanno diritto di precedenza nelle assunzioni a tempo indeterminato effettuate dal datore di lavoro nei 12 mesi successivi al termine del rapporto. Il diritto di precedenza, però, vale solo se la nuova posizione aperta corrisponde alle stesse mansioni già svolte in esecuzione del contratto a termine. Sono fatte salve eventuali deroghe disposte dai contratti collettivi; inoltre, il lavoratore ha l’onere di manifestare la volontà di avvalersi di tale diritto entro 6 mesi dalla cessazione del rapporto di lavoro.

Il diritto di precedenza non opera in caso di trasformazione a tempo indeterminato di un altro lavoratore a termine, in quanto non si tratta di una nuova assunzione.

Bisogna poi precisare che il datore di lavoro è tenuto obbligatoriamente a informare il dipendente della spettanza del diritto di precedenza, specificandolo nel contratto di lavoro.

Diritto di precedenza per le lavoratrici in maternità

Per quanto riguarda le lavoratrici a termine in congedo di maternità, il periodo di assenza è computato come attività lavorativa ai fini del diritto di precedenza. In pratica, il congedo di maternità conta come periodo lavorato. Inoltre, queste lavoratrici hanno il diritto di precedenza anche per le assunzioni a termine effettuate dallo stesso datore di lavoro, se le mansioni coincidono, nei 12 mesi successivi alla cessazione del rapporto di lavoro.

Diritto di precedenza per i lavoratori stagionali

I lavoratori stagionali che hanno prestato la propria opera per almeno 3 mesi complessivi (anche in esecuzione di più contratti) hanno il diritto di precedenza nelle nuove assunzioni a carattere stagionale: devono però manifestare la volontà di avvalersi del diritto di precedenza entro 3 mesi dalla cessazione del contratto. Anche questi lavoratori devono essere obbligatoriamente informati della spettanza del diritto, con specifica nel contratto di lavoro.

Aumento pensioni col rinnovo dei contratti statali

Aumentano pensione e trattamento di fine servizio e di fine rapporto, grazie al rinnovo della parte economica dei contratti di pubblico impiego. Per effetto delle disposizioni dei nuovi Ccnl (contratti collettivi nazionali), difatti, i benefici economici derivanti dai rinnovi contrattuali devono essere considerati per intero a favore del personale cessato dal servizio, con diritto a pensione nel periodo di vigenza dei contratti rinnovati.

In parole semplici, chi si è pensionato dal 1° gennaio 2016, grazie al rinnovo dei contratti statali ha un aumento della pensione, in quanto viene aggiornata la base pensionabile sulla quale si calcola il trattamento. Oltre all’aumento della pensione, l’incremento dello stipendio dei dipendenti pubblici determina anche l’aumento della buonuscita, o trattamento di fine servizio, in quanto il suo ammontare è calcolato sulla base dell’ultima retribuzione: rispetto alla pensione, però, l’incremento della buonuscita sarà più leggero.

Lavoratori domestici, aumenti dello stipendio e dei contributi

Paga più alta, anche se di poco, per colf e badanti e per tutti i collaboratori domestici in generale: è stato difatti recentemente concluso il nuovo accordo sui nuovi minimi retributivi relativi al lavoro domestico, che comporta l’aumento delle retribuzioni minime da corrispondere a partire dal 1° gennaio 2018.

Gli aumenti riguardano sia la paga oraria che quella mensilizzata, assieme alle altre tipologie di retribuzione previste, come i compensi per assistenza notturna e l’indennità sostitutiva di vitto e alloggio.

Aumenti, inoltre, anche relativamente ai contributi dovuti all’Inps per i lavoratori domestici. Per approfondire:

Apprendistato per i disoccupati: formazione

Il Ministero del Lavoro, con una recente risposta ad un interpello [4], ha chiarito che la formazione di base e trasversale, obbligatoria per la generalità degli apprendisti, risulta non necessaria per i lavoratori maggiori di 29 anni beneficiari di indennità di mobilità o di un trattamento di disoccupazione ai fini della loro qualificazione o riqualificazione professionale assunti in apprendistato professionalizzante, che abbiano già acquisito le nozioni di base in ragione di pregresse esperienze lavorative.

Allo stesso modo, il Ministero del Lavoro ritiene non necessaria l’erogazione della formazione di base e trasversale nell’ambito di un nuovo contratto di apprendistato professionalizzante, nel caso in cui l’apprendista sia in possesso di attestazione formale dell’acquisizione di tali competenze, anche in virtù di un precedente contratto di apprendistato.

Aumento giornate congedo papà

Aumenta da 2 a 4 giorni, nel 2018, il congedo obbligatorio per i papà, uno strumento ancora poco conosciuto che consente al lavoratore, divenuto padre da poco, di assentarsi col diritto alla retribuzione piena.

Divieto di pagare lo stipendio in contanti

La guerra ai contanti segna una nuova tappa: dal 1° luglio 2018, difatti, si aggiunge un nuovo divieto di pagamento con strumenti non tracciabili, che riguarda le retribuzioni da corrispondere ai lavoratori dipendenti ed ai collaboratori. In pratica, dal 1° luglio 2018 i datori di lavoro ed i committenti privati avranno l’obbligo di provvedere al pagamento delle retribuzioni con modalità e forme che escludano l’uso del contante: lo ha stabilito la legge di Bilancio 2018 [5], con la finalità di combattere l’evasione, prevedendo delle severe sanzioni per chi trasgredisce alle nuove regole.

Nuovo bonus assunzione triennale

Torna il bonus occupazione, conosciuto anche come esonero contributivo triennale: questa misura, introdotta per la prima volta nel 2015, consiste in un incentivo che consente di ridurre i contributi a carico dell’azienda pagati all’Inps, per le nuove assunzioni a tempo indeterminato. Nel 2015 l’esonero era pari al 100% dei contributi Inps ed aveva una durata di 3 anni, poi è stato prorogato nel 2016 ma ridotto al 40% ed a due anni di durata, per lasciare spazio nel 2017 a bonus assunzione circoscritti a limitate categorie di lavoratori e di aziende.

Per il 2018, l’esonero contributivo diventa strutturale, riguarda tutte le aziende del settore privato e ritorna alla durata originaria di 36 mesi, ma con una riduzione dei contributi parziale, pari al 50%, salvo alcune eccezioni; è inoltre limitato alle assunzioni di lavoratori under 35. Dal 2019 riguarda le sole assunzioni di giovani under 30. È prevista anche una clausola anti-licenziamento, secondo la quale il lavoratore dovrà essere mantenuto in organico per un determinato periodo minimo, pena la restituzione degli sgravi.

Per approfondire: Bonus assunzione 2018.

Assunzione obbligatoria immediata di disabili

Assunzione immediata di disabili per le aziende che hanno in organico almeno 15 dipendenti: dal 2018, infatti, non si applica più la norma [6] che prevedeva l’obbligo di assumere almeno un disabile a partire dalla sedicesima assunzione, così come cessa di applicarsi il regime transitorio [7], che fa decorrere quest’obbligo  dopo 1 anno e 60 giorni dalla sedicesima assunzione.

Le aziende che non si sono ancora messe, in regola, dunque, devono correre ai ripari e assumere entro il 1° marzo 2018 almeno un disabile appartenente alle categorie protette. Chi, invece, supererà i 14 dipendenti in organico successivamente, avrà 60 giorni di tempo per mettersi in regola. Questo termine vale anche per il superamento delle soglie successive.

Bonus alternanza scuola lavoro

Per l’assunzione a tempo indeterminato di ragazzi che hanno svolto nella stessa azienda dei periodi di alternanza scuola lavoro (in misura pari ad almeno il 30% del totale delle ore previste), o periodi di apprendistato di primo o di terzo livello, è stato prorogato lo sgravio del 100% dei contributi per i primi 3 anni di contratto. L’incentivo sarà applicabile se il lavoratore viene assunto entro 6 mesi dal conseguimento del titolo di studio o della qualifica professionale.

Anche in questo caso lo sconto si applicherà solo sull’aliquota dovuta dal datore di lavoro, con un tetto massimo di sgravio annuo pari a 3mila euro.

Proroga del bonus Sud

Con un recente decreto dell’Anpal è stato poi prorogato anche il bonus Sud, che offre l’esonero totale dai contributi per chi assume nelle regioni del Mezzogiorno.

In particolare, il bonus occupazione Sud è un incentivo che può essere applicato alle sole aziende situate nelle seguenti regioni: Basilicata, Calabria, Campania, Puglia Sicilia, Abruzzo, Molise e Sardegna.

Questo bonus riguarda i datori di lavoro privati che (senza esservi obbligati) assumono:

  • giovani disoccupati di età compresa tra 16 e 24 anni;
  • lavoratori con almeno 25 anni di età, privi di impiego regolarmente retribuito da almeno 6 mesi.

Sono incentivate:

  • le assunzioni con contratto a tempo indeterminato (anche a scopo di somministrazione) o con contratto di apprendistato professionalizzante o di mestiere (a tempo pieno o part time);
  • le trasformazioni a tempo indeterminato di rapporti a tempo determinato (non è richiesto il requisito della disoccupazione).

Sono invece escluse le assunzioni con contratto di lavoro domestico, accessorio (voucher) e intermittente.

L’incentivo consiste nell’esonero totale dai contributi a carico del datore di lavoro dovuti all’Inps, nel limite massimo di 8.060 euro annui.

Bonus ricollocazione per i cassintegrati

Per i lavoratori interessati dalle procedure di licenziamento collettivo, sono state programmate nuove misure di politica attiva del lavoro. Le misure sono finalizzate a ricollocare il lavoratore prima che le procedure di mobilità siano terminate: in parole semplici, saranno garantiti dei nuovi posti di lavoro agli esuberi ancora prima che questi siano licenziati.

Nel dettaglio, I lavoratori in cassaintegrazione straordinaria (Cigs) potranno fruire della ricollocazione anticipata. Si tratta di un percorso che, dopo un primo periodo di formazione, prevede la ricollocazione dei lavoratori in Cigs in un nuovo posto di lavoro: il tutto avviene durante il periodo di sospensione dell’attività lavorativa, quindi prima del licenziamento.

Il percorso avrà una durata di 6 mesi, prorogabili di altri 6: in alcuni casi potrà durare per tutto il periodo della Cigs, quindi sino a 24 mesi.

L’adesione al percorso e la ricollocazione anticipata avranno dei vantaggi sia per le aziende che assumono, che beneficeranno di un bonus contributivo, che per i lavoratori, che potranno ottenere il 50% della Cigs assieme a un incentivo all’esodo.

Credito d’imposta per la formazione dei lavoratori

Completano il pacchetto lavoro una nuova serie di incentivi sulla formazione dei lavoratori. Nel dettaglio, è previsto un credito d’imposta per le spese relative ai costi del personale impegnato in corsi di formazione su: informatica, tecniche e tecnologie di produzione, vendita e marketing concentrate su almeno una tecnologia 4.0.

Le tecnologie oggetto degli incentivi alla formazione riguarderanno big data, cloud e fog computing, cyber-security e sistemi cyber-fisici, realtà aumentata, robotica avanzata e collaborativa, manifattura additiva.

Incentivi all’assunzione ancora operativi nel 2018

Nonostante nel 2018 siano stati introdotti nuovi incentivi per l’assunzione dei dipendenti, restano in piedi numerose agevolazioni in vigore da anni.

Resta valido, ad esempio, l’esonero contributivo introdotto dalla legge Fornero di riforma del mercato del lavoro per l’assunzione di:

  • donne disoccupate da almeno 6 mesi, residenti in aree svantaggiate;
  • donne disoccupate da almeno 6 mesi, occupate in settori lavorativi caratterizzati da una forte disparità occupazionale di genere;
  • donne disoccupate da almeno 24 mesi;
  • lavoratori che abbiano compiuto almeno 50 anni di età, disoccupati da almeno 12 mesi.

L’esonero è pari al 50% dei contributi dovuti all’Inps e dei premi dovuti all’Inail ed ha una durata:

  • sino a 12 mesi, in caso di assunzione a tempo determinato;
  • sino a 18 mesi, in caso di assunzione a tempo indeterminato o di trasformazione del contratto a termine in tempo indeterminato.

Restano validi anche gli incentivi per chi assume col contratto di apprendistato professionalizzante.

In particolare, per chi assume attraverso questo strumento sono previste agevolazioni economiche e contributive, come la possibilità d’inquadrare l’apprendista sino a 2 livelli inferiori e di beneficiare di una contribuzione ridotta.

Se l’apprendista assunto, poi. è un under 30 iscritto al programma Garanzia Giovani, il datore di lavoro ha diritto a un esonero contributivo del 100% per 12 mesi, sino a un massimo di 8.060 euro l’anno.

Continua ad essere operativa anche l’agevolazione contributiva per i datori di lavoro che assumono per sostituire personale (dipendente o lavoratrici autonome) assente per maternità.

L’assunzione deve avvenire con contratto a termine (anche part-time), e consiste in una riduzione del 50% dei contributi e dei premi assicurativi Inail a carico azienda, dovuti sulla retribuzione del lavoratore assunto a termine, fino al compimento di un anno di età del bambino del sostituito.

Sopravvive, infine, l’incentivo all’assunzione di percettori di disoccupazione Naspi (l’indennità che sostituisce Aspi e Mini- Aspi). Quest’agevolazione, riservata a chi assume un lavoratore mentre ancora percepisce l’indennità di disoccupazione, dà diritto al riconoscimento al datore di lavoro di un incentivo pari al 20% della Naspi ancora spettante al neoassunto.

Reddito di cittadinanza: come funziona

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Che cos’è il nuovo sussidio contro la povertà, a quanto ammonta, a chi spetta, quali requisiti e adempimenti per ottenerlo?

A breve sarà finalmente operativo il reddito di cittadinanza da 780 euro al mese, ma sarà riconosciuto a due fasce di destinatari: sotto forma di pensione minima di cittadinanza, per tutti gli over 67 sotto la soglia di povertà, mentre per coloro che si trovano in età lavorativa sotto forma di reddito di cittadinanza.

Il sussidio inizierà ad essere liquidato dal 27 aprile: è quanto recentemente annunciato dal nuovo Governo, che ha inserito  il reddito di cittadinanza tra gli interventi previsti nel decreto in materia, il cosiddetto pacchetto previdenza 2019.

Ai cittadini, in cambio del sussidio mensile sino a 780 euro, si richiederà però la ricerca assidua di un’occupazione, la frequenza di corsi di formazione e lo svolgimento di attività a favore del proprio Comune di residenza.

Il sussidio sarà sicuramente più incisivo rispetto all’attuale reddito d’inclusione Rei, dato che quest’ultima misura, attualmente vigente, offre un reddito massimo di quasi 540 euro mensili, per una famiglia di 5 e più persone (gli importi sono inferiori per i nuclei familiari di meno componenti, si parte da un minimo di circa 190 euro al mese); richiede tuttavia il soddisfacimento di numerose condizioni.

La riforma dei centri per l’impiego, in base a quanto afferma il Governo, dovrebbe però trasformare il reddito di cittadinanza in una misura straordinaria, favorendo l’incontro tra domanda e offerta di lavoro ed assicurando realmente il collocamento dei disoccupati, aspetto in cui gli attuali strumenti previsti in abbinamento al Rei si sono rivelati poco efficaci.

Resta comunque il problema delle risorse necessarie per la pensione minima di cittadinanza da 780 euro, che diventerebbe una misura strutturale, non essendo possibile chiedere ai pensionati di cercare lavoro per aumentare il reddito: le risorse necessarie potrebbero essere ad ogni modo sostenibili, con la riduzione del sussidio per chi non paga l’affitto e grazie alla previsione dei limiti di reddito Isee e dei limiti patrimoniali.

Ma procediamo per ordine, e facciamo il punto della situazione sul reddito di cittadinanza: come funziona, chi sono i beneficiari, a quanto ammonta, quali sono i requisiti e gli adempimenti richiesti, come ottenerlo.

Che cos’è il reddito di cittadinanza

Cerchiamo innanzitutto di capire le caratteristiche fondamentali del nuovo reddito di cittadinanza: questo sussidio consiste in una prestazione economica mensile, esentasse, accreditata a favore di coloro che possiedono un reddito sotto la soglia di povertà.

È considerato al di sotto della soglia di povertà ai fini del reddito di cittadinanza chi possiede un reddito inferiore ai 780 euro mensili, in caso di nucleo familiare con un solo componente: questa soglia è più bassa per chi non paga l’affitto o il mutuo per la casa, mentre è più alta per le famiglie con più componenti.

A quanto ammonta il reddito di cittadinanza?

Il reddito di cittadinanza dovrebbe ammontare sino a un massimo di 780 euro per ogni persona adulta e disoccupata senza alcun reddito; per chi ha un reddito sotto soglia, il reddito di cittadinanza integrerà gli importi percepiti sino ad arrivare a 780 euro al mese. Nello specifico, l’importo del reddito di cittadinanza è determinato da due quote:

  • la prima quota, a integrazione del reddito familiare, ammonta a una soglia massima pari a 6mila euro annui, 500 euro al mese (630 euro al mese, 7.560 euro annui nel caso di pensione di cittadinanza) per il singolo componente; in presenza di più componenti si può arrivare a massimo 12.600 euro, cioè a 1.050 euro al mese;
  • la seconda quota, a integrazione del reddito familiare, è riconosciuta ai nuclei che pagano l’affitto dell’abitazione, ed è pari al canone annuo previsto dal contratto di affitto (150 euro al mese, 1.800 euro annui nel caso di pensione di cittadinanza);
  • la seconda quota è pari alla rata del mutuo, fino a un massimo di 150 euro al mese, 1.800 euro annui, nel caso di nuclei familiari residenti in abitazioni di proprietà per il cui acquisto o per la cui costruzione sia stato stipulato un contratto di mutuo da un componente della famiglia.

In ogni caso il beneficio economico:

  • non può superare la soglia di 9.360 euro annui (780 euro al mese) nel caso di nucleo familiare con un solo componente, ridotta del valore del reddito familiare; la misura massima in caso di più componenti può arrivare a 19.656 euro all’anno (1.638 euro al mese , anche se nel concreto non si andrà sopra i 1.430 euro al mese);
  • non può essere inferiore a 480 euro annui (40 euro al mese).

Per una famiglia di tre persone, con genitori disoccupati a reddito zero e figlio minorenne a carico, il reddito di cittadinanza del nucleo dovrebbe aumentare del 40% per il coniuge e del 20% per il figlio minore.

Il reddito di cittadinanza sarà però ridotto per chi è proprietario della prima casa e non paga l’affitto: la riduzione, in particolare, dovrebbe corrispondere al cosiddetto affitto imputato ed ammontare a circa 280 euro al mese, 150 euro per chi percepisce la pensione di cittadinanza. Chi paga l’affitto, invece, ha diritto a un incremento in misura corrispondente, entro il tetto di 780 euro al mese.

Chi paga il mutuo, poi, ha diritto a un incremento del reddito pari a 150 euro mensili, entro il tetto di reddito di 780 euro.

Il reddito di cittadinanza sarà esentasse e non pignorabile.

Chi ha diritto al reddito di cittadinanza?

Potranno chiedere il reddito di cittadinanza i cittadini maggiorenni che soddisfano le seguenti condizioni:

  • si trovano in stato di disoccupazione o risultano inoccupati (cioè hanno perso il posto o non hanno mai lavorato); coloro che hanno presentato le dimissioni sono esclusi dal reddito per un anno, così come i detenuti ed i ricoverati in una struttura a carico dello Stato;
  • sono cittadini italiani, europei (o loro familiari in possesso del titolare del diritto di soggiorno o del diritto di soggiorno permanente) o extracomunitari in possesso di permesso di soggiorno di lungo periodo o di protezione internazionale;
  • sono residenti stabilmente in Italia da almeno 10 anni;
  • percepiscono un reddito di lavoro inferiore alla soglia di povertà, cioè sotto i 780 euro mensili;
  • percepiscono una pensione inferiore alla soglia di povertà, pari, come abbiamo detto, a 780 euro mensili;
  • possiedono un Isee del nucleo familiare inferiore a 9.360 euro;
  • possiedono un valore del reddito familiare inferiore a 6 mila euro, per il singolo componente, o a 7.560 euro, in caso di pensione di cittadinanza; l’importo è elevato sino a 9.360 euro per chi paga l’affitto ed è da adeguare col parametro della scala di equivalenza;
  • possiedono al massimo due immobili nel nucleo familiare, ma il secondo immobile non deve avere un valore superiore a 30mila euro;
  • possiedono un patrimonio mobiliare familiare (conti, carte prepagate, titoli, libretti, partecipazioni…) non superiore a 6mila euro; la soglia è incrementata di 2mila euro per ogni componente del nucleo familiare successivo al primo, fino ad un massimo di 10 mila euro, incrementati di ulteriori mille euro per ogni figlio successivo al secondo; i  massimali sono ulteriormente incrementati di 5mila euro per ogni componente con disabilità, come definita a fini Isee, presente nel nucleo;
  • nessun componente del nucleo deve possedere autoveicoli immatricolati nei 6 mesi precedenti, con cilindrata superiore a 1.600 cc e motoveicoli di cilindrata superiore a 250 cc, immatricolati nei 2 anni precedenti, navi o imbarcazioni da diporto; sono esclusi i veicoli per disabili.

Sarà dunque richiesta la dichiarazione Isee per beneficiare del reddito o della pensione di cittadinanza.

Chi lavora o percepisce la disoccupazione ha diritto al reddito di cittadinanza?

Il reddito di cittadinanza, come abbiamo osservato, sarà compatibile con l’attività lavorativa: nello specifico, se il lavoratore ha un contratto part time, il suo salario sarà integrato, attraverso il reddito di cittadinanza, fino ad arrivare a 780 euro al mese.

Naspi e altre prestazioni collegate allo stato di disoccupazione saranno compatibili col reddito di cittadinanza sino al limite di 780 euro mensili.

Chi percepisce prestazioni di assistenza avrà diritto al reddito di cittadinanza?

Il decreto prevede che ai fini del reddito di cittadinanza, il reddito familiare è determinato al netto dei trattamenti assistenziali eventualmente inclusi nell’Isee, ed include i trattamenti assistenziali in corso di godimento da parte dei componenti del nucleo familiare, fatta eccezione per le prestazioni non sottoposte alla prova dei mezzi, come l’assegno di accompagnamento.

Nel valore dei trattamenti di assistenza non rilevano il pagamento di arretrati, le riduzioni nella compartecipazione al costo dei servizi e le esenzioni e agevolazioni per il pagamento di tributi, i rimborsi di spese sostenute, i buoni servizio o altri  titoli che svolgono la funzione di sostituzione di servizi. Non rileva il bonus bebè.

Per ottenere il reddito di cittadinanza devo lavorare?

In base a quanto disposto nel decreto in materia, il reddito di cittadinanza obbligherà il beneficiario non solo a cercare assiduamente un lavoro ed a riqualificarsi, ma anche ad offrire lavoro gratuito per il proprio Comune di residenza.

Chi si rifiuterà di lavorare perderà il sussidio.

Per quanto riguarda, poi, la partecipazione alle iniziative di politica attiva del lavoro previste per il beneficiario del reddito, sarà obbligatorio (a meno che l’interessato non sia pensionato):

  • iscriversi presso i centri per l’impiego e offrire subito la disponibilità al lavoro;
  • iniziare un percorso per essere accompagnati nella ricerca del lavoro dimostrando la reale volontà di trovare un impiego;
  • offrire la propria disponibilità per progetti comunali utili alla collettività;
  • frequentare percorsi per la qualifica o la riqualificazione professionale;
  • effettuare ricerca attiva del lavoro quotidianamente;
  • comunicare tempestivamente qualsiasi variazione del reddito;
  • accettare uno dei primi tre lavori che verranno offerti, o il primo lavoro, in fase di rinnovo del sussidio.

Chi ha un lavoro a tempo pieno, ma è sottopagato, avrà comunque diritto all’integrazione del reddito, senza bisogno di partecipare alle iniziative di politica attiva del lavoro. Per saperne di più: Reddito di cittadinanza, adempimenti.

Che cosa succede al reddito di cittadinanza se rifiuto un lavoro?

L’interessato che percepisce il reddito di cittadinanza può rifiutare al massimo due proposte lavorative congrue , o di recedere dall’impiego per due volte. Superati questi limiti, perde la somma.

Chi percepisce il reddito di cittadinanza in fase di rinnovo deve accettare il primo lavoro congruo proposto, anche se lontano da casa: sono esclusi i nuclei familiari con componenti disabili gravi o non autosufficienti. In questo caso, se l’interessato accetta comunque l’offerta di lavoro, percepisce il sussidio per altri 3 mesi. Se vuoi capire di più sulle agevolazioni per i disabili che percepiscono il sussidio, leggi Reddito di cittadinanza e benefici per disabili.

Per sapere quando un’offerta di lavoro è congrua: Offerta di lavoro congrua per il reddito di cittadinanza.

Come si chiede il reddito di cittadinanza?

Il modulo di domanda per il reddito di cittadinanza deve essere predisposto dall’Inps, sentito il ministero del Lavoro, entro 30 giorni dall’entrata in vigore del decreto sul reddito di cittadinanza.

Il modulo di domanda deve essere presentato dal richiedente, a partire dal 6 marzo, alle Poste, o presso uno sportello Caf o ancora, telematicamente, attraverso il nuovo portale del reddito di cittadinanza (redditodicittadinanza.gov.it). Si prevede anche la possibilità di presentare la domanda di reddito di cittadinanza assieme alla dichiarazione Isee, anche online tramite sito web dell’Inps, a breve.

Le informazioni contenute nella domanda del reddito di cittadinanza devono essere comunicate dal sito web, dalle Poste o dal Caf all’Inps, entro 10 giorni lavorativi dalla richiesta.

Per il riconoscimento del beneficio, l’Inps deve verificare, entro 5 giorni lavorativi dalla data di comunicazione, il possesso dei requisiti d’accesso. I Comuni, inoltre, devono verificare i requisiti di residenza e di soggiorno e devono comunicare l’esito della verifica.

Reddito di cittadinanza: novità

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Reddito di cittadinanza: quando arriva, carta acquisti, requisiti Isee, durata massima, offerte di lavoro.

Il reddito di cittadinanza non sarà un assegno da 780 euro al mese per i furbetti che hanno intenzione di poltrire sul divano, ma consisterà in una sorta di social card con la quale si potranno acquistare soltanto i beni essenziali: chi bara sulle condizioni per il diritto al sussidio con false dichiarazioni potrà subire sino a 6 anni di galera. Inoltre, non ci sarà tempo per stare in casa a poltrire: le attività da svolgere per il proprio comune e le attività di formazione, riqualificazione e ricerca attiva del lavoro non ne daranno il tempo. Sono queste le novità annunciate dal vicepremier Di Maio in merito alla nuova misura, che, come confermato di recente, diventerà operativa da aprile 2019.

Peraltro, dal 2019 il sussidio è riconosciuto a due fasce di destinatari: per gli over 67, sotto forma di pensione minima di cittadinanza, cioè d’integrazione sino a 780 euro mensili di tutte le pensioni sotto la soglia di povertà, mentre a tutti coloro che si trovano sotto la soglia di povertà ed in età lavorativa spetta il reddito di cittadinanza.  Ai cittadini in età lavorativa, in cambio del sussidio mensile di 780 euro, si richiede però la ricerca assidua di un’occupazione, la frequenza di corsi di formazione e di 8 ore di lavoro a favore del proprio Comune di residenza, impegno che non è richiesto ai pensionati.

Per quanto riguarda la pensione minima di cittadinanza, l’intervento, anche se esposto come un aumento “di fatto” dell’integrazione al trattamento minimo e delle maggiorazioni, avverrà su carta acquisti, e non con un aumento dell’assegno da parte dell’Inps.

L’erogazione degli importi su social card è indispensabile, secondo il Vicepremier, per evitare spese immorali servendosi del reddito di cittadinanza; in ogni caso, la riforma dei centri per l’impiego, in base a quanto affermato dallo stesso Di Maio, dovrebbe trasformare il reddito di cittadinanza, per coloro che si trovano in età lavorativa, in una misura straordinaria, favorendo l’incontro tra domanda e offerta d’impiego ed assicurando realmente il collocamento dei disoccupati.

Ma procediamo per ordine, e facciamo il punto della situazione sul reddito di cittadinanza: novità, come funziona, chi sono i beneficiari, a quanto ammonta, quali sono i requisiti e gli adempimenti richiesti, come ottenerlo.

Che cos’è il reddito di cittadinanza?

Cerchiamo innanzitutto di capire le caratteristiche fondamentali del nuovo reddito di cittadinanza: questo sussidio consiste in una prestazione economica mensile, esentasse, accreditata a favore di coloro che possiedono un reddito sotto la soglia di povertà relativa.

È considerato al di sotto della soglia di povertà ai fini del reddito di cittadinanza chi possiede un reddito inferiore ai 780 euro mensili, in caso di nucleo familiare con un solo componente: questa soglia è diminuita per chi è proprietario dell’abitazione principale e non paga l’affitto, ed è aumentata per chi ha un nucleo familiare con più componenti.

In base a quanto emerge dal decreto in materia, il reddito di cittadinanza non sarà erogato con un assegno, ma accreditando l’importo spettante in una carta acquisti, una sorta di social card.

Come funziona la pensione di cittadinanza?

Il reddito di cittadinanza non interesserà soltanto i lavoratori che si trovano sotto la soglia di povertà, ma anche i pensionati. Nello specifico, tutti coloro che hanno almeno 67 anni di età avranno diritto a un’integrazione della pensione sino a un massimo di 780 euro mensili, se possiedono i requisiti per il sussidio (l’integrazione è più bassa per chi non paga l’affitto). L’attuale integrazione al trattamento minimo, pari a 513 euro mensili, e le ulteriori maggiorazioni, dovrebbero dunque essere incrementate dalla pensione di cittadinanza.

In base alla bozza di decreto in materia, l’integrazione avverrà attraverso l’erogazione dell’importo spettante su una carta acquisti.

A quanto ammonta il reddito di cittadinanza?

Il reddito di cittadinanza ammonterà sino a un massimo di 780 euro per ogni persona adulta e disoccupata senza alcun reddito; per chi ha un reddito sotto soglia, il reddito di cittadinanza integrerà gli importi percepiti sino ad arrivare a 780 euro al mese. Nello specifico, l’importo del reddito di cittadinanza è determinato da due quote:

  • la prima quota, a integrazione del reddito familiare, ammonta a una soglia massima pari a 6mila euro annui, 500 euro al mese (630 euro al mese, 7.560 euro annui nel caso di pensione di cittadinanza) per il singolo componente; in presenza di più componenti si può arrivare a massimo 12.600 euro, cioè a 1.050 euro al mese;
  • la seconda quota, a integrazione del reddito familiare, è riconosciuta ai nuclei che pagano l’affitto dell’abitazione, ed è pari al canone annuo previsto dal contratto di affitto (150 euro al mese, 1.800 euro annui nel caso di pensione di cittadinanza);
  • la seconda quota è pari alla rata del mutuo, fino a un massimo di 150 euro al mese, 1.800 euro annui, nel caso di nuclei familiari residenti in abitazioni di proprietà per il cui acquisto o per la cui costruzione sia stato stipulato un contratto di mutuo da un componente della famiglia.

