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Con quale invalidità si ottiene la legge 104?

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Quali sono i requisiti per il riconoscimento dei benefici della legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti dei disabili.

La legge 104, la legge-quadro in materia di disabilità, riconosce importanti benefici alle persone portatrici di handicap e, in alcuni casi, alle persone che li assistono: dai permessi retribuiti mensili al congedo straordinario di 2 anni, dalle agevolazioni fiscali per l’acquisto di veicoli alla deduzione dal reddito delle spese mediche generiche e di assistenza specifica, gli incentivi sono veramente numerosi (per un elenco completo: Legge 104, guida alle agevolazioni). Ma con quale invalidità si ottiene la legge 104?

In realtà, il presupposto per ottenere i benefici della legge 104 non è il riconoscimento dell’invalidità, ma il riconoscimento di un handicap: in sostanza, la legge 104 prevede particolari agevolazioni per i disabili, in virtù della condizione di portatori di handicap, e non del riconoscimento di una determinata percentuale d’invalidità, o della condizione di non autosufficienza, o di ulteriori condizioni sanitarie.

Per rispondere alla domanda «Con quale invalidità minima si ottiene la legge 104?», dunque, non è prevista alcuna percentuale d’invalidità per ottenere i benefici per disabili disposti dalla legge, mentre è necessario il riconoscimento della condizione di portatore di handicap (la maggior parte delle agevolazioni, peraltro, è riconosciuta ai portatori di handicap in situazione di gravità).

A questo punto, ti starai sicuramente domandando qual è la percentuale d’invalidità necessaria al riconoscimento dell’handicap: devi sapere che invalidità ed handicap non sono necessariamente collegati, in quanto si tratta di due condizioni differenti. Ma procediamo per ordine e proviamo a fare chiarezza.

Che differenza c’è tra invalidità, handicap e non autosufficienza?

In molti ritengono che sia sufficiente il riconoscimento di una determinata percentuale d’invalidità per ottenere i benefici della legge 104. Alcuni sono convinti che col riconoscimento dell’invalidità al 100% sia “automatico” il riconoscimento dell’handicap, quindi della legge 104. Altri ancora pensano che nella condizione di non autosufficienza sia compresa anche la condizione di portatore di handicap grave.

Le tre condizioni, tuttavia, sono differenti:

  • l’invalidità consiste nella riduzione della capacità lavorativa, derivante da un’infermità o da una menomazione; se la persona non è in età lavorativa (minorenni, over 67), per valutare l’invalidità non ci si riferisce alla capacità lavorativa, ma alla capacità di svolgere i compiti e le funzioni proprie dell’età:
  • l’handicap, invece, è lo svantaggio sociale che deriva da un’infermità o da una menomazione; nello specifico, è considerato portatore di handicap chi presenta una minorazione fisica, psichica o sensoriale, sia stabile che progressiva, che è causa di difficoltà di apprendimento, di relazione o di integrazione lavorativa;
  • la non autosufficienza, invece, consiste nell’impossibilità di compiere gli atti quotidiani della vita senza assistenza permanente, o nell’impossibilità permanente di camminare senza l’aiuto di un accompagnatore.

Di conseguenza, non a tutti gli invalidi, ad esempio, è riconosciuta la condizione di portatore di handicap o di non autosufficienza, e non a tutti i portatori di handicap è riconosciuta la condizione di non autosufficienza. Tra l’altro, come vedremo più avanti, il riconoscimento di queste condizioni deve essere appositamente richiesto dall’interessato.

Legge 104 e gravità dell’handicap

La legge 104 prevede tre diverse condizioni per i portatori di handicap:

  • portatore di handicap non grave;
  • portatore di handicap in situazione di gravità;
  • portatore di handicap superiore ai 2/3.

Per il riconoscimento della maggior parte dei benefici derivanti dalla legge 104, è richiesto il riconoscimento di un handicap grave, cioè della condizione di portatore di handicap in situazione di gravità. La stessa condizione è richiesta per essere considerato disabile ai fini Isee ed ai fini del reddito di cittadinanza.

Ti ricordo che l’Isee è l’indicatore della situazione economica equivalente, in parole semplice un indice che “misura la ricchezza” delle famiglie: questo indicatore, che si ottiene presentando una dichiarazione che si chiama Dsu, è indispensabile per ottenere numerose agevolazioni e prestazioni (se vuoi approfondire puoi leggere la nostra Guida alla dichiarazione Isee), come il reddito di cittadinanza.

Attenzione, però: per quanto riguarda il reddito di cittadinanza, per ottenere l’esonero dalle misure di politica attiva del lavoro, bisogna far parte delle categorie protette della legge 68 [2]. Non tutti i portatori di handicap fanno parte delle categorie protette, ma soltanto i portatori di handicap intellettivo, in possesso di un’invalidità superiore al 45% (per approfondire: Reddito di cittadinanza, benefici per disabili).

Come si riconosce la legge 104?

Abbiamo detto che la condizione di portatore di handicap, per ottenere i benefici della legge 104, deve essere riconosciuta: ma da chi? Basta il certificato del medico curante, perché la disabilità sia riconosciuta?

Il certificato del medico curante, o certificato medico introduttivo, costituisce solo il punto di partenza per il riconoscimento della condizione di portatore di handicap:

  • questo certificato, difatti, deve essere trasmesso telematicamente all’Inps dal medico;
  • successivamente, l’interessato deve inoltrare all’Inps la domanda per il riconoscimento della condizione d’invalidità, handicap o non autosufficienza;
  • a seguito dell’invio della domanda, l’interessato è sottoposto a un’accurata visita da parte delle apposite commissioni mediche, che si conclude con un verbale;
  • se l’esito del verbale è positivo, possono essere riconosciute la condizione d’invalidità, di handicap, ulteriori condizioni ed i correlati benefici;
  • se l’esito del verbale è negativo, e le condizioni richieste non sono riconosciute, in tutto o in parte, è possibile ricorrere al tribunale, dopo essersi sottoposti a un accertamento tecnico preventivo.

Qui trovi una guida illustrata all’invio della domanda d’invalidità: Domanda invalidità, legge 104 e accompagnamento.


Come licenziare lavoratore domestico

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Cessazione del rapporto di lavoro domestico: quali sono gli adempimenti necessari per licenziare colf e badanti?

Il rapporto di lavoro domestico presenta diverse particolarità, rispetto alla generalità dei rapporti di lavoro. Tuttavia, anche se la gestione del contratto e degli adempimenti risulta più semplice, questo non significa che non ci siano dei precisi obblighi da rispettare: anche nei rapporti lavorativi con colf e badanti (o babysitter, giardinieri, governanti…), difatti, le violazioni delle regole possono costare molto care.

Quali sono gli adempimenti da effettuare, ad esempio, in caso di licenziamento? Per quali motivi si può licenziare il lavoratore domestico? Si deve fornire un periodo di preavviso? Ci vuole una lettera di licenziamento? Si può licenziare il collaboratore domestico in malattia o la collaboratrice domestica in maternità? Si deve comunicare il licenziamento al centro per l’impiego o all’Inps? Si deve pagare la tassa sul licenziamento? Si deve liquidare il tfr?

Proviamo a fare chiarezza su come licenziare lavoratore domestico: quali sono gli adempimenti da effettuare, preavviso, comunicazioni, liquidazione.

Quando può terminare il rapporto di lavoro domestico?

Il rapporto di lavoro domestico può cessare per una delle seguenti cause:

  • interruzione del periodo di prova: durante il periodo di prova, difatti, le parti possono recedere liberamente;
  • scadenza del termine (se il contratto di lavoro era a tempo determinato);
  • risoluzione consensuale delle parti (entrambe le parti, datore e lavoratore) sono d’accordo sulla cessazione del rapporto);
  • licenziamento, per il quale deve essere riconosciuto il preavviso, salvo il caso di giusta causa;
  • dimissioni: in questo caso è il lavoratore a dover fornire il preavviso o la corrispondente indennità sostitutiva, salvo che sussista una giusta causa di dimissioni (in quest’ultima ipotesi il datore di lavoro deve corrispondere l’indennità di preavviso al lavoratore); il collaboratore domestico è escluso dall’obbligo d’invio delle dimissioni telematiche;
  • morte del lavoratore;
  • morte del datore di lavoro: in quest’ipotesi, il rapporto può terminare con il rispetto dei termini di preavviso, ma i componenti della famiglia possono manifestare la volontà di far proseguire il rapporto, col consenso del lavoratore.

Quando si può licenziare il lavoratore domestico?

Il datore di lavoro può recedere liberamente dal rapporto (cosiddetto licenziamento ad nutum), cioè non ha bisogno di spiegare le ragioni per cui licenzia il collaboratore domestico. Su sua richiesta, però, deve fornire una dichiarazione scritta che attesti l’avvenuto licenziamento [1].

La tassa sul licenziamento, o ticket sul licenziamento, non è dovuta.

Per il licenziare il lavoratore domestico ci vuole il preavviso?

Il datore di lavoro domestico, in caso di licenziamento, è tenuto a riconoscere un periodo di preavviso, che non è dovuto solo nell’ipotesi di recesso per giusta causa

termini di preavviso cui sono tenute le parti, in caso di risoluzione del rapporto di lavoro domestico, sono commisurati all’anzianità di servizio maturata presso lo stesso datore di lavoro, come indicato di seguito:

  • rapporto di lavoro inferiore a 25 ore settimanali:
    • sino a 2 anni di anzianità: 8 giorni di calendario;
    • oltre 2 anni di anzianità: 15 giorni di calendario;
  • rapporto di lavoro da 25 ore settimanali:
    • sino a 5 anni di anzianità: 15 giorni di calendario (7,5 per dimissioni);
    • oltre 5 anni di anzianità: 30 giorni di calendario (15 per dimissioni).

I termini di preavviso sono raddoppiati se il datore di lavoro intima il licenziamento prima del 31giorno successivo al termine del congedo per maternità

Per mancato o insufficiente preavviso, la parte che recede deve corrispondere un’indennità sostitutiva, pari alla retribuzione corrispondente al periodo di preavviso non concesso.

Per i portieri privati, custodi di villa ed altri dipendenti che usufruiscono con la famiglia di un alloggio di proprietà del datore di lavoro, o da lui messo a disposizione, il preavviso è di 30 giorni di calendario sino ad un anno di anzianità, 60 giorni di calendario per anzianità superiore.

 Licenziamento del lavoratore domestico: pagamento Tfr

Il lavoratore domestico ha sempre diritto al Tfr, cioè al trattamento di fine rapporto, o liquidazione, una volta terminato il contratto, qualunque sia il motivo della cessazione del rapporto.

Il collaboratore domestico, poi, può chiedere l’anticipazione del Tfr una volta all’anno, nella misura massima del 70% di quanto maturato.

Il Tfr dei collaboratori domestici si determina (dal 1° giugno 1982) utilizzando lo stesso meccanismo di calcolo stabilito per la generalità dei lavoratori:

  • la retribuzione annua, comprensiva dell’eventuale indennità di vitto e alloggio, viene divisa per 13,5 con rivalutazione annuale delle somme accantonate;
  • le quote annue accantonate sono incrementate dell’1,5% annuo, mensilmente riproporzionato, più il 75% dell’aumento del costo della vita, accertato dall’ISTAT, con esclusione della quota maturata nell’anno in corso.

Comunicazione del licenziamento

La cessazione del rapporto di lavoro deve essere comunicata dal datore, telematicamente, all’Inps, entro 5 giorni dall’evento (scadenza contratto, licenziamento, risoluzione consensuale, dimissioni…). Nessuna comunicazione deve essere inviata al centro per l’impiego, come avviene invece per la generalità dei lavoratori subordinati.

Posso installare il fotovoltaico sul tetto condominiale?

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Installazione dell’impianto fotovoltaico sul lastrico solare da parte del singolo condomino: quali sono gli adempimenti necessari.

L’installazione di un impianto fotovoltaico sul tetto è possibile anche per chi abita in condominio, dunque per chi non possiede l’utilizzo esclusivo del lastrico solare: la riforma del condominio [1], difatti, ha dettato regole abbastanza elastiche in merito, permettendo l’installazione, da parte dei singoli condomini, di impianti fotovoltaici nelle parti comuni dell’edificio, purché questo non arrechi pregiudizio all’edificio condominiale.

Nel dettaglio, secondo la riforma del condominio non è necessaria alcuna autorizzazione per installare il fotovoltaico per uso personale nelle parti comuni dello stabile, lastrico solare compreso, ma è necessaria soltanto una comunicazione all’amministratore, nel caso in cui l’installazione non comporti delle modifiche (o comporti delle modifiche non rilevanti) alle parti comuni.