In ogni caso il beneficio economico:
• non può superare la soglia di 9.360 euro annui (780 euro al mese) nel caso di nucleo familiare con un solo componente,
ridotta del valore del reddito familiare; la misura massima in caso di più componenti può arrivare a 19.656 euro all’anno (1.638 euro al mese, anche se nel concreto risulta minore);
• non può essere inferiore a 480 euro annui (40 euro al mese).

Per una famiglia di tre persone, con genitori disoccupati a reddito zero e figlio minorenne a carico, il reddito di cittadinanza del nucleo dovrebbe aumentare del 40% per il coniuge e del 20% per il figlio minore.

Il reddito di cittadinanza sarà però ridotto per chi è proprietario della prima casa e non paga l’affitto: la riduzione, in particolare, dovrebbe corrispondere al cosiddetto affitto imputato ed ammontare a circa 280 euro al mese, 150 euro per chi percepisce la pensione di cittadinanza. Chi paga l’affitto, invece, ha diritto a un incremento in misura corrispondente, entro il tetto di 780 euro al mese.

Chi paga il mutuo, poi, ha diritto a un incremento del reddito pari a 150 euro mensili, entro il tetto di reddito di 780 euro.

Il reddito di cittadinanza sarà, in ogni caso, esentasse.

Reddito di cittadinanza con la carta acquisti

Il reddito di cittadinanza sarà riconosciuto, in base a quanto esposto nel decreto pensioni, tramite carta acquisti, funzionerà in modo analogo alla vecchia social card, erogata alle famiglie più bisognose.

La social card di cittadinanza consisterà dunque in un sussidio erogato dall’Inps, tramite un bancomat: la carta sarà utile per effettuare acquisti negli esercizi convenzionati, ma anche per pagare le utenze domestiche e per i pagamenti tramite Pos.

La carta acquisti sarà abilitata al prelievo di contante, nel limite di 100 euro mensili, da moltiplicare per la scala di equivalenza.

Chi ha diritto al reddito di cittadinanza?

Potranno chiedere il reddito di cittadinanza i cittadini maggiorenni che soddisfano le seguenti condizioni:

  • si trovano in stato di disoccupazione o risultano inoccupati (cioè hanno perso il posto o non hanno mai lavorato); coloro che hanno presentato le dimissioni sono esclusi dal reddito per un anno, così come i detenuti ed i ricoverati in una struttura a carico dello Stato;
  • sono cittadini italiani, europei (o loro familiari in possesso del titolare del diritto di soggiorno o del diritto di soggiorno permanente) o extracomunitari in possesso di permesso di soggiorno di lungo periodo o di protezione internazionale ;
  • sono residenti stabilmente in Italia da almeno 10 anni;
  • percepiscono un reddito di lavoro inferiore alla soglia di povertà, cioè sotto i 780 euro mensili;
  • percepiscono una pensione inferiore alla soglia di povertà, pari, come abbiamo detto, a 780 euro mensili;
  • possiedono un Isee del nucleo familiare inferiore a 9.360 euro;
  • possiedono un valore del reddito familiare inferiore a 6 mila euro, per il singolo componente, o a 7.560 euro, in caso di pensione di cittadinanza; l’importo è elevato sino a 9.360 euro per chi paga l’affitto ed è da adeguare col parametro della scala di equivalenza;
  • possiedono al massimo due immobili nel nucleo familiare, ma il secondo immobile non deve avere un valore superiore a 30mila euro;
  • possiedono un patrimonio mobiliare familiare (conti, carte prepagate, titoli, libretti, partecipazioni…) non superiore a 6mila euro; la soglia è incrementata di 2mila euro per ogni componente del nucleo familiare successivo al primo, fino ad un massimo di 10 mila euro, incrementati di ulteriori mille euro per ogni figlio successivo al secondo; i  massimali sono ulteriormente incrementati di 5mila euro per ogni componente con disabilità, come definita a fini Isee, presente nel nucleo;
  • nessun componente del nucleo deve possedere autoveicoli immatricolati nei 6 mesi precedenti, o con cilindrata superiore a 1.600 cc e motoveicoli di cilindrata superiore a 250 cc, immatricolati nei 2 anni precedenti, navi o imbarcazioni da diporto; sono esclusi i veicoli adibiti al trasporto di disabili.

Sarà dunque richiesta la dichiarazione Isee per beneficiare del reddito o della pensione di cittadinanza.

Chi lavora o percepisce la disoccupazione ha diritto al reddito di cittadinanza?

Il reddito di cittadinanza sarà compatibile con l’attività lavorativa: nello specifico, se il lavoratore ha un contratto part time, il suo salario sarà integrato, attraverso il reddito di cittadinanza, fino ad arrivare a 780 euro al mese.

Naspi e altre prestazioni collegate allo stato di disoccupazione saranno compatibili col reddito di cittadinanza sino al limite di 780 euro mensili.

Chi percepisce prestazioni di assistenza avrà diritto al reddito di cittadinanza?

Il decreto prevede che ai fini del reddito di cittadinanza, il reddito familiare è determinato al netto dei trattamenti assistenziali eventualmente inclusi nell’Isee non più in godimento, ed include i trattamenti assistenziali in corso di godimento da parte dei componenti del nucleo familiare, fatta eccezione per le prestazioni non sottoposte alla prova dei mezzi, come l’assegno di accompagnamento.

Nel valore dei trattamenti di assistenza non rilevano il pagamento di arretrati, le riduzioni nella compartecipazione al costo dei servizi e le esenzioni e agevolazioni per il pagamento di tributi, i rimborsi di spese sostenute, i buoni servizio o altri  titoli che svolgono la funzione di sostituzione di servizi. Non rileva il bonus bebè.

Obbligo di lavorare per chi percepisce il reddito di cittadinanza

In base a quanto previsto dal decreto in materia, il reddito di cittadinanza obbligherà il beneficiario non solo a cercare assiduamente un lavoro ed a riqualificarsi, ma anche ad offrire lavoro gratuito per il proprio Comune di residenza.

Non ci sarà tempo per stare in casa a far nulla: le attività lavorative e di riqualificazione saranno quasi quotidiane.

Chi si rifiuterà di lavorare per il proprio Comune perderà il sussidio; il reddito si perderà anche nel caso in cui si rifiutino tre offerte di lavoro congrue, oppure la prima offerta di lavoro, se si percepisce il sussidio di cittadinanza in fase di rinnovo. Per sapere quando un’offerta di lavoro è equa: Offerta di lavoro congrua per il reddito di cittadinanza.

Per quanto riguarda, nello specifico, la partecipazione alle iniziative di politica attiva del lavoro previste per il beneficiario del reddito, sarà obbligatorio (a meno che l’interessato non sia pensionato):

  • iscriversi presso i centri per l’impiego e offrire subito la disponibilità al lavoro;
  • iniziare un percorso per essere accompagnati nella ricerca del lavoro dimostrando la reale volontà di trovare un impiego;
  • offrire la propria disponibilità per progetti comunali utili alla collettività;
  • frequentare percorsi per la qualifica o la riqualificazione professionale;
  • effettuare ricerca attiva del lavoro per almeno 2 ore al giorno;
  • comunicare tempestivamente qualsiasi variazione del reddito;
  • accettare uno dei primi tre lavori che verranno offerti, oppure la prima offerta di lavoro, se si percepisce il sussidio di cittadinanza in fase di rinnovo.

Chi ha un lavoro a tempo pieno, ma è sottopagato, avrà comunque diritto all’integrazione del reddito, senza bisogno di partecipare alle iniziative di politica attiva del lavoro.

Per saperne di più: Reddito di cittadinanza, adempimenti.

Per ottenere la pensione di cittadinanza si deve lavorare?

Per ottenere la pensione di cittadinanza non sarà necessario lavorare, in quanto i beneficiari del sostegno sono gli over 67. I beneficiari della pensione di cittadinanza sono esonerati da tutte le misure di politica attiva del lavoro.

Che cosa succede a chi imbroglia?

Se si ottiene il reddito di cittadinanza sulla base di false dichiarazioni, o si lavora in nero, non solo si perderà il sussidio, ma si rischieranno sino a 6 anni di carcere: è stabilito nel decreto in materia di reddito di cittadinanza.

Come si chiede il reddito di cittadinanza?

Il modulo di domanda per il reddito di cittadinanza deve essere predisposto dall’Inps, sentito il ministero del Lavoro, entro 30 giorni dall’entrata in vigore del decreto sul reddito di cittadinanza.

Il modulo di domanda deve essere presentato dal richiedente, a partire dal 6 marzo, alle Poste, o presso uno sportello Caf o ancora, telematicamente, attraverso il nuovo portale del reddito di cittadinanza (redditodicittadinanza.gov.it). Si prevede anche la possibilità di presentare la domanda di reddito di cittadinanza assieme alla dichiarazione Isee, anche online tramite sito web dell’Inps, a breve.

Le informazioni contenute nella domanda del reddito di cittadinanza devono essere comunicate dal sito web, dalle Poste o dal Caf all’Inps, entro 10 giorni lavorativi dalla richiesta.

Per il riconoscimento del beneficio, l’Inps deve verificare, entro 5 giorni lavorativi dalla data di comunicazione, il possesso dei requisiti d’accesso. I Comuni, inoltre, devono verificare i requisiti di residenza e di soggiorno e devono comunicare l’esito della verifica.

Reddito di cittadinanza: a chi viene negato?

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Casa di proprietà, seconda casa, conti, carte, libretti, redditi, rifiuto offerte di lavoro: in presenza di quali requisiti il reddito di cittadinanza si perde o viene ridotto.

Da una misura pressoché universale, con pochissimi limiti e condizioni, a un beneficio riservato a pochi: è questa la recente evoluzione del reddito di cittadinanza, il nuovo sussidio dedicato alle famiglie bisognose. Pur restando uno strumento, in linea generale, maggiormente accessibile rispetto all’attuale reddito d’inclusione Rei, il reddito di cittadinanza, nel corso degli ultimi mesi, è stato più volte ridimensionato, a causa della necessità di ridurre il deficit

Innanzitutto, se l’abitazione è di proprietà il sussidio è ridotto in misura pari a 280 euro mensili; il reddito, poi, non spetta alle famiglie che possiedono un secondo immobile di valore superiore a 30mila euro, ed ai nuclei familiari con un patrimonio mobiliare superiore a un determinato limite, che nella generalità dei casi va dai 6mila ai 10 mila euro: una soglia abbastanza facile da superare, considerando che nel patrimonio mobiliare sono inclusi tutti i conti, le carte prepagate, i libretti, i depositi, i titoli e le partecipazioni di tutti i componenti del nucleo familiare. L’indicatore Isee non può andare oltre i 9.360 euro, e non si possono possedere auto e moto nuove, o superiori a una certa cilindrata, navi e imbarcazioni da diporto.

A questi limiti si aggiungono, comunque, ulteriori condizioni, come l’obbligo di prestare servizio per il proprio comune, quello di accettare una delle prime tre offerte di lavoro eque proposte (la prima offerta, se si percepisce il sussidio da un anno) e di partecipare a tutte le misure di politica attiva del lavoro.

Allo stato attuale, dunque, il reddito di cittadinanza a chi viene negato? Facciamo il punto della situazione.

Come funziona il reddito di cittadinanza?

Ricordiamo innanzitutto le caratteristiche fondamentali del nuovo reddito di cittadinanza: questo sussidio consiste in una prestazione economica mensile, esentasse, accreditata a favore di coloro che possiedono un reddito sotto la soglia di povertà.

È considerato al di sotto della soglia di povertà ai fini del reddito di cittadinanza chi possiede un reddito inferiore ai 780 euro mensili, in caso di nucleo familiare con un solo componente non proprietario di casa: in caso di nucleo con più componenti, il reddito è aumentato dello 0,4 per il coniuge e dello 0,2 per ogni figlio minore.

L’indicatore Isee della famiglia (si tratta, in pratica, di un indice che “misura la ricchezza delle famiglie”) richiesto per il diritto al sussidio ammonta, in base a quanto reso noto sinora, a 9.360 euro. Inoltre sono previsti limiti legati al patrimonio mobiliare e immobiliare.

La prestazione sarà erogata con una carta acquisti, una sorta di bancomat, che consentirà di pagare le utenze e l’acquisto di beni di prima necessità.

Il reddito di cittadinanza non interesserà soltanto i lavoratori che si trovano sotto la soglia di povertà, ma anche i pensionati. Nello specifico, tutti gli over 67 riceveranno un’integrazione del reddito sino a 780 euro mensili, se possiedono i requisiti economici richiesti. L’attuale integrazione al trattamento minimo, pari a 513 euro mensili (dal 2019), e le ulteriori maggiorazioni, dovrebbero dunque essere assorbite dalla pensione di cittadinanza per chi ne ha i requisiti.

A quanto ammonta il reddito di cittadinanza?

Il reddito di cittadinanza dovrebbe ammontare sino a un massimo di 780 euro per ogni persona adulta e disoccupata senza alcun reddito; per chi ha un reddito sotto soglia, il reddito di cittadinanza integrerà gli importi percepiti sino ad arrivare a 780 euro al mese. Nello specifico, l’importo del reddito di cittadinanza è determinato da due quote:

  • la prima quota, a integrazione del reddito familiare, ammonta a una soglia massima pari a 6mila euro annui, 500 euro al mese (630 euro al mese, 7.560 euro annui nel caso di pensione di cittadinanza) per il singolo componente; in presenza di più componenti si può arrivare a massimo 12.600 euro, cioè a 1.050 euro al mese;
  • la seconda quota, a integrazione del reddito familiare, è riconosciuta ai nuclei che pagano l’affitto dell’abitazione, ed è pari al canone annuo previsto dal contratto di affitto (150 euro al mese, 1.800 euro annui nel caso di pensione di cittadinanza);
  • la seconda quota è pari alla rata del mutuo, fino a un massimo di 150 euro al mese, 1.800 euro annui, nel caso di nuclei familiari residenti in abitazioni di proprietà per il cui acquisto o per la cui costruzione sia stato stipulato un contratto di mutuo da un componente della famiglia.

In ogni caso il beneficio economico:

  • non può superare la soglia di 9.360 euro annui (780 euro al mese) nel caso di nucleo familiare con un solo componente, ridotta del valore del reddito familiare; la misura massima in caso di più componenti può arrivare a 19.656 euro all’anno (1.638 euro al mese , anche se nel concreto sarà inferiore);
  • non può essere inferiore a 480 euro annui (40 euro al mese).

Per una famiglia di tre persone, con genitori disoccupati a reddito zero e figlio minorenne a carico, il reddito di cittadinanza del nucleo dovrebbe aumentare del 40% per il coniuge e del 20% per il figlio minore.

Il reddito di cittadinanza sarà però ridotto per chi è proprietario della prima casa e non paga l’affitto: la riduzione, in particolare, dovrebbe corrispondere al cosiddetto affitto imputato ed ammontare a circa 280 euro al mese, 150 euro per chi percepisce la pensione di cittadinanza. Chi paga l’affitto, invece, ha diritto a un incremento in misura corrispondente, entro il tetto di 780 euro al mese.

Chi paga il mutuo, poi, ha diritto a un incremento del reddito pari a 150 euro mensili, entro il tetto di reddito di 780 euro.

Il reddito di cittadinanza sarà esentasse e non pignorabile.

Chi ha diritto al reddito di cittadinanza?

Potranno chiedere il reddito di cittadinanza i cittadini maggiorenni che soddisfano le seguenti condizioni:

  • si trovano in stato di disoccupazione o risultano inoccupati (cioè hanno perso il posto o non hanno mai lavorato); coloro che hanno presentato le dimissioni sono esclusi dal reddito per un anno, così come i detenuti ed i ricoverati in una struttura a carico dello Stato;
  • sono cittadini italiani,
  • in alternativa, sono cittadini dell’Unione Europea, o loro familiari titolari del diritto di soggiorno o del diritto di soggiorno permanente, oppure cittadini di Paesi terzi in possesso del permesso di soggiorno europeo per soggiornanti di lungo periodo o apolide in possesso di analogo permesso o titolare di protezione internazionale (asilo politico, protezione sussidiaria);
  • sono residenti stabilmente in Italia da almeno 10 anni;
  • percepiscono un reddito di lavoro inferiore alla soglia di povertà, cioè sotto i 780 euro mensili;
  • percepiscono una pensione inferiore alla soglia di povertà, pari, come abbiamo detto, a 780 euro mensili;
  • possiedono un Isee del nucleo familiare inferiore a 9.360 euro;
  • possiedono un valore del reddito familiare inferiore a 6 mila euro, per il singolo componente, o a 7.560 euro, in caso di pensione di cittadinanza; l’importo è elevato sino a 9.360 euro per chi paga l’affitto ed è da adeguare col parametro della scala di equivalenza;
  • possiedono al massimo due immobili nel nucleo familiare, ma il secondo immobile non deve avere un valore superiore a 30mila euro;
  • possiedono un patrimonio mobiliare familiare (conti, carte prepagate, titoli, libretti, partecipazioni…) non superiore a 6mila euro; la soglia è incrementata di 2mila euro per ogni componente del nucleo familiare successivo al primo, fino ad un massimo di 10 mila euro, incrementati di ulteriori mille euro per ogni figlio successivo al secondo; i  massimali sono ulteriormente incrementati di 5mila euro per ogni componente con disabilità, come definita a fini Isee, presente nel nucleo;
  • nessun componente del nucleo deve possedere autoveicoli immatricolati nei 6 mesi precedenti, con cilindrata superiore a 1.600 cc e motoveicoli di cilindrata superiore a 250 cc, immatricolati nei 2 anni precedenti, navi o imbarcazioni da diporto; sono esclusi i veicoli per disabili.

Sarà dunque richiesta la dichiarazione Isee per beneficiare del reddito o della pensione di cittadinanza.

Chi lavora o percepisce la disoccupazione ha diritto al reddito di cittadinanza?

Il reddito di cittadinanza, come abbiamo osservato, sarà compatibile con l’attività lavorativa: nello specifico, se il lavoratore ha un contratto part time, il suo salario sarà integrato, attraverso il reddito di cittadinanza, fino ad arrivare a 780 euro al mese.

Naspi e altre prestazioni collegate allo stato di disoccupazione saranno compatibili col reddito di cittadinanza sino al limite di 780 euro mensili.

Chi percepisce prestazioni di assistenza avrà diritto al reddito di cittadinanza?

Il decreto in materia prevede che, ai fini del reddito di cittadinanza, il reddito familiare è determinato al netto dei trattamenti assistenziali eventualmente inclusi nell’Isee, ed include i trattamenti assistenziali in corso di godimento da parte dei componenti del nucleo familiare, fatta eccezione per le prestazioni non sottoposte alla prova dei mezzi, come l’assegno di accompagnamento.

Nel valore dei trattamenti di assistenza non rilevano il pagamento di arretrati, le riduzioni nella compartecipazione al costo dei servizi e le esenzioni e agevolazioni per il pagamento di tributi, i rimborsi di spese sostenute, i buoni servizio o altri  titoli che svolgono la funzione di sostituzione di servizi. Non rileva il bonus bebè.

Per ottenere il reddito di cittadinanza si deve lavorare?

In base a quanto previsto dalle attuali proposte, il reddito di cittadinanza obbligherà il beneficiario non solo a cercare assiduamente un lavoro ed a riqualificarsi, ma anche ad offrire lavoro gratuito per il proprio Comune di residenza.

Chi si rifiuterà di lavorare perderà il sussidio.

Per quanto riguarda, poi, la partecipazione alle iniziative di politica attiva del lavoro previste per il beneficiario del reddito, sarà obbligatorio (a meno che l’interessato non sia pensionato):

  • iscriversi presso i centri per l’impiego e offrire subito la disponibilità al lavoro;
  • iniziare un percorso per essere accompagnati nella ricerca del lavoro dimostrando la reale volontà di trovare un impiego;
  • offrire la propria disponibilità per progetti comunali utili alla collettività;
  • frequentare percorsi per la qualifica o la riqualificazione professionale;
  • effettuare ricerca attiva del lavoro regolarmente, accedendo a un’apposita piattaforma;
  • comunicare tempestivamente qualsiasi variazione del reddito;
  • accettare uno dei primi tre lavori che verranno offerti: nel dettaglio, l’interessato che percepisce il reddito di cittadinanza può rifiutare al massimo tre proposte lavorative congrue nell’arco di due anni; ha anche la possibilità di recedere dall’impiego per due volte nell’arco dell’anno solare; superati questi limiti, perde la somma;
  • in caso di fruizione del beneficio in fase di rinnovo deve essere accettata, a pena di decadenza dal beneficio, la prima offerta utile di lavoro congrua.

Chi ha un lavoro a tempo pieno, ma è sottopagato, avrà comunque diritto all’integrazione del reddito, senza bisogno di partecipare alle iniziative di politica attiva del lavoro.

Ma vediamo più nel dettaglio tutti gli adempimenti necessari per non perdere il reddito di cittadinanza.

Quali adempimenti per mantenere il reddito di cittadinanza?

Una volta ottenuto il sussidio, i componenti del nucleo familiare maggiorenni devono dichiarare l’immediata disponibilità al lavoro, presso i centri per l’impiego o tramite un’apposita piattaforma digitale (Siulp), entro 30 giorni dal riconoscimento del beneficio.

Sono esonerati i componenti del nucleo studenti, disabili (come definiti dalla normativa sul collocamento mirato), con carichi di cura, già occupati o di età pari o superiore a 67 anni.

Il richiedente, se non rientra tra gli esonerati, entro 30 giorni dal riconoscimento del beneficio, è convocato dal centro per l’impiego se uno dei componenti della sua famiglia:

  • è disoccupato da non più di due anni;
  • ha un’età inferiore ai 26 anni;
  • è beneficiario della Naspi, di un altro sussidio di disoccupazione, o ne ha terminato la fruizione da non più di un anno;
  • ha sottoscritto un Patto di servizio in corso di validità presso i centri per l’impiego.

La dichiarazione di immediata disponibilità deve essere resa anche dagli altri componenti non esonerati del nucleo, entro i 30 giorni successivi al primo incontro del richiedente o del suo sostituto.

Patto per il lavoro

I beneficiari del reddito di cittadinanza non esonerati dagli obblighi devono stipulare, presso un centro per l’impiego o un intermediario accreditato, un patto per il lavoro, che ha le stesse caratteristiche del patto di servizio personalizzato previsto per chi richiede l’indennità di disoccupazione, ma prevede delle attività aggiuntive.

In particolare, sottoscrivendo il patto per il lavoro ci si obbliga a:

  • collaborare con l’operatore addetto alla redazione del bilancio delle competenze, ai fini della definizione del patto per il lavoro;
  • accettare espressamente gli obblighi e rispettare gli impegni previsti nel patto per il lavoro e, in particolare:
  • registrarsi sull’apposita piattaforma digitale, e consultarla quotidianamente come supporto nella ricerca del lavoro;
  • svolgere attività di ricerca attiva di lavoro, secondo le modalità definite nel patto;
  • accettare di essere avviato ai corsi di formazione o riqualificazione professionale, o ai progetti per favorire l’auto-imprenditorialità, secondo le modalità individuate nel patto, tenuto conto del bilancio delle competenze, delle inclinazioni professionali o di eventuali specifiche propensioni;
  • sostenere i colloqui psicoattitudinali e le eventuali prove di selezione finalizzate all’assunzione, su indicazione dei servizi competenti e in attinenza alle competenze certificate;
  • accettare almeno una di tre offerte di lavoro congrue; in caso di fruizione del beneficio in fase di rinnovo, deve essere accettata, a pena di decadenza dal beneficio, la prima offerta utile di lavoro congrua; per sapere quando un’offerta è idonea: Offerta di lavoro congrua per il reddito di cittadinanza;
  • offrire la propria disponibilità per la partecipazione a progetti comunali utili alla collettività, in ambito culturale, sociale, artistico, ambientale, formativo e di tutela dei beni comuni, da svolgere presso il comune di residenza, mettendo a disposizione un massimo di 8 ore alla settimana.

Patto per l’inclusione sociale

Nel caso in cui la famiglia affronti problematiche complesse, non legate soltanto alla mancanza di lavoro, e una condizione di forte disagio e povertà, i beneficiari devono sottoscrivere un patto per l’inclusione sociale, che coinvolge i centri per l’impiego, i servizi sociali e gli altri servizi territoriali competenti.

A chi è negato il reddito di cittadinanza?

In base alle condizioni osservate per il diritto al reddito di cittadinanza, possiamo stabilire quali saranno i nuclei familiari tagliati fuori dalla misura.

Ecco a chi è negato il reddito di cittadinanza:

  • persone/ nuclei familiari che già ricevono un reddito o una pensione superiore alla soglia di povertà;
  • persone/ nuclei familiari che oltre alla casa d’abitazione possiedono un secondo immobile (può trattarsi anche di un terreno) per un valore complessivo superiore a 30mila euro;
  • nuclei familiari che possiedono conti, carte prepagate, libretti, titoli, partecipazioni, buoni fruttiferi, per un valore totale del patrimonio mobiliare (considerando tutti i componenti della famiglia) superiore alle soglie stabilite; per approfondire: Niente reddito di cittadinanza per chi risparmia;
  • persone/ nuclei familiari con Isee superiore a 9.360 euro;
  • nuclei familiari in cui un componente ha rassegnato le dimissioni, nei 12 mesi precedenti;
  • persone detenute;
  • persone ricoverate in una struttura a carico dello Stato;
  • persone che non sono residenti stabilmente in Italia da almeno 10 anni, o che non hanno un valido titolo di soggiorno;
  • nuclei familiari che possiedono un valore del reddito familiare superiore a 6 mila euro, per il singolo componente, o a 7.560 euro, in caso di pensione di cittadinanza; l’importo è elevato sino a 9.360 euro per chi paga l’affitto ed è da adeguare col parametro della scala di equivalenza;
  • nuclei familiari in cui un componente possiede autoveicoli immatricolati nei 6 mesi precedenti, con cilindrata superiore a 1.600 cc e motoveicoli di cilindrata superiore a 250 cc, immatricolati nei 2 anni precedenti, navi o imbarcazioni da diporto; sono esclusi i veicoli per disabili;
  • nuclei familiari in cui il disoccupato rifiuta di partecipare alle misure di politica attiva del lavoro (ricerca di lavoro, incontri di orientamento, corsi di formazione…);
  • nuclei familiari in cui il disoccupato rifiuta di offrire la propria disponibilità per progetti comunali utili alla collettività;
  • nuclei familiari in cui gli obbligati non sottoscrivono o non rispettano il patto per il lavoro o il patto per l’inclusione sociale;
  • nuclei familiari in cui il disoccupato rifiuta di accettare una di tre offerte di lavoro eque, o la prima offerta, se il sussidio è rinnovato;
  • nuclei che non hanno presentato la dichiarazione Isee.

Chi perde il reddito di cittadinanza?

È molto facile decadere dal diritto al reddito di cittadinanza: per chi utilizza documenti falsi, omette informazioni obbligatorie o non dichiara le variazioni di reddito è prevista addirittura la reclusione, assieme alla perdita del sussidio per 10 anni.

Nel dettaglio, se per ottenere o mantenere il beneficio sono utilizzati o presentati dichiarazioni e documenti falsi o attestanti cose non vere, o si omettono informazioni dovute, chi consegue indebitamente il sussidio è punito:

  • con la reclusione da 2 a 6 anni;
  • con la revoca retroattiva del beneficio;
  • con l’impossibilità di chiedere il sussidio prima che siano decorsi 10 anni dalla condanna.

Le sanzioni vanno da 1 a 3 anni di reclusione per chi non comunica la variazione del reddito: la variazione del reddito è presunta nel caso in cui sia accertato che l’interessato lavora in nero o “in grigio”, cioè che ha un rapporto di lavoro non dichiarato o un rapporto per il quale è dichiarata una retribuzione più bassa, come il “finto part time”.

Si decade dal reddito di cittadinanza anche quando uno dei componenti del nucleo familiare:

  • non sottoscrive il patto per il lavoro o il patto per l’inclusione sociale, ad eccezione dei casi di esclusione ed esonero;
  • non partecipa, in assenza di giustificato motivo, alle iniziative di carattere formativo o di riqualificazione, o ad altre iniziative di politica attiva o di attivazione;
  • non lavora gratuitamente nell’ambito dei progetti comunali, se istituiti;
  • rifiuta un’offerta di lavoro congrua, dopo averne già rifiutate due;
  • rifiuta un’offerta congrua dopo il rinnovo del beneficio;
  • non effettua le comunicazioni obbligatorie, o effettua comunicazioni mendaci producendo un beneficio economico del reddito di cittadinanza maggiore;
  • non presenta una dichiarazione Isee aggiornata, in caso di variazione del nucleo familiare;
  • rende una dichiarazione mendace (anche nella dichiarazione Isee).

Il reddito di cittadinanza si perde anche:

  • alla terza assenza alle convocazioni disposte nel patto;
  • alla seconda assenza alle iniziative di orientamento, da parte anche di un solo componente del nucleo familiare;
  • in caso di mancato rispetto degli impegni previsti nel patto per l’inclusione sociale, al quarto richiamo formale.

L’Inps si occupa di applicare le sanzioni diverse da quelle penali e del recupero del sussidio non dovuto: le informazioni sulle violazioni sono trasmesse all’istituto dai centri per l’impiego e dai comuni.

Se l’interessato decade dal sussidio, il reddito di cittadinanza può essere richiesto solo decorsi 18 mesi dalla data del provvedimento di decadenza. Non può essere richiesto prima del termine da un altro componente della famiglia.

Nel caso facciano parte del nucleo familiare componenti minorenni o con disabilità, il termine per richiedere nuovamente il reddito di cittadinanza è ridotto a 6 mesi.

Reddito di cittadinanza 2019

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Pensione minima e reddito minimo contro la povertà: come funziona, a quanto ammonta, a chi spetta, quali requisiti e adempimenti per ottenerlo?

Sarà operativo tra poco tempo il reddito di cittadinanza da 780 euro al mese, che sarà riconosciuto a due fasce di destinatari: ai pensionati over 67 sarà erogata la pensione minima di cittadinanza, una sorta d’integrazione di tutte le pensioni sotto la soglia di povertà. Completata la riforma dei centri per l’impiego, verrà poi riconosciuto il reddito di cittadinanza a tutti coloro che, in età lavorativa, si trovano sotto la soglia di povertà. I primi assegni saranno riconosciuti a partire dal 27 aprile 2019.

È quanto recentemente annunciato dal nuovo Governo, che ha inserito il reddito di cittadinanza tra gli interventi previsti successivamente all’entrata in vigore della legge di Bilancio 2019, in un apposito decreto in materia di previdenza e assistenza.

Ai cittadini, in cambio del sussidio mensile sino a 780 euro, si richiede però la ricerca assidua di un’occupazione, la frequenza di corsi di formazione e di 8 ore di lavoro a favore del proprio Comune di residenza.

Il sussidio sarà sicuramente più incisivo rispetto all’attuale reddito d’inclusione Rei, dato che quest’ultima misura, attualmente vigente, offre un reddito massimo di quasi 540 euro mensili, per una famiglia di 5 e più persone (gli importi sono inferiori per i nuclei familiari di meno componenti, si parte da un minimo di circa 190 euro al mese); richiede tuttavia un impegno notevole in termini di risorse da stanziare, e il soddisfacimento di numerose condizioni.