Se, invece, l’impianto rende necessario apportare modifiche alle parti comuni, il condomino deve avvisare innanzitutto l’amministratore, illustrando con un’apposita informativa tecnica il contenuto specifico e le modalità di esecuzione degli interventi.
L’amministratore, prima dell’inizio dei lavori, deve poi convocare l’assemblea dei condomini, perché questa possa esprimersi, anche prescrivendo eventualmente adeguate modalità alternative di esecuzione o imponendo cautele a salvaguardia della stabilità, della sicurezza o del decoro architettonico dell’edificio.
In base ai prevalenti orientamenti della giurisprudenza [2], comunque, si ritiene che l’assemblea non abbia il potere di vietare l’esecuzione delle opere, se non c’è il rischio che l’impianto pregiudichi parti comuni dell’edificio, unità immobiliari private o il decoro dell’edificio stesso.

Quindi, per rispondere alla domanda “Posso installare il fotovoltaico sul tetto condominiale?“, la risposta è positiva, ma possono essere disposti dagli altri condomini limiti e prescrizioni, e non si deve limitare il loro diritto all’utilizzo delle parti comuni. Ma procediamo per ordine.

Comunicazione al condominio di installazione fotovoltaico

Nel caso in cui il progetto d’installazione di un impianto fotovoltaico comporti delle modifiche rilevanti alle parti comuni dell’edificio, come abbiamo osservato è necessario comunicare l’intervento all’amministrazione. All’interno della comunicazione all’amministratore, è necessario specificare il contenuto e le modalità di esecuzione degli interventi relativi all’installazione dell’impianto: l’interessato può, a tal fine, allegare alla richiesta un progetto che attesti l’ubicazione della posa dell’impianto, anche schematicamente.

L’amministratore deve poi convocare l’assemblea dei condomini: l’assemblea, dietro sollecito dell’amministratore, può prescrivere, se necessario, modalità alternative di esecuzione dell’installazione, o imporre cautele a salvaguardia della stabilità, della sicurezza o del decoro architettonico dello stabile. Per la prescrizione è necessaria la maggioranza degli intervenuti e di almeno i due terzi del valore dell’edificio.

L’assemblea, con le stesse maggioranze, può provvedere anche a ripartire l’uso del lastrico solare e delle altre superfici comuni, in modo che resti uno spazio per l’installazione del fotovoltaico per ciascun condomino e per salvaguardare la possibilità di utilizzare le parti comuni per altri scopi; inoltre, può richiedere al condomino interessato una garanzia per i danni eventuali.

Se l’assemblea si oppone all’installazione

In base ai requisiti prescritti dalla riforma del condominio, l’assemblea non può semplicemente negare l’installazione del fotovoltaico, avendo solo il potere di:

  • imporre modalità alternative di esecuzione dei lavori;
  • prescrivere adeguate cautele;
  • subordinare l’esecuzione dei lavori alla prestazione di una garanzia;
  • ripartire l’uso del bene comune salvaguardando le diverse forme di utilizzo.

Al di fuori delle prescrizioni elencate, restano, per il condomino che vuole installare l’impianto, i soli limiti, stabiliti dal codice civile, di non alterare la destinazione del bene comune e di non impedire agli altri condomini di utilizzarlo secondo il loro diritto.

Pertanto, se l’assemblea nega al condomino la possibilità di eseguire i lavori di installazione del fotovoltaico, nei casi in cui non vi siano modifiche nel bene comune e non siano pregiudicati i diritti degli altri proprietari, la delibera è impugnabile. Si tratterebbe, nel caso specifico, di una delibera invalida [3], in quanto adottata oltrepassando le attribuzioni dell’assemblea e violando il diritto soggettivo di un condomino all’utilizzo delle parti comuni.

Accesso alla proprietà per l’installazione

La legge prevede che il condomino che intende installare un impianto fotovoltaico ha il diritto di accedere alle unità immobiliari di proprietà individuale, se questo è necessario per la progettazione e per l’esecuzione delle opere [4]. Il passaggio nella proprietà altrui è però vietato se risulta possibile effettuare gli interventi in modo differente, anche se con costi maggiori.
A tal fine, il condomino che esegue i lavori deve chiedere il permesso per accedere ai locali altrui, offrendo diverse possibilità in termini di giorni e orari, garantendo anche che non ci saranno danni o fastidi oltre la normale tollerabilità. Se il proprietario vieta l’accesso, chi deve installare l’impianto può ricorrere all’autorità giudiziaria, richiedendo anche un provvedimento d’urgenza.

Pensione di vecchiaia anticipata per invalidità 80%

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Quando si ha diritto alla pensione di vecchiaia agevolata per invalidità superiore all’80%?

Il decreto Amato [1] ha introdotto la possibilità di fruire della pensione di vecchiaia anticipata, cioè con un’età pensionabile inferiore a quella prevista per la pensione di vecchiaia ordinaria, per i non vedenti e per chi possiede un’invalidità riconosciuta almeno pari all’80%.

Oltre al riconoscimento dell’invalidità, però, il lavoratore deve soddisfare diverse condizioni per usufruire dell’agevolazione. Vediamo, allora, quali sono i requisiti per ottenere la pensione di vecchiaia anticipata per invalidità 80%: chi ne ha diritto, qual è la decorrenza della prestazione, come si calcola il trattamento, quale tipologia d’invalidità deve essere riconosciuta dall’Inps.

Invalidità pensionabile dell’80%

In primo luogo, per il diritto alla diversa età pensionabile, l’accertamento dello stato di invalidità in misura non inferiore all’80 % deve essere effettuato dagli uffici sanitari dell’Inps: se il lavoratore, dunque, ha eventualmente già ottenuto il riconoscimento di una percentuale d’invalidità pari o superiore all’80% da parte di un altro ente, la certificazione rilasciata costituisce solo un elemento di valutazione per la formulazione del giudizio medico legale utile alla pensione di vecchiaia anticipata.

In parole semplici, solo la commissione medica dell’Inps può concedere la possibilità di pensionamento anticipato per invalidità, non essendo sufficiente il riconoscimento avuto da altri enti con percentuale non inferiore all’80%.

Questo perché, secondo l’Inps, l’invalidità per la pensione di vecchiaia anticipata deve essere valutata secondo le previsioni della nota Legge 222 [2], cioè la legge che disciplina la previdenza dei lavoratori inabili o invalidi: si parla, difatti, d’invalidità pensionabile.

Requisiti per la pensione di vecchiaia anticipata

Per ottenere la pensione di vecchiaia è necessario soddisfare i seguenti requisiti, oltre al possesso dell’invalidità dell’80%:

  • possesso di almeno 20 anni di contributi; sono sufficienti 15 anni di contributi per i beneficiari di una delle cosiddette deroghe Amato [3] (15 anni di contributi versati prima del 1992; autorizzati al versamento dei contributi volontari entro il 24 dicembre 1992; possesso di 15 anni di contributi effettivi da lavoro dipendente, 25 anni di anzianità assicurativa e 10 anni lavorati in modo discontinuo; per approfondire: Pensione con 15 anni di contributi);
  • possesso di un’età almeno pari a 61 anni, per gli uomini, o a 56 anni, per le donne;
  • per i non vedenti, i requisiti di età sono pari, rispettivamente, a 56 anni per gli uomini ed a 51 anni per le donne.

Non sono ammessi al beneficio i lavoratori dipendenti del settore pubblico ed i lavoratori autonomi, in quanto possono fruire del beneficio i soli lavoratori iscritti all’Assicurazione generale obbligatoria dell’Inps (ad esclusione degli iscritti alle gestioni speciali dei lavoratori autonomi) ed alle forme di previdenza sostitutive dell’Assicurazione generale obbligatoria stessa.

Finestra per la liquidazione della pensione

Dalla data di maturazione dell’ultimo requisito (contributivo o di età), è necessario attendere 12 mesi, il cosiddetto periodo di finestra, prima di ottenere la liquidazione della pensione. La decorrenza della prestazione, dunque, non è immediata, ma è necessario un anno di attesa.

Come si calcola la pensione di vecchiaia anticipata per invalidità

La pensione di vecchiaia anticipata per invalidità è una tipologia di pensione di vecchiaia: il calcolo della pensione è lo stesso utilizzato per la generalità dei trattamenti di vecchiaia riconosciuti dall’Inps.

Nello specifico, il calcolo della pensione, per la generalità dei trattamenti, è:

  • retributivo sino al 31 dicembre 2011, poi contributivo, per chi possiede oltre 18 anni di contributi al 31 dicembre 1995;
  • retributivo sino al 31 dicembre 1995, poi contributivo, per chi possiede meno di 18 anni di contributi al 31 dicembre 1995;
  • esclusivamente contributivo per chi non possiede contribuzione al 31 dicembre 1995.

In cambio dell’anticipo del requisito di età per la pensione di vecchiaia, non sono previste né penalizzazioni, né il ricalcolo contributivo della prestazione o di una sua parte.

Per saperne di più: Come si calcola la pensione Inps.

Dimissioni per malattia

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Il lavoratore con una grave patologia può presentare le dimissioni per giusta causa, o senza obbligo di preavviso?

Una grave patologia ti impedirà di lavorare per moltissimo tempo: vorresti dunque dimetterti per giusta causa, immediatamente, senza fornire alcun periodo di preavviso al datore di lavoro, vista la gravità della situazione.

Ma è possibile presentare le dimissioni per malattia senza preavviso? Dimettersi per malattia equivale a rassegnare le dimissioni per giusta causa?

Purtroppo, devi sapere che le dimissioni per malattia non sono considerate dimissioni per giusta causa, per quanto grave sia la patologia del lavoratore. Come mai? Le dimissioni per giusta causa, per le quali il preavviso non è necessario, possono essere rassegnate solo in presenza di un inadempimento del datore di lavoro, talmente grave da non consentire la prosecuzione, neanche momentanea, del rapporto.

Le dimissioni per malattia, dunque, non essendo presentate a causa di una grave violazione del datore di lavoro, non possono essere considerate dimissioni per giusta causa. Inoltre, non è nemmeno possibile, a causa della malattia, saltare il periodo di preavviso.

Tutela del lavoratore in caso di malattia

La legge non permette al lavoratore malato di rassegnare le dimissioni senza preavviso, nemmeno in caso di patologia molto grave, perché il dipendente è già tutelato dalla possibilità di beneficiare di assenze retribuite per malattia. Il dipendente, difatti, in presenza di una malattia che non permette lo svolgimento dell’attività lavorativa, non deve continuare a lavorare, ma ha diritto ad assentarsi, in base alle prescrizioni del medico curante, che invia un apposito certificato all’Inps.

In sostanza, il lavoratore gravemente ammalato non ha bisogno di presentare in via immediata le dimissioni, proprio perché non è tenuto a prestare servizio a causa della malattia. Le assenze per malattia sono retribuite sino a un determinato periodo: per i lavoratori assunti con contratto a tempo indeterminato, l’Inps è tenuto a pagare l’indennità di malattia per le giornate indennizzabili comprese in un periodo massimo di 180 giorni in un anno solare (dal 1° gennaio al 31 dicembre).

Inoltre, il lavoratore ha diritto al mantenimento del posto sino a un periodo massimo, detto periodo di comporto.

Quanto dura il periodo di comporto?

Il periodo di comporto è il periodo massimo, solitamente stabilito dal contratto collettivo applicato, entro il quale il lavoratore si può assentare per malattia senza perdere il posto di lavoro.

Questo arco di tempo non è uguale per tutti i dipendenti, ma cambia a seconda del tipo di contratto (a termine o a tempo indeterminato), dell’inquadramento, dell’anzianità e del contratto collettivo applicato.

Il periodo di comporto, nello specifico, può essere di due tipi: secco e per sommatoria.

Nel comporto secco, il periodo massimo di conservazione del posto si riferisce ad un’unica malattia, senza interruzioni; ad esempio, il contratto collettivo può stabilire che il periodo tutelato abbia una durata massima pari a 6 mesi di malattia;

Nel comporto per sommatoria, il contratto prevede un arco di tempo (ad esempio un anno) entro cui la somma dei giorni di malattia non può superare un determinato limite; ad esempio, il contratto può prevedere un massimo di 180 giorni di malattia (riferiti non solo ad un unico evento morboso, ma anche a più malattie sommate tra loro) nell’arco di un anno, o, come avviene per i dipendenti pubblici, 18 mesi nell’arco di tre anni; ai fini del superamento del comporto sono contati anche i giorni festivi e non lavorati, se interni al periodo di assenza per malattia indicato nel certificato medico.

Che cosa succede una volta terminato il periodo di comporto?

Terminato il periodo nel quale il lavoratore ha diritto alla conservazione del posto, il datore di lavoro è libero di recedere dal contratto, cioè di licenziare il dipendente in malattia.

In sostanza, il dipendente che non può rientrare al lavoro, terminato il periodo indennizzato e di conservazione del posto, non è comunque costretto a prestare servizio (almeno sino al termine della malattia, cioè sino alla fine prognosi indicata nel certificato medico), per cui non ha necessità di presentare le dimissioni per malattia.

E se il dipendente, a causa della malattia, presenta una riduzione della capacità lavorativa così marcata da non poter più lavorare? In questo caso, può aver diritto alla pensione d’inabilità al lavoro o, se la riduzione della capacità lavorativa è parziale, all’assegno ordinario d’invalidità (i dipendenti pubblici possono aver diritto alla pensione per inabilità alle mansioni o a proficuo lavoro).

Dimissioni per malattia: il lavoratore ha diritto alla Naspi?

Come abbiamo osservato, la legge tutela il lavoratore che si ammala, prevedendo sia la possibilità di assentarsi per malattia, con diritto alla retribuzione, sia il diritto a specifiche prestazioni da parte dell’Inps, in caso di riduzione della capacità lavorativa.

Nel caso in cui il lavoratore in malattia voglia comunque rassegnare le dimissioni, una volta cessato il rapporto ha diritto alla Naspi? Sfortunatamente no: le dimissioni per motivi di salute, secondo una recente sentenza della Cassazione [1], sono da assimilare alle dimissioni volontarie, e non a quelle per giusta causa.

In pratica, secondo la Cassazione, anche se la condizione di malattia non è certamente una condizione volontaria, riconoscere l’indennità di disoccupazione a seguito di dimissioni per ragioni di salute finirebbe per tutelare non la perdita volontaria dell’impiego, ma l’esistenza di una malattia: in questo modo la Naspi risulterebbe finalizzata a uno scopo diverso da quello che le è proprio.

Carta reddito di cittadinanza: quanto costa?

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Prelievi bancomat e postamat, bonifici, acquisti: quanto costa utilizzare la carta Rdc, quali pagamenti sono vietati.

Se spendi paghi, se non spendi paghi comunque: da una parte, infatti, utilizzare la carta Rdc, cioè la carta attraverso la quale è riconosciuto il reddito di cittadinanza, ha dei costi non irrisori; dall’altra parte, se tutto l’importo accreditato sulla carta non è speso mensilmente, nel mese successivo l’importo del reddito può essere ridotto sino al 20%.

Nello specifico, per i prelievi ed i bonifici effettuati con la carta Rdc, che è una carta di pagamento elettronica prepagata, emessa da Postepay, si può arrivare a pagare sino a 1,75 euro ad operazione. Sono invece gratuiti gli acquisti, ma attenzione, molte operazioni non sono permesse: è vietato, ad esempio, utilizzare la carta per effettuare pagamenti su siti e-commerce, oppure utilizzarla per giochi a premi, o, ancora, per prelievi e pagamenti fuori dall’Italia.

Inoltre, non è possibile ricaricare personalmente la carta, o farla ricaricare da terzi: niente stipendio o pensione sulla carta Rdc, dunque.

Ma procediamo per ordine, e facciamo il punto sulla carta reddito di cittadinanza: quanto costa utilizzarla, quanto viene ricaricato ogni mese, quali sono le operazioni vietate.

Come funziona la carta Rdc?

La carta reddito di cittadinanza è una carta Postepay, una carta di pagamento elettronica prepagata, ricaricata mensilmente dall’Inps, con la quale è consentito:

  • l’acquisto di beni, come i generi alimentari ed i beni acquistabili in farmacia, parafarmacia e nella grande distribuzione;
  • l’acquisto di servizi, ad esempio il pagamento delle utenze: bolletta dell’elettricità, del gas e della luce;
  • il prelievo in contanti di un importo mensile che va da 100 a 210 euro, a seconda del numero dei componenti del nucleo familiare (il parametro della scala di equivalenza aumenta di 0,4 punti per ogni componente adulto, e di 0,2 punti per ogni componente minorenne, sino a un massimo di 2,1: quindi 100×2,1=210);
  • l’emissione di bonifici per pagare l’affitto o il mutuo dell’abitazione.

Che cosa non si può fare con la carta Rdc?

È vietato utilizzare la carta Rdc per:

  • qualsiasi acquisto legato al gioco d’azzardo, o a qualsiasi gioco a premi, anche non in denaro: vietati, dunque, non solo i gratta e vinci, le scommesse, le schedine del Lotto o del Super Enalotto, ma tutti i concorsi a premi;
  • effettuare degli acquisti online, nei siti di e-commerce;
  • effettuare prelievi e pagamenti all’estero;
  • effettuare bonifici non destinati al pagamento del mutuo o dell’affitto dell’abitazione;
  • ricaricare carte di terzi.

Quanto costa la carta Rdc?

Per la carta Rdc non sono richieste spese di emissione: lo strumento di pagamento è rilasciato gratuitamente dalle Poste. Gli aventi diritto al reddito di cittadinanza possono inviare la domanda alle Poste, tramite Caf, o attraverso il sito dedicato al sussidio (Redditodicittadinanza.gov.it).

Quanto costa utilizzare la carta Rdc?

Sono invece previsti dei costi per l’utilizzo della carta Rdc. In particolare:

  • per inviare un bonifico (ricordiamo che quest’operazione può essere effettuata solo per pagare l’affitto o il mutuo) a favore di un titolare di un conto corrente postale, si spendono 50 centesimi;
  • per inviare un bonifico (ricordiamo che quest’operazione può essere effettuata solo per pagare l’affitto o il mutuo) a favore di un non titolare di un conto corrente postale, si spende 1 euro;
  • per i prelievi di contante presso gli sportelli atm Postamat, si spende 1 euro;
  • ogni prelievo di contante presso gli sportelli atm bancari del circuito Mastercard costa 1,75 euro.

Sugli acquisti effettuati utilizzando la carta (ad esempio, il pagamento alla cassa del market) non sono addebitati costi.

Quanto viene ricaricato ogni mese sulla carta Rdc?

L’importo della carta Rdc ricaricato ogni mese varia a seconda del numero dei componenti del nucleo familiare e del loro reddito. In particolare:

  • per il reddito di cittadinanza spetta una quota base che può integrare il reddito familiare sino a 500 euro mensili; l’importo è incrementato di 0,4 punti per ogni componente adulto, e di 0,2 punti per ogni componente minorenne, sino a un massimo di 2,1, quindi si può integrare il reddito familiare sino a 1050 euro mensili; spetta poi un’ulteriore quota, per le famiglie che pagano l’affitto, sino a 280 euro mensili, sino a 150 euro per chi paga il mutuo;
  • per la pensione di cittadinanza spetta una quota base che può integrare il reddito familiare sino a 630 euro mensili; l’importo è incrementato di 0,4 punti per ogni adulto del nucleo (i nuclei familiari che percepiscono la pensione di cittadinanza non possono avere componenti under 67), sino a un massimo di 2,1, quindi si può integrare il reddito familiare sino a 1323 euro mensili; spetta poi un’ulteriore quota, per le famiglie che pagano l’affitto e il mutuo, sino a 150 euro mensili.

Per approfondire puoi leggere le nostre guide: Reddito di cittadinanza 2019 e Pensione di cittadinanza.

Che cosa succede se non spendo tutto l’importo caricato sulla carta Rdc?

Se tutti i fondi caricati mensilmente sulla carta non vengono spesi (con acquisti e prelievi e bonifici, nei limiti del consentito) entro il mese successivo all’accredito, l’importo risparmiato viene tolto dal reddito di cittadinanza nel mese successivo: l’importo decurtato può ammontare sino a un massimo del 20% del sussidio, come disposto dal decreto in materia. Fanno eccezione i soli importi riconosciuti a titolo di arretrati.

Inoltre, possono essere decurtati dalla carta Rdc gli importi complessivamente non spesi o non prelevati nei 6 mesi precedenti, ad eccezione di una mensilità.

Quando il lavoratore ha diritto al buono pasto?

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Ticket restaurant, indennità di mensa, servizi sostitutivi dei pasti: in quali casi i lavoratori dipendenti ed i collaboratori hanno il diritto di riceverli.

Il buono pasto spetta per legge a tutti i dipendenti, oppure soltanto a coloro che non possono beneficiare della mensa? I collaboratori hanno diritto ai buoni pasto? I buoni pasto spettano a chi ha un orario spezzato e a chi non presta servizio durante l’ora di pranzo o di cena?

I dubbi sulla possibilità di beneficiare dei buoni pasto sono veramente numerosi, ma si potrebbero riassumere, semplificando, in una sola domanda: quando il lavoratore ha diritto al buono pasto?

Innanzitutto, è bene chiarire che la legge non prevede un obbligo generalizzato, per tutti i datori di lavoro, di erogare i buoni pasto ai dipendenti: quest’obbligo può essere disposto, però, dal contratto collettivo applicato. Peraltro, come specificato nel Regolamento recante disposizioni in materia di servizi sostitutivi di mensa, cosiddetto decreto Buoni pasto [1], anche i collaboratori possono beneficiare dei buoni, non solo i lavoratori subordinati.

Perché i buoni pasto beneficino dell’esenzione fiscale e previdenziale, ad ogni modo, devono essere riconosciuti a categorie omogenee di lavoratori, tenendo conto che il diritto ai buoni sussiste sia nel caso in cui durante la fascia oraria concordata per i pasti il lavoratore presti servizio, che nel caso in cui abbia terminato di lavorare, ma i tempi di percorrenza non gli consentano di raggiungere la propria abitazione entro l’esaurirsi della fascia oraria [2]. Ma procediamo per ordine.

Che cos’è il buono pasto?

Il buono pasto, chiamato anche ticket restaurant (dal nome di una nota società che emette questi titoli), è un documento di legittimazione, che può essere emesso anche in forma elettronica, che consente al titolare di ricevere un servizio sostitutivo di mensa, di importo pari al valore facciale del buono stesso.

Che cos’è il servizio mensa?

Il servizio mensa consiste nel mettere a disposizione dei dipendenti i pasti durante l’intervallo di lavoro; può essere realizzato con le seguenti modalità:

  • mensa aziendale interna con gestione propria (del datore di lavoro) o affidata in appalto ad un’apposita società;
  • mensa esterna presso apposite strutture;
  • buoni pasto di un determinato valore, da utilizzare in esercizi convenzionati;
  • indennità sostitutiva di mensa, che può essere corrisposta:
    • in mancanza di servizio mensa;
    • in presenza del servizio mensa, quando il lavoratore non lo utilizza (in casi meno frequenti possono coesistere il servizio mensa e la relativa indennità sostitutiva).

Quali sono le caratteristiche del buono pasto?

I buoni pasto hanno le seguenti caratteristiche:

  • sono incedibili;
  • possono essere cumulati per essere usati contemporaneamente fino al limite di 8;
  • non possono essere commercializzati o convertiti in denaro;
  • sono utilizzabili solo dal titolare esclusivamente per l’intero valore facciale.

Il buono pasto spetta senza pausa pranzo?

I buoni pasto, in base a quanto specificato dal decreto in materia [1], possono essere utilizzati anche quando l’orario di lavoro non prevede una pausa per il pasto.

Inoltre, il lavoratore ha diritto ai buoni pasto tanto nell’ipotesi in cui durante la fascia oraria concordata per i pasti risulti impegnato al lavoro, quanto nel caso in cui abbia terminato di lavorare, ma i tempi di percorrenza non gli consentano di raggiungere la propria abitazione entro l’ora di pranzo o di cena.

Il buono pasto spetta se in azienda c’è la mensa?

Il lavoratore può avere diritto ai buoni pasto anche se in azienda è previsto un servizio mensa: il datore di lavoro, difatti, può prevedere più sistemi contemporaneamente a seconda delle proprie esigenze organizzative: ad esempio, può prevedere il servizio mensa per una categoria di dipendenti e il sistema dei ticket per un’altra categoria.

Il buono pasto spetta se il lavoratore ha diritto alla mensa?

Il discorso cambia se il lavoratore ha il diritto di fruire del servizio mensa: in questo caso, difatti, non ha diritto ai buoni pasto, come specificato da una nota circolare [3].

Quando può essere utilizzato il buono pasto?