La riforma dei centri per l’impiego, in base a quanto afferma il Governo, dovrebbe però trasformare il reddito di cittadinanza in una misura straordinaria, favorendo l’incontro tra domanda e offerta di lavoro ed assicurando realmente il collocamento dei disoccupati, aspetto in cui gli attuali strumenti previsti in abbinamento al Rei si sono rivelati poco efficaci.

Resta comunque il problema delle risorse necessarie per la pensione minima di cittadinanza da 780 euro, che diventerebbe una misura strutturale, non essendo possibile chiedere ai pensionati di cercare lavoro per aumentare il reddito: le risorse necessarie potrebbero essere ad ogni modo sostenibili, con la riduzione del sussidio per chi non paga l’affitto e grazie alla previsione dei limiti di reddito Isee e dei limiti patrimoniali.

Ma procediamo per ordine, e facciamo il punto della situazione sul reddito di cittadinanza 2019: come funziona, chi sono i beneficiari, a quanto ammonta, quali sono i requisiti e gli adempimenti richiesti, come ottenerlo.

Come funziona il reddito di cittadinanza?

Cerchiamo innanzitutto di capire le caratteristiche fondamentali del nuovo reddito di cittadinanza: questo sussidio consiste in una prestazione economica mensile, esentasse, accreditata a favore di coloro che possiedono un reddito sotto la soglia di povertà.

È considerato al di sotto della soglia di povertà ai fini del reddito di cittadinanza chi possiede un reddito inferiore ai 780 euro mensili, in caso di nucleo familiare con un solo componente: in caso di nucleo con più componenti, il reddito è aumentato dello 0,4 per il coniuge e dello 0,2 per ogni figlio minore. Con riferimento al singolo componente, bisogna anche possedere una soglia di reddito personale non superiore ai 6mila euro annui, che sale a 7.560 euro se il beneficiario ha diritto alla pensione di cittadinanza.

L’indicatore Isee della famiglia (si tratta, in pratica, di un indice che “misura la ricchezza delle famiglie”) richiesto per il diritto al sussidio dovrebbe ammontare, in base a quanto reso noto sinora, a 9.360 euro. Inoltre sono previsti limiti legati al patrimonio mobiliare e immobiliare.

La prestazione dovrebbe essere erogata con una carta acquisti, una sorta di bancomat, che consentirà di pagare le utenze e l’acquisto di beni di prima necessità.

Come funziona la pensione di cittadinanza?

Il reddito di cittadinanza non interesserà soltanto i lavoratori che si trovano sotto la soglia di povertà, ma anche i pensionati. A questo proposito, la nuova normativa dispone infatti che, per i nuclei familiari composti esclusivamente da uno o più componenti di età pari o superiore a 67 anni, il reddito di cittadinanza assume la denominazione di pensione di cittadinanza, quale misura di contrasto alla povertà delle persone anziane. I requisiti per l’accesso e le regole di
definizione del beneficio economico sono le stesse del reddito di cittadinanza, salvo dove diversamente specificato. L’attuale integrazione al trattamento minimo, pari a 513 euro mensili, e le ulteriori maggiorazioni, dovrebbero dunque essere assorbite dalla pensione di cittadinanza per chi ne ha i requisiti.

Anche la pensione di cittadinanza sarà erogata su carta acquisti.

A quanto ammonta il reddito di cittadinanza?

Il reddito di cittadinanza ammonterà sino a un massimo di 780 euro per ogni persona adulta e disoccupata senza alcun reddito; per chi ha un reddito sotto soglia, il reddito di cittadinanza integrerà gli importi percepiti sino ad arrivare a 780 euro al mese. Nello specifico, l’importo del reddito di cittadinanza è determinato da due quote:

  • la prima quota, a integrazione del reddito familiare, ammonta a una soglia massima pari a 6mila euro annui, 500 euro al mese (630 euro al mese, 7.560 euro annui nel caso di pensione di cittadinanza) per il singolo componente; in presenza di più componenti si può arrivare a massimo 12.600 euro, cioè a 1.050 euro al mese;
  • la seconda quota, a integrazione del reddito familiare, è riconosciuta ai nuclei che pagano l’affitto dell’abitazione, ed è pari al canone annuo previsto dal contratto di affitto, sino a un massimo di 3.360 euro all’anno, 280 euro al mese (150 euro al mese, 1.800 euro annui per chi percepisce la pensione di cittadinanza);
  • la seconda quota è pari alla rata del mutuo, fino a un massimo di 150 euro al mese, 1.800 euro annui, nel caso di nuclei familiari residenti in abitazioni di proprietà per il cui acquisto o per la cui costruzione sia stato stipulato un contratto di mutuo da un componente della famiglia.

In ogni caso il beneficio economico:
• non può superare la soglia di 9.360 euro annui (780 euro al mese) nel caso di nucleo familiare con un solo componente,
ridotta del valore del reddito familiare; la misura massima in caso di più componenti può arrivare a 19.656 euro all’anno (1.638 euro al mese , anche se nel concreto l’ammontare erogato sarà più basso);
• non può essere inferiore a 480 euro annui (40 euro al mese).

Per una famiglia di tre persone, con genitori disoccupati a reddito zero e figlio minorenne a carico, il reddito di cittadinanza del nucleo aumenterà del 40% per il coniuge e del 20% per il figlio minore.

Il reddito di cittadinanza sarà però ridotto per chi è proprietario della prima casa e non paga l’affitto: la riduzione, in particolare, corrisponde al cosiddetto affitto imputato ed ammonta a circa 280 euro al mese, 150 euro per chi percepisce la pensione di cittadinanza. Chi paga l’affitto, invece, ha diritto a un incremento in misura corrispondente, entro il tetto di 780 euro al mese.

Chi paga il mutuo, poi, ha diritto a un incremento del reddito pari a 150 euro mensili, entro il tetto di reddito di 780 euro.

Il reddito di cittadinanza e la pensione di cittadinanza saranno esentasse e non pignorabile.

Chi ha diritto al reddito di cittadinanza?

Potranno chiedere il reddito di cittadinanza i cittadini maggiorenni che soddisfano le seguenti condizioni:

  • si trovano in stato di disoccupazione o risultano inoccupati (cioè hanno perso il posto o non hanno mai lavorato); coloro che hanno presentato le dimissioni sono esclusi dal reddito per un anno, così come i detenuti ed i ricoverati in una struttura a carico dello Stato;
  • sono in possesso della cittadinanza italiana o di paesi facenti parte dell’Unione europea, o sono familiari di un titolare del diritto di soggiorno o del diritto di soggiorno permanente, o cittadini di Paesi terzi in possesso del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo;
  • sono residenti in Italia da almeno 10 anni, di cui gli ultimi due, considerati al momento della presentazione della domanda e per tutta la durata dell’erogazione del beneficio, in modo continuativo;
  • percepiscono un reddito di lavoro inferiore alla soglia di povertà, cioè sotto i 780 euro mensili;
  • percepiscono una pensione inferiore alla soglia di povertà, pari, come abbiamo detto, a 780 euro mensili;
  • possiedono un Isee del nucleo familiare inferiore a 9.360 euro;
  • possiedono un valore del reddito familiare inferiore a 6 mila euro, per il singolo componente, o a 7.560 euro, in caso di pensione di cittadinanza; l’importo è elevato sino a 9.360 euro per chi paga l’affitto ed è da adeguare col parametro della scala di equivalenza;
  • possiedono al massimo due immobili nel nucleo familiare, ma il secondo immobile non deve avere un valore superiore a 30mila euro;
  • possiedono un patrimonio mobiliare familiare (conti, carte prepagate, titoli, libretti, partecipazioni…) non superiore a 6mila euro; la soglia è incrementata di 2mila euro per ogni componente del nucleo familiare successivo al primo, fino ad un massimo di 10 mila euro, incrementati di ulteriori mille euro per ogni figlio successivo al secondo; i  massimali sono ulteriormente incrementati di 5mila euro per ogni componente con disabilità, come definita a fini Isee, presente nel nucleo;
  • nessun componente del nucleo deve possedere autoveicoli immatricolati da meno di 6 mesi, o con cilindrata superiore a 1.600 cc e motoveicoli di cilindrata superiore a 250 cc, immatricolati nei 2 anni precedenti, navi o imbarcazioni da diporto; sono esclusi i veicoli per disabili.

Risulta dunque indispensabile presentare la dichiarazione Isee per beneficiare del reddito o della pensione di cittadinanza.

Chi lavora o percepisce la disoccupazione ha diritto al reddito di cittadinanza?

Il reddito di cittadinanza, come abbiamo osservato, sarà compatibile con l’attività lavorativa: nello specifico, se il lavoratore ha un contratto part time, il suo salario sarà integrato, attraverso il reddito di cittadinanza, fino ad arrivare a 780 euro al mese. L’integrazione non potrà superare i 500 euro al mese.

Naspi e altre prestazioni collegate allo stato di disoccupazione saranno compatibili col reddito di cittadinanza sino al limite di 780 euro mensili.

Chi percepisce prestazioni di assistenza avrà diritto al reddito di cittadinanza?

Il decreto prevede che ai fini del reddito di cittadinanza, il reddito familiare è determinato al netto dei trattamenti assistenziali eventualmente inclusi nell’Isee, ed include i trattamenti assistenziali in corso di godimento da parte dei componenti del nucleo familiare, fatta eccezione per le prestazioni non sottoposte alla prova dei mezzi, come l’assegno di accompagnamento.

Nel valore dei trattamenti di assistenza non rilevano il pagamento di arretrati, le riduzioni nella compartecipazione al costo dei servizi e le esenzioni e agevolazioni per il pagamento di tributi, i rimborsi di spese sostenute, i buoni servizio o altri  titoli che svolgono la funzione di sostituzione di servizi. Non rileva il bonus bebè.

Per ottenere il reddito di cittadinanza si deve lavorare?

In base a quanto previsto dal decreto in materia, il reddito di cittadinanza obbligherà il beneficiario non solo a cercare assiduamente un lavoro ed a riqualificarsi, ma anche a svolgere gratuitamente attività per il proprio Comune di residenza.

Chi si rifiuterà di lavorare perderà il sussidio.

Per quanto riguarda, poi, la partecipazione alle iniziative di politica attiva del lavoro previste per il beneficiario del reddito, sarà obbligatorio (a meno che l’interessato non sia pensionato o esonerato):

  • iscriversi presso i centri per l’impiego e offrire subito la disponibilità al lavoro;
  • iniziare un percorso per essere accompagnati nella ricerca del lavoro dimostrando la reale volontà di trovare un impiego;
  • offrire la propria disponibilità per progetti comunali utili alla collettività;
  • frequentare percorsi per la qualifica o la riqualificazione professionale;
  • effettuare ricerca attiva del lavoro quotidianamente;
  • comunicare tempestivamente qualsiasi variazione del reddito;
  • accettare uno dei primi tre lavori equi che verranno offerti, o il primo lavoro, trascorsi 12 mesi dalla percezione del sussidio.

Chi ha un lavoro a tempo pieno, ma è sottopagato, avrà comunque diritto all’integrazione del reddito, senza bisogno di partecipare alle iniziative di politica attiva del lavoro. Ma vediamo più nel dettaglio tutti gli adempimenti per ottenere il reddito di cittadinanza.

Quali sono gli adempimenti per mantenere il reddito di cittadinanza?

Una volta ottenuto il sussidio, i componenti del nucleo familiare maggiorenni devono dichiarare l’immediata disponibilità al lavoro, presso i centri per l’impiego o tramite un’apposita piattaforma digitale (Siulp), entro 30 giorni dal riconoscimento del beneficio.

Sono esonerati i componenti del nucleo studenti, disabili (come definiti dalla normativa sul collocamento mirato), con carichi di cura, già occupati o di età pari o superiore a 65 anni.

Il richiedente, se non rientra tra gli esonerati, entro 30 giorni dal riconoscimento del beneficio, è convocato dal centro per l’impiego se uno dei componenti della sua famiglia:

  • è disoccupato da non più di due anni;
  • ha un’età inferiore ai 26 anni;
  • è beneficiario della Naspi, di un altro sussidio di disoccupazione, o ne ha terminato la fruizione da non più di un anno;
  • ha sottoscritto un Patto di servizio in corso di validità presso i centri per l’impiego.

La dichiarazione di immediata disponibilità deve essere resa anche dagli altri componenti non esonerati del nucleo, entro i 30 giorni successivi al primo incontro del richiedente o del suo sostituto.

Patto per il lavoro

I beneficiari del reddito di cittadinanza non esonerati dagli obblighi devono stipulare, presso un centro per l’impiego o un intermediario accreditato, un patto per il lavoro, che ha le stesse caratteristiche del patto di servizio personalizzato previsto per chi richiede l’indennità di disoccupazione, ma prevede delle attività aggiuntive.

In particolare, sottoscrivendo il patto per il lavoro ci si obbliga a:

  • collaborare con l’operatore addetto alla redazione del bilancio delle competenze, ai fini della definizione del patto per il lavoro;
  • accettare espressamente gli obblighi e rispettare gli impegni previsti nel patto per il lavoro e, in particolare:
  • registrarsi sull’apposita piattaforma digitale, e consultarla quotidianamente come supporto nella ricerca del lavoro;
  • svolgere attività di ricerca attiva di lavoro, secondo le modalità definite nel patto;
  • accettare di essere avviato ai corsi di formazione o riqualificazione professionale, o ai progetti per favorire l’auto-imprenditorialità, secondo le modalità individuate nel patto, tenuto conto del bilancio delle competenze, delle inclinazioni professionali o di eventuali specifiche propensioni;
  • sostenere i colloqui psicoattitudinali e le eventuali prove di selezione finalizzate all’assunzione, su indicazione dei servizi competenti e in attinenza alle competenze certificate;
  • accettare almeno una di tre offerte di lavoro congrue; in caso di fruizione del beneficio da oltre 12 mesi o di rinnovo, deve essere accettata, a pena di decadenza dal beneficio, la prima offerta utile di lavoro congrua;
  • offrire la propria disponibilità per la partecipazione a progetti comunali utili alla collettività, in ambito culturale, sociale, artistico, ambientale, formativo e di tutela dei beni comuni, da svolgere presso il comune di residenza, mettendo a disposizione un massimo di 8 ore alla settimana.

Patto per l’inclusione sociale

Nel caso in cui la famiglia affronti problematiche complesse, non legate soltanto alla mancanza di lavoro, e una condizione di forte disagio e povertà, i beneficiari devono sottoscrivere un patto per l’inclusione sociale, che coinvolge i centri per l’impiego, i servizi sociali e gli altri servizi territoriali competenti.

Quando non si può rifiutare un’offerta di lavoro?

Chi percepisce il reddito di cittadinanza deve accettare almeno una di tre offerte di lavoro congrue, la prima offerta di lavoro congrua dopo 12 mesi di sussidio.

Ma quando un’offerta di lavoro è congrua ai fini del reddito di cittadinanza? In base a quanto disposto dal decreto sul reddito di cittadinanza:

  • se il lavoratore percepisce il reddito di cittadinanza da non più di 6 mesi, l’offerta di lavoro deve avere le seguenti caratteristiche:
    • dal punto di vista della coerenza professionale, deve riguardare uno dei settori individuati nel patto di servizio sottoscritto dal lavoratore;
    • la retribuzione offerta deve essere maggiore di 1,2 volte l’indennità di disoccupazione percepita, se il disoccupato percepisce un trattamento di sostegno al reddito;
    • la distanza dal luogo di lavoro non può essere superiore a 100 km dalla residenza dell’interessato, o comunque deve essere raggiungibile in 100 minuti con i mezzi di trasporto pubblici, se si tratta di prima offerta; la distanza dal luogo di lavoro non può essere superiore a 250 km dalla residenza dell’interessato se si tratta di seconda offerta; la sede di lavoro può trovarsi ovunque, nel territorio italiano, se si tratta di terza offerta;
  • se il lavoratore percepisce il reddito di cittadinanza da oltre 6 mesi, l’offerta di lavoro deve avere le seguenti caratteristiche:
    • dal punto di vista della coerenza professionale, deve riguardare uno dei settori individuati nel patto di servizio sottoscritto dal lavoratore, o contigui ai settori individuati;
    • la retribuzione offerta deve essere maggiore di 1,2 volte l’indennità di disoccupazione percepita, se il disoccupato percepisce un trattamento di sostegno al reddito;
    • la distanza dal luogo di lavoro non può essere superiore a 100 km dalla residenza dell’interessato, o comunque deve essere raggiungibile in 100 minuti con i mezzi di trasporto pubblici, se si tratta di prima offerta; la distanza dal luogo di lavoro non può essere superiore a 250 km dalla residenza dell’interessato se si tratta di seconda offerta; la sede di lavoro può trovarsi ovunque, nel territorio italiano, se si tratta di terza offerta;
  • se il lavoratore ha ottenuto il rinnovo del reddito di cittadinanza, l’offerta di lavoro deve avere le seguenti caratteristiche:
    • dal punto di vista della coerenza professionale, può riguardare qualsiasi settore lavorativo;
    • la retribuzione offerta deve essere maggiore di 1,2 volte l’indennità di disoccupazione percepita, se il disoccupato percepisce un trattamento di sostegno al reddito;
    • la sede di lavoro, esclusivamente nel caso in cui nel nucleo familiare non siano presenti componenti di minore età o disabili, può trovarsi ovunque nel territorio italiano; in questo caso, il beneficiario continua a percepire il reddito di cittadinanza per altri 3 mesi, a titolo di compensazione per le spese di trasferimento sostenute.

Il rapporto di lavoro, per quanto riguarda la durata, deve essere:

  • a tempo indeterminato;
  • a termine o con contratto di somministrazione, con una durata di almeno tre mesi.

Per quanto riguarda l’orario di lavoro, il rapporto deve essere a tempo pieno, o a tempo parziale, con un orario non inferiore all’80% rispetto all’orario dell’ultimo contratto di lavoro.

Lo stipendio previsto, poi, non deve essere inferiore ai minimi della contrattazione collettiva.

Per ottenere la pensione di cittadinanza si deve lavorare?

Per ottenere la pensione di cittadinanza non sarà necessario lavorare, in quanto funzionerà in modo analogo all’attuale integrazione al trattamento minimo ed alle maggiorazioni.

Che cosa succede al reddito di cittadinanza se rifiuto un lavoro?

L’interessato che percepisce il reddito di cittadinanza può rifiutare al massimo due proposte lavorative congrue (come  definite dal decreto sulla riforma degli ammortizzatori sociali, come integrato dal decreto sul reddito di cittadinanza) nell’arco del periodo di fruizione del reddito. Ha anche la possibilità di recedere dall’impiego per due volte nell’arco dello stesso periodo. Se, però, percepisce il reddito in fase di rinnovo, deve accettare il primo lavoro congruo proposto.

In caso contrario, perde il sussidio.

Come si perde il reddito di cittadinanza?

È molto facile decadere dal diritto al reddito di cittadinanza: per chi utilizza documenti falsi, omette informazioni obbligatorie o non dichiara le variazioni di reddito è prevista addirittura la reclusione, assieme alla perdita del sussidio per 10 anni.

Nel dettaglio, se per ottenere o mantenere il beneficio sono utilizzati o presentati dichiarazioni e documenti falsi o attestanti cose non vere, o si omettono informazioni dovute, chi consegue indebitamente il sussidio è punito:

  • con la reclusione da 2 a 6 anni;
  • con la revoca retroattiva del beneficio;
  • con l’impossibilità di chiedere il sussidio prima che siano decorsi 10 anni dalla condanna.

Le sanzioni sono le stesse per chi non comunica la variazione del reddito: la variazione del reddito è presunta nel caso in cui sia accertato che l’interessato lavora in nero o “in grigio”, cioè che ha un rapporto di lavoro non dichiarato o un rapporto per il quale è dichiarata una retribuzione più bassa, come il “finto part time”.

Si decade dal reddito di cittadinanza anche quando uno dei componenti del nucleo familiare:

  • non sottoscrive il patto per il lavoro o il patto per l’inclusione sociale, ad eccezione dei casi di esclusione ed esonero;
  • non partecipa, in assenza di giustificato motivo, alle iniziative di carattere formativo o di riqualificazione, o ad altre iniziative di politica attiva o di attivazione;
  • non lavora gratuitamente nell’ambito dei progetti comunali, se istituiti;
  • rifiuta un’offerta di lavoro congrua, dopo averne già rifiutate due;
  • rifiuta un’offerta congrua dopo il rinnovo del beneficio;
  • non effettua le comunicazioni obbligatorie, o effettua comunicazioni mendaci producendo un beneficio economico del reddito di cittadinanza maggiore;
  • non presenta una dichiarazione Isee aggiornata, in caso di variazione del nucleo familiare;
  • rende una dichiarazione mendace (anche nella dichiarazione Isee).

Riduzione del reddito di cittadinanza

Se gli interessati non si presentano alle convocazioni disposte nel patto è prevista:

  • la decurtazione di una mensilità del sussidio, in caso di prima mancata presentazione;
  • la decurtazione due mensilità alla seconda mancata presentazione;
  • la decadenza dalla prestazione, in caso di ulteriore mancata presentazione.

Nel caso di mancata partecipazione, in assenza di giustificato motivo, alle iniziative di orientamento, da parte anche di un solo componente del nucleo familiare, si applicano le seguenti sanzioni:

  • la decurtazione di due mensilità, in caso di prima mancata presentazione;
  • la decadenza dalla prestazione in caso di ulteriore mancata presentazione.

In caso di mancato rispetto degli impegni previsti nel patto per l’inclusione sociale relativi alla frequenza dei corsi di istruzione o di formazione da parte di un componente minorenne, o degli impegni di prevenzione e cura volti alla tutela della salute, individuati da professionisti sanitari, si applicano le seguenti sanzioni:

  • la decurtazione di due mensilità dopo un primo richiamo formale al rispetto degli impegni;
  • la decurtazione di tre mensilità al secondo richiamo formale;
  • la decurtazione di sei mensilità al terzo richiamo formale;
  • la decadenza dal beneficio in caso di ulteriore richiamo.

L’Inps si occupa di applicare le sanzioni diverse da quelle penali e del recupero del sussidio non dovuto: le informazioni sulle violazioni sono trasmesse all’istituto dai centri per l’impiego e dai comuni.

Se l’interessato decade dal sussidio, il reddito di cittadinanza può essere richiesto solo decorsi 18 mesi dalla data del provvedimento di decadenza. Non può essere richiesto prima del termine da un altro componente della famiglia.

Nel caso facciano parte del nucleo familiare componenti minorenni o con disabilità, il termine per richiedere nuovamente il reddito di cittadinanza è ridotto a 6 mesi.

Come si chiede il reddito di cittadinanza?

Il modulo di domanda per il reddito di cittadinanza deve essere predisposto dall’Inps, sentito il ministero del Lavoro, entro 30 giorni dall’entrata in vigore del decreto sul reddito di cittadinanza.

Il modulo di domanda deve essere presentato dal richiedente, a partire dal 6 marzo, alle Poste, o presso uno sportello Caf o ancora, telematicamente, attraverso il nuovo portale del reddito di cittadinanza (redditodicittadinanza.gov.it). Si prevede anche la possibilità di presentare la domanda di reddito di cittadinanza assieme alla dichiarazione Isee, anche online tramite sito web dell’Inps, a breve.

Le informazioni contenute nella domanda del reddito di cittadinanza devono essere comunicate dal sito web, dalle Poste o dal Caf all’Inps, entro 10 giorni lavorativi dalla richiesta.

Per il riconoscimento del beneficio, l’Inps deve verificare, entro 5 giorni lavorativi dalla data di comunicazione, il possesso dei requisiti d’accesso. I Comuni, inoltre, devono verificare i requisiti di residenza e di soggiorno e devono comunicare l’esito della verifica.

Niente reddito di cittadinanza per chi presenta le dimissioni

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Pugno duro del Governo contro chi si dimette per percepire il nuovo sussidio contro la povertà: niente reddito di cittadinanza per un anno.

Stai pensando di presentare le dimissioni dal tuo attuale posto di lavoro perché il reddito di cittadinanza, che vale sino a 780 euro al mese, ti conviene di più del tuo stipendio? Devi sapere che, in base a quanto emerso dal del decreto che istituisce il nuovo sussidio, contro chi si dimette sono previste grandi penalizzazioni: in particolare, per il lavoratore dimissionario il reddito di cittadinanza è bloccato per 12 mesi. Decade per 12 mesi dal diritto al sussidio, peraltro, non solo il dipendente che ha cessato volontariamente il rapporto di lavoro, ma tutta la sua famiglia.

Non dovrebbe essere penalizzato, comunque, chi presenta le dimissioni per giusta causa o durante il periodo tutelato di maternità, mentre è ancora da chiarire la posizione di chi aderisce a una risoluzione consensuale.

Niente reddito di cittadinanza per chi presenta le dimissioni, dunque: la finalità di questa previsione è evitare che i lavoratori valutino l’opportunità di lasciare l’impiego per stare a casa e percepire un sussidio. La misura, difatti, è nata per aiutare chi ha bisogno di lavorare, non chi ha un lavoro e decide di lasciarlo.

Certamente, se questa limitazione è stata prevista, significa che la tentazione di lasciare il lavoro per percepire il sussidio riguarda molte persone. Ma come mai? Gli italiani sono diventati terribilmente pigri? Purtroppo non è questa la risposta: se 780 euro al mese valgono più di uno stipendio, significa che le retribuzioni mensili sono tremendamente basse. La principale causa di questo gravissimo problema è il cosiddetto lavoro grigio, ossia il lavoro full time pagato come un part time, piaga molto diffusa in tutto il Paese.

Attenzione, però: non è detto che il reddito di cittadinanza valga 780 euro al mese a persona. Entrano in gioco, difatti, numerosi fattori: dalla proprietà dell’abitazione, alla percezione di altri redditi da parte di uno o più componenti del nucleo, al possesso di risparmi, alla partecipazione alle iniziative di politica attiva del lavoro. Accedere alla misura è difficile, decadere dal sussidio molto facile.

Facciamo allora il punto della situazione, e vediamo, alla luce delle ultime novità emerse dalla bozza di decreto, quali sono i requisiti necessari per ottenere il reddito di cittadinanza.

Come funziona il reddito di cittadinanza?

Cerchiamo innanzitutto di capire le caratteristiche fondamentali del nuovo reddito di cittadinanza: questo sussidio consiste in una prestazione economica mensile, esentasse, accreditata a favore di coloro che possiedono un reddito sotto la soglia di povertà.

È considerato al di sotto della soglia di povertà ai fini del reddito di cittadinanza chi possiede un reddito inferiore ai 780 euro mensili, in caso di nucleo familiare con un solo componente ed abitazione in affitto, o con mutuo: in caso di nucleo con più componenti, il reddito è aumentato dello 0,4 per il coniuge e dello 0,2 per ogni figlio minore.

In caso di abitazione di proprietà, con riferimento al singolo componente è necessario possedere una soglia di reddito personale non superiore ai 6mila euro annui, che sale a 7.560 euro se il beneficiario ha diritto alla pensione di cittadinanza.

L’indicatore Isee della famiglia (si tratta, in pratica, di un indice che “misura la ricchezza delle famiglie”) richiesto per il diritto al sussidio  ammonterà a 9.360 euro. Inoltre sono previsti limiti legati al patrimonio mobiliare e immobiliare.

La prestazione dovrebbe essere erogata con una carta acquisti, una sorta di bancomat, che consentirà di pagare le utenze e l’acquisto di beni di prima necessità.

Come funziona la pensione di cittadinanza?

Il reddito di cittadinanza non interesserà soltanto i lavoratori che si trovano sotto la soglia di povertà, ma anche i pensionati. Nello specifico, tutti gli over 65 riceveranno un’integrazione della pensione sino a 780 euro mensili, se possiedono i requisiti economici richiesti. L’attuale integrazione al trattamento minimo, pari a 513 euro mensili, e le ulteriori maggiorazioni, dovrebbero dunque essere assorbite dalla pensione di cittadinanza per chi ne ha i requisiti.

Non si sa se anche la pensione di cittadinanza sarà erogata su carta acquisti.

A quanto ammontano il reddito e la pensione di cittadinanza?

Il reddito di cittadinanza dovrebbe ammontare sino a un massimo di 780 euro per ogni persona adulta e disoccupata senza alcun reddito; per chi ha un reddito sotto soglia, il reddito di cittadinanza integrerà gli importi percepiti sino ad arrivare a 780 euro al mese. Nello specifico, l’importo del reddito di cittadinanza è determinato da due quote:

  • la prima quota, a integrazione del reddito familiare, ammonta a una soglia massima pari a 6mila euro annui, 500 euro al mese (630 euro al mese, 7.560 euro annui nel caso di pensione di cittadinanza) per il singolo componente; in presenza di più componenti si può arrivare a massimo 12.600 euro, cioè a 1.050 euro al mese;
  • la seconda quota, a integrazione del reddito familiare, è riconosciuta ai nuclei che pagano l’affitto dell’abitazione, ed è pari al canone annuo previsto dal contratto di affitto (150 euro al mese, 1.800 euro annui nel caso di pensione di cittadinanza);
  • la seconda quota è pari alla rata del mutuo, fino a un massimo di 150 euro al mese, 1.800 euro annui, nel caso di nuclei familiari residenti in abitazioni di proprietà per il cui acquisto o per la cui costruzione sia stato stipulato un contratto di mutuo da un componente della famiglia.

In ogni caso il beneficio economico:
• non può superare la soglia di 9.360 euro annui (780 euro al mese) nel caso di nucleo familiare con un solo componente,
ridotta del valore del reddito familiare; la misura massima in caso di più componenti può arrivare a 19.656 euro all’anno (1.638 euro al mese, anche se nel concreto non si andrà sopra i 1.430 euro al mese, per via dell’applicazione della scala di equivalenza);
• non può essere inferiore a 480 euro annui (40 euro al mese).

Per una famiglia di tre persone, con genitori disoccupati a reddito zero e figlio minorenne a carico, il reddito di cittadinanza del nucleo dovrebbe aumentare del 40% per il coniuge e del 20% per il figlio minore.

Il reddito di cittadinanza sarà però ridotto per chi è proprietario della prima casa e non paga l’affitto: la riduzione, in particolare, dovrebbe corrispondere al cosiddetto affitto imputato ed ammontare a circa 280 euro al mese, 150 euro per chi percepisce la pensione di cittadinanza. Chi paga l’affitto, invece, ha diritto a un incremento in misura corrispondente, entro il tetto di 780 euro al mese.

Chi paga il mutuo, poi, ha diritto a un incremento del reddito pari a 150 euro mensili, entro il tetto di reddito di 780 euro.

Il reddito di cittadinanza sarà esentasse e non pignorabile.

Chi ha diritto al reddito o alla pensione di cittadinanza?