Il buono pasto può essere utilizzato non solo per la somministrazione diretta di alimenti e bevande effettuate da pubblici esercizi (bar, ristoranti, pizzerie…), ma anche per acquistare prodotti di gastronomia pronti per il consumo immediato effettuata da mense aziendali, rosticcerie e gastronomie artigianali, pubblici esercizi e da esercizi commerciali con autorizzazione per la vendita, produzione, preparazione di generi alimentari.

È possibile cumulare sino a un massimo di 8 buoni pasto.

Il buono pasto spetta ai collaboratori?

Come specificato dal decreto in materia [1], i buoni pasto possono essere utilizzati anche dai lavoratori che non sono inquadrati come dipendenti, ma che hanno un rapporto di collaborazione (parasubordinati o co.co.co.).

Il buono pasto è esente da imposte?

Il valore del buono pasto è esente da imposte e dalla contribuzione sino a 5,29 euro per ogni giornata di lavoro, sino a 7 euro se si tratta di un voucher elettronico.

Si possono cumulare sino a 8 buoni pasto: se si supera il limite, i ticket restano comunque esenti da imposte sino al valore di 5,29 o di 7 euro, come chiarito dalle Entrate [4].

Assegno ordinario d’invalidità

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Assegno ordinario d’invalidità: che cos’è, quando spetta, come si calcola, quando viene ridotto.

L’assegno ordinario d’invalidità è una prestazione, riconosciuta dall’Inps, che spetta a chi possiede  un’invalidità riconosciuta, cioè una riduzione della capacità lavorativa, superiore ai 2/3. Ne hanno diritto la generalità dei lavoratori iscritti alle gestioni Inps: ad esempio, l’assegno d’invalidità spetta a chi è iscritto al fondo pensione lavoratori dipendenti, o alle gestioni speciali degli artigiani e dei commercianti, o alla gestione separata. Anche le casse dei liberi professionisti prevedono delle prestazioni legate all’invalidità degli iscritti, ma con regole diverse. L’assegno ordinario d’invalidità spetta anche a chi lavora, ma viene ridotto se il reddito prodotto supera determinate soglie di reddito. Facciamo allora il punto sull’assegno ordinario d’invalidità: come funziona, chi ne ha diritto, come si calcola.

Quali sono i requisiti per l’assegno ordinario d’invalidità?

Perché si possa ottenere l’assegno ordinario d’invalidità è necessario possedere:

  • almeno 5 anni di contributi;
  • almeno 3 anni di contributi versati nell’ultimo quinquennio;
  • un’invalidità riconosciuta superiore ai 2/3, ossia la riduzione della capacità lavorativa a meno di 1/3.

Come si calcola l’assegno ordinario d’invalidità?

Per sapere a quanto ammonta l’assegno d’invalidità, bisogna considerare che il trattamento è calcolato allo stesso modo della generalità delle pensioni dirette, cioè:

  • col sistema retributivo sino al 31 dicembre 2011 (che si basa sulla media degli ultimi stipendi), poi contributivo (questo sistema si basa invece sulla contribuzione accreditata e sull’età pensionabile), per chi possiede almeno 18 anni di contributi al 31 dicembre 1995;
  • col sistema retributivo sino al 31 dicembre 1995, poi contributivo, per chi possiede meno di 18 anni di contributi al 31 dicembre 1995: si tratta del cosiddetto sistema misto;
  • col sistema integralmente contributivo per chi non possiede contributi versati alla data del 31 dicembre 1995.

Quando si riduce l’assegno d’invalidità?

L’assegno ordinario d’invalidità è cumulabile con i redditi da lavoro, ma limitatamente. Per i titolari di assegno di invalidità, difatti, la legge prevede una riduzione dell’assegno se il titolare continua a lavorare e supera un determinato limite di reddito. In particolare:

  • se il reddito supera 4 volte il trattamento minimo annuo l’assegno d’invalidità si riduce del 25%: in pratica, se il reddito supera 26.676,52 euro annui (che corrispondono al trattamento mensile, 513,01 euro per il 2019, moltiplicato per 13 mensilità e per 4), l’assegno d’invalidità è ridotto di ¼;
  • se il reddito supera 5 volte il trattamento minimo annuo l’assegno d’invalidità si riduce del 50%: in pratica, se il reddito supera 33.345,65 euro annui (che corrispondono al trattamento mensile, 513,01 euro, moltiplicato per 13 mensilità e per 5), l’assegno d’invalidità viene dimezzato.

Il trattamento derivante dal cumulo dei redditi con l’assegno di invalidità ridotto, in ogni caso, non può essere comunque inferiore a quello che spetterebbe qualora il reddito risultasse pari al limite massimo della fascia immediatamente precedente a quella nella quale il reddito posseduto si colloca.

Quando si applica la seconda riduzione dell’assegno d’invalidità?

Se l’assegno già ridotto resta lo stesso superiore al trattamento minimo, cioè supera 513,01 euro mensili,  può subire un secondo taglio, in questo caso una trattenuta. L’applicabilità di questa riduzione dipende dall’anzianità contributiva dell’interessato:

  • con almeno 40 anni di contributi non deve essere applicata alcuna trattenuta aggiuntiva;
  • con meno di 40 anni di contributi scatta la seconda trattenuta, che varia a seconda che il reddito provenga da lavoro dipendente o autonomo:
  • relativamente al lavoro dipendente, la trattenuta è pari al 50% della quota di assegno che eccede il trattamento minimo, entro comunque l’importo dei redditi da lavoro percepiti;
  • relativamente al lavoro autonomo, invece, la trattenuta è pari al 30% della quota eccedente il trattamento minimo, ma non può essere superiore al 30% del reddito prodotto.

Questa seconda riduzione non può essere applicata se:

  • l’ulteriore reddito conseguito è inferiore al trattamento minimo;
  • il lavoratore è impiegato in contratti a termine di durata inferiore a 50 giornate nell’anno solare;
  • il reddito conseguito deriva da attività socialmente utili svolte nell’ambito di programmi di reinserimento degli anziani promossi da enti locali ed altre istituzioni pubbliche e private, o da altre peculiari attività (operai agricoli, collaboratori familiari, giudici di pace e tributari, amministratori locali, cariche pubbliche elettive…).

Trasformazione dell’assegno d’invalidità in pensione di vecchiaia

Al compimento dell’età pensionabile, cioè quando l’assegno viene trasformato d’ufficio in pensione di vecchiaia, le riduzioni dell’assegno d’invalidità non scattano più, in quanto il trattamento  di vecchiaia è pienamente compatibile con lo svolgimento di attività lavorativa. In caso di trasformazione dell’assegno in pensione di vecchiaia la pensione è dunque cumulabile con i redditi da lavoro.

L’assegno d’invalidità viene trasformato automaticamente in pensione di vecchiaia al compimento di 67 anni di età, se si possiedono almeno 20 anni di contributi; il requisito di età dovrebbe aumentare a 67 anni e 3 mesi nel 2021, e dovrebbe continuare ad aumentare di 3 mesi ogni biennio, se gli incrementi alla speranza di vita attesi rispecchieranno quelli reali riscontrati dall’Istat.

L’interessato potrebbe comunque chiedere la pensione di vecchiaia anticipata al maturare del requisito di 61 anni di età (se uomo; al maturare del requisito di 56 anni di età se donna), se l’invalidità riconosciuta è almeno pari all’80% e rientra tra i beneficiari di questo tipo di pensione agevolata: dovrebbe però sottoporsi a una nuova visita da parte di un’apposita commissione medica Inps, in quanto è necessario che sia accertato il possesso dell’invalidità pensionabile(i cui parametri differiscono da quelli dell’invalidità civile [1]) in misura almeno pari all’80%.

La pensione di vecchiaia anticipata viene liquidata dopo 12 mesi dal perfezionamento dei requisiti.

Una volta liquidata la pensione, che si tratti di quella anticipata o di quella di vecchiaia ordinaria, non viene più applicata alcuna riduzione.

L’assegno d’invalidità è integrabile al minimo?

Anche l’assegno d’invalidità, come le altre pensioni, è integrabile al trattamento minimo: questo vuol dire che, se dal calcolo della pensione o dell’assegno deriva un trattamento di importo inferiore a un limite stabilito (il cosiddetto minimo vitale), al titolare della prestazione viene attribuita un’integrazione, l’integrazione al minimo, appunto.

Per quanto riguarda lintegrazione al minimo dell’assegno d’invalidità, però, le regole sono differenti da quelle previste nella generalità dei casi, in quanto l’agevolazione è disciplinata dalla legge di Revisione della disciplina dell’invalidità pensionabile.

Per approfondire: Integrazione al minimo dell’assegno d’invalidità.


Come funziona il prepensionamento per motivi di salute

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In quali casi è possibile anticipare la pensione per chi ha problemi di salute: Ape sociale, pensione anticipata precoci, pensione di vecchiaia anticipata, maggiorazione contributiva.

Hai gravi problemi di salute, che rendono lo svolgimento dell’attività lavorativa assai gravoso, e vorresti anticipare la pensione per questo motivo? Devi sapere che, per anticipare la pensione, non è sufficiente avere dei problemi di salute, per quanto gravi, come una malattia cronica o degenerativa: bisogna anche che dalla malattia derivi una riduzione della capacità lavorativa, ossia una determinata percentuale d’invalidità.

Per alcune categorie di lavoratori invalidi, difatti, la legge prevede la possibilità di anticipare la pensione, o di fruire di prestazioni di accompagnamento alla pensione (come l’Ape sociale): l’invalidità deve essere, però, riconosciuta da un’apposita commissione medica (per sapere come fare: Domanda d’invalidità), non basta il certificato del medico curante.

Ma di quali vantaggi possono beneficiare gli invalidi per anticipare la pensione? Come funziona il prepensionamento per motivi di salute?

Vediamo, nel dettaglio, quali sono le tipologie di pensione, e di prestazioni di accompagnamento alla pensione, delle quali possono fruire i lavoratori con invalidità.

Pensione anticipata lavoratori precoci invalidi

In primo luogo, i lavoratori invalidi possono ottenere la pensione anticipata con soli 41 anni di contributi, anziché con 41 anni e 10 mesi di contribuzione (se donne) o con 42 anni e 10 mesi (se uomini), se:

  • sono lavoratori precoci, ossia hanno alle spalle almeno 12 mesi di contributi previdenziali da effettivo lavoro versati prima del compimento di 19 anni di età;
  • sono iscritti alla previdenza obbligatoria precedentemente al 1996;
  • sono iscritti presso una gestione previdenziale amministrata dall’Inps;
  • possiedono un’invalidità riconosciuta almeno pari al 74%.

Non solo gli invalidi, comunque, possono beneficiare di questa tipologia di pensione, ma anche altre categorie tutelate: disoccupati di lungo corso, caregiver, addetti ai lavori gravosi o usuranti. Per saperne di più: Pensione lavoratori precoci. Alla pensione si applica un periodo di attesa, detto finestra, pari a 3 mesi, a partire dalla maturazione dell’ultimo requisito.

Pensione di vecchiaia anticipata per invalidità

I lavoratori dipendenti del settore privato (iscritti all’Assicurazione generale obbligatoria dell’Inps, o a una gestione sostitutiva, sono esclusi i dipendenti pubblici e i lavoratori autonomi), se in possesso di un’invalidità pensionabile almeno pari all’80%, possono beneficiare dell’anticipo della pensione di vecchiaia, se in possesso:

  • di un’età minima di 56 anni se donne, 61 anni se uomini;
  • di un minimo di 20 anni di contributi (15 anni se beneficiari di una delle deroghe Amato).

Dalla maturazione dell’ultimo requisito sino alla liquidazione della pensione, trascorre un periodo di finestra pari a 12 mesi.

Ape sociale per invalidi

Gli invalidi dal 74% hanno anche diritto all’Ape sociale, o all’anticipo pensionistico a carico dello Stato; questa è una prestazione di accompagnamento alla pensione, una sorta di prepensionamento, che spetta, oltreché agli invalidi, ai lavoratori appartenenti alle stesse categorie beneficiarie della pensione anticipata precoci: disoccupati di lungo corso, caregiver e addetti ai lavori gravosi. Sono esclusi gli addetti ai lavori usuranti ed ai turni notturni, ma sono compresi i disoccupati di lungo corso a seguito di contratto a tempo determinato 8purché possano far valere, complessivamente, 18 mesi di lavoro nei 36 mesi che precedono la domanda di prepensionamento).

Gli invalidi, in particolare, hanno diritto all’Ape sociale se:

  • sono in possesso di un’invalidità riconosciuta almeno pari al 74%;
  • hanno compiuto 63 anni di età;
  • possiedono almeno 30 anni di contributi (accreditati presso le gestioni amministrate dall’Inps); le donne con figli hanno diritto a uno sconto del requisito contributivo pari a 1 anno per ogni figlio, sino a un massimo di 2.