Potranno chiedere il reddito di cittadinanza, o la pensione di cittadinanza, i cittadini maggiorenni che soddisfano le seguenti condizioni:

  • si trovano in stato di disoccupazione o risultano inoccupati (cioè hanno perso il posto o non hanno mai lavorato); coloro che hanno presentato le dimissioni sono esclusi dal reddito per un anno, come osservato, e determinano l’esclusione dal sussidio dell’intera famiglia;
  • non sono detenuti;
  • non sono ricoverati in istituti di cura di lunga degenza o in altre strutture residenziali a totale carico dello stato o di un ente pubblico;
  • sono cittadini italiani, europei o extracomunitari in possesso di permesso di soggiorno di lungo periodo;
  • sono residenti stabilmente in Italia da almeno 5 anni;
  • percepiscono un reddito di lavoro inferiore alla soglia di povertà, cioè sotto i 780 euro mensili;
  • percepiscono una pensione inferiore alla soglia di povertà, pari, come abbiamo detto, a 780 euro mensili;
  • possiedono un Isee del nucleo familiare inferiore a 9.360 euro;
  • possiedono un valore del reddito familiare inferiore a 6 mila euro, per il singolo componente, o a 7.560 euro, in caso di pensione di cittadinanza; l’importo è elevato sino a 9.360 euro per chi paga l’affitto ed è da adeguare col parametro della scala di equivalenza;
  • possiedono al massimo due immobili nel nucleo familiare, ma il secondo immobile non deve avere un valore superiore a 30mila euro;
  • possiedono un patrimonio mobiliare familiare (conti, carte prepagate, titoli, libretti, partecipazioni…) non superiore a 6mila euro; la soglia è incrementata di 2mila euro per ogni componente del nucleo familiare successivo al primo, fino ad un massimo di 10 mila euro, incrementati di ulteriori mille euro per ogni figlio successivo al secondo; i  massimali sono ulteriormente incrementati di 5mila euro per ogni componente con disabilità, come definita a fini Isee, presente nel nucleo;
  • nessun componente del nucleo deve possedere autoveicoli immatricolati nei 6 mesi precedenti o con cilindrata superiore a 1.600 cc e motoveicoli di cilindrata superiore a 250 cc, navi o imbarcazioni da diporto; sono ecslusi i veicoli destinati ai disabili.

Sarà dunque richiesta la dichiarazione Isee per beneficiare del reddito o della pensione di cittadinanza.

Chi lavora o percepisce la disoccupazione ha diritto al reddito di cittadinanza?

Il reddito di cittadinanza sarà compatibile con l’attività lavorativa: nello specifico, se il lavoratore ha un contratto part time, il suo salario sarà integrato, attraverso il reddito di cittadinanza, fino ad arrivare a 780 euro al mese. L’integrazione non potrà superare i 500 euro al mese.

Naspi e altre prestazioni collegate allo stato di disoccupazione saranno compatibili col reddito di cittadinanza sino al limite di 780 euro mensili, con un’integrazione massima di 500 euro al mese.

Chi percepisce prestazioni di assistenza ha diritto al reddito di cittadinanza?

Il decreto prevede che ai fini del reddito di cittadinanza, il reddito familiare è determinato al netto dei trattamenti assistenziali eventualmente inclusi nell’Isee, ed include i trattamenti assistenziali in corso di godimento da parte dei componenti del nucleo familiare, fatta eccezione per le prestazioni non sottoposte alla prova dei mezzi, come l’assegno di accompagnamento.

Nel valore dei trattamenti di assistenza non rilevano il pagamento di arretrati, le riduzioni nella compartecipazione al costo dei servizi e le esenzioni e agevolazioni per il pagamento di tributi, i rimborsi di spese sostenute, i buoni servizio o altri  titoli che svolgono la funzione di sostituzione di servizi. Non rileva il bonus bebè.

Per ottenere il reddito di cittadinanza si deve lavorare?

In base a quanto previsto dal decreto in materia, il reddito di cittadinanza obbliga il beneficiario non solo a cercare assiduamente un lavoro ed a riqualificarsi, ma anche ad offrire lavoro gratuito per il proprio Comune di residenza.

Chi si rifiuta di lavorare perde il sussidio.

Per quanto riguarda, poi, la partecipazione alle iniziative di politica attiva del lavoro previste per il beneficiario del reddito, è obbligatorio (a meno che l’interessato non sia pensionato):

  • iscriversi presso i centri per l’impiego e offrire subito la disponibilità al lavoro;
  • iniziare un percorso per essere accompagnati nella ricerca del lavoro dimostrando la reale volontà di trovare un impiego;
  • offrire la propria disponibilità per progetti comunali utili alla collettività;
  • frequentare percorsi per la qualifica o la riqualificazione professionale;
  • effettuare ricerca attiva del lavoro ogni giorno;
  • comunicare tempestivamente qualsiasi variazione del reddito;
  • accettare uno dei primi tre lavori equi che verranno offerti, o il primo lavoro, se si percepisce il sussidio da oltre 12 mesi.

Chi ha un lavoro a tempo pieno, ma è sottopagato, ha comunque diritto all’integrazione del reddito, senza bisogno di partecipare alle iniziative di politica attiva del lavoro.

Per ottenere la pensione di cittadinanza si deve lavorare?

Per ottenere la pensione di cittadinanza non sarà necessario lavorare, in quanto i beneficiari sono over 65, non soggetti alle misure di politica attiva di lavoro.

Che cosa succede al reddito di cittadinanza se si rifiuta un lavoro?

Innanzitutto, come osservato, chi si dimette perde il reddito di cittadinanza per 12 mesi. L’interessato che percepisce il reddito di cittadinanza può poi rifiutare al massimo due proposte lavorative congrue (come definite dal decreto in materia) nell’arco di 12 mesi.

Ha anche la possibilità di recedere dall’impiego per due volte nell’arco dell’anno solare. Superati questi limiti, perde la somma.

Chi percepisce il reddito di cittadinanza da almeno 12 mesi deve accettare il primo lavoro congruo proposto, anche se lontano da casa: sono esclusi i nuclei familiari con componenti disabili. In questo caso, se l’interessato accetta comunque l’offerta di lavoro, percepisce il sussidio per altri 3 mesi. Se vuoi capire di più sulle agevolazioni per i disabili che percepiscono il sussidio, leggi Reddito di cittadinanza e benefici per disabili.

Per conoscere con maggiore precisione tutti gli adempimenti e le misure di politica attiva a cui si deve sottostare per mantenere il sussidio, vedi: Reddito di cittadinanza, adempimenti per ottenerlo.

Come si chiede il reddito di cittadinanza?

Il modulo di domanda per il reddito di cittadinanza deve essere predisposto dall’Inps, sentito il ministero del Lavoro, entro 30 giorni dall’entrata in vigore del decreto sul reddito di cittadinanza.

Il modulo di domanda deve essere presentato dal richiedente, a partire dal 6 marzo, alle Poste, o presso uno sportello Caf o ancora, telematicamente, attraverso il nuovo portale del reddito di cittadinanza (redditodicittadinanza.gov.it). Si prevede anche la possibilità di presentare la domanda di reddito di cittadinanza assieme alla dichiarazione Isee, anche online tramite sito web dell’Inps, a breve.

Le informazioni contenute nella domanda del reddito di cittadinanza devono essere comunicate dal sito web, dalle Poste o dal Caf all’Inps, entro 10 giorni lavorativi dalla richiesta.

Per il riconoscimento del beneficio, l’Inps deve verificare, entro 5 giorni lavorativi dalla data di comunicazione, il possesso dei requisiti d’accesso. I Comuni, inoltre, devono verificare i requisiti di residenza e di soggiorno e devono comunicare l’esito della verifica.

Quanto dura il reddito di cittadinanza?

La durata prevista per il reddito di cittadinanza è pari a 18 mesi; effettuata un’apposita verifica, proseguirà per altri 18 mesi.

Errori nell’Isee, come rimediare

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Mancato o erroneo inserimento di redditi e dati nella dichiarazione Isee: presentazione dell’Isee integrativo o di una nuova Dsu.

La dichiarazione Isee, talvolta, risulta più complessa della dichiarazione dei redditi: bisogna inserire, difatti, numerosi dati oltre ai redditi prodotti, che vanno dagli immobili posseduti alla giacenza media dei conti, dalle carte prepagate alle auto ed alle moto. Questi dati non si riferiscono, peraltro, al solo dichiarante, ma a tutti i componenti del nucleo familiare: in pratica, per ogni componente della famiglia bisogna indicare i redditi, gli immobili, i conti, i libretti, i depositi, le carte, le partecipazioni, i titoli, le azioni, le auto, le moto, il mutuo o l’affitto.

Hai dimenticato di inserire nella dichiarazione Isee un conto corrente, una carta di credito, un reddito, oppure hai sbagliato nell’inserire qualche dato, come la quota capitale del mutuo per l’abitazione principale? Con una tale mole di dati da indicare, sbagliarsi non è infrequente, purtroppo. Ma agli errori nell’Isee come rimediare?

Puoi rimediare subito, presentando una nuova dichiarazione Isee, o il cosiddetto Isee integrativo, ed evitare così l’applicazione di sanzioni per falsa dichiarazione. Ma procediamo per ordine e, dopo aver ricordato brevemente come funziona la dichiarazione Isee, vediamo quali sono gli errori più frequenti  e come rimediarvi.

Che cos’è la dichiarazione Isee?

La dichiarazione Isee, il cui nome “ufficiale” è Dsu, dichiarazione sostitutiva unica, è un documento nel quale vanno indicati tutti i dati reddituali e patrimoniali della famiglia (con pochissime eccezioni): alcuni dati, come i redditi inseriti nel 730 o nel modello Redditi (che ha sostituito il modello Unico), sono estrapolati direttamente dall’Inps, grazie al collegamento con le banche dati dell’Agenzia delle Entrate. La maggior parte dei dati non è però estrapolata automaticamente, ma deve essere indicata dal dichiarante (da settembre 2019, con l’arrivo dell’Isee precompilato, la situazione dovrebbe migliorare, in quanto quasi tutte le informazioni saranno già “precaricate” nella dichiarazione.

A che cosa serve la dichiarazione Isee?

La dichiarazione Isee è un documento fondamentale, che consente di ottenere la maggior parte dei sussidi e delle agevolazioni: dal reddito di cittadinanza al saldo e stralcio, dal bonus bebè alla riduzione delle tasse universitarie.

A che cosa serve l’Isee?

L’Isee è l’indicatore della situazione economica equivalente: in parole semplici, si tratta di un indice che “misura” la ricchezza della famiglia. Questa “fotografia” della situazione economica della famiglia è possibile proprio grazie all’enorme mole di dati che deve essere indicata nella dichiarazione Dsu, per ogni componente del nucleo familiare.

Dal documento, comunque, non si estrapola il solo indice Isee, ma anche l’indicatore della situazione reddituale (Isre), l’indicatore della situazione patrimoniale (Isp) e ulteriori indicatori, che possono variare a seconda della particolare situazione del nucleo e delle prestazioni richieste (ad esempio l’Iseeu, l’indicatore utile per chi richiede prestazioni per il diritto agli studi universitari).

Isee con errori: che cosa succede?

Come abbiamo osservato, considerata l’ingente quantità d’informazioni da inserire nella dichiarazione Isee, sbagliare è molto facile. Ma che cosa succede se si presenta una dichiarazione Isee con errori?

Se a seguito di un controllo vengono accertate delle irregolarità nelle informazioni riportate nella dichiarazione Isee, il dichiarante può andare incontro a pesanti sanzioni.

La dichiarazione Isee, difatti, ha il valore di un’autocertificazione: se dai controlli effettuati sul documento emerge la non veridicità del suo contenuto, il dichiarante decade dai benefici eventualmente conseguenti al provvedimento emanato sulla base dell’Isee falso.

Inoltre, bisogna ricordare che chiunque rilascia dichiarazioni mendaci, forma atti falsi o ne fa uso è punito ai sensi del codice penale e delle leggi speciali in materia. L’esibizione di un atto contenente dati non più rispondenti a verità equivale ad uso di atto falso [1].

Tuttavia, i controlli sull’Isee non sono quasi mai immediati: fortunatamente, prima di subire pesanti sanzioni, c’è tempo per correggere gli errori.

Isee: come accorgersi degli errori

In primo luogo, bisogna osservare che, da quando è diventata operativa la nuova dichiarazione Isee, cioè dall’anno 2015, è più facile accorgersi dell’esistenza di errori, relativamente ai dati dichiarati.

In seguito alla riforma Isee, infatti, il calcolo degli indicatori non viene fornito dai Caf, per cui l’attestazione Isee non viene stampata subito, come avveniva in passato: i conteggi sono effettuati dall’Inps, che invia, entro 10 giorni dall’inoltro della dichiarazione, l’attestazione relativa all’Isee e agli altri indicatori della situazione economica, reddituale e patrimoniale del nucleo familiare. L’Inps calcola gli indicatori in base alle informazioni acquisite dalle proprie banche dati e da quelle dell’Agenzia delle Entrate, come l’Anagrafe tributaria: è in questo modo che «saltano fuori» i principali errori, come il mancato inserimento di un conto corrente o di un libretto.

Quando sono presenti degli errori, l’Inps invia una segnalazione di anomalia: il contribuente è libero d’inviare la dichiarazione Isee all’ente richiedente (ad esempio all’Università o al Comune) anche in presenza di errori, ma deve poterli giustificare all’ente, che è comunque libero di non accettare la dichiarazione.

In pratica, la dichiarazione Isee con errori:

  • si può inviare, ma bisogna essere in grado di giustificare le anomalie (ad esempio dichiarazione dei redditi corretta in un secondo momento, risultanze errate nell’Anagrafe tributaria…);
  • l’ente ricevente è comunque libero di non accettare la dichiarazione con anomalie.

Isee: conto corrente dimenticato

Se ci si accorge di aver dimenticato di inserire nella dichiarazione un conto corrente, una carta di credito, un libretto o una diversa componente del patrimonio mobiliare, si deve presentare una nuova dichiarazione Isee, comprensiva dei dati omessi.

Se, nel frattempo, è stata già consegnata  la dichiarazione errata all’ente richiedente, bisogna comunicare all’ente il valore della nuova attestazione, senza le omissioni o le difformità. Se l’Isee è stato presentato all’ente poco prima che scadessero i termini per una determinata domanda (ad esempio un bando per la concessione di agevolazioni), l’ente deve prendere come riferimento la data di richiesta effettuata prima della scadenza e il nuovo valore Isee determinato dalla dichiarazione corretta.

Nel caso in cui i termini della domanda risultino ancora aperti, è sufficiente comunicare all’ente i nuovi valori della dichiarazione Isee.

In sostanza,  l’Isee con errori si può rifare, in queste ipotesi, e l’ente deve accettarlo: lo ha chiarito l’Inps, con un noto messaggio [2] basato sulle previsioni della nuova normativa Isee [3].

Isee: Cu dimenticata ed errori nella dichiarazione dei redditi

In alcuni casi, gli errori nell’Isee derivano da errori nella presentazione della dichiarazione dei redditi. Può capitare, ad esempio, che ci si dimentichi di inserire un cud (ora Cu, certificazione unica) nel 730 o una componente positiva nel modello Redditi e, successivamente, si rettifichi la dichiarazione.

Il problema sorge nell’ipotesi in cui l’Isee sia presentato prima della rettifica della dichiarazione, perché l’Inps «pesca» i dati dalla dichiarazione errata. In presenza di una simile situazione, dato che l’errore riguarda i dati prelevati automaticamente dalle banche dati Inps – Agenzia delle Entrate, il cittadino deve presentare il singolo quadro FC8 della Dsu, cioè il cosiddetto Isee integrativo, e non una nuova dichiarazione Isee.

Isee: errore del Caf e del contribuente

Se l’errore nella dichiarazione Isee, o la dimenticanza, è daattribuire all’operatore del Caf, questi è tenuto a presentare una rettifica dell’Isee. Quando l’errore è del contribuente, invece, si presenta una nuova dichiarazione, oppure, in alcuni casi, come appena esposto, è sufficiente presentare il quadro FC8- Isee integrativo.

Quando il quadro FC8 è presentato perché il dichiarante rileva inesattezze nei dati precedentemente non auto-dichiarati, ma acquisiti direttamente dagli archivi dell’Agenzia delle entrate o dell’Inps ai fini del calcolo dell’Isee, gli enti effettuano un’ulteriore verifica negli archivi. Se resta una discordanza tra quanto dichiarato e quanto presente negli archivi, le informazioni sono comunicate alla Guardia di finanza per i controlli del caso.

Errori nell’Isee presentato da tempo

Se ci si accorge che la dichiarazione Isee presentata tempo fa, validata dall’Inps e senza segnalazioni, presenta degli errori o delle dimenticanze, è sempre possibile presentare una nuova dichiarazione Isee recante le variazioni, anche se esiste già un Isee in corso di validità.

Contestazione della dichiarazione Isee

Può accadere che la dichiarazione Isee riporti degli errori non segnalati dall’Inps. In questi casi, che cosa succede se ad accorgersi dell’errore è l’ente che ha richiesto la dichiarazione, e che deve erogare le agevolazioni?

Normalmente, la procedura informatica utilizzata dagli enti che erogano benefici e agevolazioni intercetta le attestazioni Isee che riportano errori sui rapporti finanziari. In questi casi, l’ente sospende in automatico l’istruttoria della domanda (se si tratta di una domanda nuova), oppure il pagamento della prestazione (se questo è già in corso) ed invia automaticamente all’interessato una comunicazione per avvisarlo:

  • dell’avvenuta sospensione dell’istruttoria o del pagamento per omissioni o difformità presenti nella dichiarazione Isee;
  • della possibilità di presentare, entro il termine di 30 giorni, una nuova dichiarazione Isee in linea con le risultanze dell’Agenzia delle Entrate;
  • in alternativa, della possibilità di produrre all’ente la documentazione dell’intermediario (banca, Poste Italiane, etc.) che ha comunicato i rapporti finanziari all’Agenzia delle Entrate, per consentire all’ente stesso di verificare la completezza e veridicità dei dati indicati nella dichiarazione già presentata; questa documentazione deve essere prodotta da parte del richiedente entro 12 mesi dalla data di attestazione della dichiarazione Isee viziata dalle omissioni o dalle difformità.

Ovviamente, la nuova dichiarazione Isee sarà idonea a sanare quella viziata da omissioni o difformità se e solo se risulterà in linea con i dati e le informazioni dell’Agenzia delle Entrate o, comunque, priva di errori o dimenticanze.


Reddito di cittadinanza: adempimenti per ottenerlo

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Verifica requisiti, domanda, dichiarazione d’immediata disponibilità, patto per il lavoro e per l’inclusione sociale: attività obbligatorie per ottenere il reddito di cittadinanza.

Per ottenere il reddito di cittadinanza si dovranno superare numerosi ostacoli: una volta verificati i requisiti per il diritto al sussidio, difatti, ci si dovrà rivolgere alle Poste, o ai Caf, per compilare l’apposito modulo di richiesta. I dati andranno poi trasmessi all’Inps, che dovrà verificare, assieme ai Comuni l’esistenza delle condizioni dichiarate.

La procedura non termina certamente qui: una volta ricevuto l’ok per il reddito di cittadinanza, tutti i componenti maggiorenni del nucleo dovranno sottoscrivere la dichiarazione d’immediata disponibilità al lavoro (sono esclusi gli over 67, gli studenti, coloro che già lavorano e chi ha carichi di cura).

Si dovrà poi sottoscrivere il patto per il lavoro, che prevede lo svolgimento obbligatorio di diverse attività, dalla ricerca quotidiana di lavoro attraverso la piattaforma Siulp al servizio gratuito per il proprio Comune. Se il nucleo familiare si trova in condizioni di povertà e disagio, si deve invece sottoscrivere il patto per l’inclusione.

Sono poi numerose le cause di decadenza del beneficio: può bastare lo svolgimento di un lavoretto in nero per perdere il sussidio per 10 anni e rischiare anche la reclusione.

Ma procediamo per ordine e facciamo il punto sul reddito di cittadinanza: adempimenti per ottenerlo, requisiti, come mantenerlo.

Quali sono i requisiti per ottenere il reddito di cittadinanza?

Per ottenere il reddito di cittadinanza è indispensabile soddisfare le seguenti condizioni:

  • trovarsi in stato di disoccupazione o risultare inoccupati (cioè aver perso il posto o non aver mai lavorato); chi ha presentato le dimissioni è escluso dal reddito per un anno (assieme ai componenti del suo nucleo familiare), così come chi è detenuto o ricoverato in una struttura a carico dello Stato;
  • essere cittadino italiano;
  • in alternativa, essere cittadino dell’Unione Europea, o suo familiare che sia titolare del diritto di soggiorno o del diritto di soggiorno permanente, oppure cittadino di Paesi terzi in possesso del permesso di soggiorno europeo per soggiornanti di lungo periodo o apolide in possesso di analogo permesso o titolare di protezione internazionale (asilo politico, protezione sussidiaria);
  • bisogna poi risiedere in Italia, in via continuativa, da almeno 10 anni al momento di presentazione della domanda.
  • percepire un reddito inferiore alla soglia di povertà, cioè sotto i 780 euro mensili;
  • possedere un Isee del nucleo familiare inferiore a 9.360 euro;
  • possedere un valore del reddito familiare inferiore a 6 mila euro, per il singolo componente, o a 7.560 euro, in caso di pensione di cittadinanza; l’importo è elevato sino a 9.360 euro per chi paga l’affitto ed è da adeguare col parametro della scala di equivalenza;
  • possedere, oltre alla prima casa, un secondo immobile, che non deve avere un valore superiore a 30mila euro;
  • possedere un patrimonio mobiliare familiare (conti, carte prepagate, titoli, libretti, partecipazioni…) non superiore a 6mila euro; la soglia è incrementata di 2mila euro per ogni componente del nucleo familiare successivo al primo, fino ad un massimo di 10 mila euro, incrementati di ulteriori mille euro per ogni figlio successivo al secondo; i massimali sono ulteriormente incrementati di 5mila euro per ogni componente con disabilità, come definita a fini Isee, presente nel nucleo;
  • nessun componente del nucleo deve possedere autoveicoli immatricolati da meno di 6 mesi, o con cilindrata superiore a 1.600 cc e motoveicoli di cilindrata superiore a 250 cc, immatricolati nei 2 anni precedenti, navi o imbarcazioni da diporto; sono esclusi i veicoli per disabili

Come si chiede il reddito di cittadinanza?

I tempi per ottenere il sussidio non sono brevissimi, e gli adempimenti richiesti sono numerosi: i primi accrediti dovrebbero arrivare il 27 aprile.

Il modulo di domanda per il reddito di cittadinanza deve essere predisposto dall’Inps, sentito il ministero del Lavoro, entro 30 giorni dall’entrata in vigore del decreto sul reddito di cittadinanza.

Il modulo di domanda deve essere presentato dal richiedente, a partire dal 6 marzo, alle Poste, o presso uno sportello Caf o ancora, telematicamente, attraverso il nuovo portale del reddito di cittadinanza (redditodicittadinanza.gov.it). Si prevede anche la possibilità di presentare la domanda di reddito di cittadinanza assieme alla dichiarazione Isee, anche online tramite sito web dell’Inps, a breve.

Le informazioni contenute nella domanda del reddito di cittadinanza devono essere comunicate dal sito web, dalle Poste o dal Caf all’Inps, entro 10 giorni lavorativi dalla richiesta.

Per il riconoscimento del beneficio, l’Inps deve verificare, entro 5 giorni lavorativi dalla data di comunicazione, il possesso dei requisiti d’accesso. I Comuni, inoltre, devono verificare i requisiti di residenza e di soggiorno e devono comunicare l’esito della verifica.

Quali sono gli adempimenti per mantenere il reddito di cittadinanza?

Una volta ottenuto il sussidio, i componenti del nucleo familiare maggiorenni devono dichiarare l’immediata disponibilità al lavoro, presso i centri per l’impiego o tramite un’apposita piattaforma digitale (Siulp), entro 30 giorni dal riconoscimento del beneficio.

Sono esonerati i componenti del nucleo studenti, già occupati o di età pari o superiore a 67 anni, ed i disabili, come definiti dalla legge sul collocamento mirato. Possono essere esonerati dagli obblighi legati all’accettazione delle offerte di lavoro i disabili (come definiti ai fini Isee) e coloro che hanno carichi di cura (ossia assistono disabili gravi, non autosufficienti, o minori di 3 anni).

Il richiedente, se non rientra tra gli esonerati, entro 30 giorni dal riconoscimento del beneficio, è convocato dal centro per l’impiego se uno dei componenti della sua famiglia:

  • è disoccupato da non più di due anni;
  • ha un’età inferiore ai 26 anni;
  • è beneficiario della Naspi, di un altro sussidio di disoccupazione, o ne ha terminato la fruizione da non più di un anno;
  • ha sottoscritto un Patto di servizio in corso di validità presso i centri per l’impiego.

La dichiarazione di immediata disponibilità deve essere resa anche dagli altri componenti non esonerati del nucleo, entro i 30 giorni successivi al primo incontro del richiedente o del suo sostituto.

Patto per il lavoro

I beneficiari del reddito di cittadinanza non esonerati dagli obblighi devono stipulare, presso un centro per l’impiego o un intermediario accreditato, un patto per il lavoro, che ha le stesse caratteristiche del patto di servizio personalizzato previsto per chi richiede l’indennità di disoccupazione, ma prevede delle attività aggiuntive.

In particolare, sottoscrivendo il patto per il lavoro ci si obbliga a:

  • collaborare con l’operatore addetto alla redazione del bilancio delle competenze, ai fini della definizione del patto per il lavoro;
  • accettare espressamente gli obblighi e rispettare gli impegni previsti nel patto per il lavoro e, in particolare:
  • registrarsi sull’apposita piattaforma digitale Siulp, e consultarla quotidianamente come supporto nella ricerca del lavoro;
  • svolgere attività di ricerca attiva di lavoro, secondo le modalità definite nel patto;
  • accettare di essere avviato ai corsi di formazione o riqualificazione professionale, o ai progetti per favorire l’auto-imprenditorialità, secondo le modalità individuate nel patto, tenuto conto del bilancio delle competenze, delle inclinazioni professionali o di eventuali specifiche propensioni;
  • sostenere i colloqui psicoattitudinali e le eventuali prove di selezione finalizzate all’assunzione, su indicazione dei servizi competenti e in attinenza alle competenze certificate;
  • accettare almeno una di tre offerte di lavoro congrue; in caso di fruizione del beneficio in fase di rinnovo, deve essere accettata, a pena di decadenza dal beneficio, la prima offerta utile di lavoro congrua;
  • offrire la propria disponibilità per la partecipazione a progetti comunali utili alla collettività, in ambito culturale, sociale, artistico, ambientale, formativo e di tutela dei beni comuni, da svolgere presso il comune di residenza, mettendo a disposizione un massimo di 8 ore alla settimana.

Patto per l’inclusione sociale

Nel caso in cui la famiglia affronti problematiche complesse, non legate soltanto alla mancanza di lavoro, e una condizione di forte disagio e povertà, i beneficiari devono sottoscrivere un patto per l’inclusione sociale, che coinvolge i centri per l’impiego, i servizi sociali e gli altri servizi territoriali competenti.

Quando non si può rifiutare un’offerta di lavoro?

Chi percepisce il reddito di cittadinanza deve accettare almeno una di tre offerte di lavoro congrue, la prima offerta di lavoro congrua in fase di rinnovo del sussidio. Ma quando un’offerta di lavoro è congrua ai fini del reddito di cittadinanza? In base a quanto disposto dal decreto sul reddito di cittadinanza:

  • se il lavoratore percepisce il reddito di cittadinanza da non più di 6 mesi, l’offerta di lavoro deve avere le seguenti caratteristiche:
    • dal punto di vista della coerenza professionale, deve riguardare uno dei settori individuati nel patto di servizio sottoscritto dal lavoratore;
    • la retribuzione offerta deve essere maggiore di 1,2 volte l’indennità di disoccupazione percepita, se il disoccupato percepisce un trattamento di sostegno al reddito;
    • la distanza dal luogo di lavoro non può essere superiore a 100 km dalla residenza dell’interessato, o comunque deve essere raggiungibile in 100 minuti con i mezzi di trasporto pubblici, se si tratta di prima offerta; la distanza dal luogo di lavoro non può essere superiore a 250 km dalla residenza dell’interessato se si tratta di seconda offerta; la sede di lavoro può trovarsi ovunque, nel territorio italiano, se si tratta di terza offerta;
  • se il lavoratore percepisce il reddito di cittadinanza da oltre 6 mesi, l’offerta di lavoro deve avere le seguenti caratteristiche:
    • dal punto di vista della coerenza professionale, deve riguardare uno dei settori individuati nel patto di servizio sottoscritto dal lavoratore, o contigui ai settori individuati;
    • la retribuzione offerta deve essere maggiore di 1,2 volte l’indennità di disoccupazione percepita, se il disoccupato percepisce un trattamento di sostegno al reddito;
    • la distanza dal luogo di lavoro non può essere superiore a 100 km dalla residenza dell’interessato, o comunque deve essere raggiungibile in 100 minuti con i mezzi di trasporto pubblici, se si tratta di prima offerta; la distanza dal luogo di lavoro non può essere superiore a 250 km dalla residenza dell’interessato se si tratta di seconda offerta; la sede di lavoro può trovarsi ovunque, nel territorio italiano, se si tratta di terza offerta;
  • se il lavoratore ha ottenuto il rinnovo del reddito di cittadinanza, l’offerta di lavoro deve avere le seguenti caratteristiche:
    • dal punto di vista della coerenza professionale, può riguardare qualsiasi settore lavorativo;
    • la retribuzione offerta deve essere maggiore di 1,2 volte l’indennità di disoccupazione percepita, se il disoccupato percepisce un trattamento di sostegno al reddito;
    • la sede di lavoro, esclusivamente nel caso in cui nel nucleo familiare non siano presenti componenti di minore età o disabili, può trovarsi ovunque nel territorio italiano; in questo caso, il beneficiario continua a percepire il reddito di cittadinanza per altri 3 mesi, a titolo di compensazione per le spese di trasferimento sostenute.

Il rapporto di lavoro, per quanto riguarda la durata, deve essere:

  • a tempo indeterminato;
  • a termine o con contratto di somministrazione, con una durata di almeno tre mesi.

Per quanto riguarda l’orario di lavoro, il rapporto deve essere a tempo pieno, o a tempo parziale, con un orario non inferiore all’80% rispetto all’orario dell’ultimo contratto di lavoro.

Lo stipendio previsto, poi, non deve essere inferiore ai minimi della contrattazione collettiva.

Come si perde il reddito di cittadinanza?

È molto facile decadere dal diritto al reddito di cittadinanza: per chi utilizza documenti falsi, omette informazioni obbligatorie o non dichiara le variazioni di reddito è prevista addirittura la reclusione, assieme alla perdita del sussidio per 10 anni.

Nel dettaglio, se per ottenere o mantenere il beneficio sono utilizzati o presentati dichiarazioni e documenti falsi o attestanti cose non vere, o si omettono informazioni dovute, chi consegue indebitamente il sussidio è punito:

  • con la reclusione da 2 a 6 anni;
  • con la revoca retroattiva del beneficio;
  • con l’impossibilità di chiedere il sussidio prima che siano decorsi 10 anni dalla condanna.

Le sanzioni vanno da 1 a 3 anni di reclusione per chi non comunica la variazione del reddito: la variazione del reddito è presunta nel caso in cui sia accertato che l’interessato lavora in nero o “in grigio”, cioè che ha un rapporto di lavoro non dichiarato o un rapporto per il quale è dichiarata una retribuzione più bassa, come il “finto part time”.