L’Ape sociale è accreditata, come la pensione anticipata precoci, solo a seguito della certificazione del diritto alla prestazione. Per approfondire: Ape sociale 2019.

Maggiorazione dei contributi per gli invalidi

Chi è in possesso di un’invalidità riconosciuta almeno pari al 75% ha diritto a una maggiorazione contributiva: in sostanza, sono riconosciuti 2 mesi di contributi figurativi ogni 12 mesi di effettivo lavoro, a partire dalla data di riconoscimento dell’invalidità in misura pari o superiore al 75%, sino a un massimo di 5 anni.

Assegno ordinario d’invalidità

Chi è in possesso d’invalidità riconosciuta in misura superiore ai 2/3 ha poi diritto, con almeno 5 anni di contribuzione, di cui 3 versati nell’ultimo quinquennio, all’assegno ordinario d’invalidità. L’assegno, calcolato allo stesso modo della pensione, spetta a prescindere dalla gestione previdenziale di appartenenza (dipendenti pubblici, dipendenti di aziende del settore privato, lavoratori autonomi…), purché amministrata dall’Inps.

L’assegno d’invalidità è cumulabile limitatamente con i redditi di lavoro; per approfondire: Assegno ordinario d’invalidità.

Pensione d’inabilità al lavoro

Se all’invalido è riconosciuta una permanente ed assoluta inabilità a qualsiasi attività lavorativa, in presenza di un minimo di 5 anni di contributi, di cui 3 versati nell’ultimo quinquennio, può ottenere la pensione d’inabilità al lavoro.

Questa pensione è calcolata come la generalità delle prestazioni, con l’aggiunta di una maggiorazione sino a 60 anni di età e sino a un massimo di 40 anni di contributi. Per saperne di più: Pensione d’inabilità al lavoro.

Attenzione: questa pensione è totalmente incompatibile con l’attività lavorativa e non va confusa con la pensione per inabilità alle mansioni o a proficuo lavoro, che spettano ai soli dipendenti pubblici in presenza di 15 o 20 anni di contribuzione.

Pensione d’invalidità civile

Per gli invalidi privi di contributi previdenziali, in presenza di specifici requisiti di reddito, spetta:

  • la pensione d’invalidità civile, o assegno di assistenza per invalidi civili parziali, in presenza di un’invalidità almeno pari al 74%;
  • la pensione d’inabilità civile, per invalidità riconosciuta pari al 100%.

Ci sono poi delle prestazioni di assistenza specifiche che spettano ai ciechi, ai sordomuti, ai disabili minorenni, ai non autosufficienti. Per l’elenco completo: Invalidità, tutti gli importi delle pensioni.

Pensione minima 2019

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Pensione da 780 euro al mese: che cos’è, come funziona, chi ne ha diritto, quali requisiti, come si richiede.

Una pensione minima per tutti, sino a 780 euro al mese, grazie al reddito di cittadinanza: la misura, della quale si è discusso parecchio negli ultimi mesi,  è stata attuata col cosiddetto pacchetto previdenza, un decreto-legge in materia di previdenza e assistenza recentemente approvato. Il reddito di cittadinanza, in pratica, non è soltanto una misura temporanea per i disoccupati e gli inoccupati, ma rappresenta anche una sorta d’integrazione della pensione per chi possiede un trattamento basso.

I disoccupati, per ottenere il reddito di cittadinanza, devono impegnarsi, supportati dai centri per l’impiego (che saranno riformati) nella ricerca attiva di lavoro, nella frequenza di corsi di formazione e lavorare per 8 ore alla settimana a favore del Comune di residenza.

Gli stessi impegni e obblighi non sono previsti per gli over 67, che possono ottenere la pensione minima di cittadinanza.

Il reddito di cittadinanza, in pratica, diventa una pensione minima permanente per i pensionati che possiedono un trattamento basso e specifici requisiti di reddito e patrimoniali, familiari e personali.

L’integrazione al reddito spetta sia che si tratti di una prestazione previdenziale, come la pensione di vecchiaia o anticipata, sia che si tratti di una prestazione di assistenza, come l’assegno sociale. La pensione di cittadinanza, a seconda della situazione economica della famiglia, può dunque superare l’integrazione al trattamento minimo, che dal 2019 ammonta a 513,01 euro al mese, nonché le maggiorazioni sulla pensione, come la maggiorazione sociale e l’incremento al milione: la misura è permanente, finché sussistono i requisiti reddituali e patrimoniali, e non è condizionata all’impegno in percorsi di politica attiva del lavoro, in quanto riguarda persone non più in attività lavorativa.

In ogni caso, considerando che ad oggi la pensione minima, comprensiva di integrazione al trattamento minimo, maggiorazione sociale e incremento al milione, può arrivare a circa 650 euro mensili, l’integrazione derivante dal reddito di cittadinanza non risulta abnorme.

Bisogna poi considerare che la pensione minima di cittadinanza non riguarda tutti i pensionati, in quanto si deve rispettare una soglia di reddito Isee (l’indicatore della situazione economica equivalente, in pratica l’indice che misura la ricchezza delle famiglie) e non è possibile possedere un patrimonio mobiliare e immobiliare superiore a un determinato valore.

Attenzione, però: la pensione di cittadinanza non integra direttamente la pensione, ma è erogata su una carta acquisti, la carta Rdc, una Postepay prepagata.

Ma procediamo per ordine e facciamo il punto sulla pensione minima 2019 che si ottiene grazie al reddito di cittadinanza.

Che cos’è la pensione minima di cittadinanza?

Grazie alla pensione minima di cittadinanza, ciascun cittadino con almeno 67 anni d’età può contare su un reddito minimo mensile. Nel dettaglio, la pensione minima di cittadinanza, in base a quanto emerge dal decreto previdenza, consiste in una prestazione economica che si riceve ogni mese, esentasse, accreditata a favore di coloro che possiedono una pensione o un reddito sotto la soglia di povertà.

È considerato al di sotto della soglia di povertà ai fini della pensione e del reddito di cittadinanza chi possiede un reddito inferiore ai 780 euro mensili, in caso di nucleo familiare che paga l’affitto o il mutuo, con un solo componente: in caso di nucleo con più componenti, il reddito è aumentato dello 0,4 per ogni componente maggiorenne e dello 0,2 per ogni componente minorenne, sino a un massimo di 2,1: una famiglia numerosa, i cui componenti siano tutti over 67, può arrivare a percepire 1.473 euro al mese (quota base, pari a 630 euro, per 2,1, più 150 euro mensili per chi paga il mutuo o l’affitto).

Con riferimento al singolo componente, bisogna anche possedere una soglia di reddito personale non superiore ai 7.560 euro se il beneficiario ha dai 67 anni in su, quindi ha diritto non al reddito ma alla pensione di cittadinanza.

L’indicatore Isee della famiglia richiesto per il diritto al sussidio ammonta invece a 9.360 euro, e sono previsti ulteriori limiti, per il diritto alla prestazione, legati al patrimonio mobiliare e immobiliare.

Il reddito e la pensione di cittadinanza sono riconosciuti con una carta acquisti, una sorta di bancomat, che consente di pagare le utenze, l’affitto o il mutuo, di acquistare beni e servizi di base e di prelevare contanti sino a 100 euro al mese (il valore è da moltiplicare per la scala di equivalenza: per le famiglie con più componenti si può arrivare sino a 210 euro mensili) .La pensione di cittadinanza è suddivisa in parti uguali tra i componenti del nucleo familiare.

Per approfondire: Come funziona la carta Rdc.

A quanto ammonta la pensione minima di cittadinanza?

La pensione di cittadinanza ammonta sino a un massimo di 780 euro per ogni persona adulta e disoccupata senza alcun reddito; per chi ha un reddito sotto soglia, la pensione di cittadinanza integra gli importi percepiti sino ad arrivare a 780 euro al mese. Nello specifico, l’importo della pensione di cittadinanza è determinato da due quote:

  • la prima quota, a integrazione del reddito familiare, ammonta a una soglia massima pari a 7.560 euro annui, 630 euro al mese per il singolo componente; in presenza di più componenti si può arrivare a massimo 15.876 euro, cioè a 1.323 euro al mese;
  • la seconda quota, a integrazione del reddito familiare, è riconosciuta ai nuclei che pagano l’affitto dell’abitazione, ed è pari al canone annuo previsto dal contratto di affitto, sino a un massimo di 1.800 euro all’anno, 150 euro al mese;
  • la seconda quota è pari alla rata del mutuo, fino a un massimo di 150 euro al mese, 1.800 euro annui, nel caso di nuclei familiari residenti in abitazioni di proprietà per il cui acquisto o per la cui costruzione sia stato stipulato un contratto di mutuo da un componente della famiglia.

In ogni caso il beneficio economico:
• non può superare la soglia di 9.360 euro annui (780 euro al mese) nel caso di nucleo familiare con un solo componente,
ridotta del valore del reddito familiare; la misura massima in caso di più componenti può arrivare a 19.656 euro all’anno (1.638 euro al mese);
• non può essere inferiore a 480 euro annui (40 euro al mese).

Il reddito di cittadinanza e la pensione di cittadinanza non sono soggetti a tassazione: l’importo erogato tramite carta Rdc deve essere interamente speso, diversamente l’ammontare risparmiato è decurtato dal reddito del mese successivo, sino al 20% del sussidio..

Chi ha diritto alla pensione minima di cittadinanza?

Possono chiedere la pensione di cittadinanza gli over 67 che percepiscono redditi di pensione e altri redditi per un ammontare inferiore alla soglia di povertà, pari, come abbiamo osservato, a 780 euro mensili.

Ecco, nello specifico, quali sono i requisiti richiesti per ottenere la pensione di cittadinanza:

  • non essere detenuto o ricoverato in una struttura a carico dello Stato;
  • essere cittadino italiano;
  • in alternativa, essere cittadino dell’Unione Europea, o suo familiare che sia titolare del diritto di soggiorno o del diritto di soggiorno permanente, oppure cittadino di Paesi terzi in possesso del permesso di soggiorno europeo per soggiornanti di lungo periodo o apolide in possesso di analogo permesso o titolare di protezione internazionale (asilo politico, protezione sussidiaria);
  • bisogna poi risiedere in Italia, in via continuativa, da almeno 10 anni al momento di presentazione della domanda, di cui gli ultimi due, considerati al momento della presentazione della domanda e per tutta la durata dell’erogazione del beneficio, in modo continuativo;
  • bisogna percepire un reddito inferiore alla soglia di povertà, cioè sotto i 780 euro mensili; il requisito è da rapportare al parametro della scala di equivalenza, che dipende dai componenti del nucleo familiare;
  • bisogna possedere un Isee del nucleo familiare inferiore a 9.360 euro, da rapportare al parametro della scala di equivalenza;
  • bisogna possedere un valore del reddito familiare inferiore a 7.560 euro; l’importo è elevato sino a 9.360 euro per chi paga l’affitto ed è da adeguare col parametro della scala di equivalenza;
  • è possibile possedere, oltre all’abitazione principale, un secondo immobile, che non deve avere un valore superiore a 30mila euro;
  • è possibile possedere un patrimonio mobiliare familiare (conti, carte prepagate, titoli, libretti, partecipazioni…) non superiore a 6mila euro; la soglia è incrementata di 2mila euro per ogni componente del nucleo familiare successivo al primo, fino ad un massimo di 10 mila euro, incrementati di ulteriori mille euro per ogni figlio successivo al secondo; i massimali sono ulteriormente incrementati di 5mila euro per ogni componente con disabilità presente nel nucleo;
  • nessun componente della famiglia deve possedere autoveicoli immatricolati da meno di 6 mesi, o con cilindrata superiore a 1.600 cc e motoveicoli di cilindrata superiore a 250 cc, immatricolati nei 2 anni precedenti, navi o imbarcazioni da diporto; sono esclusi i veicoli per disabili;
  • la dichiarazione Isee del nucleo familiare deve essere in corso di validità.

Chi lavora o percepisce la disoccupazione ha diritto alla pensione minima di cittadinanza?

pensionati che lavorano hanno diritto all’integrazione alla pensione minima di 780 euro (riconosciuta sotto forma di reddito o di pensione di cittadinanza) soltanto se il reddito di pensione e il reddito di lavoro, sommati assieme (e assieme ad altri eventuali redditi), risultano inferiori a 780 euro mensili, da rapportare al parametro della scala di equivalenza; inoltre devono possedere un Isee del nucleo familiare inferiore a 9.360 euro, da rapportare al parametro della scala di equivalenza, e un valore del reddito familiare inferiore a 7.560 euro (a 6mila euro per i nuclei beneficiari di reddito di cittadinanza).