Si decade dal reddito di cittadinanza anche quando uno dei componenti del nucleo familiare:

  • non sottoscrive il patto per il lavoro o il patto per l’inclusione sociale, ad eccezione dei casi di esclusione ed esonero;
  • non partecipa, in assenza di giustificato motivo, alle iniziative di carattere formativo o di riqualificazione, o ad altre iniziative di politica attiva o di attivazione;
  • non lavora gratuitamente nell’ambito dei progetti comunali, se istituiti;
  • rifiuta un’offerta di lavoro congrua, dopo averne già rifiutate due;
  • rifiuta un’offerta congrua dopo il rinnovo del beneficio;
  • non effettua le comunicazioni obbligatorie, o effettua comunicazioni mendaci producendo un beneficio economico del reddito di cittadinanza maggiore;
  • non presenta una dichiarazione Isee aggiornata, in caso di variazione del nucleo familiare;
  • rende una dichiarazione mendace (anche nella dichiarazione Isee).

Riduzione del reddito di cittadinanza

Se gli interessati non si presentano alle convocazioni disposte nel patto è prevista:

  • la decurtazione di una mensilità del sussidio, in caso di prima mancata presentazione;
  • la decurtazione due mensilità alla seconda mancata presentazione;
  • la decadenza dalla prestazione, in caso di ulteriore mancata presentazione.

Nel caso di mancata partecipazione, in assenza di giustificato motivo, alle iniziative di orientamento, da parte anche di un solo componente del nucleo familiare, si applicano le seguenti sanzioni:

  • la decurtazione di due mensilità, in caso di prima mancata presentazione;
  • la decadenza dalla prestazione in caso di ulteriore mancata presentazione.

In caso di mancato rispetto degli impegni previsti nel patto per l’inclusione sociale relativi alla frequenza dei corsi di istruzione o di formazione da parte di un componente minorenne, o degli impegni di prevenzione e cura volti alla tutela della salute, individuati da professionisti sanitari, si applicano le seguenti sanzioni:

  • la decurtazione di due mensilità dopo un primo richiamo formale al rispetto degli impegni;
  • la decurtazione di tre mensilità al secondo richiamo formale;
  • la decurtazione di sei mensilità al terzo richiamo formale;
  • la decadenza dal beneficio in caso di ulteriore richiamo.

L’Inps si occupa di applicare le sanzioni diverse da quelle penali e del recupero del sussidio non dovuto: le informazioni sulle violazioni sono trasmesse all’istituto dai centri per l’impiego e dai comuni.

Se l’interessato decade dal sussidio, il reddito di cittadinanza può essere richiesto solo decorsi 18 mesi dalla data del provvedimento di decadenza. Non può essere richiesto prima del termine da un altro componente della famiglia.

Nel caso facciano parte del nucleo familiare componenti minorenni o con disabilità, il termine per richiedere nuovamente il reddito di cittadinanza è ridotto a 6 mesi.

Il reddito di cittadinanza è ridotto sino al 20% nel caso in cui la somma accreditata non sia stata completamente spesa nel mese.

Reddito di cittadinanza: rifiuto offerta di lavoro

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In quali casi chi rifiuta un’offerta di lavoro potrà ottenere il nuovo reddito di cittadinanza?

Il reddito di cittadinanza spetta anche a chi rifiuta il lavoro? In base a quanto emerge dal decreto su reddito di cittadinanza e pensioni, per perdere il sussidio bisognerà rifiutare due offerte di lavoro, o un’offerta sola, in caso di rinnovo della prestazione. Tuttavia, è necessario che l’offerta di lavoro rifiutata sia congrua.

Che cosa si intende per offerta di lavoro congrua? I parametri che rendono congrua un’offerta lavorativa non sono molto simili agli attuali requisiti che definiscono un’offerta di lavoro congrua ai fini della Naspi (ad oggi chi rifiuta un impiego congruo perde l’indennità di disoccupazione), ma risultano più elastici.

La congruità dell’offerta, ai fini della conservazione dello stato di disoccupazione, è commisurata su condizioni diverse, a seconda della durata del periodo di disoccupazione dell’interessato: ci si basa, comunque, sulla distanza del luogo di lavoro dall’abitazione, sullo stipendio e, per chi non è disoccupato da molto, sul settore di attività.

Per quanto riguarda l’offerta congrua ai fini del reddito di cittadinanza, pur tenendosi conto degli stessi requisiti, è tollerata una distanza maggiore della sede di lavoro dall’abitazione dell’interessato, sulla base della durata del sussidio: chi percepisce la prestazione da almeno 18 mesi, in pratica, deve adattarsi a qualsiasi offerta proposta nel territorio italiano, in base a quanto emerge dal decreto in materia.

Il tutto, tenendo presente, peraltro, che il reddito di cittadinanza non ha una durata illimitata, e che gli interessati saranno sottoposti a verifiche periodiche e dovranno effettuare dei lavori di pubblica utilità. La misura partirà a breve, dopo l’attuazione della riforma dei centri per l’impiego.

Ma procediamo per ordine, e facciamo il punto della situazione sul reddito di cittadinanza: rifiuto offerta di lavoro, in quali casi si perde il sussidio, quando l’offerta di lavoro è considerata congrua.

Che cos’è il reddito di cittadinanza?

Il reddito di cittadinanza consiste in un sussidio mensile, esentasse, accreditato a chi possiede un reddito sotto la soglia di povertà.

È considerato al di sotto della soglia di povertà ai fini del reddito di cittadinanza chi possiede un reddito inferiore ai 780 euro mensili, in caso di nucleo familiare che paga l’affitto o il mutuo, con un solo componente: in caso di nucleo con più componenti, il reddito è aumentato dello 0,4 per ogni componente maggiorenne e dello 0,2 per ogni componente minorenne, sino a un massimo di 2,1, quindi di 1.638 euro al mese.

Con riferimento al singolo componente, bisogna anche possedere una soglia di reddito personale non superiore ai 6mila euro annui, che sale a 7.560 euro se il beneficiario ha dai 67 anni in su, quindi ha diritto alla pensione di cittadinanza.

L’indicatore Isee della famiglia richiesto per il diritto al sussidio ammonta invece a 9.360 euro, e sono previsti ulteriori limiti, per il diritto al sussidio, legati al patrimonio mobiliare e immobiliare.

Il reddito di cittadinanza sarà riconosciuto con una carta acquisti, una sorta di bancomat, che consentirà di pagare le utenze, di acquistare beni e di prelevare contanti sino a 100 euro al mese.

A quanto ammonta il reddito di cittadinanza?

Il reddito di cittadinanza dovrebbe ammontare sino a un massimo di 780 euro per ogni persona adulta e disoccupata senza alcun reddito; per chi ha un reddito sotto soglia, il reddito di cittadinanza integrerà gli importi percepiti sino ad arrivare a 780 euro al mese. Nello specifico, l’importo del reddito di cittadinanza è determinato da due quote:

  • la prima quota, a integrazione del reddito familiare, ammonta a una soglia massima pari a 6mila euro annui, 500 euro al mese (630 euro al mese, 7.560 euro annui nel caso di pensione di cittadinanza) per il singolo componente; in presenza di più componenti si può arrivare a massimo 12.600 euro, cioè a 1.050 euro al mese;
  • la seconda quota, a integrazione del reddito familiare, è riconosciuta ai nuclei che pagano l’affitto dell’abitazione, ed è pari al canone annuo previsto dal contratto di affitto, sino a un massimo di 3.360 euro all’anno, 360 euro al mese (150 euro al mese, 1.800 euro annui nel caso di pensione di cittadinanza);
  • la seconda quota è pari alla rata del mutuo, fino a un massimo di 150 euro al mese, 1.800 euro annui, nel caso di nuclei familiari residenti in abitazioni di proprietà per il cui acquisto o per la cui costruzione sia stato stipulato un contratto di mutuo da un componente della famiglia.

In ogni caso il beneficio economico:
• non può superare la soglia di 9.360 euro annui (780 euro al mese) nel caso di nucleo familiare con un solo componente,
ridotta del valore del reddito familiare; la misura massima in caso di più componenti può arrivare a 19.656 euro all’anno (1.638 euro al mese , anche se nel concreto non si andrà sopra i 1.430 euro al mese);
• non può essere inferiore a 480 euro annui (40 euro al mese).

Quanto dura il reddito di cittadinanza?

Il reddito di cittadinanza durerà 18 mesi, e sarà rinnovabile, di volta in volta, previa verifica da parte dei servizi competenti, per altri 18 mesi.

Chi ha diritto al reddito di cittadinanza?

Ecco, nello specifico, quali sono i requisiti richiesti per ottenere il reddito di cittadinanza:

  • trovarsi in stato di disoccupazione o risultare inoccupati (cioè avere perso il posto o non aver mai lavorato); chi ha presentato le dimissioni è escluso dal reddito per un anno, così come chi è detenuto o ricoverato in una struttura a carico dello Stato;
  • essere cittadino italiano;
  • in alternativa, essere cittadino dell’Unione Europea, o suo familiare che sia titolare del diritto di soggiorno o del diritto di soggiorno permanente, oppure cittadino di Paesi terzi in possesso del permesso di soggiorno europeo per soggiornanti di lungo periodo o apolide in possesso di analogo permesso o titolare di protezione internazionale (asilo politico, protezione sussidiaria);
  • bisogna poi risiedere in Italia, in via continuativa, da almeno 10 anni al momento di presentazione della domanda;
  • bisogna percepire un reddito inferiore alla soglia di povertà, cioè sotto i 780 euro mensili; il requisito è da rapportare al parametro della scala di equivalenza, che dipende dai componenti del nucleo familiare;
  • bisogna possedere un Isee del nucleo familiare inferiore a 9.360 euro, da rapportare al parametro della scala di equivalenza;
  • bisogna possedere un valore del reddito familiare inferiore a 6 mila euro, per il singolo componente, o a 7.560 euro, in caso di pensione di cittadinanza; l’importo è elevato sino a 9.360 euro per chi paga l’affitto ed è da adeguare col parametro della scala di equivalenza;
  • è possibile possedere, oltre all’abitazione principale, un secondo immobile, che non deve avere un valore superiore a 30mila euro;
  • è possibile possedere un patrimonio mobiliare familiare (conti, carte prepagate, titoli, libretti, partecipazioni…) non superiore a 6mila euro; la soglia è incrementata di 2mila euro per ogni componente del nucleo familiare successivo al primo, fino ad un massimo di 10 mila euro, incrementati di ulteriori mille euro per ogni figlio successivo al secondo; i massimali sono ulteriormente incrementati di 5mila euro per ogni componente con disabilità presente nel nucleo;
  • nessun componente della famiglia deve possedere autoveicoli immatricolati da meno di 6 mesi, o con cilindrata superiore a 1.600 cc e motoveicoli di cilindrata superiore a 250 cc, immatricolati nei 2 anni precedenti, navi o imbarcazioni da diporto; sono esclusi i veicoli per disabili.

Dovrà quindi essere richiesta la dichiarazione Isee per beneficiare del reddito di cittadinanza, in quanto non conterà solo il reddito, ma si dovrà valutare anche il patrimonio posseduto dalla famiglia.

Chi lavora o percepisce la disoccupazione ha diritto al reddito di cittadinanza?

Il reddito di cittadinanza sarà compatibile con l’attività lavorativa: nello specifico, se il lavoratore ha un contratto part time, il suo salario sarà integrato, attraverso il reddito di cittadinanza, fino ad arrivare a un massimo di 780 euro al mese, da rapportare al parametro della scala di equivalenza, secondo il numero dei componenti del nucleo.

Naspi e altre prestazioni collegate allo stato di disoccupazione saranno compatibili col reddito di cittadinanza sino al limite di 780 euro mensili.

Il reddito di cittadinanza obbliga a lavorare?

In base a quanto previsto dal decreto, il reddito di cittadinanza obbliga il beneficiario non solo a cercare assiduamente un lavoro ed a riqualificarsi, ma anche ad offrire sino a 8 ore alla settimana di lavoro gratuito per il proprio Comune di residenza.

Non si potrà stare in casa a far nulla: le attività lavorative e di riqualificazione non ne lasceranno il tempo.

Per quanto riguarda, nello specifico, la partecipazione alle iniziative di politica attiva del lavoro previste per il beneficiario del reddito, sarà obbligatorio (a meno che l’interessato non sia over 65, disabile o con carichi di cura) sottoscrivere il patto per il lavoro, obbligandosi a:

  • collaborare con l’operatore addetto alla redazione del bilancio delle competenze, ai fini della definizione del patto per il lavoro;
  • accettare espressamente gli obblighi e rispettare gli impegni previsti nel patto per il lavoro e, in particolare:
    • registrarsi sull’apposita piattaforma digitale, e consultarla quotidianamente come supporto nella ricerca del lavoro;
    • svolgere attività di ricerca attiva di lavoro, secondo le modalità definite nel patto;
    • accettare di essere avviato ai corsi di formazione o riqualificazione professionale, o ai progetti per favorire l’auto-imprenditorialità, secondo le modalità individuate nel patto, tenuto conto del bilancio delle competenze, delle inclinazioni professionali o di eventuali specifiche propensioni;
    • sostenere i colloqui psicoattitudinali e le eventuali prove di selezione finalizzate all’assunzione, su indicazione dei servizi competenti e in attinenza alle competenze certificate;
    • accettare almeno una di tre offerte di lavoro congrue; in caso di rinnovo del beneficio deve essere accettata, a pena di decadenza dal beneficio, la prima offerta utile di lavoro congrua;
    • offrire la propria disponibilità per la partecipazione a progetti comunali utili alla collettività, in ambito culturale, sociale, artistico, ambientale, formativo e di tutela dei beni comuni, da svolgere presso il comune di residenza, mettendo a disposizione un massimo di 8 ore alla settimana.

Chi ha un lavoro a tempo pieno, ma è sottopagato, avrà comunque diritto all’integrazione del reddito, senza bisogno di partecipare alle iniziative di politica attiva del lavoro.

Chi si rifiuterà di lavorare per il proprio Comune perderà il sussidio; il reddito si perderà anche nel caso in cui si rifiutino tre offerte di lavoro congrue, o la prima offerta congrua, in caso di sussidio percepito da oltre 12 mesi.

Quando l’offerta di lavoro è congrua per la disoccupazione?

Vediamo ora, nel dettaglio, quali sono le condizioni che fanno sì che un’offerta di lavoro sia considerata congrua, quindi che non possa essere rifiutata dal lavoratore, pena la perdita dello stato e dell’indennità di disoccupazione.

I requisiti dell’offerta di lavoro congrua cambiano a seconda della durata della disoccupazione dell’interessato.

In particolare:

  • se il lavoratore è disoccupato da non più di 6 mesi, l’offerta di lavoro:
    • dal punto di vista della coerenza professionale, deve riguardare uno dei settori individuati nel patto di servizio sottoscritto dal lavoratore;
    • la retribuzione offerta deve essere maggiore di 1,2 volte l’indennità di disoccupazione percepita, se il disoccupato percepisce un trattamento di sostegno al reddito;
    • la distanza dal luogo di lavoro non può essere superiore a 50 km (35 km in mancanza di mezzi pubblici) o sia raggiungibile in media in 80 minuti con mezzi pubblici;
  • se il lavoratore è disoccupato da 6 a 12 mesi, l’offerta di lavoro:
    • dal punto di vista della coerenza professionale, deve riguardare uno dei settori individuati nel patto di servizio sottoscritto dal lavoratore, o contigui ai settori individuati;
    • la retribuzione offerta deve essere maggiore di 1,2 volte l’indennità di disoccupazione percepita, se il disoccupato percepisce un trattamento di sostegno al reddito;
    • la distanza dal luogo di lavoro non può essere superiore a 50 km (35 km in mancanza di mezzi pubblici) o sia raggiungibile in media in 80 minuti con mezzi pubblici;
  • se il lavoratore è disoccupato da oltre 12 mesi, l’offerta di lavoro:
    • dal punto di vista della coerenza professionale, può riguardare qualsiasi settore lavorativo;
    • la retribuzione offerta deve essere maggiore di 1,2 volte l’indennità di disoccupazione percepita, se il disoccupato percepisce un trattamento di sostegno al reddito;
    • la distanza dal luogo di lavoro non può essere superiore a 80 km (56 km in mancanza di mezzi pubblici) o sia raggiungibile in media in 100 minuti con mezzi pubblici.

Il rapporto di lavoro, per quanto riguarda la durata, deve essere:

  • a tempo indeterminato;
  • a termine o con contratto di somministrazione, con una durata di almeno tre mesi.

Per quanto riguarda l’orario di lavoro, il rapporto deve essere a tempo pieno, o a tempo parziale, con un orario non inferiore all’80% rispetto all’orario dell’ultimo contratto di lavoro.

Lo stipendio previsto, poi, non deve essere inferiore ai minimi della contrattazione collettiva.

Quando l’offerta di lavoro è congrua per il reddito di cittadinanza?

Ai fini del reddito di cittadinanza, all’offerta di lavoro si applicano condizioni in parte diverse perché sia definita congrua:

  • se il lavoratore percepisce il reddito di cittadinanza da non più di 6 mesi, l’offerta di lavoro deve avere le seguenti caratteristiche:
    • dal punto di vista della coerenza professionale, deve riguardare uno dei settori individuati nel patto di servizio sottoscritto dal lavoratore;
    • la retribuzione offerta deve essere maggiore di 1,2 volte l’indennità di disoccupazione percepita, se il disoccupato percepisce un trattamento di sostegno al reddito;
    • la distanza dal luogo di lavoro non può essere superiore a 100 km dalla residenza dell’interessato, o comunque deve essere raggiungibile in 100 minuti con i mezzi di trasporto pubblici, se si tratta di prima offerta; la distanza dal luogo di lavoro non può essere superiore a 250 km dalla residenza dell’interessato se si tratta di seconda offerta; la sede di lavoro può trovarsi ovunque, nel territorio italiano, se si tratta di terza offerta;
  • se il lavoratore percepisce il reddito di cittadinanza da oltre 6 mesi, l’offerta di lavoro deve avere le seguenti caratteristiche:
    • dal punto di vista della coerenza professionale, deve riguardare uno dei settori individuati nel patto di servizio sottoscritto dal lavoratore, o contigui ai settori individuati;
    • la retribuzione offerta deve essere maggiore di 1,2 volte l’indennità di disoccupazione percepita, se il disoccupato percepisce un trattamento di sostegno al reddito;
    • la distanza dal luogo di lavoro non può essere superiore a 100 km dalla residenza dell’interessato, o comunque deve essere raggiungibile in 100 minuti con i mezzi di trasporto pubblici, se si tratta di prima offerta; la distanza dal luogo di lavoro non può essere superiore a 250 km dalla residenza dell’interessato se si tratta di seconda offerta; la sede di lavoro può trovarsi ovunque, nel territorio italiano, se si tratta di terza offerta;
  • se il lavoratore ha ottenuto il rinnovo del reddito di cittadinanza, l’offerta di lavoro deve avere le seguenti caratteristiche:
    • dal punto di vista della coerenza professionale, può riguardare qualsiasi settore lavorativo;
    • la retribuzione offerta deve essere maggiore di 1,2 volte l’indennità di disoccupazione percepita, se il disoccupato percepisce un trattamento di sostegno al reddito;
    • la sede di lavoro, esclusivamente nel caso in cui nel nucleo familiare non siano presenti componenti di minore età o disabili, può trovarsi ovunque nel territorio italiano; in questo caso, il beneficiario continua a percepire il reddito di cittadinanza per altri 3 mesi, a titolo di compensazione per le spese di trasferimento sostenute.

Anche in questo caso, il rapporto di lavoro, per quanto riguarda la durata, può essere stipulato:

  • a tempo indeterminato;
  • a termine o con contratto di somministrazione, con una durata di almeno tre mesi.

Per quanto riguarda l’orario di lavoro, il rapporto deve essere a tempo pieno o a tempo parziale, con un orario non inferiore all’80% rispetto all’orario dell’ultimo contratto di lavoro.

La retribuzione prevista non deve essere inferiore ai minimi della contrattazione collettiva.

Per quali figli spettano gli assegni familiari?

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Assegni al nucleo familiare: quali figli sono inclusi tra i componenti della famiglia e danno diritto all’incremento della prestazione.

Non tutti i figli sono uguali ai fini del diritto agli Anf, gli assegni al nucleo familiare: questo trattamento, che spetta alla generalità dei lavoratori dipendenti, ai collaboratori e ad alcune categorie di pensionati, considera difatti soltanto alcuni componenti della famiglia anagrafica.

I figli, in particolare, sono considerati facenti parte del nucleo ai fini Anf soltanto se minorenni, inabili, o studenti, al di sotto di una determinata età (in base al numero dei componenti del nucleo familiare). Inoltre, per l’inclusione nel nucleo dei figli che si trovano in una situazione particolare (ad esempio, studenti maggiorenni, o figli dell’altro coniuge nati da precedente matrimonio sciolto per divorzio), deve essere richiesta una specifica autorizzazione all’Inps

Dunque, per quali figli spettano gli assegni familiari? Facciamo il punto della situazione, dopo aver ricordato come funzionano e a che cosa servono gli assegni al nucleo familiare.

Come funzionano gli assegni familiari?

Gli assegni al nucleo familiare, o Anf, sono una prestazione, a favore del lavoratore, del collaboratore o del pensionato, finalizzata al sostegno economico della sua famiglia.

Il trattamento è riconosciuto dall’Inps, ma anticipato dall’azienda in busta paga. In certi casi la prestazione è liquidata direttamente dall’Inps, ad esempio per chi percepisce ammortizzatori sociali a carico dell’Istituto.

L’ammontare degli assegni cambia a seconda della tipologia del nucleo familiare (con o senza disabili, con entrambi i genitori o unico genitore…), del numero dei componenti e del reddito complessivo della famiglia.

A chi spettano gli assegni familiari?

Hanno diritto agli Anf solo i dipendenti, i collaboratori o i pensionati che appartengono a nuclei familiari con una composizione specifica, che rientra in una delle seguenti tabelle:

  • Tabella 11: riguarda i nuclei con entrambi i genitori e almeno un figlio minore (non sono presenti componenti inabili)
  • Tabella 12: riguarda i nuclei con un solo genitore e almeno un figlio minore (non sono presenti componenti inabili)
  • Tabella 13: riguarda i nuclei con solo minori non inabili;
  • Tabella 14: riguarda i nuclei con entrambi i genitori, senza figli minori e almeno un figlio maggiorenne inabile, oppure con almeno un figlio minore e almeno un componente inabile;
  • Tabella 15: riguarda i nuclei con un solo genitore e almeno un figlio minore (e almeno un componente inabile), oppure senza figli minori e almeno un figlio maggiorenne inabile;
  • Tabella 16: riguarda i nuclei orfanili con almeno un minore e almeno un inabile;
  • Tabella 19: riguarda i nuclei orfanili con solo maggiorenni inabili;
  • Tabella 20 A: riguarda i nuclei con entrambi i coniugi e senza figli ed almeno un fratello, sorella o nipote inabile;
  • Tabella 20 B: riguarda i nuclei monoparentali (richiedente celibe/nubile, separato/a, divorziato/a, vedovo/a, abbandonato/a) senza figli (e almeno un fratello, sorella o nipote inabile);
  • Tabella 21 A: riguarda i nuclei senza figli, con i soli coniugi o con entrambi i coniugi e almeno un fratello, sorella o nipote senza componenti inabili;
  • Tabella 21 B: riguarda i nuclei monoparentali (richiedente celibe/nubile, separato/a, divorziato/a, vedovo/a, abbandonato/a) senza figli e con almeno un fratello, sorella o nipote, senza componenti inabili;
  • Tabella 21 C: riguarda i nuclei senza figli, con i soli coniugi o con entrambi i coniugi e almeno un fratello, sorella o nipote (almeno un coniuge inabile e nessun altro componente inabile);
  • Tabella 21 D: riguarda i nuclei monoparentali (richiedente celibe/nubile, separato/a, divorziato/a, vedovo/a, abbandonato/a) senza figli e con almeno un fratello, sorella o nipote, nei quali solo il richiedente è inabile.

Perché si abbia diritto agli assegni al nucleo familiare, è necessario che almeno il 70% del reddito del nucleo derivi da lavoro subordinato.

Quali figli fanno parte del nucleo familiare?

Fanno parte del nucleo, oltre al richiedente, i seguenti familiari:

  • il coniuge non legalmente ed effettivamente separato;
  • i figli o equiparati di età inferiore a 18 anni;
  • i figli o equiparati di età compresa tra i 18 e i 21 anni, purché studenti o apprendisti, se il nucleo familiare è composto da più di tre figli (o familiari assimilati) di età inferiore a 26 anni;
  • i figli maggiorenni inabili che si trovano, per difetto fisico o mentale, nella assoluta e permanente impossibilità di lavorare;
  • i fratelli, le sorelle ed i nipoti del richiedente, minori di età o maggiorenni inabili, se orfani di entrambi i genitori e non aventi diritto alla pensione ai superstiti.

Per quanto riguarda i figli, dunque, sono considerati facenti parte del nucleo solo i minorenni e gli inabili, oppure i maggiorenni sino a 21 anni, se studenti o apprendisti, nel caso in cui nel nucleo ci siano almeno quattro figli sotto i 26 anni.

Per quali figli è necessaria l’autorizzazione Inps?

Nel caso in cui chi richiede gli assegni si trovi in situazioni particolari (nucleo con coniugi separati o divorziati, genitori conviventi non coniugati, etc.), per inserire determinati familiari nel nucleo è necessaria un’autorizzazione preventiva dell’Inps, Anf 43, che deve essere richiesta presentando il modello di domanda Anf 42.

L’autorizzazione dell’Inps deve essere richiesta, nel dettaglio, per inserire nel nucleo:

  • fratelli, sorelle e nipoti;
  • figli di genitori divorziati o separati legalmente (propri o del coniuge), figli nati fuori del matrimonio riconosciuti dall’altro genitore, oppure figli dell’altro coniuge nati da precedente matrimonio sciolto per divorzio;
  • figli di età compresa tra i 18 e i 21 anni, purché studenti o apprendisti, per i nuclei familiari composti da più di tre figli (o equiparati) di età inferiore a 26 anni;
  • nipoti minori a carico del nonno o della nonna richiedente;
  • familiari residenti all’estero;
  • familiari disabili (in assenza di certificazione sanitaria);
  • minori affidati a strutture pubbliche e collocati in famiglia.

Per includere i figli naturali del richiedente non convivente, riconosciuti da entrambi i genitori, oltre all’Anf43 è necessario allegare un ulteriore modulo, chiamato  Anf/Fn.

La domanda di autorizzazione va sempre presentata all’Inps, anche se la richiesta Anf è presentata al datore di lavoro. La domanda di autorizzazione all’Inps può essere presentata tramite sito web, contact center o patronato: devono essere allegati alla richiesta i documenti che attestano la situazione di fatto del richiedente.

Per approfondire: Autorizzazione Inps assegni familiari.

Reddito di cittadinanza: controlli per chi rifiuta il lavoro

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Segnalazione alla Guardia di Finanza per i beneficiari del reddito che rifiutano il posto: chi lavora in nero rischia la galera.

La guerra ai furbetti del reddito di cittadinanza non è ancora iniziata, ma si preannuncia molto dura: le regole previste dal decretone [1] per chi “sgarra”, difatti, sono severissime, e prevedono sino a 6 anni di reclusione per chi dichiara il falso, per godere del sussidio.

Particolarmente severo anche il trattamento nei confronti dei beneficiari del reddito “pigri”: chi rifiuta un’offerta di lavoro congrua, difatti, sarà segnalato alla Guardia di Finanza per essere sottoposto a controlli. Le Fiamme Gialle, in particolare, dovranno verificare che il beneficiario del reddito che rifiuta il posto non stia lavorando in nero. Ma che cosa succede se si viene “beccati” a lavorare senza contratto?

Le conseguenze per chi è trovato a lavorare in nero, o in “grigio” (ossia con un contratto di lavoro nel quale figura una retribuzione inferiore rispetto a quella reale), sono piuttosto pesanti: è difatti prevista la reclusione da 1 a 3 anni per omessa comunicazione della variazione del reddito, nel caso in cui l’entità del reddito derivante dall’attività comporti la revoca o la riduzione del beneficio.

Non bisogna dimenticare, poi, che è prevista la reclusione da 2 a 6 anni, se il reddito è conseguito rendendo o utilizzando dichiarazioni o documenti falsi, o attestanti cose non vere, oppure omettendo informazioni dovute.

Ma procediamo per ordine e facciamo il punto sul Reddito di cittadinanza: controlli per chi rifiuta il lavoro, quali sono gli adempimenti obbligatori per mantenere il sussidio, quando un’offerta di lavoro è considerata congrua e non può essere rifiutata.

Come funziona il reddito di cittadinanza?

Il reddito di cittadinanza è un sussidio a sostegno delle famiglie che si trovano in condizioni di bisogno economico, ossia con un reddito, un indicatore Isee, un patrimonio mobiliare (conti, carte, libretti, partecipazioni) e immobiliare (case, terreni) al di sotto di determinate soglie. Per conoscere, nel dettaglio, i requisiti richiesti per il beneficio: Reddito di cittadinanza 2019.

Il reddito di cittadinanza integra il reddito del beneficiario sino a un massimo di 780 euro mensili, incrementati dello 0,4 per ogni componente adulto del nucleo familiare e dello 0,2 per ogni minorenne, sino a un massimo del 2,1 per i nuclei numerosi. Per capire a quanto ammonta il sussidio: Importo reddito di cittadinanza 2019.

Come si mantiene il reddito di cittadinanza?

Una volta ottenuto il sussidio, tutti i componenti della famiglia maggiorenni devono dichiarare l’immediata disponibilità al lavoro, presso i centri per l’impiego o tramite l’apposita piattaforma digitale Siulp, entro 30 giorni dal riconoscimento del beneficio.

Sono esonerati i componenti del nucleo studenti, già occupati o di età pari o superiore a 67 anni, ed i disabili, come definiti dalla legge sul collocamento mirato. Possono essere esonerati dagli obblighi legati all’accettazione delle offerte di lavoro i disabili (come definiti ai fini Isee) ed i caregiver (ossia coloro che assistono disabili gravi, non autosufficienti, o minori di 3 anni).

Il richiedente, se non rientra tra gli esonerati, entro 30 giorni dal riconoscimento del beneficio, è convocato dal centro per l’impiego se uno dei componenti della sua famiglia:

  • è disoccupato da non più di due anni;
  • ha un’età inferiore ai 26 anni;
  • è beneficiario della Naspi, di un altro sussidio di disoccupazione, o ne ha terminato la fruizione da non più di un anno;
  • ha sottoscritto un Patto di servizio in corso di validità presso i centri per l’impiego.

La dichiarazione di immediata disponibilità deve essere resa anche dagli altri componenti non esonerati del nucleo, entro i 30 giorni successivi al primo incontro del richiedente o del suo sostituto.

Reddito di cittadinanza: patto per il lavoro

I beneficiari del reddito di cittadinanza non esonerati dagli obblighi devono stipulare, presso un centro per l’impiego o un intermediario accreditato, un patto per il lavoro, un progetto che ha le stesse caratteristiche del patto di servizio personalizzato previsto per chi richiede l’indennità di disoccupazione, ma prevede delle attività aggiuntive.

In particolare, sottoscrivendo il patto per il lavoro ci si obbliga a:

  • collaborare con l’operatore addetto alla redazione del bilancio delle competenze per definire il progetto;
  • accettare espressamente gli obblighi e rispettare gli impegni previsti nel patto per il lavoro e, in particolare:
    • registrarsi sull’apposita piattaforma digitale Siulp, e consultarla quotidianamente come supporto nella ricerca del lavoro;
    • svolgere attività di ricerca attiva di lavoro, secondo le modalità definite nel patto;
    • accettare di essere avviato ai corsi di formazione o riqualificazione professionale, o ai progetti per favorire l’auto-imprenditorialità, secondo le modalità individuate nel patto, tenuto conto delle aspirazioni e delle competenze personali;
    • sostenere eventuali colloqui psicoattitudinali e prove di selezione finalizzate all’assunzione, su indicazione dei servizi competenti e in attinenza alle competenze certificate;
    • accettare almeno una di tre offerte di lavoro congrue; in caso di fruizione del reddito in fase di rinnovo, deve essere accettata, a pena di decadenza dal beneficio, la prima offerta utile di lavoro congrua;
    • offrire la propria disponibilità per la partecipazione a progetti comunali utili alla collettività, da svolgere presso il comune di residenza, mettendo a disposizione un massimo di 8 ore alla settimana.

Reddito di cittadinanza: patto per l’inclusione sociale

Nel caso in cui nella famiglia beneficiaria del reddito siano rilevate problematiche complesse, non legate soltanto alla mancanza di lavoro, e una condizione di forte disagio e povertà, i componenti del nucleo devono sottoscrivere un patto per l’inclusione sociale, che coinvolge i centri per l’impiego, i servizi sociali e gli altri servizi territoriali competenti.

Quando non si può rifiutare un’offerta di lavoro?

Chi percepisce il reddito di cittadinanza deve accettare almeno una di tre offerte di lavoro congrue, la prima offerta di lavoro congrua in fase di rinnovo del sussidio. Ma quando un’offerta di lavoro è congrua ai fini del reddito di cittadinanza? In base a quanto disposto dal decretone sul reddito:

  • se il lavoratore percepisce il reddito di cittadinanza da non più di 6 mesi, l’offerta di lavoro deve avere le seguenti caratteristiche:
    • dal punto di vista della coerenza professionale, deve riguardare uno dei settori individuati nel patto di servizio sottoscritto dal lavoratore;
    • la retribuzione offerta deve essere superiore a 1,2 volte l’indennità di disoccupazione eventualmente percepita;
    • la distanza dal luogo di lavoro non può essere superiore a 100 km dalla residenza dell’interessato, o comunque deve essere raggiungibile in 100 minuti con i mezzi di trasporto pubblici, se si tratta di prima offerta; la distanza dal luogo di lavoro non può essere superiore a 250 km dalla residenza dell’interessato se si tratta di seconda offerta; la sede di lavoro può trovarsi ovunque, nel territorio italiano, se si tratta di terza offerta;
  • se il lavoratore percepisce il reddito di cittadinanza da oltre 6 mesi, l’offerta di lavoro deve avere le seguenti caratteristiche:
    • dal punto di vista della coerenza professionale, deve riguardare uno dei settori individuati nel patto di servizio sottoscritto dal lavoratore, o contigui ai settori individuati;
    • la retribuzione offerta deve essere superiore a 1,2 volte l’indennità di disoccupazione eventualmente percepita;
    • la distanza dal luogo di lavoro non può essere superiore a 100 km dalla residenza dell’interessato, o comunque deve essere raggiungibile in 100 minuti con i mezzi di trasporto pubblici, se si tratta di prima offerta; la distanza dal luogo di lavoro non può essere superiore a 250 km dalla residenza dell’interessato se si tratta di seconda offerta; la sede di lavoro può trovarsi ovunque, nel territorio italiano, se si tratta di terza offerta;
  • se il lavoratore ha ottenuto il rinnovo del reddito di cittadinanza, l’offerta di lavoro deve avere le seguenti caratteristiche:
    • dal punto di vista della coerenza professionale, può riguardare qualsiasi settore lavorativo;
    • la retribuzione offerta deve essere maggiore di 1,2 volte l’indennità di disoccupazione percepita, se il disoccupato percepisce un trattamento di sostegno al reddito;
    • la sede di lavoro, esclusivamente nel caso in cui nel nucleo familiare non siano presenti componenti di minore età o disabili, può trovarsi ovunque nel territorio italiano; in questo caso, il beneficiario continua a percepire il reddito di cittadinanza per altri 3 mesi, a titolo di compensazione per le spese di trasferimento sostenute.

Il rapporto di lavoro, per quanto riguarda la durata, deve essere:

  • a tempo indeterminato;
  • a termine o con contratto di somministrazione, con una durata di almeno tre mesi.

Per quanto riguarda l’orario di lavoro, il rapporto deve essere a tempo pieno, o a tempo parziale, con un orario non inferiore all’80% rispetto all’orario dell’ultimo contratto di lavoro.

Lo stipendio previsto, poi, non deve essere inferiore ai minimi della contrattazione collettiva.

Controlli della Guardia di Finanza per chi rifiuta un’offerta di lavoro

Come abbiamo osservato, rifiutare un’offerta di lavoro congrua è lecito, se il beneficiario non fruisce del sussidio in fase di rinnovo.

Tuttavia, il rifiuto dell’offerta di lavoro, che risulta dalla piattaforma Siulp, viene immediatamente segnalato alla Guardia di Finanza, che deve avviare una serie di accertamenti e controlli nei confronti del beneficiario che non vuole lavorare.

Le verifiche, nel dettaglio, saranno finalizzate a scovare i furbetti, cioè chi percepisce il reddito lavorando in nero, oppure in grigio, cioè con una retribuzione dichiarata inferiore a quella reale.

Quali conseguenze per i furbetti “pizzicati” dalle Fiamme Gialle?

Che cosa succede a chi lavora in nero o in grigio?

Le conseguenze per chi lavora in nero o in grigio non sono causate dallo svolgimento dell’attività lavorativa in sé, ma dal non aver dichiarato le variazioni di reddito, o dall’aver dichiarato il falso in fase di richiesta del sussidio.

Nel dettaglio, se per ottenere o mantenere il beneficio sono utilizzati o presentati dichiarazioni e documenti falsi o attestanti cose non vere, o si omettono informazioni dovute, chi consegue indebitamente il sussidio è punito:

  • con la reclusione da 2 a 6 anni;
  • con la revoca retroattiva del beneficio;
  • con l’impossibilità di chiedere il sussidio prima che siano decorsi 10 anni dalla condanna.

Le sanzioni vanno da 1 a 3 anni di reclusione per chi non comunica la variazione del reddito: la variazione del reddito è presunta nel caso in cui sia accertato che l’interessato lavora in nero o in grigio, cioè che ha un rapporto di lavoro non dichiarato o un rapporto per il quale è dichiarata una retribuzione più bassa, come il “finto part time”.

Ape sociale 2019: quando presentare la domanda, come fare

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Entro quando presentare le domande di certificazione dei requisiti per l’anticipo pensionistico a carico dello Stato: scadenze 2019.

Via libera alle domande di certificazione per l’Ape sociale, sia per chi matura i requisiti per l’anticipo nel 2019, sia per chi li aveva già maturati ma non aveva presentato la richiesta a suo tempo: è quanto chiarito dall’Inps, con una nuova circolare [1].

L’istituto, in particolare, col nuovo documento ha reso note:

  • le date entro le quali gli interessati devono presentare le richieste di certificazione dei requisiti per l’Ape sociale;
  • le date entro le quali possono essere presentate le domande vere e proprie di Ape sociale.

L’Ape sociale, lo ricordiamo, offre la possibilità di uscire dal lavoro a 63 anni grazie a un assegno pagato dallo Stato, pari alla futura pensione (ma con un tetto massimo di 1500 euro mensili). Il beneficio è riservato ai lavoratori che appartengono a determinate categorie tutelate, e che possiedono:

  • almeno 30 anni di contributi, se disoccupati di lungo corso, caregiver o invalidi dal 74%;
  • almeno 36 anni di contributi, se addetti ai lavori gravosi.

Sono previsti specifici requisiti per ogni categoria; le donne con figli hanno diritto a uno sconto contributivo sino a un massimo di 2 anni.

Chi, alla data della domanda di certificazione dei requisiti, ha già maturato tutte le condizioni per l’Ape sociale, può presentare contestualmente la domanda di anticipo pensionistico. Chi presenta la domanda di certificazione nel 2019 ma non presenta, entro il 31 dicembre 2019, la domanda di Ape sociale, può richiedere la prestazione anche successivamente.

Per poter presentare la domanda di certificazione dei requisiti nel 2019, ad ogni modo, è necessario che le condizioni per l’Ape sociale siano maturate entro il 31 dicembre 2019.

Ma procediamo per ordine, e facciamo il punto sull’Ape sociale 2019: quando presentare la domanda, quali sono i requisiti e gli adempimenti previsti.

A chi spetta l’Ape sociale?

L’Ape sociale è un assegno mensile, a carico dello Stato, che può essere richiesto a partire dai 63 anni di età e sostiene il lavoratore fino al perfezionamento del requisito d’età per la pensione di vecchiaia (dal 2019 pari a 67 anni). L’assegno è uguale alla futura pensione, ma non può superare 1.500 euro mensili.

Possono accedere all’Ape sociale, nello specifico, i lavoratori che, al momento della domanda, abbiano già compiuto 63 anni di età e che siano, o siano stati, iscritti presso una gestione previdenziale amministrata dall’Inps:

  • Assicurazione generale obbligatoria (Ago, che comprende gli iscritti al fondo pensione lavoratori dipendenti e alle gestioni speciali dei lavoratori autonomi);
  • forme sostitutive ed esclusive dell’Assicurazione generale obbligatoria;
  • gestione separata Inps.

Per ottenere la prestazione, gli interessati devono cessare l’attività lavorativa e non essere già titolari di una pensione diretta (possono invece essere titolari di una pensione di reversibilità).

I lavoratori devono appartenere a particolari categorie tutelate: disoccupati di lungo corso, caregiver, invalidi dal 74% in su e addetti ai lavori gravosi.

Quali categorie di lavoratori possono chiedere l’Ape sociale?

Nel dettaglio, i beneficiari dell’Ape sociale devono possedere almeno 30 anni di contributi (contando tutti i periodi non coincidenti maturati presso le gestioni Inps) se appartengono a una delle seguenti categorie:

  • lavoratori che risultano disoccupati a seguito di licenziamento, anche collettivo, o di dimissioni per giusta causa, o per effetto di risoluzione consensuale nell’ambito della procedura di conciliazione obbligatoria; perché gli appartenenti a questa categoria possano beneficiare dell’Ape sociale, è necessario che abbiano terminato da almeno tre mesi di percepire la prestazione di disoccupazione (il trattamento non spetta, dunque, a chi non ha percepito la Naspi o un sussidio analogo) e che non si siano rioccupati per oltre 6 mesi;
  • lavoratori che risultano disoccupati a seguito di cessazione di un contratto a termine, se hanno alle spalle almeno 18 mesi di lavoro subordinati negli ultimi 3 anni che precedono il licenziamento, hanno terminato di percepire il sussidio per la disoccupazione da almeno 3 mesi e non sono stati rioccupati per più di 6 mesi;
  • caregiver: lavoratori che assistono, al momento della richiesta e da almeno 6 mesi, il coniuge o un parente di primo grado convivente con handicap grave, ai sensi della Legge 104; a partire dal 2018, sono inclusi tra gli assistiti che danno luogo al beneficio della pensione anticipata precoci anche i familiari, parenti o affini, entro il secondo grado; in questo caso, però, è necessario che il coniuge, o l’unito civilmente, e i parenti di primo grado (cioè figli o genitori) conviventi con la persona affetta da handicap in situazione di gravità si trovino in una delle seguenti situazioni:
    • abbiano compiuto i 70 anni di età;
    • risultino anch’essi affetti da patologie invalidanti (occorre fare riferimento alle patologie a carattere permanente che attualmente consentono al lavoratore dipendente di fruire del congedo per gravi motivi familiari; è necessario che la patologia sia documentata e che la documentazione sia inviata alla competente unità operativa, complessa o semplice);
    • siano deceduti o mancanti (si considera l’assenza naturale o giuridica, ad esempio il divorzio).
  • lavoratori che possiedono un’invalidità uguale o superiore al 74%.

Sono invece necessari 36 anni di contributi per un’ulteriore categoria beneficiaria dell’Ape sociale, gli addetti ai lavori gravosi: si tratta di coloro che hanno prestato per almeno 6 anni negli ultimi 7 anni, o per 7 anni nell’ultimo decennio, un’attività lavorativa particolarmente rischiosa o faticosa, che deve far parte dell’elenco di professioni di seguito indicato:

  • operai dell’industria estrattiva, dell’edilizia e della manutenzione degli edifici;
  • conduttori di gru, di macchinari mobili per la perforazione nelle costruzioni;
  • conciatori di pelli e di pellicce;
  • conduttori di convogli ferroviari e personale viaggiante;
  • conduttori di mezzi pesanti e camion;
  • professioni sanitarie infermieristiche ed ostetriche ospedaliere con lavoro organizzato in turni;
  • addetti all’assistenza personale di persone in condizioni di non autosufficienza;
  • professori di scuola pre-primaria;
  • facchini, addetti allo spostamento merci ed assimilati;
  • personale non qualificato addetto ai servizi di pulizia;
  • operatori ecologici e altri raccoglitori e separatori di rifiuti
  • pescatori;
  • lavoratori marittimi;
  • operai agricoli;
  • operai degli impianti siderurgici.

Come e quando si presenta la domanda di certificazione del diritto all’Ape sociale

Per ottenere l’anticipo pensionistico a carico dello Stato bisogna innanzitutto inviare all’Inps domanda di certificazione del diritto all’Ape sociale. Questa domanda può essere inoltrata tramite patronato, o direttamente dall’interessato attraverso il portale web dell’Inps, se in possesso delle credenziali di accesso (codice Pin dispositivo, carta nazionale dei servizi o identità unica digitale Spid di secondo livello).

Eseguito l’accesso al portale, bisogna seguire il percorso: “Domanda di prestazione pensionistica: pensione, ricostituzione, ratei maturati e non riscossi, certificazione del diritto a pensione”; bisogna poi cliccare su “Nuova domanda” nella colonna di sinistra.

La domanda di certificazione dei requisiti, per chi matura i requisiti richiesti entro il 31 dicembre 2019, può essere inviata entro il 31 marzo 2019, o entro il 15 luglio 2019. Possono essere prese in considerazione anche le domande pervenute dopo questa data, purché entro il 30 novembre 2019, ma solo se risulteranno risorse residue.

Certificazione dell’Inps del diritto all’Ape sociale 2019

Una volta ricevute le domande di certificazione dei requisiti, l’Inps deve verificare, in base al numero dei richiedenti e dal perfezionamento o meno delle condizioni richieste, quali sono i beneficiari dell’anticipo pensionistico. Non tutti i requisiti, comunque, devono essere perfezionati alla data di invio della domanda di certificazione, in quanto alcuni possono essere certificati dall’Inps in prospettiva, come il possesso degli anni di contributi richiesti per la categoria di appartenenza.

Verificata la sussistenza dei requisiti, ai beneficiari è inviata una comunicazione dall’istituto in cui sono certificati i requisiti per l’Ape sociale.

Le comunicazioni degli esiti delle domande di riconoscimento delle condizioni di accesso al beneficio, in particolare, perverranno entro:

  • il 30 giugno 2019 per le domande di verifica delle condizioni già presentate entro il 31 marzo 2019;
  • il 15 ottobre 2019 per le domande di verifica delle condizioni presentate entro il 15 luglio 2019;
  • il 31 dicembre 2019 per le domande di verifica delle condizioni presentate entro il 30 novembre.

Come presentare la domanda di Ape sociale 2019

Una volta certificati i requisiti, gli interessati possono inviare la domanda di Ape sociale tramite il sito web dell’Inps (come abbiamo osservato, accessibile con apposite credenziali) o attraverso un patronato. Nello specifico, per presentare la domanda di anticipo pensionistico, bisogna accedere al sito dell’Inps con le proprie credenziali (codice fiscale e Pin, oppure carta nazionale dei servizi, o identità digitale Spid) e seguire il percorso: “Altre prestazioni/Anticipo pensione/Ape sociale”.

Esiste anche la possibilità, per chi possiede già tutti i requisiti per l’Ape sociale, di inviare la domanda di certificazione del diritto all’anticipo assieme alla domanda di pensione vera e propria. Per la conferma del diritto al trattamento e la sua liquidazione, però, si deve sempre aspettare la risposta dell’Inps.

Domanda di Ape sociale dopo il 2019

L’Inps ha anche spiegato che sarà possibile fare domanda di accesso all’Ape sociale anche in un momento successivo al termine della sperimentazione (ora il 31 dicembre 2019).

Per poter accedere all’Ape sociale dopo il termine della sperimentazione, però, le sedi Inps dovranno verificare il permanere dei requisiti già in possesso del beneficiario al 31 dicembre 2019. Inoltre, le domande tardive saranno accolte nel rispetto dei limiti della capienza degli stanziamenti previsti dalla legge.

Come compilare la dichiarazione Isee

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Come compilare e inviare la dichiarazione Dsu dal sito dell’Inps: Isee ordinario, corrente, università, minorenni, socio-sanitario.

Devi chiedere il reddito di cittadinanza, pagare le tasse universitarie, iscrivere tuo figlio all’asilo o alla mensa scolastica, richiedere un’agevolazione, rateizzare una cartella esattoriale?  Sicuramente sai già che non puoi portare a termine nessuna di queste operazioni senza aver presentato il modello Isee, o meglio la dichiarazione sostitutiva unica Dsu. Questa dichiarazione, infatti, serve  non solo per accedere alle prestazioni di assistenza, come il reddito di cittadinanza appunto, ma per la generalità delle agevolazioni di carattere pubblico.

Nella dichiarazione Isee deve essere indicata una notevole quantità di dati: dalle auto ai conti corrente, dalle carte di credito agli immobili, ogni componente del nucleo familiare è monitorato, attraverso la presentazione di questo modello, a 360 gradi. Tutti i dati riportati nell’Isee, peraltro, sono soggetti a dei rigorosi controlli incrociati, grazie alle banche dati dell’Inps e dell’Agenzia delle Entrate: se devi presentare la dichiarazione, devi dunque armarti di pazienza e reperire i numerosi documenti necessari, in modo da essere sicuro di non aver tralasciato nulla o riportato informazioni sbagliate. Ma come compilare la dichiarazione Isee e dove presentarla? facciamo il punto della situazione.

Che cos’è la dichiarazione Isee?

L’Isee è l’indice della situazione economica equivalente del nucleo familiare. In pratica, è un indicatore che serve a “misurare la ricchezza” della famiglia, prendendo in considerazione patrimonio e redditi, più ulteriori dati rilevanti, di ogni componente.

La dichiarazione Isee, o meglio la Dsu, sigla che sta per dichiarazione sostitutiva unica, è il modello dichiarativo dal quale emerge l’indicatore Isee assieme ad ulteriori indici, come l’indicatore della situazione reddituale Isr e l’indicatore della situazione patrimoniale Isp.

Si può presentare la dichiarazione Isee autonomamente?

Per presentare il modello Isee non è necessario servirsi di un Caf o di un professionista: è possibile difatti compilare e inviare la dichiarazione da sé, utilizzando i servizi online dell’Inps. È sufficiente, a tal fine, procurarsi tutti i dati utili, essere in possesso delle credenziali per accedere al sito web dell’Inps (codice pin dispositivo, identità unica digitale Spid o carta nazionale dei servizi), entrare nel portale web dell’istituto e compilare la dichiarazione online.

Come funziona l’Isee precompilato?

La dichiarazione Isee che è possibile compilare dal sito dell’Inps non è, attualmente, un modello precompilato, come la dichiarazione  dei redditi 730 resa disponibile dall’Agenzia delle entrate, anche se alcuni dati sono precaricati, e altri sono ricavati in automatico dalle banche dati dell’Inps e delle Entrate.

Un vero e proprio modello Isee precompilato dovrebbe comunque essere disponibile in futuro, e dovrebbe contenere le seguenti informazioni:

  • dati anagrafici;
  • dati relativi ai redditi conseguiti: le informazioni saranno ricavate dalle banche dell’Agenzia delle entrate e dell’Inps; si troverà quanto riportato nelle dichiarazioni dei redditi (730 e modello Redditi) e saranno indicate tutte le prestazioni fornite dall’Inps, come la Naspi e le altre indennità di disoccupazione, o, ancora, il nuovo reddito d’inclusione;
  • dati relativi alle retribuzioni in essere: lo stipendio normalmente percepito dai lavoratori, in particolare, potrà essere conosciuto in tempo reale grazie alla Co Unilav, la comunicazione obbligatoria inviata dai datori di lavoro, nella quale si deve indicare la retribuzione annua del neoassunto;
  • dati relativi agli immobili posseduti, che si ricaveranno dalle banche dati catastali;
  • dati relativi ai patrimoni mobiliari e finanziari posseduti, come titoli, conti correnti, libretti, carte: saranno già disponibili, nel dettaglio, saldi e giacenze medie.

Che cosa contiene la dichiarazione Isee?

La dichiarazione Isee contiene i redditi prodotti nell’anno di riferimento da tutti i componenti del nucleo familiare ed il patrimonio posseduto da ciascuno, sia immobiliare (case, terreni) che mobiliare (conti correnti, carte di credito, libretti, titoli, auto…). L’Isee, infatti, come abbiamo già detto, è l’indicatore della situazione economica equivalente, un indice che tiene conto non solo di tutti i redditi dei componenti del nucleo familiare, contenuti e non nel modello Redditi o nel 730, ma anche del patrimonio di ciascun familiare (immobili, conti, carte, libretti, auto…) e di ulteriori dati rilevanti (il pagamento di un canone d’affitto, il possesso di disabilità, il diritto a determinati sussidi e agevolazioni…).

Questa dichiarazione, come già osservato, è indispensabile per accedere alle prestazioni sociali e alle agevolazioni pubbliche (dal bonus bebè al Rei, il reddito d’inclusione, dai sussidi del comune alla tariffa agevolata della mensa scolastica). Ogni tipo di prestazione o agevolazione è soggetta poi a dei particolari limiti reddituali e patrimoniali che ne regolano il riconoscimento.

La dichiarazione Isee non è uguale per tutti, ma cambia a seconda della prestazione che si deve chiedere. Ad esempio, per ottenere agevolazioni sulle tasse universitarie si deve presentare l’Isee Università; per richiedere, invece, prestazioni per i disabili si deve presentare l’Isee sociosanitario.

Quando scade l’Isee?

La dichiarazione Isee, di qualunque tipologia sia, ha validità annuale e scade il 15 gennaio di ogni anno. Superata questa data è necessario, perciò, presentare una nuova dichiarazione, perché la vecchia non può più essere considerata valida. Ci sono poi dei casi particolari in cui è possibile presentare una nuova dichiarazione anche se ne esiste già una in corso di validità: si tratta dell’Isee corrente.

Dal 2019 cambierà la validità dell’Isee, che non scadrà più il 15 gennaio dell’anno successivo alla presentazione della dichiarazione, ma varrà sino al 31 agosto dell’anno successivo. Ogni anno, all’avvio del periodo di validità fissato al 1° settembre, i redditi e le componenti dei patrimoni presenti nelle dichiarazioni verranno aggiornati con riferimento all’anno precedente (oggi, invece, i dati si riferiscono ai due anni precedenti).

Come si accede alla dichiarazione Isee nel sito dell’Inps?

Se scegli di compilare l’Isee in modo autonomo, senza l’assistenza di un Caf o di un professionista, devi innanzitutto accedere al portale web dell’Inps, nella sezione Servizi per il cittadino. Per accedere devi essere in possesso:

  • del codice pin dispositivo dell’Inps: se manca,puoi chiederlo online, nella sezione del sito Pin online (ricevi subito la prima parte del pin, ed entro una settimana circa la seconda parte; il pin ricevuto, che è ordinario, deve poi essere convertito in dispositivo, inviando un modulo e il documento d’identità al portale web dell’istituto), oppure direttamente presso uno sportello dell’Inps, munendoti dell’apposito modulo di richiesta, del codice fiscale e della carta d’identità (in questo caso, ricevi subito il pin dispositivo);
  • in alternativa, puoi entrare nel sito dell’Inps con l’identità unica digitale Spid che può essere richiesta a uno dei seguenti provider: Tim, Sielte, Poste, Info Cert, Aruba, Namirial;
  • puoi accedere anche con la carta nazionale dei servizi.

Una volta entrato nella sezione dedicata ai servizi per il cittadino devi cliccare sulla voce Isee post-riforma 2015.

A questo punto, accedi a una pagina che contiene diversi riquadri: tra questi deviscegliere “Acquisizione – Compilazione della dichiarazione sostitutiva unica” e cliccare su Inizia acquisizione.

Dovrai poi inserire il tuo codice fiscale, dare il consenso all’utilizzo dei dati personali e, successivamente, inserire i tuoi dati anagrafici. Inseriti questi dati, ti sarà richiesto se vuoi compilare la Dsu Mini (cioè la dichiarazione Isee in forma ridotta) o la Dsu integrale.

Come si compila la dichiarazione Isee nel sito dell’Inps?

Nella maggior parte dei casi, una volta effettuato l’accesso alla maschera di compilazione della dichiarazione Isee online, non devono essere compilati tutti i moduli esistenti della dichiarazione, ma soltanto il modulo MB1 ed il modulo FC1: in questo modo è possibile ottenere la dichiarazione cosiddetta Isee Mini 2018, utilizzabile nella maggior parte dei casi. Nel dettaglio, è possibile compilare la Dsu Mini quando ricorrono tutte le seguenti condizioni:

  • non si intendono richiedere prestazioni per il diritto allo studio universitario;
  • nella famiglia non sono presenti persone disabili o non autosufficienti;
  • nella famiglia non sono presenti figli i cui genitori non sono coniugati tra loro né conviventi;
  • nella famiglia non sono presenti persone esonerate dalla presentazione della dichiarazione dei redditi o per cui gli adempimenti tributari siano sospesi a causa di eventi eccezionali;
  • non si intendono richiedere prestazioni connesse ai corsi di dottorato di ricerca utilizzando un nucleo familiare ristretto.

Di seguito, vediamo l’elenco di tutti i moduli che compongono la dichiarazione Isee, i casi in cui devono essere compilati, i quadri da cui sono composti ed i dati che bisogna inserire.

Dichiarazione Isee Mini

Il modulo MB1, cosiddetto modello Mini, è il modello base che deve essere compilato sempre, qualunque sia la prestazione richiesta, perché contiene i dati relativi al nucleo familiare ed alla casa di abitazione. Nella prima sezione devono essere indicati i componenti della famiglia anagrafica alla data in cui si presenta la dichiarazione.

Sotto i componenti del nucleo, è possibile, eventualmente, barrare la casella corrispondente alle seguenti situazioni, per richiedere le relative agevolazioni:

  • nucleo familiare, in presenza di figli minorenni, in cui entrambi i genitori, o l’unico genitore presente, hanno svolto attività di lavoro o di impresa per almeno sei mesi nell’anno di riferimento dei redditi dichiarati (per il 2018, ad esempio, l’anno di riferimento è il 2016);
  • famiglia composta esclusivamente da un genitore solo con i suoi figli minorenni (nel caso di genitori non conviventi e non coniugati tra loro, bisogna compilare il modulo MB2);
  • famiglia con almeno tre figli (anche maggiorenni) degli stessi genitori, ovvero di uno stesso componente o del suo coniuge.

Nella sezione dedicata alla casa di abitazione del nucleo, bisogna indicare se la casa è di proprietà, in affitto, in comodato, o con una diversa tipologia di possesso; aggiungere gli estremi del contratto di locazione, se presenti. Si deve inoltre indicare la residenza familiare scelta, in caso di coniugi con diversa residenza.

Dichiarazione Isee Università

Se si devono richiedere prestazioni relative al diritto allo studio universitario, come l’agevolazione sulle tasse, deve essere compilato il cosiddetto Iseeu, o Isee universitario, all’interno del modulo MB2.

Il modulo MB2 serve anche per chiedere prestazioni rivolte ai minorenni (Isee minorenni), se i genitori sono non coniugati e non conviventi tra loro. Il modello contiene, difatti, le indicazioni relative alla presenza dei genitori nel nucleo, i dati rilevanti all’autonomia dello studente (è considerato autonomo lo studente che vive per conto proprio, solo se possiede un’adeguata capacità di reddito) e quelli riguardanti i genitori non coniugati e non conviventi.

Dichiarazione Isee minorenni

Per quanto riguarda la compilazione dell’Isee minorenni, bisogna sapere che il genitore non convivente o non coniugato con l’altro genitore e che abbia riconosciuto il figlio si considera facente parte del nucleo familiare, a meno che non si trovi in una delle seguenti situazioni:

  • sposato con persona diversa dall’altro genitore;
  • risulti avere figli con persona diversa dall’altro genitore;
  • obbligato, con provvedimento dell’autorità giudiziaria, al versamento di assegni periodici destinati al mantenimento dei figli;
  • sia stato escluso dalla potestà sui figli o sia stato allontanato dalla residenza familiare;
  • sia stato accertato, in sede giurisdizionale o dalla pubblica autorità competente in materia di servizi sociali, estraneo in termini di rapporti affettivi ed economici.

Se il genitore non convivente è sposato o ha figli con un’altra persona (avendo quindi formato un altro nucleo familiare) l’Isee minorenni tiene conto della sua situazione economica, considerando, però, la scala di equivalenza dell’altro nucleo, integrando l’Isee del nucleo del figlio minorenne con una componente aggiuntiva.

Nelle altre ipotesi, il genitore non rientra nella famiglia del figlio e quindi non rientra nel calcolo dell’Isee minorenni, pertanto basta presentare l’Isee ordinario.

Dichiarazione Isee socio-sanitario

L’Isee socio-sanitario, nella dichiarazione il modulo MB3, va compilato solo se si devono richiedere prestazioni di natura sociale e sanitaria, come la degenza o il ricovero in determinate strutture, se devono essere richieste prestazioni di assistenza domiciliare, bonus per acquisti ed altri servizi a favore dei disabili. Le prestazioni possono essere richieste per il dichiarante o per un suo parente non autosufficiente.

Per ricevere queste prestazioni, è necessario che nella famiglia sia presente un disabile (invalido, portatore di handicap, non autosufficiente…), la cui condizione di svantaggio sia certificata.

Per queste prestazioni può essere indicato un nucleo familiare ristretto, composto dal beneficiario della prestazione, dal coniuge, dai figli minorenni e dai figli maggiorenni (che vanno inclusi solo se fiscalmente a carico e se non coniugati e senza figli).

Come inserire il nucleo familiare ristretto nell’Isee?

Chi vuole far riferimento, nella dichiarazione Isee, a un nucleo familiare ristretto, composto solo da coniugefigli richiedente, in caso di prestazioni socio-sanitarie o di prestazioni collegate a corsi di dottorato di ricerca, non deve compilare il modulo MB1, ma il modulo MB1 rid.

Nucleo familiare Isee: chi va indicato?

Ai fini della dichiarazione Isee non sempre la composizione del nucleo familiare coincide con la famiglia anagrafica. Normalmente, per la dichiarazione Isee la famiglia è considerata composta dal dichiarante, dai componenti della famiglia anagrafica e dai soggetti fiscalmente a carico, anche se non conviventi.