Gli importi sono da adeguare col parametro della scala di equivalenza, a seconda del numero di componenti del nucleo familiare.

Quali pensionati hanno diritto alla pensione minima di cittadinanza?

Ad oggi, chi possiede una pensione bassa ha diritto all’integrazione al trattamento minimo, pari a 513,01 euro mensili  se possiede determinati requisiti di reddito personale e familiare. Inoltre, può aver diritto alla maggiorazione sociale della pensione e all’incremento al milione, sino ad arrivare a una pensione minima di circa 650 euro mensili.

Con l’entrata in vigore della pensione di cittadinanza, l’integrazione del reddito (tramite carta Rdc) arriverà a 780 euro mensili, ma solo per chi possiede, oltre ai requisiti reddituali, anche le condizioni patrimoniali ed Isee relative al nucleo familiare prescritte dalla legge.

Chi riceve prestazioni di assistenza ha diritto alla pensione minima di cittadinanza?

Che cosa succede se il beneficiario della pensione di cittadinanza percepisce anche una pensione d’invalidità o un trattamento di assistenza? Il decreto prevede che, ai fini del diritto al reddito o alla pensione di cittadinanza, il reddito familiare:

  • è determinato al netto dei trattamenti di assistenza non più in godimento, eventualmente inclusi nell’Isee;
  • include i trattamenti di assistenza in godimento da parte dei componenti del nucleo familiare, escluse le prestazioni non sottoposte alla prova dei mezzi, come l’assegno di accompagnamento.

Nel valore dei trattamenti di assistenza non rilevano:

  • il pagamento di arretrati;
  • le riduzioni nella compartecipazione al costo dei servizi;
  • le esenzioni e agevolazioni per il pagamento di tributi;
  • i rimborsi di spese sostenute;
  • i buoni servizio e gli altri titoli che svolgono la funzione di sostituzione di servizi;
  • il bonus bebè.

Per ottenere la pensione minima di cittadinanza si deve lavorare?

In base a quanto disposto dal decreto in materia, per ottenere la pensione di cittadinanza non è necessario lavorare, fare del volontariato o impegnarsi in percorsi di politica attiva del lavoro. Il sussidio, per gli over 67, spetta soltanto in base al reddito posseduto, come avviene oggi per l’integrazione al minimo.

Per ottenere il reddito di cittadinanza si deve lavorare?

Al contrario, il reddito di cittadinanza obbliga il beneficiario non solo a cercare assiduamente un lavoro ed a riqualificarsi, ma anche ad offrire 8 ore alla settimana di lavoro gratuito per il proprio Comune di residenza.

Chi si rifiuta di lavorare perde il sussidio.

Per quanto riguarda, poi, la partecipazione alle iniziative di politica attiva del lavoro previste per il beneficiario del reddito di cittadinanza, è obbligatorio (a meno che l’interessato non sia pensionato):

  • iscriversi presso i centri per l’impiego e offrire subito la disponibilità al lavoro;
  • iniziare un percorso per essere accompagnati nella ricerca del lavoro dimostrando la reale volontà di trovare un impiego;
  • offrire la propria disponibilità per progetti comunali utili alla collettività (l’impegno lavorativo richiesto è sino a 8 ore settimanali);
  • frequentare percorsi per la qualifica o la riqualificazione professionale;
  • cercare attivamente lavoro ogni giorno;
  • comunicare tempestivamente qualsiasi variazione del reddito;
  • accettare uno dei primi tre lavori che verranno offerti (la prima offerta di lavoro, se si percepisce il sussidio in fase di rinnovo).

Chi ha un lavoro a tempo pieno, ma è sottopagato, ha comunque diritto all’integrazione del reddito, senza bisogno di partecipare alle iniziative di politica attiva del lavoro. Lo stesso vale, ovviamente, per gli over 67, che hanno diritto, come abbiamo osservato, alla pensione minima sino a 780 euro al mese. Purché, in entrambi i casi, si possiedano i requisiti reddituali e patrimoniali prescritti.

Che cosa succede alla pensione minima di cittadinanza per chi rifiuta un lavoro?

Come abbiamo osservato, per ottenere la pensione minima di cittadinanza non è necessario lavorare, quindi si può ottenere il sussidio a prescindere dalla ricerca o dall’accettazione di un impiego.

Che cosa succede al reddito di cittadinanza per chi rifiuta un lavoro?

L’interessato che percepisce il reddito di cittadinanza, invece, a meno che non sia disabile o con carichi di cura, può rifiutare al massimo due proposte lavorative congrue nell’arco del periodo di godimento (deve accettare la prima proposta, se percepisce il sussidio in fase di rinnovo). Ha inoltre la possibilità di recedere dall’impiego per due volte nell’arco del periodo di godimento. Superati questi limiti, perde la prestazione.

Come si chiede la pensione minima di cittadinanza?

La pensione di cittadinanza ed il reddito di cittadinanza possono essere richiesti alle Poste, oppure rivolgendosi a un Caf convenzionato o, ancora, tramite il sito web Redditodicittadinanza.gov.it, compilando degli appositi moduli.

L’Inps, con l’aiuto del Comune di residenza, verificherà il possesso dei requisiti per il diritto al sussidio: in seguito, l’interessato riceverà la carta Rdc dalle Poste, che sarà ricaricata mensilmente dall’Inps.

In futuro, sarà possibile presentare la richiesta del reddito di cittadinanza assieme alla dichiarazione Isee.

Pacchetto previdenza: novità pensioni

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Quota 100 in scadenza dopo 3 anni, blocco dei requisiti per la pensione anticipata, quota 41 per tutti dal 2022, proroga Ape sociale e opzione donna: che cosa cambia.

La quota 100 è appena diventata operativa ma è già stata cambiata numerose volte: finalmente, l’intervento sta assumendo la sua forma definitiva, in base a quanto emerso dal decreto pensioni [1], che potrebbe però essere modificato, nella conversione in legge. La prima grande novità riguarda la durata della quota 100: la misura, nonostante sia stata presentata come strutturale, cioè permanente, avrà, invece, la durata di 3 anni.

Dal 2022, sarà sostituita dalla pensione anticipata con 41 anni di contributi: questa misura, ad oggi accessibile ai soli lavoratori precoci appartenenti a determinate categorie tutelate, sarà aperta a tutti.

Nel frattempo, sono stati bloccati gli adeguamenti dei requisiti della pensione anticipata alla speranza di vita: nel 2019, quindi, ci si potrà pensionare con 41 anni e 10 mesi di contributi, se donne, o con 42 anni e 10 mesi di contributi, se uomini.

Saranno prorogati al 2019, poi, sia l’Ape sociale che l’opzione donna. In arrivo anche il reddito e la pensione minima di cittadinanza, che presentano dei requisiti più stringenti rispetto a quelli inizialmente previsti.

Ma procediamo per ordine e facciamo il punto sul pacchetto previdenza: novità pensioni.

Pensione anticipata quota 100

La più attesa, tra le nuove pensioni previste dalla riforma, è la pensione quota 100. Questa pensione prevede la possibilità di uscire dal lavoro quando la quota, cioè la somma di età e contribuzione posseduta dal lavoratore, è pari a 100 (ad esempio, chi ha compiuto 62 anni di età e possiede 38 anni di contributi raggiunge la quota 100, perché 62+38=100).

In base a quanto emerso dal pacchetto previdenza, però, non tutti coloro la cui quota è pari a 100 potranno pensionarsi con questo trattamento, ma potrà uscire dal lavoro solo chi possiede un requisito di età minimo pari a 62 anni e di contribuzione pari a 38 anni.

Niente pensione, quindi, per chi ha la quota 100 con 60 anni di età e 40 anni di contributi, né per chi possiede 35 anni di contributi e 65 anni di età: in base a quanto reso noto sinora, occorrerà rispettare sia il requisito minimo di età, che di contribuzione.

I 38 anni di contributi possono essere raggiunti anche attraverso il cumulo dei versamenti accreditati presso casse diverse. Per chi è iscritto all’Assicurazione generale obbligatoria, è anche richiesto un minimo di 35 anni di contributi “al netto dei periodi di disoccupazione e malattia non integrata dal datore di lavoro).

Finestre per la quota 100

La pensione quota 100 inizierà ad essere corrisposta da aprile 2019. Per evitare l’esodo di massa dei lavoratori con l’uscita anticipata quota 100, sono state reintrodotte le finestre di attesa, che spostano la decorrenza della pensione. In particolare:

  • i lavoratori del settore privato che maturano i requisiti entro il 31 dicembre 2018, conseguono il diritto alla decorrenza della pensione il 1° aprile 2019;
  • i lavoratori del settore privato che maturano i requisiti dal 1° gennaio 2019, conseguono il diritto alla decorrenza della pensione trascorsi tre mesi dalla data di maturazione dei requisiti stessi;
  • i dipendenti pubblici che maturano i requisiti entro l’entrata in vigore del decreto pensioni, conseguono il diritto alla decorrenza della pensione il 1° agosto 2019;
  • i dipendenti pubblici che maturano i requisiti dal giorno successivo alla data di entrata in vigore del decreto, conseguono il diritto alla decorrenza del trattamento pensionistico trascorsi 6 mesi dalla data di maturazione dei requisiti stessi;
  • la domanda di collocamento a riposo, per i dipendenti pubblici, deve essere presentata all’amministrazione di appartenenza con un preavviso di sei mesi;
  • per i dipendenti del comparto scuola si applica la finestra unica di uscita.

In base a quanto esposto nel decreto, dunque, escluse le finestre per i dipendenti della scuola, e la finestra del 1° aprile e del 1° agosto, rispettivamente dedicate ai lavoratori del settore privato e pubblico, le ulteriori finestre saranno mobili, e non finestre fisse.

Come funziona il divieto di cumulo tra lavoro e pensione quota 100?

In base alle disposizioni del pacchetto previdenza, per chi richiede la pensione quota 100 è previsto il parziale divieto di lavorare. Non si tratta, però, di un divieto di cumulo assoluto tra lavoro e pensione, ma un divieto di cumulo relativo.

Nel dettaglio, il divieto di cumulo tra lavoro e pensione quota 100 sarà operativo solo sino al compimento dell’età pensionabile, dal 2019 pari a 67 anni, ma parziale: non si potranno percepire redditi di lavoro autonomo e dipendente, ma solo redditi di lavoro autonomo occasionale sino a 5mila euro annui.

Quando finisce la quota 100?

La quota 100, in base alle ultime novità emerse dal pacchetto previdenza, sarà una misura provvisoria e non strutturale. In pratica, la sua durata sarà pari a 3 anni, sino al 31 dicembre 2021, poi cederà il passo alla pensione anticipata con 41 anni di contributi, o quota 41. Per approfondire: Quota 100 per 3 anni.

Come si calcola l’assegno con quota 100?

Per quanto riguarda il calcolo della pensione quota 100, alcune proposte prevedevano il ricalcolo contributivo integrale, oppure per le annualità che partono dal 1996 (in questo caso si tratterebbe di ricalcolo misto).

Le proposte più recenti prevedevano, invece una penalizzazione pari all’1,5% per ogni anno di anticipo nel pensionamento rispetto all’età pensionabile, cioè rispetto all’età per la pensione di vecchiaia: chi ad esempio, deciderà di pensionarsi a 62 anni, subirebbe un taglio dell’assegno pari al 7,5% (1,5% per 5 anni che mancano all’età pensionabile, pari a 67 anni dal 2019).

In base a quanto emerge dal decreto pensioni, non ci saranno penalità nel calcolo della pensione. L’unica penalità è relativa all’anticipo della pensione: in pratica, prima si va in pensione, più il trattamento risulta basso, almeno nella quota calcolata col sistema contributivo, in quanto i contributi accreditati formano un montante minore e si ha diritto a un coefficiente di trasformazione più basso basato sull’età pensionabile. Per approfondire: Quanto perde chi va in pensione prima?

La quota 100, nel caso in cui il trattamento sia alto, potrebbe anche subire il taglio previsto per le pensioni d’oro.Per approfondire: Taglio pensioni d’oro.

Come funziona il calcolo della pensione quota 100?

La pensione con quota 100, in base a quanto emerge dal decreto pensioni, sarà calcolata come qualsiasi altro trattamento pensionistico, senza penalizzazioni e senza il ricalcolo misto  o il ricalcolo integralmente contributivo.