Le situazioni che possono verificarsi, comunque, sono diverse; riportiamo qui le più comuni:

  • genitori conviventi e non sposati: in questo caso, si considerano parte di un unico nucleo familiare; il genitore dichiarante deve indicare il convivente nell’Isee come “altra persona nel nucleo”;
  • genitori non sposati né conviventi: in questo caso, pur non facendo parte della stessa famiglia anagrafica, il genitore che non convive deve essere inserito nello stesso nucleo ai fini Isee, a meno che:
    • risulti sposato con una persona diversa dall’altro genitore;
    • risulti avere figli con una persona diversa dall’altro genitore;
    • sia obbligato, con provvedimento dell’autorità giudiziaria, al versamento di assegni periodici destinati al mantenimento dei figli;
    • sia stato escluso dalla potestà sui figli o sia stato allontanato dalla residenza familiare;
    • sia stato accertato, in sede giurisdizionale o dalla pubblica autorità competente in materia di servizi sociali, estraneo in termini di rapporti affettivi ed economici;
    • se il genitore non convivente è sposato o ha figli con un’altra persona (avendo quindi formato un altro nucleo familiare), bisogna presentare un modulo particolare nella dichiarazione Dsu, l’Isee minorenni, che tiene conto della sua situazione economica, considerando, però, la scala di equivalenza dell’altro nucleo, integrando l’Isee del nucleo del figlio minorenne con una componente aggiuntiva; nelle altre ipotesi, il genitore non rientra nella famiglia del figlio e quindi non rientra nel calcolo dell’Isee minorenni, pertanto basta presentare l’Isee ordinario;
  • coniugi che vivono in una diversa residenza: marito e moglie sono comunque considerati facenti parte dello stesso nucleo, anche se risultano in una diversa famiglia anagrafica, poiché non risiedono nello stesso posto; devono prendere, come riferimento per l’Isee, la famiglia anagrafica di uno dei due, di comune accordo, oppure l’ultima residenza avuta in comune;
  • coniugi separati ma conviventi: valgono le stesse regole dei conviventi non sposati;
  • coniugi separati e non conviventi: se separati legalmente, e non di fatto, marito e moglie non fanno più parte dello stesso nucleo.
  • figli che convivono con i nonni: se sono fiscalmente a carico dei genitori, i figli faranno parte del nucleo dei genitori; se non a carico del padre o della madre, entrano nel nucleo familiare dei nonni;
  • figli maggiorenni non conviventi con i genitori e a loro carico ai fini Irpef: se non sono coniugati e non hanno figli, fanno parte del nucleo familiare dei genitori; nel caso i genitori appartengano a nuclei familiari distinti, i figli maggiorenni, se a carico di entrambi, fanno parte del nucleo familiare di uno dei genitori, a loro scelta.

Dal 29 gennaio 2019, data di entrata in vigore del decreto sul reddito di cittadinanza, sono cambiate alcune regole:

  • i coniugi separati o divorziati fanno parte dello stesso nucleo familiare Isee, qualora continuino a risiedere nella stessa abitazione;
  • il figlio maggiorenne non convivente con i genitori fa parte del nucleo familiare dei genitori esclusivamente quando è di età inferiore a 26 anni, è nella condizione di essere a loro carico a fini Irpef, non è coniugato e non ha figli.

Come si compila il modulo Isee con i dati del nucleo familiare?

I dati di ciascun componente della famiglia sono contenuti nel modulo FC1, che va sempre compilato, per tutte le tipologie di prestazioni. Per ogni familiare deve essere, in particolare, indicata l’attività svolta tra le seguenti:

  • lavoro dipendente a tempo indeterminato;
  • lavoro dipendente a tempo determinato o con contratto di apprendistato;
  • lavoro con contratto di somministrazione (“interinale”);
  • lavoratore o disoccupato con sostegno al reddito (cassa integrazione ordinaria, straordinaria o in deroga, contratti di solidarietà; lavori socialmente utili; mobilità, Aspi, etc.);
  • lavoro parasubordinato (collaborazione a progetto o cococo);
  • lavoro accessorio (voucher), occasionale, tirocini, stages;
  • lavoratore autonomo, libero professionista, imprenditore;
  • non occupato;
  • pensionato;
  • casalingo.

All’interno del Modulo FC1 bisogna poi compilare i quadri elencati:

  • quadro FC2: in questo quadro si devono inserire i dati rilevanti del patrimonio mobiliare di ogni familiare (conti correnti, carte di credito, libretti, depositi, titoli: a seconda dello strumento posseduto, bisogna indicare il saldo o la giacenza media, in alcuni casi entrambi, come per il conto corrente);
  • quadro FC3: è necessario completarlo con i dati relativi al patrimonio immobiliare posseduto da ciascun familiare (case e terreni);
  • quadro FC4: per ogni familiare si deve indicare il possesso di redditi non rilevabili dalle banche dati dell’Inps e dell’Agenzia delle Entrate (ad esempio redditi prodotti all’estero, esenti, soggetti ad imposta sostitutiva);
  • quadro FC5: in questa sezione è necessario indicare le eventuali informazioni relative gli assegni periodici corrisposti al coniuge o ai figli, o percepiti dal coniuge;
  • quadro FC6: occorre indicare la targa dei veicoli posseduti da ogni familiare (auto, moto, navi o imbarcazioni).

Come si compila il modulo Isee con i dati dei disabili?

Il modulo FC2, composto dal quadro FC7, si deve compilare in caso di presenza di disabili o di persone non autosufficienti all’interno del nucleo familiare. È necessario che sia precisato il grado di disabilità o la non autosufficienza del familiare, se riceve prestazioni sanitarie residenziali e le spese per i servizi alla persona.

Come si fa la dichiarazione Isee integrativa?

Il cosiddetto Isee integrativo si trova, invece, nel quadro FC8, all’interno del modulo FC ed occorre compilarlo solo se:

  • si deve integrare una dichiarazione già presentata;
  • si devono correggere i dati utilizzati dall’Inps per il calcolo dell’Isee, precedentemente non auto-dichiarati e rilevati negli archivi dell’Agenzia delle entrate o dell’Inps.

Per approfondire: Isee sbagliato, si può rifare?

Quando si deve compilare la componente aggiuntiva dell’Isee?

Se occorre il calcolo della cosiddetta componente aggiuntiva del nucleo familiare, deve essere presentato il modulo FC4, composto dal quadro FC9; la compilazione è necessaria nell’ipotesi in cui i genitori non siano coniugati e conviventi tra loro, in caso di:

  • prestazioni relative al diritto allo studio universitario;
  • prestazioni rivolte ai minorenni;
  • prestazioni socio-sanitarie residenziali.

Quando è pronta l’attestazione Isee?

Una volta compilati tutti i moduli ed inviata la dichiarazione Isee all’Inps, non è possibile consegnare subito il modello Isee all’ente che l’ha richiesto, perché la procedura non è ancora stata completata del tutto. Difatti, l’Inps:

  • entro 4 giorni, acquisisce i dati dell’anagrafe tributaria, all’interno del sistema informativo Isee;
  • entro il 2° giorno lavorativo successivo, calcola l’Isee e lo mette a tua disposizione.

La procedura è comunque più breve rispetto all’acquisizione della dichiarazione tramite Caf o patronato, perché l’invio all’Inps è immediato, senza intermediari. Il cittadino quindi, dopo aver ricevuto la certificazione Isee potrà presentare la domanda all’ente interessato per ricevere le prestazioni o le agevolazioni a cui ha diritto.

Che cosa fare se ci sono errori nell’Isee?

Se ci si accorge di aver sbagliato la compilazione dell’Isee, oppure se sono sbagliati i dati presenti negli archivi dell’Agenzia delle Entrate e/o dell’Inps, bisogna richiedere immediatamente la rettifica della dichiarazione utilizzando il modulo integrativo FC3, quadro FC8 (il cosiddetto Isee integrativo), che va compilato nella sezione II con i dati corretti.

Trascorsi 10 giorni dalla ricezione dell’attestazione da parte dell’Inps, non è più possibile ricorrere all’Isee integrativo.

Se ci si accorge che la dichiarazione Isee presentata da tempo, validata dall’Inps e senza segnalazioni, presenta degli errori o delle dimenticanze, si può comunque presentare una nuova dichiarazione Isee recante le variazioni, anche se esiste già un Isee in corso di validità.

Per approfondire: Errori Isee, come rimediare.

Che cosa fare se l’Inps non convalida l’Isee?

Se, dopo 15 giorni lavorativi dalla presentazione della dichiarazione Isee l’Inps non l’ha ancora convalidata, si può utilizzare lo stesso modello integrativo (quadro FC8, sezione II), per indicare i dati che devono essere compilati dall’Agenzia delle Entrate e dall’istituto.

Reddito di cittadinanza: si può uscire dal nucleo familiare?

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È possibile ottenere stati di famiglia separati per soddisfare i requisiti necessari al reddito di cittadinanza?

Soddisfare le condizioni per ottenere il reddito di cittadinanza non è semplice: le soglie di reddito e patrimoniali stabilite per il diritto al sussidio, difatti, non devono essere superate da parte dell’intero nucleo familiare, non soltanto del singolo richiedente.

Se il richiedente, ad esempio, non possiede immobili, ma un altro componente del suo nucleo familiare possiede un immobile (ad esclusione della casa di abitazione) che vale oltre 30mila euro, il reddito di cittadinanza non spetta. Lo stesso accade se il richiedente non possiede alcun veicolo, ma un componente del nucleo possiede un veicolo immatricolato di recente (nei 6 mesi precedenti alla domanda di sussidio), o di cilindrata superiore a 1600 cc, o un motoveicolo di cilindrata superiore a 250 cc o immatricolato 2 anni prima.

In riferimento al patrimonio mobiliare, se il richiedente non possiede conti, carte, libretti, titoli, partecipazioni, ma la famiglia, nel suo complesso, supera la soglia massima di patrimonio mobiliare consentito, il reddito di cittadinanza non spetta.

Un componente del nucleo familiare ha rassegnato le dimissioni? Tutta la famiglia perde il diritto al reddito per un anno. Un componente del nucleo familiare viene trovato a lavorare in nero, oppure non partecipa alle iniziative formative, di riqualificazione e orientamento, o si rifiuta di lavorare gratis per il Comune? Tutta la famiglia decade dal reddito di cittadinanza.

In base a quanto esposto, in diversi casi far parte di un nucleo familiare rappresenta più un problema che un vantaggio. Ma, ai fini del reddito di cittadinanza, si può uscire dal nucleo familiare? È possibile, cioè, avere due stati di famiglia separati, anche se si risiede nello stesso posto?

Per rispondere alla domanda, dobbiamo prima capire chi rientra, secondo la legge, nello stato di famiglia, e chi è considerato facente parte della famiglia in base alla normativa sul reddito di cittadinanza.

Chi rientra nello stato di famiglia?

Nello stato di famiglia, che è un certificato che rilascia il Comune, rientrano tutti i componenti della famiglia anagrafica: la famiglia anagrafica è un insieme di persone, conviventi, legate da un vincolo di matrimonio, di parentela, di affinità, di tutela o semplicemente affettivo.

Il reddito di cittadinanza considera lo stato di famiglia?

Ai fini del reddito di cittadinanza non si considera il nucleo familiare quale appare dallo stato di famiglia, ma si ha riguardo alla composizione del nucleo familiare ai fini della dichiarazione Isee. Da questa dichiarazione si ricavano gli indicatori della situazione economica, reddituale e patrimoniale della famiglia.

Chi è nel nucleo familiare Isee?

Il nucleo familiare ai fini Isee solitamente coincide col nucleo che figura nello stato di famiglia, ad eccezione di particolari situazioni:

  • i genitori conviventi e non sposati si considerano parte di un unico nucleo familiare; il genitore dichiarante deve indicare il convivente nell’Isee come “altra persona nel nucleo”;
  • i genitori non sposati né conviventi non fanno parte della stessa famiglia anagrafica, ma il genitore che non convive deve essere inserito nello stesso nucleo ai fini Isee a meno che:
    • risulti sposato con una persona diversa dall’altro genitore;
    • risulti avere figli con una persona diversa dall’altro genitore;
    • sia obbligato, con provvedimento dell’autorità giudiziaria, al versamento di assegni periodici destinati al mantenimento dei figli;
    • sia stato escluso dalla potestà sui figli o sia stato allontanato dalla residenza familiare;
    • sia stato accertato, in sede giurisdizionale o dalla pubblica autorità competente in materia di servizi sociali, estraneo in termini di rapporti affettivi ed economici;
    • se il genitore non convivente è sposato o ha figli con un’altra persona è considerato nell’Isee del nucleo come componente aggiuntiva;
  • i coniugi che vivono in una diversa residenza non fanno parte della stessa famiglia anagrafica, ma sono comunque considerati facenti parte dello stesso nucleo; devono prendere, come riferimento per l’Isee, la famiglia anagrafica di uno dei due, di comune accordo, oppure l’ultima residenza avuta in comune;
  • i coniugi separati ma conviventi si considerano parte di un unico nucleo familiare;
  • i coniugi separati e non conviventi, se separati legalmente e non di fatto, non fanno più parte dello stesso nucleo;
  • i figli che convivono con i nonni, se sono fiscalmente a carico dei genitori, fanno parte del nucleo dei genitori; se non a carico del padre o della madre, entrano nel nucleo familiare dei nonni;
  • il figlio maggiorenne non convivente con i genitori e a loro carico ai fini Irpef, nel caso non sia coniugato e non abbia figli, fa parte del nucleo familiare dei genitori; nel caso i genitori appartengano a nuclei familiari distinti, il figlio maggiorenne, se a carico di entrambi, fa parte del nucleo familiare di uno dei genitori, da lui identificato.

Chi è nel nucleo familiare per il reddito di cittadinanza?

Il decreto sul reddito di cittadinanza chiarisce che, ai fini del sussidio, la composizione del nucleo familiare è la stessa valida ai fini Isee, ma modifica parzialmente alcune regole, includendo dei componenti ed escludendone altri.

Nuovo nucleo familiare Isee

Nello specifico, a partire dall’entrata in vigore del decreto in materia di reddito di cittadinanza e di pensioni [1]:

  • i coniugi restano nello stesso nucleo ai fini Isee anche a seguito di separazione e divorzio, se risiedono nella stessa abitazione;
  • il figlio maggiorenne non convivente con i genitori fa parte del nucleo familiare Isee dei genitori esclusivamente quando è di età inferiore a 26 anni, è nella condizione di essere a loro carico a fini Irpef, non è coniugato e non ha figli.

Come uscire dal nucleo familiare per ottenere il reddito?

Nella generalità dei casi, per uscire dal nucleo familiare ai fini Isee, quindi anche ai fini del reddito di cittadinanza, è sufficiente cambiare residenza.

Cambiare indirizzo non basta, però, quando si rientra nelle ipotesi particolari in cui si considerano facenti parte dello stesso nucleo anche persone con residenza diversa.

Ad ogni modo, si può uscire dal nucleo familiare quando la residenza è la stessa?

Si possono ottenere due stati di famiglia con la stessa residenza?

Ottenere due stati di famiglia differenti, se si convive, è possibile quando non esistono vincoli di parentela, di affinità, di matrimonio, di tutela o affettivi, ad esempio tra semplici coinquilini.

Ma che fare quando questi vincoli esistono e si convive? Ad esempio, se a convivere sono i genitori, assieme alla figlia ed al coniuge di quest’ultima, si possono ottenere due famiglie anagrafiche?

L’unico modo di ottenere due famiglie anagrafiche è ottenere due residenze differenti, o meglio figurare residenti in due differenti unità immobiliari. Bisogna dunque frazionare l’immobile.

Attenzione, però: frazionare l’immobile non è una passeggiata, e non sempre è consentito. A titolo esemplificativo, bisogna presentare al Comune la Cila o la Scia, presentare l’aggiornamento catastale, richiedere l’autorizzazione al condominio, effettuare nuovi allacci gas ed elettricità…Inoltre, sono stati previsti nuovi controlli “anti-furbetti”, per portare alla luce tutte quelle situazioni in cui si fanno “carte false” per ottenere stati di famiglia separati.

Non dimentichiamo che la punizione è molto severa, per chi ottiene il reddito di cittadinanza in modo “truffaldino”: si rischiano sino a 6 anni di carcere.


Reddito di cittadinanza: chi è nel nucleo familiare?

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Famiglia anagrafica, stato di famiglia, nucleo familiare ai fini Isee: chi sono i familiari ai fini del reddito di cittadinanza?

Il reddito di cittadinanza è un sussidio riconosciuto sulla base del reddito e del patrimonio familiare, cioè delle entrate e dei beni posseduti da ogni componente della famiglia. Inoltre, la prestazione è incrementata dello 0,2 per ogni familiare minorenne, e dello 0,4 per ogni componente maggiorenne della famiglia.

A questo proposito, è bene sapere che non esiste un concetto univoco di famiglia secondo la legge, ma questo varia a seconda della situazione considerata: ad esempio, il nucleo familiare considerato ai fini della dichiarazione Isee ha una composizione differente rispetto al nucleo familiare considerato ai fini degli assegni familiari.

Ma ai fini del reddito di cittadinanza chi è nel nucleo familiare? Il decreto in materia chiarisce che nel nucleo familiare ai fini del reddito di cittadinanza sono considerati gli stessi componenti che devono essere inclusi nella dichiarazione Isee (o Dsu: da questa dichiarazione si possono ricavare gli indicatori della situazione economica, reddituale e patrimoniale della famiglia): peraltro, lo stesso decreto ha modificato la composizione del nucleo familiare ai fini Isee.

Vediamo allora, dopo aver chiarito che cosa si intende per famiglia anagrafica e nucleo familiare ai fini Isee, chi è considerato parte del nucleo familiare ai fini del reddito di cittadinanza.

Stato di famiglia e famiglia anagrafica

La famiglia anagrafica è un insieme di persone, conviventi, legate da un vincolo di matrimonio, di parentela, di affinità, di tutela o semplicemente affettivo.

Nello stato di famiglia, che è un certificato che rilascia il Comune, compaiono tutti i componenti della famiglia anagrafica.

È possibile avere due stati di famiglia nella stessa abitazione? Sì, quando non esiste nessuno dei vincoli elencati tra persone conviventi: è il caso, ad esempio, dei coinquilini. In quest’ipotesi, è dunque possibile ottenere due stati di famiglia nella stessa dimora, semplicemente dichiarandolo in Comune.

Nucleo familiare Isee

Ai fini della dichiarazione Isee non sempre la composizione del nucleo familiare coincide con la famiglia anagrafica. Normalmente, per la dichiarazione Isee la famiglia è considerata composta dal dichiarante, dai componenti della famiglia anagrafica e dai soggetti fiscalmente a carico, anche se non conviventi.

Le situazioni che possono verificarsi, comunque, sono diverse; riportiamo qui le più comuni:

  • genitori conviventi e non sposati: in questo caso, si considerano parte di un unico nucleo familiare; il genitore dichiarante deve indicare il convivente nell’Isee come “altra persona nel nucleo”;
  • genitori non sposati né conviventi: in questo caso, pur non facendo parte della stessa famiglia anagrafica, il genitore che non convive deve essere inserito nello stesso nucleo ai fini Isee, a meno che:
    • risulti sposato con una persona diversa dall’altro genitore;
    • risulti avere figli con una persona diversa dall’altro genitore;
    • sia obbligato, con provvedimento dell’autorità giudiziaria, al versamento di assegni periodici destinati al mantenimento dei figli;
    • sia stato escluso dalla potestà sui figli o sia stato allontanato dalla residenza familiare;
    • sia stato accertato, in sede giurisdizionale o dalla pubblica autorità competente in materia di servizi sociali, estraneo in termini di rapporti affettivi ed economici;
    • se il genitore non convivente è sposato o ha figli con un’altra persona (avendo quindi formato un altro nucleo familiare), bisogna presentare un modulo particolare nella dichiarazione Dsu, l’Isee minorenni, che tiene conto della sua situazione economica, considerando, però, la scala di equivalenza dell’altro nucleo, integrando l’Isee del nucleo del figlio minorenne con una componente aggiuntiva; nelle altre ipotesi, il genitore non rientra nella famiglia del figlio e quindi non rientra nel calcolo dell’Isee minorenni, pertanto basta presentare l’Isee ordinario;
  • coniugi che vivono in una diversa residenza: marito e moglie sono comunque considerati facenti parte dello stesso nucleo, anche se risultano in una diversa famiglia anagrafica, poiché non risiedono nello stesso posto; devono prendere, come riferimento per l’Isee, la famiglia anagrafica di uno dei due, di comune accordo, oppure l’ultima residenza avuta in comune;
  • coniugi separati ma conviventi: valgono le stesse regole dei conviventi non sposati;
  • coniugi separati e non conviventi: se separati legalmente, e non di fatto, marito e moglie non fanno più parte dello stesso nucleo.
  • figli che convivono con i nonni: se sono fiscalmente a carico dei genitori, i figli faranno parte del nucleo dei genitori; se non a carico del padre o della madre, entrano nel nucleo familiare dei nonni;
  • figli maggiorenni non conviventi con i genitori e a loro carico ai fini Irpef: se non sono coniugati e non hanno figli, fanno parte del nucleo familiare dei genitori; nel caso i genitori appartengano a nuclei familiari distinti, i figli maggiorenni, se a carico di entrambi, fanno parte del nucleo familiare di uno dei genitori, a loro scelta.

Nucleo familiare per il reddito di cittadinanza

Ai fini del reddito di cittadinanza, deve essere considerata la composizione del nucleo familiare valida ai fini Isee.

Il decreto sul reddito di cittadinanza [1] ha però modificato parzialmente alcune regole, includendo nel nucleo Isee dei componenti ed escludendone altri.

Nuovo nucleo familiare Isee

In base alle nuove regole:

  • i coniugi separati o divorziati fanno parte dello stesso nucleo familiare Isee, qualora continuino a risiedere nella stessa abitazione;
  • il figlio maggiorenne non convivente con i genitori fa parte del nucleo familiare dei genitori esclusivamente quando è di età inferiore a 26 anni, è nella condizione di essere a loro carico a fini Irpef, non è coniugato e non ha figli.

Quando un figlio è a carico ai fini Irpef?

Un figlio è considerato fiscalmente a carico (ai fini Irpef, cioè ai fini dell’imposta sul reddito delle persone fisiche) se il suo reddito:

  • non supera 2.840,51 euro annui, se la sua età è superiore a 24 anni;
  • non supera 4mila euro annui, se la sua età non è superiore a 24 anni.

Per approfondire: Figli a carico 2019.

Nucleo familiare: nuove regole

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Cambia la composizione del nucleo familiare ai fini Isee e del reddito di cittadinanza: le nuove regole.

Quali sono i componenti del nucleo familiare? I figli mantenuti dai genitori fanno parte del nucleo anche se non sono conviventi? Ed i coniugi separati? I genitori non conviventi? Due coinquilini non aventi nessun legame fanno parte della stessa famiglia anagrafica?

In merito ai componenti del nucleo familiare, le situazioni particolari che possono verificarsi sono davvero numerose. Bisogna tener presente, però, che la composizione del nucleo familiare non è unica, ma varia a seconda della normativa di riferimento: un conto, difatti, sono i componenti della famiglia anagrafica, un conto i componenti della famiglia ai fini della dichiarazione Isee. L’introduzione del reddito di cittadinanza, poi, ha cambiato, in parte, la composizione del nucleo familiare ai fini Isee, per quanto riguarda i coniugi separati, divorziati ed i figli maggiorenni non conviventi.

Facciamo allora il punto sulla composizione del nucleo familiare: nuove regole per il reddito di cittadinanza, chi fa parte della famiglia anagrafica, chi fa parte della famiglia per la dichiarazione Isee.

Chi fa parte della famiglia anagrafica?

Per capire chi fa parte del nucleo familiare con le nuove regole del reddito di cittadinanza, bisogna prima capire chi sono i componenti della famiglia anagrafica.

La famiglia anagrafica è un insieme di persone, conviventi, legate da un vincolo di matrimonio, di parentela, di affinità, di tutela o semplicemente affettivo.

Quindi, in parole semplici, per far parte della famiglia anagrafica bisogna essere:

  • conviventi;
  • legati da un vincolo familiare o affettivo.

Nello stato di famiglia, che è un certificato che rilascia il Comune, compaiono tutti i componenti della famiglia anagrafica.

Posso togliere il coinquilino dalla famiglia anagrafica?

Nella stessa abitazione è possibile avere due stati di famiglia, quando non esiste nessuno dei vincoli elencati tra le persone conviventi: è il caso, ad esempio, dei coinquilini. In quest’ipotesi, è dunque possibile ottenere due stati di famiglia nella stessa dimora, semplicemente dichiarandolo in Comune.

Chi fa parte del nucleo familiare Isee?

La  dichiarazione Isee è un documento nel quale sono indicati redditi e patrimonio di tutti i componenti della famiglia, che serve per stabilire la situazione economica, reddituale e patrimoniale del nucleo: si tratta di una dichiarazione fondamentale per ricevere determinate agevolazioni e prestazioni, tra cui il reddito di cittadinanza.

Ma chi fa parte della famiglia Isee? Non sempre la composizione del nucleo familiare Isee coincide con quella della famiglia anagrafica. Normalmente, per la dichiarazione Isee la famiglia è considerata composta dal dichiarante, dai componenti della famiglia anagrafica e dai soggetti fiscalmente a carico, anche se non conviventi.

Le situazioni particolari che possono verificarsi, comunque, sono numerose; riportiamo qui le più comuni, assieme all’indicazione, per ogni situazione, dei familiari facenti parte del nucleo Isee:

  • genitori conviventi e non sposati: in questo caso, si considerano parte di un unico nucleo familiare ai fini Isee; il genitore dichiarante deve indicare il convivente nella dichiarazione Isee come “altra persona nel nucleo”;
  • genitori non sposati né conviventi: in questo caso, pur non facendo parte della stessa famiglia anagrafica, il genitore che non convive deve essere inserito nello stesso nucleo ai fini Isee, ad eccezione delle seguenti ipotesi:
    • risulta sposato con una persona diversa dall’altro genitore;
    • risulta avere figli con una persona diversa dall’altro genitore;
    • è obbligato, con provvedimento dell’autorità giudiziaria, al versamento di assegni periodici destinati al mantenimento dei figli;
    • è stato escluso dalla potestà sui figli o è stato allontanato dalla residenza familiare;
    • è stato accertato estraneo in termini di rapporti affettivi ed economici, in sede giurisdizionale o dalla pubblica autorità competente in materia di servizi sociali;
    • se il genitore del figlio minore non convivente è sposato o ha figli con un’altra persona (avendo quindi formato un altro nucleo familiare), bisogna presentare un modulo particolare nella dichiarazione Dsu, l’Isee minorenni, che tiene conto della sua situazione economica, considerando, però, la scala di equivalenza dell’altro nucleo, integrando l’Isee del nucleo del figlio minorenne con una componente aggiuntiva; nelle altre ipotesi, il genitore non rientra nella famiglia del figlio e quindi non rientra nel calcolo dell’Isee minorenni, pertanto basta presentare l’Isee ordinario;
  • coniugi che vivono in una diversa residenza: marito e moglie sono comunque considerati facenti parte dello stesso nucleo, anche se risultano in una diversa famiglia anagrafica, poiché non risiedono nello stesso posto; devono prendere, come riferimento per l’Isee, la famiglia anagrafica di uno dei due, di comune accordo, oppure l’ultima residenza avuta in comune;
  • coniugi separati ma conviventi: valgono le stesse regole dei conviventi non sposati;
  • coniugi separati e non conviventi: se separati legalmente, e non di fatto, marito e moglie non fanno più parte dello stesso nucleo.
  • figli che convivono con i nonni: se sono fiscalmente a carico dei genitori, i figli fanno parte del nucleo dei genitori; se non a carico del padre o della madre, entrano nel nucleo familiare dei nonni;
  • figli maggiorenni non conviventi con i genitori e a loro carico ai fini Irpef: se non sono coniugati e non hanno figli, fanno parte del nucleo familiare dei genitori; nel caso in cui i genitori appartengano a nuclei familiari distinti, il figlio maggiorenne, se a carico di entrambi, fa parte del nucleo familiare di uno dei genitori, da lui identificato.

Chi fa parte del nucleo familiare per il reddito di cittadinanza?

Ai fini del reddito di cittadinanza, la composizione del nucleo familiare è la stessa valida ai fini Isee.

Il decreto in materia di reddito di cittadinanza e pensioni, però, ha parzialmente modificato le regole che riguardano la composizione del nucleo familiare ai fini Isee.

Nucleo familiare Isee: nuove regole

In particolare, a partire dall’entrata in vigore del decreto [1], cioè dal 29 gennaio 2019, ai fini del reddito di cittadinanza e delle altre prestazioni agevolate:

  • i coniugi fanno parte dello stesso nucleo familiare anche a seguito di separazione o divorzio, qualora continuino a risiedere nella stessa abitazione;
  • il figlio maggiorenne non convivente con i genitori fa parte del nucleo familiare dei genitori esclusivamente quando è di età inferiore a 26 anni, è nella condizione di essere a loro carico a fini Irpef, non è coniugato e non ha figli.

Pensione di cittadinanza

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Pensione minima di cittadinanza da 780 euro al mese: che cos’è, come funziona, chi ne ha diritto, quali requisiti, come si richiede.

La nuova misura del reddito di cittadinanza  è dedicata a due diverse categorie di beneficiari: il sussidio riguarda, infatti, oltre alle persone in età lavorativa, tutti gli over 67 sotto la soglia di povertà. Chi ha computo 67 anni, grazie alla pensione di cittadinanza, può dunque ottenere un reddito sino a un massimo di 780 euro al mese (se single: il sussidio è incrementato per ogni componente del nucleo familiare).

A questo proposito, la nuova normativa specifica che, per i nuclei familiari composti esclusivamente da una o più persone di età pari o superiore a 67 anni, il reddito di cittadinanza assume la denominazione di pensione di cittadinanza, quale misura di contrasto alla povertà delle persone anziane. I requisiti per l’accesso e le regole di
definizione del beneficio economico sono le medesime del reddito di cittadinanza, salvo dove diversamente specificato.

La pensione ed il reddito di cittadinanza inizieranno a essere liquidati dal 27 aprile 2019, in base a quanto reso noto sinora.

Il riconoscimento dell’assegno di cittadinanza in ritardo è dovuto alla necessaria riforma dei centri per l’impiego, che richiederà alcuni mesi di tempo. Senza la riforma dei centri per l’impiego, riconoscere il reddito di cittadinanza non sarebbe possibile, in quanto il sussidio è subordinato all’adesione, da parte dei beneficiari, a misure di politica attiva del lavoro. I disoccupati, in pratica, dovranno impegnarsi, supportati dai centri per l’impiego riformati, nella ricerca attiva di lavoro, nella frequenza di corsi di formazione e dovranno lavorare per 8 ore alla settimana a favore del Comune di residenza.

Quest’impegno non è invece richiesto per la pensione di cittadinanza, in quanto la misura interessa i soli pensionati, non più in età lavorativa. La pensione di cittadinanza permetterà dunque di superare sia l’integrazione al trattamento minimo, che dal 2019 ammonta a 513 euro al mese, che le maggiorazioni sulla pensione, come la maggiorazione sociale e l’incremento al milione: considerando che ad oggi la pensione minima, comprensiva di integrazione al trattamento minimo, maggiorazione sociale e incremento al milione, può arrivare a circa 650 euro mensili, la differenza con la pensione di cittadinanza non è enorme, ma diventa rilevante nel caso in cui nel nucleo familiare ci siano più componenti.

Non bisogna dimenticare, tra l’altro, che la pensione di cittadinanza sarà riconosciuta anche a quei pensionati ai quali ad oggi l’integrazione al minimo non spetta, come coloro il cui trattamento è calcolato col sistema contributivo. La misura, poi, sarà applicata sia a chi percepisce prestazioni previdenziali, come la pensione di vecchiaia o anticipata, che a coloro che hanno diritto alle prestazioni di assistenza, come l’assegno sociale.

Come previsto per il reddito di cittadinanza, anche la pensione di cittadinanza sarà erogata attraverso una carta acquisti. Inoltre, la prestazione sarà riconosciuta soltanto a coloro che rispetteranno i requisiti di reddito e patrimoniali previsti dalla normativa.

Ma procediamo per ordine e facciamo il punto sulla pensione di cittadinanza che diventerà operativa dal 2019.

Che cos’è la pensione di cittadinanza?

La pensione di cittadinanza, in base a quanto illustrato nel decreto in materia, consiste in una prestazione economica mensile, esentasse, accreditata a favore dei nuclei familiari composti esclusivamente da persone che hanno compiuto l’età pensionabile (dal 2019, pari a 67 anni), quale misura di contrasto alla povertà delle persone anziane.

In caso di nuclei già beneficiari del reddito di cittadinanza, la pensione di cittadinanza decorre dal mese successivo a quello del compimento del 67° anno del componente del nucleo più giovane.

È considerato al di sotto della soglia di povertà ai fini della pensione di cittadinanza chi possiede un reddito inferiore ai 780 euro mensili, in caso di nucleo familiare con un solo componente, con affitto o mutuo a carico: questa è la soglia di povertà definita da Eurostat nel 2014. Per i nuclei con più componenti, il reddito è maggiorato.

In parole semplici, la pensione di cittadinanza consiste in una sorta d’integrazione al minimo della pensione, non più pari a 507,42 euro mensili (513 euro dal 2019), più eventuali maggiorazioni, ma sino a 780 euro mensili. Un’integrazione al minimo universale, però, che spetterà non soltanto per le prestazioni di previdenza (pensione di vecchiaia, pensione anticipata, pensione di reversibilità…), ma anche per le prestazioni di assistenza (pensione d’invalidità civile, assegno sociale…).

A differenza dell’integrazione al minimo, però, per il diritto alla pensione di cittadinanza si deve far riferimento all’indicatore Isee, in pratica all’indice che “misura la ricchezza” delle famiglie, ed a numerosi requisiti patrimoniali, oltreché reddituali.

A quanto ammontano la pensione e il reddito di cittadinanza?

Il reddito e la pensione di cittadinanza ammonteranno sino a un massimo di 780 euro per ogni persona adulta e disoccupata senza alcun reddito; per chi ha un reddito sotto soglia, il reddito di cittadinanza integrerà gli importi percepiti sino ad arrivare a 780 euro al mese. Nello specifico, l’importo del reddito di cittadinanza è determinato da due quote:

  • la prima quota, a integrazione del reddito familiare, ammonta a una soglia massima pari a 6mila euro annui, 500 euro al mese (630 euro al mese, 7.560 euro annui nel caso di pensione di cittadinanza) per il singolo componente; in presenza di più componenti si può arrivare a massimo 12.600 euro, cioè a 1.050 euro al mese;
  • la seconda quota, a integrazione del reddito familiare, è riconosciuta ai nuclei che pagano l’affitto dell’abitazione, ed è pari al canone annuo previsto dal contratto di affitto, sino a un massimo di 3.360 euro, ossia di 280 euro al mese (150 euro al mese, 1.800 euro annui nel caso di pensione di cittadinanza);
  • la seconda quota è pari alla rata del mutuo, fino a un massimo di 150 euro al mese, 1.800 euro annui, nel caso di nuclei familiari residenti in abitazioni di proprietà per il cui acquisto o per la cui costruzione sia stato stipulato un contratto di mutuo da un componente della famiglia.

In ogni caso il beneficio economico:
• non può superare la soglia di 9.360 euro annui (780 euro al mese) nel caso di nucleo familiare con un solo componente,
ridotta del valore del reddito familiare; la misura massima in caso di più componenti può arrivare a 19.656 euro all’anno (1.638 euro al mese , anche se nel concreto non si superano i 1.300 euro circa);
• non può essere inferiore a 480 euro annui (40 euro al mese).

La pensione di cittadinanza del nucleo, così come il reddito di cittadinanza, aumenta dello 0,4 per ogni componente maggiorenne della famiglia, e dello 0,2 per ogni componente sotto i 18 anni.

Il reddito di cittadinanza e la pensione di cittadinanza saranno però ridotti, come osservato in rapporto alla seconda quota di sussidio, per chi è proprietario della prima casa e non paga l’affitto: la riduzione, in particolare, corrisponderà al cosiddetto affitto imputato ed ammonterà:

  • a 280 euro al mese per i beneficiari del reddito di cittadinanza;
  • a 150 euro al mese per chi percepisce la pensione di cittadinanza.

Chi paga l’affitto, invece, ha diritto a un incremento in misura corrispondente, entro il tetto di 780 euro al mese.

Anche chi paga il mutuo ha diritto a un incremento del reddito pari a 150 euro mensili, entro il tetto di reddito di 780 euro.

Il reddito di cittadinanza e la pensione di cittadinanza saranno esentasse e non pignorabili.

Chi ha diritto alla pensione di cittadinanza?

Potranno chiedere il reddito o la pensione di cittadinanza i cittadini maggiorenni che soddisfano una delle seguenti condizioni:

  • si trovano in stato di disoccupazione o risultano inoccupati (cioè hanno perso il posto o non hanno mai lavorato); coloro che hanno presentato le dimissioni sono esclusi dal reddito per un anno;
  • sono in possesso della cittadinanza italiana o di paesi facenti parte dell’Unione europea, o sono familiari di un titolare del diritto di soggiorno o del diritto di soggiorno permanente, o cittadini di Paesi terzi in possesso del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo;
  • sono residenti in Italia da almeno 10 anni, di cui gli ultimi due, considerati al momento della presentazione della domanda e per tutta la durata dell’erogazione del beneficio, in modo continuativo;
  • percepiscono un reddito di lavoro inferiore alla soglia di povertà, cioè sotto i 780 euro mensili;
  • percepiscono una pensione inferiore alla soglia di povertà, pari, come abbiamo detto, a 780 euro mensili;
  • possiedono un Isee del nucleo familiare inferiore a 9.360 euro;
  • possiedono un valore del reddito familiare inferiore a 6 mila euro, per il singolo componente, o a 7.560 euro, in caso di pensione di cittadinanza; l’importo è elevato sino a 9.360 euro per chi paga l’affitto ed è da adeguare col parametro della scala di equivalenza;
  • possiedono un valore immobiliare del nucleo, oltre all’abitazione principale, non superiore a 30mila euro;
  • possiedono un patrimonio mobiliare familiare (conti, carte prepagate, titoli, libretti, partecipazioni…) non superiore a 6mila euro; la soglia è incrementata di 2mila euro per ogni componente del nucleo familiare successivo al primo, fino ad un massimo di 10 mila euro, incrementati di ulteriori mille euro per ogni figlio successivo al secondo; i massimali sono ulteriormente incrementati di 5mila euro per ogni componente con disabilità, come definita a fini Isee, presente nel nucleo;
  • nessun componente del nucleo deve possedere autoveicoli immatricolati da meno di 6 mesi, o con cilindrata superiore a 1.600 cc e motoveicoli di cilindrata superiore a 250 cc, o immatricolati nei 2 anni precedenti, navi o imbarcazioni da diporto.

Risulta dunque indispensabile presentare la dichiarazione Isee per beneficiare del reddito o della pensione di cittadinanza.

Chi lavora o è disoccupato ha diritto alla pensione di cittadinanza?

Per quanto riguarda il reddito di cittadinanza,il decreto chiarisce che sarà compatibile con l’attività lavorativa: nello specifico, se il lavoratore ha un contratto part time, il suo salario sarà integrato, attraverso il reddito di cittadinanza, fino ad arrivare a 780 euro al mese.

Naspi e altre prestazioni collegate allo stato di disoccupazione saranno compatibili col reddito di cittadinanza sino al limite di 780 euro mensili.

Lo stesso accadrà per i pensionati che lavorano: si avrà diritto all’integrazione alla pensione minima di 780 euro soltanto se il reddito di pensione e il reddito di lavoro, sommati assieme, risulteranno inferiori a 780 euro mensili, e se non saranno superate le soglie Isee e patrimoniali previste.

Come funziona l’integrazione alla pensione minima?

Ad oggi, chi percepisce una pensione bassa ha diritto all’integrazione al trattamento minimo, pari a 513,01 euro mensili, se possiede determinati requisiti di reddito personale e familiare. Inoltre, può aver diritto alla maggiorazione sociale della pensione e all’incremento al milione, sino ad arrivare a una pensione minima di circa 650 euro mensili.

Con l’entrata in vigore della pensione di cittadinanza, l’integrazione del reddito arriverà sino a 780 euro mensili, ma non interverrà direttamente sulla pensione, in quanto il sussidio sarà erogato con carta acquisti.

Chi riceve sussidi ha diritto alla pensione di cittadinanza?

L’importo mensile della pensione di cittadinanza, come avviene ora per il reddito d’inclusione Rei, sarà ridotto in corrispondenza al valore mensile di eventuali prestazioni di assistenza di cui fruiscono uno o più componenti del nucleo familiare. In particolare, le prestazioni saranno compatibili con la pensione di cittadinanza sino al limite di 780 euro mensili per ogni familiare del nucleo.

Ciò vuol dire, ad esempio, che se si percepisce l’assegno sociale si ha diritto non alla pensione minima di 780 euro, ma a un’integrazione dell’assegno sociale, sino ad arrivare a 780 euro mensili, comprensivi dell’assegno stesso (che ammonta, nel 2019, a 457,99 euro). L’integrazione sarà più bassa se spettano anche le maggiorazioni sull’assegno sociale.

Nel dettaglio, il decreto prevede che ai fini del reddito di cittadinanza, il reddito familiare è determinato al netto dei trattamenti assistenziali eventualmente inclusi nell’Isee non più in godimento, ed include i trattamenti assistenziali in corso di godimento da parte dei componenti del nucleo familiare, fatta eccezione per le prestazioni non sottoposte alla
prova dei mezzi, come l’assegno di accompagnamento.

Nel valore dei trattamenti di assistenza non rilevano il pagamento di arretrati, le riduzioni nella compartecipazione al costo dei servizi e le esenzioni e agevolazioni per il pagamento di tributi, i rimborsi di spese sostenute, i buoni servizio o altri  titoli che svolgono la funzione di sostituzione di servizi. Non rileva il bonus bebè.

Per ottenere la pensione di cittadinanza si deve lavorare?

Per ottenere la pensione di cittadinanza non sarà necessario lavorare, in quanto il trattamento è rivolto agli over 67.

Il reddito di cittadinanza, invece, obbligherà il beneficiario non solo a cercare assiduamente un lavoro ed a riqualificarsi, ma anche ad offrire 8 ore alla settimana di lavoro gratuito per il proprio Comune di residenza.

Chi si rifiuterà di lavorare perderà il sussidio.

Per quanto riguarda, poi, la partecipazione alle iniziative di politica attiva del lavoro previste per il beneficiario del reddito, sarà obbligatorio:

  • iscriversi presso i centri per l’impiego e offrire subito la disponibilità al lavoro;
  • iniziare un percorso per essere accompagnati nella ricerca del lavoro dimostrando la reale volontà di trovare un impiego;
  • offrire la propria disponibilità per progetti comunali utili alla collettività (come abbiamo osservato, l’impegno lavorativo richiesto è di 8 ore settimanali);
  • frequentare percorsi per la qualifica o la riqualificazione professionale;
  • effettuare ricerca attiva del lavoro per almeno 2 ore al giorno;
  • comunicare tempestivamente qualsiasi variazione del reddito;
  • accettare uno dei primi tre lavori che verranno offerti, o il primo lavoro, se si percepisce il sussidio da almeno 12 mesi.

Chi ha un lavoro a tempo pieno, ma è sottopagato, avrà comunque diritto all’integrazione del reddito, senza bisogno di partecipare alle iniziative di politica attiva del lavoro.

Che cosa succede alla pensione di cittadinanza per chi rifiuta un lavoro?

Come abbiamo osservato, i pensionati avranno diritto alla pensione minima di cittadinanza senza alcun obbligo di cercare assiduamente lavoro e di partecipare alle iniziative del centro per l’impiego.

L’interessato che percepisce il reddito di cittadinanza, invece, oltre agli obblighi descritti, potrà rifiutare al massimo tre proposte lavorative nell’arco del periodo di godimento del reddito. Se percepisce il sussidio da almeno 12 mesi, deve accettare la prima offerta di lavoro congrua. Avrà anche la possibilità di recedere dall’impiego per due volte nel periodo di godimento. Superati questi limiti, perderà il sussidio.

Come si chiede la pensione di cittadinanza?

La pensione di cittadinanza ed il reddito di cittadinanza potranno essere richiesti attraverso il nuovo sito del reddito di cittadinanza (per accedere, è necessario possedere l’identità digitale Spid), attraverso le Poste, oppure rivolgendosi a un Caf convenzionato.

Sarà anche possibile presentare la richiesta del reddito e della pensione di cittadinanza, in futuro, assieme alla dichiarazione Isee.

Reddito di cittadinanza: come calcolare il valore degli immobili

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Come si calcola il valore degli immobili ai fini Isee: verifica dei requisiti per il reddito di cittadinanza.

Possedere una seconda casa sta ormai diventando più in una iattura che un beneficio: non solo perché le imposte (Imu, Tasi, Tari) sono sempre più elevate, ma soprattutto perché vengono precluse molte agevolazioni, come il diritto di percepire il reddito di cittadinanza.

Il sussidio, difatti, è negato alle famiglie che possiedono, oltre all’abitazione principale, altri immobili per un valore superiore a 30mila euro. Questo, anche se gli immobili, di fatto, sono improduttivi, disabitati e non sono affittati a nessuno.

La rendita catastale bassa non deve ingannare: può bastare che uno dei componenti della famiglia possieda un’abitazione con una rendita catastale pari a 180 euro, per superare la soglia limite che dà diritto al reddito di cittadinanza. Si supera il limite anche con due garage (o cantine, box, tettoie…) aventi una rendita pari a 90 euro ciascuno.

La soglia di 30mila euro non si riferisce infatti alle rendite catastali, ma al valore di tutti gli immobili, esclusa l’abitazione principale, posseduti dai componenti del nucleo familiare.

Ma ai fini del reddito di cittadinanza, come calcolare il valore degli immobili?

Valore dell’immobile ai fini del reddito di cittadinanza

Il decreto sul reddito di cittadinanza [1] dispone che, per il diritto al sussidio, il valore del patrimonio immobiliare, diverso dalla casa di abitazione, non deve superare la soglia di 30mila euro.

Il valore del patrimonio immobiliare a cui riferirsi è quello utilizzato nella dichiarazione Isee.

Ma come si calcola il valore di un immobile ai fini Isee, quindi anche ai fini del reddito di cittadinanza?

Come abbiamo osservato, il valore dell’immobile non coincide con la sua rendita catastale: questa, però, è il punto di partenza per il calcolo del valore del patrimonio immobiliare ai fini Isee.

Come calcolare il valore dell’immobile

Ecco come si calcola il valore di un immobile ai fini Isee: questo valore coincide anche con la base imponibile Imu e Tasi.

Nello specifico, si deve applicare una formula di calcolo che cambia a seconda della tipologia d’immobile (abitazioni, capannoni, negozi, etc.).

Tipologia immobile Categoria catastale Calcolo base imponibile
Abitazioni: garage, box, depositi, tettoie A/1 A/2 A/3 A/4 A/5 A/6 A/7 A/8 A/9 C/2 C/6 C/7 Rendita Catastale x 1,05 x 160
Uffici A/10 Rendita Catastale x 1,05 x 80
Negozi C/1 Rendita Catastale x 1,05 x 55
Laboratori artigianali,stabilimenti balneari, palestre C/3 C/4 C/5 Rendita Catastale x 1,05 x 140
Scuole, collegi, ospedali, caserme B/1 B/2 B/3 B/4 B/5 B/6 B/7 B/8 Rendita Catastale x 1,05 x 140
Capannoni industriali,
fabbriche, alberghi, centri commerciali
D/1 D/2 D/3 D/4 D/6 D/7 D/8
D/9 D/10
Rendita Catastale x 1,05 x 65
Terreni agricoli Rendita Dominicale x 1,25 x 135
Terreni edificabili Valore venale

Reddito di cittadinanza: esempio di calcolo valore immobile

Una volta osservate le formule di calcolo del valore degli immobili, basta fare due conti per capire se si è o meno esclusi dal reddito di cittadinanza.

Ad esempio, se si possiede, oltre all’abitazione principale, una seconda casa con una rendita catastale pari a 200 euro, il suo valore ai fini Imu, Isee e reddito di cittadinanza è pari a 200 x 1,05 x 160, ossia a 33.600 euro. Tanto basta per essere tagliati fuori dalla misura.

Lo stesso vale per chi possiede, ad esempio, un box e una cantina, ciascuno con una rendita pari a 90 euro, in quanto il valore complessivo degli immobili è pari a 30.240 euro (90 x 1,05 x 160 x 2).

Insomma, può bastare un immobile anche non di grande valore, oltre all’abitazione principale, per perdere il sussidio, assieme ad ulteriori agevolazioni.

Requisiti per il reddito di cittadinanza

Non bisogna dimenticare, comunque, che ai fini del reddito di cittadinanza sono previsti tanti altri requisiti, oltre al valore massimo del patrimonio immobiliare del nucleo familiare.

Nello specifico, possono chiedere il reddito di cittadinanza i cittadini maggiorenni che soddisfano le seguenti condizioni:

  • si trovano in stato di disoccupazione o risultano inoccupati (cioè hanno perso il posto o non hanno mai lavorato); coloro che hanno presentato le dimissioni sono esclusi dal reddito per un anno, così come i detenuti ed i ricoverati in una struttura a carico dello Stato;
  • sono in possesso della cittadinanza italiana o di paesi facenti parte dell’Unione europea, o sono familiari di un titolare del diritto di soggiorno o del diritto di soggiorno permanente, o cittadini di Paesi terzi in possesso del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo;
  • sono residenti in Italia da almeno 10 anni, di cui gli ultimi due, considerati al momento della presentazione della domanda e per tutta la durata dell’erogazione del beneficio, in modo continuativo;
  • percepiscono un reddito di lavoro inferiore alla soglia di povertà, cioè sotto i 780 euro mensili;
  • percepiscono una pensione inferiore alla soglia di povertà, pari, come abbiamo detto, a 780 euro mensili;
  • possiedono un Isee del nucleo familiare inferiore a 9.360 euro;
  • possiedono un valore del reddito familiare inferiore a 6 mila euro, per il singolo componente, o a 7.560 euro, in caso di pensione di cittadinanza; l’importo è elevato sino a 9.360 euro per chi paga l’affitto ed è da adeguare col parametro della scala di equivalenza;
  • possiedono, come osservato, un valore del patrimonio immobiliare familiare, esclusa la casa di abitazione, inferiore a 30mila euro;
  • possiedono un patrimonio mobiliare familiare (conti, carte prepagate, titoli, libretti, partecipazioni…) non superiore a 6mila euro; la soglia è incrementata di 2mila euro per ogni componente del nucleo familiare successivo al primo, fino ad un massimo di 10 mila euro, incrementati di ulteriori mille euro per ogni figlio successivo al secondo; i  massimali sono ulteriormente incrementati di 5mila euro per ogni componente con disabilità, come definita a fini Isee, presente nel nucleo;
  • nessun componente del nucleo deve possedere autoveicoli immatricolati da meno di 6 mesi, o con cilindrata superiore a 1.600 cc e motoveicoli di cilindrata superiore a 250 cc, immatricolati nei 2 anni precedenti, navi o imbarcazioni da diporto; sono esclusi i veicoli per disabili;
  • possiedono una dichiarazione Isee in corso di validità.

Integrazione della pensione 2019

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Come aumentano le pensioni basse nel 2019: integrazione al minimo, maggiorazione sociale, incremento al milione, reddito di cittadinanza.

Hai una pensione bassa e non hai altri redditi? Forse non sai che puoi aver diritto a delle prestazioni, da parte dell’Inps, che possono aumentare notevolmente il tuo assegno mensile.

L’integrazione al trattamento minimo, ad esempio, ti permette di ottenere una pensione pari a 513,01 euro mensili. Se, poi, oltre all’integrazione al minimo hai diritto anche alla maggiorazione sociale e all’incremento al milione, a determinate condizioni la tua pensione può arrivare sino a 650 euro al mese.

Sei in affitto, oppure paghi il mutuo? Grazie alla pensione di cittadinanza, il tuo reddito mensile può arrivare a 780 euro, ed è incrementato del 40% per ogni componente adulto della tua famiglia, e del 20% per ogni tuo familiare minorenne.

Per ottenere l’integrazione al minimo, la maggiorazione sociale e l’incremento al milione, tu ed il tuo eventuale coniuge dovete possedere determinati requisiti di reddito. Per ottenere il reddito di cittadinanza (il sussidio spettante è la pensione di cittadinanza, se tu ed i tuoi familiari avete tutti almeno 67 anni), invece, sono richiesti, con riferimento all’intero nucleo familiare, anche specifici requisiti patrimoniali oltreché i requisiti di reddito.

Facciamo allora il punto sull’integrazione della pensione 2019: trattamento minimo, maggiorazione sociale, incremento al milione, pensione di cittadinanza.

Integrazione al trattamento minimo 2019

Se l’importo mensile della pensione è inferiore a 513,03 euro lordi, si ha diritto alla cosiddetta integrazione al trattamento minimo (a meno che la pensione non sia calcolata col sistema interamente contributivo). Con l’integrazione al trattamento minimo, in pratica, la prestazione è integrata sino a 513,03 euro, se si rispettano determinati limiti di reddito.

Chi non è sposato, o risulta legalmente separato o divorziato, ha diritto all’integrazione al minimo, per l’anno 2019:

  • in misura piena, se possiede un reddito annuo non superiore a 6.669,13 euro, cioè al trattamento minimo;
  • in misura parziale, se possiede un reddito annuo superiore a 6.669,13 euro, sino a 13.338,26 euro (cioè sino a due volte il trattamento minimo annuo).

Se il reddito supera la soglia di 13.338,26 euro, non si ha diritto ad alcuna integrazione.

Se il pensionato risulta sposato si applicano dei limiti di reddito più alti, ai fini dell’integrazione al minimo, ma bisogna considerare anche il reddito del coniuge. In particolare, si ha diritto all’integrazione, per l’anno 2019:

  • piena, se il reddito annuo complessivo proprio e del coniuge non supera 20.007,39 euro ed il reddito del pensionato non supera i 6.669,13 euro;
  • parziale, se il reddito annuo complessivo proprio e del coniuge supera i 20.007,39 euro, ma non supera i 26.676,52 euro (cioè sino a quattro volte il trattamento minimo annuo) ed il reddito del pensionato non supera i 13.338,26 euro (deve essere applicato un doppio confronto, tra limite di reddito personale e della coppia: l’integrazione applicata è pari all’importo minore risultante dal doppio confronto).

Se il reddito personale e del coniuge supera i 26.676,52 euro, o se il solo reddito personale supera la soglia di 13.338,26 euro, non si ha diritto ad alcuna integrazione.

Maggiorazione sociale 2019

Chi ha diritto all’integrazione al minimo può avere anche diritto alla maggiorazione sociale sulla pensione, ed eventualmente all’incremento al milione, rispettando determinati limiti di reddito. La pensione, con queste ulteriori integrazioni, può arrivare ad un massimo di circa 650 euro mensili.

Nello specifico, i limiti di reddito per la maggiorazione sociale base si calcolano in questo modo:

  • per il pensionato non sposato: il reddito annuo non deve risultare superiore alla somma del trattamento minimo annuo (513,01 euro per 13 mensilità) e dell’ammontare annuo della maggiorazione sociale prevista in relazione all’età del pensionato (per l’anno 2018, 25,83 euro al mese per coloro che hanno dai 60 ai 64 anni; 82,64 euro per chi ha un’età che si colloca tra i 65 e i 69 anni);
  • per il pensionato coniugato: l’interessato non deve possedere redditi propri per un importo pari o superiore a quello di cui al punto precedente, né redditi, cumulati con quelli del coniuge, per un importo pari o superiore al limite costituito dalla somma dell’ammontare annuo della pensione al minimo, della maggiorazione sociale e dell’ammontare annuo dell’assegno sociale (547,99 euro mensili per 13 mensilità, per l’anno 2019).

Se il reddito è inferiore al limite stabilito, la maggiorazione è ridotta, fino a concorrenza della soglia limite.

In caso di coppia di coniugi, la maggiorazione viene corrisposta nella misura minore necessaria per integrare il limite personale o il limite coniugale. Nel reddito personale ed in quello della coppia va considerato anche l’importo della pensione su cui deve essere attribuita la maggiorazione.

Incremento al milione 2019

Per quanto riguarda l’incremento della maggiorazione, o incremento al milione, il beneficio consente di raggiungere una pensione massima, per l’anno 2019, di 649,45 euro al mese, con un incremento della maggiorazione pari a 363,79 euro.

Nel dettaglio, hanno diritto all’incremento al milione:

  • i pensionati di età pari o superiore ai 70 anni; il limite è ridotto nella misura di un anno ogni 5 anni di contribuzione versata, o frazione pari o superiore a 2 anni e mezzo, fino ad arrivare a 65 anni; è considerata tutta la contribuzione (obbligatoria, figurativa, volontaria e da riscatto) fatta valere dall’interessato relativamente alla pensione su cui spetta il beneficio; ad esempio, chi ha 15 anni di contributi può percepire l’incremento al milione a 67 anni, sussistendo i requisiti di reddito;
  • i pensionati di età pari o superiore ai 60 anni che siano invalidi civili totali, sordomuti o ciechi civili assoluti, titolari della relativa pensione o che siano titolari di pensione di inabilità.

Per ottenere l’incremento è necessario non superare determinati limiti di reddito annuo, personale e cumulato con quello del coniuge. In particolare, l’incremento della maggiorazione sociale è concesso alle seguenti condizioni:

  • il pensionato single non deve possedere redditi propri su base annua pari o superiori a 8.370,18 euro (limite 2018; per il 2019 l’importo dovrebbe essere pari a 8.442,18, ma deve essere confermato dall’Inps);
  • il pensionato coniugato, non effettivamente e legalmente separato, non deve possedere redditi propri superiori a 8.370,18 euro, né redditi, cumulati con quelli del coniuge, per un importo pari o superiore all’importo annuo di 14.259,18 euro (valori validi per il 2018).

Se non si supera alcuno dei due limiti di reddito indicati, l’incremento è concesso in misura tale da non superare le soglie.

Integrazione con pensione di cittadinanza 2019

La pensione può essere anche integrata dal reddito di cittadinanza, o dalla pensione di cittadinanza, nel caso in cui tutti i componenti del nucleo abbiano almeno 67 anni.

Per quanto riguarda la pensione di cittadinanza, la quota base (la sola spettante a chi non paga affitto o mutuo) è pari a 630 euro al mese, e deve essere moltiplicata per la scala di equivalenza (che varia al variare dei componenti del nucleo familiare, ma non può superare 2,1).

Quindi, la quota base della pensione di cittadinanza può arrivare a un massimo di 1.323 euro mensili

Con la quota aggiuntiva, pari a un massimo di 150 euro, che spetta a chi paga il mutuo o l’affitto, il reddito del singolo può arrivare sino a 780 euro al mese, ed il reddito massimo spettante a un nucleo con più componenti può arrivare a 1.473 euro al mese (1323 euro più 150).

Integrazione con reddito di cittadinanza 2019

Per quanto riguarda il reddito di cittadinanza, la quota base (la sola spettante a chi non paga affitto o mutuo) è pari a 500 euro al mese, e deve essere moltiplicata per la scala di equivalenza (che varia al variare dei componenti del nucleo familiare, ma non può superare 2,1).

Quindi, la quota base della pensione di cittadinanza può arrivare a un massimo di 1.050 euro mensili

Con la quota aggiuntiva, pari a un massimo di 280 euro, che spetta a chi paga l’affitto, il reddito del singolo può arrivare sino a 780 euro al mese, ed il reddito massimo spettante a un nucleo con più componenti può arrivare a 1.330 euro al mese (1050 euro più 280).

Requisiti reddito di cittadinanza

Tuttavia, per il diritto alla pensione di cittadinanza ed al reddito di cittadinanza è necessario rispettare anche determinati requisiti.

Nello specifico, possono chiedere il reddito di cittadinanza e la pensione di cittadinanza i cittadini maggiorenni che soddisfano le seguenti condizioni:

  • si trovano in stato di disoccupazione o risultano inoccupati (cioè hanno perso il posto o non hanno mai lavorato); se beneficiari di pensione di cittadinanza, studenti o lavoratori, il requisito non è richiesto; coloro che hanno presentato le dimissioni sono esclusi dal reddito per un anno, così come i detenuti ed i ricoverati in una struttura a carico dello Stato;
  • sono in possesso della cittadinanza italiana o di paesi facenti parte dell’Unione europea, o sono familiari di un titolare del diritto di soggiorno o del diritto di soggiorno permanente, o cittadini di Paesi terzi in possesso del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo;
  • sono residenti in Italia da almeno 10 anni, di cui gli ultimi due, considerati al momento della presentazione della domanda e per tutta la durata dell’erogazione del beneficio, in modo continuativo;
  • percepiscono un reddito di lavoro inferiore alla soglia di povertà, cioè sotto i 780 euro mensili;
  • percepiscono una pensione inferiore alla soglia di povertà, pari, come abbiamo detto, a 780 euro mensili;
  • possiedono un Isee del nucleo familiare inferiore a 9.360 euro;
  • possiedono un valore del reddito familiare inferiore a 6 mila euro, per il singolo componente, o a 7.560 euro, in caso di pensione di cittadinanza; l’importo è elevato sino a 9.360 euro per chi paga l’affitto ed è da adeguare col parametro della scala di equivalenza;
  • possiedono immobili, oltre alla prima casa, per un valore inferiore a 30mila euro;
  • possiedono un patrimonio mobiliare familiare (conti, carte prepagate, titoli, libretti, partecipazioni…) non superiore a 6mila euro; la soglia è incrementata di 2mila euro per ogni componente del nucleo familiare successivo al primo, fino ad un massimo di 10 mila euro, incrementati di ulteriori mille euro per ogni figlio successivo al secondo; i massimali sono ulteriormente incrementati di 5mila euro per ogni componente con disabilità, come definita a fini Isee, presente nel nucleo;
  • nessun componente del nucleo deve possedere autoveicoli immatricolati da meno di 6 mesi, o con cilindrata superiore a 1.600 cc e motoveicoli di cilindrata superiore a 250 cc, immatricolati nei 2 anni precedenti, navi o imbarcazioni da diporto; sono esclusi i veicoli per disabili;
  • è presente una  dichiarazione Isee in corso di validità per il nucleo familiare.
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