Il calcolo della pensione sarà dunque:

  • retributivo sino al 31 dicembre 2011, poi contributivo, per chi possiede oltre 18 anni di contributi al 31 dicembre 1995;
  • retributivo sino al 31 dicembre 1995, poi contributivo, per chi possiede meno di 18 anni di contributi al 31 dicembre 1995;
  • integralmente contributivo per chi non possiede contributi al 31 dicembre 1995.

Per capire meglio le differenze di calcolo della pensione: Come si calcola la pensione.

Quota 100 per la scuola

Le novità in materia di pensioni interessano anche il personale del comparto scuola: sia la nuova pensione anticipata con quota 100, che la pensione anticipata ordinaria con i requisiti bloccati e la proroga dell’opzione donna, saranno però assoggettate alla finestra unica di uscita.

Per i dipendenti delle istituzioni scolastiche, difatti, la cessazione dal servizio e la decorrenza della pensione hanno effetto dalla data di inizio dell’anno scolastico e accademico, nel caso in cui la maturazione dei requisiti per il pensionamento sia prevista entro il 31 dicembre dell’anno.

Questa particolare disciplina è dovuta al fatto che il personale della scuola deve assicurare la continuità didattica, pertanto l’uscita dal lavoro è basata sul calendario scolastico.

Considerando che la pensione con Quota 100, il blocco dei requisiti per la pensione anticipata e la proroga dell’opzione donna sono entrate in vigore in ritardo, il personale a tempo indeterminato della scuola può presentare, entro il 28 febbraio 2019, domanda di cessazione dal servizio con effetti dall’inizio dell’anno scolastico o accademico.

Per il personale delle istituzioni scolastiche ci sono altre buone notizie:è prevista, difatti, la possibilità di incassare il Tfs o il Tfr (cioè il trattamento di fine servizio ed il trattamento di fine rapporto) immediatamente, con un finanziamento bancario i cui interessi saranno a carico dello Stato.

Per saperne di più: Quota 100 scuola.

Prepensionamento per gli esuberi: quota 100 3 anni prima

Pensionarsi con quota 94, ossia con soli 59 anni di età e 35 anni di contributi: si tratta di una nuova possibilità prevista nel decreto in materia di pensioni.

Con la quota 94 si otterrà non una vera e propria pensione, ma un assegno di prepensionamento, molto simile agli attuali isopensione e assegno straordinario: in pratica, si tratta di una prestazione di accompagnamento alla pensione, d’importo pari, o molto vicino, al futuro trattamento spettante.

Il nuovo assegno di prepensionamento potrà essere richiesto dai lavoratori ai quali non mancano più di 3 anni per raggiungere la pensione quota 100, se appartenenti a un’azienda che aderisce ad un ente bilaterale e che ha sottoscritto appositi accordi sindacali.

Il pensionamento anticipato potrà essere finanziato sia dall’azienda che dal fondo interprofessionale a cui aderisce: questi fondi, attualmente destinati alla formazione continua dei dipendenti, dovrebbero essere, in tutto o in parte, destinati agli anticipi pensionistici finalizzati al ricambio generazionale. Ad ogni prepensionamento, difatti, dovrebbe seguire un’assunzione incentivata: il provvedimento della pensione quota 100 3 anni prima, per questo motivo, è stato ribattezzato “staffetta generazionale”.

Sarà possibile prepensionare i lavoratori senza assumerne di nuovi, comunque, per le aziende in crisi.

In definitiva, la quota 94, anche se consentirà un ulteriore anticipo rispetto alla quota 100, non impatterà sui conti pubblici, in quanto interamente finanziata dalle aziende e dai fondi interprofessionali.

Proroga Ape sociale

Nel decreto pensioni è stata prorogata di un anno l’Ape sociale.

L’Ape sociale, o anticipo pensionistico a carico dello Stato, è un assegno che ha la funzione di accompagnare il lavoratore per un massimo di 3 anni e 7 mesi, sino all’età pensionabile, cioè all’età per la pensione di vecchiaia.

Considerando che l’età pensionabile, dal 1° gennaio 2019, è pari a 67 anni, l’Ape sociale potrà essere richiesta a partire dai 63 anni e 5 mesi di età. L’assegno è calcolato allo stesso modo della futura pensione, ma non può superare 1.500 euro mensili.

Per approfondire: Ape sociale 2019.

Pensione anticipata con la pace contributiva

Pensionarsi prima coprendo tutti i periodi senza contributi dal 1996 in poi, grazie a un riscatto con costi ridotti: si tratta di una nuova possibilità prevista nel pacchetto previdenza, finalizzata ad anticipare l’uscita dal lavoro senza incidere notevolmente sulle casse pubbliche. In base a quanto emerge dalla normativa, i lavoratori potrebbero riscattare tutti i periodi senza contributi a partire dal 1996. Nei riscatti sono essere compresi tutti gli intervalli non lavorati e non coperti da contribuzione figurativa o da altro tipo di contribuzione, anche non compresi nelle attuali ipotesi di riscatto, come gli anni di laurea o i periodi di aspettativa non retribuita. Questo “riscatto universale” risulta di fatto più simile al versamento di contributi volontari retroattivo che al riscatto vero e proprio, considerando che non richiede particolari requisiti relativi agli intervalli di tempo non coperti da versamenti previdenziali. Il costo del nuovo riscatto, che dovrà essere calcolato col sistema contributivo, risulterà ridotto rispetto all’attuale costo del riscatto dei contributi, e sarà detraibile al 50% dall’Irpef: per questo motivo la proposta è stata ribattezzata “pace contributiva”, in analogia con la pace fiscale. La finalità del riscatto “scontato” è quella di favorire l’uscita dal lavoro, grazie all’aumento dei versamenti utili per il diritto alla pensione; l’intervento, poi, assieme all’utilizzo dei nuovi fondi esuberi, dovrebbe servire a finanziare, almeno in parte, la pensione quota 100.

Per approfondire e capire come funziona il riscatto dei contributi: pensione anticipata con pace contributiva.

La proposta è stata affiancata dalla possibilità di riscattare gli anni di laurea versando una contribuzione ridotta: in pratica, per gli under 50, è possibile riscattare l’intero periodo di laurea, se successivo al 1996, con versamenti bassi. Questi versamenti darebbero però luogo a un assegno mensile minore da parte dell’Inps.

Taglio delle pensioni sopra i 5000 euro

In base a quanto emerge dal pacchetto previdenza, rischia la riduzione della pensione chi possiede un trattamento che supera un determinato ammontare.

In particolare, potrebbe essere interessato dal nuovo taglio delle pensioni d’oro, o meglio delle pensioni alte, chi percepisce un trattamento che supera i 5000 euro netti al mese: è quanto previsto dall’intervento sul taglio degli assegni d’oro, che prevede la riduzione dei trattamenti attraverso l’applicazione di un contributo di solidarietà. Inoltre, è stato previsto un nuovo meccanismo di riduzione della rivalutazione delle pensioni alte. Saranno tagliate le pensioni anticipate, o di anzianità, più alte; nessun taglio, invece, per le pensioni di reversibilità e invalidità, né per le vittime del terrorismo o del dovere.

La penalizzazione, che riguarderà un’ampia, ma non enorme, platea di pensionati, comporterà un risparmio che servirà, in base a quanto annunciato, ad aumentare le pensioni minime, quindi a finanziare la pensione di cittadinanza . Inoltre, il disegno di legge abolirà i privilegi pensionistici dei sindacalisti.

Per sapere chi subirà il taglio della pensione, e di quanto sarà ridotto il trattamento: Taglio delle pensioni d’oro.

Come si rivaluta la pensione dal 2019?

Le pensioni che superano di 3 volte il trattamento minimo subiscono una riduzione della rivalutazione (pari all’1,1% per il 2019), che dal 2019 cambia, rispetto agli adeguamenti applicati in precedenza. Nel dettaglio:

  • per le pensioni fino a 3 volte il minimo, l’adeguamento è pari al 100%;
  • per le pensioni oltre 3 e fino a 4 volte il minimo è del 97%;
  • per le pensioni oltre 4 e fino a 5 volte il minimo è del 77%;
  • per le pensioni oltre 5 e fino a 6 volte il minimo è del 52%;
  • per le pensioni oltre 6 e fino a 8 volte il minimo è del 47%;
  • per le pensioni oltre 8 e fino a 9 volte il minimo è del 45%;
  • per le pensioni oltre 9 volte il minimo è del 40%.

In pratica, con questo sistema, chi possiede una pensione pari a 1.600 euro dal 2019 beneficia dell’applicazione di una rivalutazione pari al 100% dell’inflazione sui primi 1530 euro (3 volte il minimo nel 2019), mentre per l’importo che supera 3 volte il trattamento minimo ottiene una rivalutazione pari al 97% dell’inflazione.

Per saperne di più: Come cambiano gli importi delle pensioni dal 2019.

Questi nuovi adeguamenti non saranno applicati da subito dall’Inps, a causa dell’approvazione tardiva della nuova normativa. Per il mese di gennaio 2019 saranno invece applicati i vecchi adeguamenti, cioè quelli che sarebbero rientrati in vigore dal 2019 in assenza della nuova legge.

Nel dettaglio:

  • le fasce di importo fino a 3 volte il trattamento minimo saranno rivalutate in misura pari al 100% dell’inflazione;
  • per le fasce d’importo tra 3 e 5 volte il minimo si applicherà il 90% dell’inflazione;
  • per le fasce d’importo superiore a 5 volte il minimo si applicherà il 75% dell’inflazione.

Aumento pensioni 2019

Nel dettaglio, le pensioni riconosciute dall’Inps, nel 2019, aumenteranno in questo modo, salvo interventi del Governo:

  • pensioni fino a 3 volte il minimo: si applicherà un tasso di rivalutazione pari all’1,1%;
  • pensioni di importo da 3 a 4 volte il minimo: si applicherà un tasso di rivalutazione pari all’1,067%;
  • pensioni di importo da 4 a 5 volte il minimo: si applicherà un tasso di rivalutazione pari allo 0,847%;
  • pensioni di importo da 5 a 6 volte il minimo: si applicherà un tasso di rivalutazione pari allo 0,572%;
  • pensioni di importo da 6 a 8 volte il minimo: si applicherà un tasso di rivalutazione pari allo 0,517%;
  • pensioni di importo da 8 a 9 volte il minimo: si applicherà un tasso di rivalutazione pari allo 0,495%;
  • pensioni di importo oltre 9 volte il minimo: si applicherà un tasso di rivalutazione pari allo 0,44%.

Pensione di cittadinanza dal 2019

Il reddito di cittadinanza è stato previsto nel decreto pensioni: da aprile 2019, tutti i cittadini senza redditi, o con redditi sotto la soglia di povertà, avranno diritto al reddito di cittadinanza sino a 780 euro al mese. L’attuazione in ritardo non è dovuta all’assenza di risorse, come chiarito dalla viceministro all’Economia Laura Castelli, ma alla necessaria riforma dei centri per l’impiego, che richiederà circa 4 mesi di tempo. Senza la riforma dei centri per l’impiego, riconoscere il reddito di cittadinanza non sarebbe possibile, in quanto il sussidio è subordinato all’adesione, da parte dei beneficiari, a misure di politica attiva del lavoro. I disoccupati, in pratica, dovranno impegnarsi, supportati dai centri per l’impiego riformati, nella ricerca attiva di lavoro, nella frequenza di corsi di formazione e dovranno lavorare per 8 ore alla settimana a favore del Comune di residenza.

Non è invece richiesto un impegno di lavoro per ottenere la pensione minima di cittadinanza, sino a 780 euro al mese, in quanto la misura interessa i soli over 65, non più in età lavorativa. La pensione di cittadinanza dovrebbe integrare sia l’integrazione al trattamento minimo, che dal 2019 ammonterà a 513 euro al mese, che le maggiorazioni sulla pensione, come la maggiorazione sociale e l’incremento al milione: considerando che nel 2019 la pensione minima, comprensiva di integrazione al trattamento minimo, maggiorazione sociale e incremento al milione, può arrivare a circa 650 euro mensili, la differenza con la pensione di cittadinanza non sarebbe enorme.

La misura, in ogni caso, dovrebbe essere applicata sia alle prestazioni previdenziali, come la pensione di vecchiaia o anticipata, che alle prestazioni di assistenza, come l’assegno sociale. Per approfondire: pensione di cittadinanza 2019.

Il reddito di cittadinanza, assieme alla pensione di cittadinanza, saranno riconosciuti con una carta acquisti.

Inoltre, chi non paga l’affitto perché proprietario di un immobile subirà una riduzione del reddito e della pensione di cittadinanza pari a 280 euro mensili. Ok al reddito e alla pensione di cittadinanza per chi ha la seconda casa, ma solo se il suo valore non supera 30mila euro. Il patrimonio mobiliare non può superare 10mila euro, per i nuclei con più figli.

Pensione quota 41

La pensione quota 100 dovrebbe essere una misura provvisoria, della durata di 3 anni, sostituita, dal 2022, dalla pensione quota 41.

In questo caso, il termine quota è utilizzato in modo improprio, in quanto la pensione quota 41 si potrebbe ottenere senza alcun limite di età, solo con 41 anni di contributi.

Attualmente esiste già una pensione molto simile alla quota 41, la pensione anticipata per i lavoratori precoci; questo trattamento è però riservato a particolari categorie di lavoratori precoci (cioè a coloro che possiedono almeno 12 mesi di contributi da effettivo lavoro versati prima del compimento del 19° anno di età): disoccupati di lungo corso, invalidi dal 74%, caregiver e addetti ai lavori gravosi e usuranti. Bisogna poi precisare che ad oggi la pensione anticipata dei lavoratori precoci si può ottenere con 41 anni di contributi, ma dal 2019 potrebbero essere richiesti 41 anni e 5 mesi.

Blocco requisiti pensione anticipata dal 2019

In base alla normativa attuale, dal 1° gennaio 2019 tutti i requisiti per la pensione soggetti all’adeguamento alla speranza di vita aumentano. Fa eccezione la sola pensione anticipata ordinaria, per la quale è stato previsto il blocco dei requisiti. Nello specifico:

  • l’età per la pensione di vecchiaia ordinaria passa da 66 anni e 7 mesi a 67 anni (ad eccezione degli addetti ai lavori gravosi e degli addetti ai lavori usuranti con almeno 30 anni di contributi);
  • l’età per la pensione di vecchiaia anticipata per invalidità è diventata pari a 61 anni per gli uomini ed a 56 anni per le donne, anziché restare ferma a 60 anni e 7 mesi ed a 55 anni e 7 mesi;
  • l’età per la pensione di vecchiaia contributiva, che richiede soli 5 anni di contributi, passa da 70 anni e 7 mesi a 71 anni;
  • l’età per la pensione anticipata contributiva passa da 63 anni e 7 mesi a 64 anni;
  • gli anni di contributi necessari per la pensione anticipata ordinaria restano fermi a 41 anni e 10 mesi per le donne, ed a 42 anni e 10 mesi per gli uomini, sino al 31 dicembre 2026; si applica però il differimento di 3 mesi delle decorrenze, con le finestre;
  • l’età per la pensione di vecchiaia in totalizzazione passa da 65 anni e 7 mesi a 66 anni;
  • gli anni di contributi per la pensione di anzianità in totalizzazione salgono da 40 e 7 mesi a 41;
  • nessun aumento è previsto per la pensione di anzianità degli addetti ai  lavori usuranti .

Proroga opzione Donna

Uno degli interventi attuati dalla riforma pensioni consiste nella  proroga dell’opzione donna, una speciale pensione agevolata dedicata alle sole lavoratrici, che possono anticipare notevolmente l’uscita dal lavoro in cambio del ricalcolo contributivo della prestazione.

Ad oggi, per potersi pensionare con opzione donna devono essere rispettati precisi requisiti di età:

  • per le lavoratrici dipendenti, è necessario aver raggiunto 57 anni e 7 mesi di età entro il 31 luglio 2016, e 35 anni di contributi al 31 dicembre 2015; dalla data di maturazione dell’ultimo requisito alla liquidazione della pensione è prevista l’attesa di un periodo, detto finestra, pari a 12 mesi;
  • per le lavoratrici autonome, è necessario aver raggiunto 58 anni e 7 mesi di età entro il 31 luglio 2016, e 35 anni di contributi al 31 dicembre 2015; dalla data di maturazione dell’ultimo requisito alla liquidazione della pensione è prevista l’attesa di un periodo di finestra pari a 18 mesi.

In pratica, possono ottenere la pensione le dipendenti che hanno compiuto 57 anni e le autonome che hanno compiuto 58 anni entro il 31 dicembre 2015, se possiedono 35 anni di contributi entro la stessa data.

Con la proroga dell’opzione donna, questo trattamento può essere raggiunto da tutte le lavoratrici con 35 anni di contributi, ma con un minimo di 58 anni per le dipendenti, e di 59 anni per le autonome. I requisiti devono essere maturati al 31 dicembre 2018.

Proroga Ape volontario

Nel 2019 può ancora essere richiesto, senza necessità di un’apposita previsione nella legge di Bilancio, l’Ape volontario, ossia l’anticipo pensionistico che consente l’uscita dal lavoro con 3 anni e 7 mesi di anticipo rispetto alla maturazione dei requisiti per la pensione di vecchiaia.

L’Ape volontario è ottenuto grazie a un prestito bancario, il cosiddetto prestito pensionistico, un finanziamento che deve essere restituito in 20 anni, una volta perfezionati i requisiti per la pensione.

Il trattamento è esentasse: ciò significa che l’assegno ricevuto mensilmente a titolo di Ape non ha trattenute tributarie, non essendo gravato dalle imposte.

L’Ape volontario, al contrario dell’Ape sociale, cioè all’anticipo a carico dello Stato, non è uguale alla futura pensione (con il tetto massimo di 1500 euro), ma può arrivare:

  • al 75% dell’importo mensile del trattamento pensionistico, se la durata di erogazione dell’Ape è superiore a 36 mesi;
  • all’80% dell’importo mensile del trattamento pensionistico, se la durata di erogazione dell’Ape è superiore a 24 e pari o inferiore a 36 mesi;
  • all’85% dell’importo mensile del trattamento pensionistico, se la durata di erogazione dell’Ape è compresa tra 12 e 24 mesi;
  • al 90% dell’importo mensile del trattamento pensionistico, se la durata di erogazione dell’APE è inferiore a 12 mesi.

L’Ape volontario determina un taglio della futura pensione: la penalizzazione non è soltanto dovuta ai costi di restituzione di prestito pensionistico, ma anche all’assicurazione obbligatoria per il rischio di premorienza e al contributo per il fondo di garanzia.

Pensione per gli addetti ai lavori usuranti e notturni

Restano infine invariati, nel 2019, i requisiti per accedere alla pensione agevolata a favore degli addetti a mansioni usuranti e turni notturni. Questa pensione di anzianità, lo ricordiamo, si può raggiungere con un minimo di 35 anni di contributi e di 61 anni e 7 mesi di età.

Nel dettaglio, per ottenere la pensione di anzianità, è necessario che il lavoratore maturi i seguenti requisiti, validi sino al 31 dicembre 2026 (non si applicano gli adeguamenti alla speranza di vita):

  • quota pari a 97,6, con:
    • almeno 61 anni e 7 mesi d’età;
    • almeno 35 anni di contributi.

Dalla maturazione dei requisiti alla liquidazione della pensione non è più necessario attendere la cosiddetta finestra, pari a 12 mesi per i dipendenti e a 18 mesi per gli autonomi, perché è stata abolita dalla Legge di bilancio 2017.

Se l’interessato possiede anche contributi da lavoro autonomo, i requisiti sono aumentati di un anno.

Hanno diritto alla pensione d’anzianità anche i lavoratori adibiti a turni notturni, ma le quote sono differenti a seconda del numero di notti lavorate nell’anno.

Per saperne di più: Pensione addetti ai lavori usuranti ed ai turni notturni.

Nuove agevolazioni per i caregiver

Con la ripresa dell’esame del Testo unico per il caregiver familiare, si vorrebbero introdurre, oltre ad incentivi economici e fiscali a favore di chi assiste gratuitamente un familiare invalido, disabile o non autosufficiente, ulteriori incentivi lavorativi e previdenziali: contributi figurativi ed ampliamento dei beneficiari della pensione anticipata precoci e dell’Ape sociale a favore dei caregiver. Per saperne di più: Legge 104, nuove agevolazioni per caregiver familiari.

Quota 100: le istruzioni dell’Inps

L’Inps, con una nuova circolare [2], ha illustrato le disposizioni principali relative alla pensione con quota 100,  la nuova tipologia di pensionamento introdotta dal decreto-legge in materia di reddito di cittadinanza e pensioni [1], che prevede dei requisiti flessibili per uscire dal lavoro. Per pensionarsi, difatti, è sufficiente aver compiuto 62 anni di età e possedere 38 anni di contributi.

I 38 anni di contributi, peraltro, possono essere raggiunti anche attraverso il cumulo dei versamenti presenti in gestioni previdenziali diverse, se amministrate dall’Inps: ai fini del diritto alla pensione, sono sommati tutti i periodi non coincidenti, mentre ai fini della misura, cioè dell’importo del trattamento, valgono tutti i contributi accreditati. Nessuna penalizzazione è prevista nel calcolo della pensione, né il ricalcolo contributivo del trattamento.

L’uscita con Quota 100 è differita a causa dell’applicazione delle cosiddette finestre, dei periodi di attesa che cambiano a seconda della categoria di appartenenza del lavoratore e della data di perfezionamento dei requisiti per la pensione.

Inoltre, la pensione Quota 100 è sospesa per chi produce redditi di lavoro dipendente e autonomo (esclusi i redditi derivanti da attività di lavoro autonomo occasionale, sino a 5mila euro annui).

Per fare il punto della situazione: Quota 100, istruzioni Inps.

Pensioni e previdenza: le ultime novità

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Ultimi aggiornamenti in materia di pensioni, previdenza e assistenza: come si evolvono la legge e le regole operative Inps.

Quando si parla di pensioni si affronta un argomento molto delicato, particolarmente complesso ed in continua evoluzione. Ogni ente previdenziale, difatti, ha regole proprie in merito ai requisiti per ottenere le prestazioni di previdenza e assistenza, che cambiano notevolmente a seconda della gestione, del fondo e delle categorie in cui è inquadrato l’interessato. Per non parlare delle regole relative al calcolo della pensione o dei sussidi a sostegno del reddito: la legge le definisce in modo vago, di conseguenza subentrano numerose circolari interpretative da parte degli enti interessati, come l’Inps, che spesso sono contradditorie e stravolgono quella che è la finalità della normativa. Le novità sono quasi quotidiane: per restare aggiornati è necessario leggere i giornali o, in alternativa, leggere ogni giorno le circolari e i messaggi dell’Inps, all’interno del portale web dell’istituto. Si devono poi spulciare le circolari e le risposte agli interpelli del ministero del Lavoro e, per gli interessati, le circolari delle casse dei liberi professionisti, nonché le ultime sentenze, che spesso riscrivono completamente l’interpretazione della normativa.

In questo articolo cercheremo di fornire, costantemente, un quadro su quelle che sono le ultime novità su pensioni e previdenza, in modo da poter tenere quotidianamente informato il nostro lettore. Non dovrai quindi trovare altri link su Google: potrai mettere questa pagina tra le preferite del tuo browser in modo da richiamarla, di tanto in tanto, e scoprire cosa di nuovo è successo in materia di pensioni e previdenza.

Domanda reddito di cittadinanza

Dal 6 marzo 2019 è possibile presentare la domanda di reddito di cittadinanza: l’Inps ha predisposto il modulo di domanda, SR 180, che si può scaricare anche dal sito web dell’istituto in formato pdf.

Le domande possono essere presentate alle Poste, presso i Caf o tramite il portale redditodicittadinanza.gov.it (l’accesso è possibile con Spid).

A breve sarà prevista anche la possibilità di presentare la domanda di reddito di cittadinanza assieme alla dichiarazione Isee, online tramite sito web dell’Inps.

Le informazioni contenute nella domanda del reddito di cittadinanza devono essere comunicate dal sito web, dalle Poste o dal Caf all’Inps, entro 10 giorni lavorativi dalla richiesta.

Per il riconoscimento del beneficio, l’Inps deve verificare, entro 5 giorni lavorativi dalla data di comunicazione, il possesso dei requisiti d’accesso. I Comuni, inoltre, devono verificare i requisiti di residenza e di soggiorno e devono comunicare l’esito della verifica.

Le domande per il reddito possono essere inviate ogni mese.

Contributi 2019 artigiani e commercianti

Cambia il reddito minimale, che arriva a 15.878 euro, ed aumentano le aliquote contributive (cioè le percentuali relative ai contributi previdenziali da pagare, che devono essere applicate sul reddito) dovute per l’anno 2019 dagli iscritti alle gestioni speciali degli artigiani e dei commercianti: anche quest’anno, dunque, continuano a salire i contributi Inps a carico di artigiani e commercianti. Lo ha comunicato l’istituto stesso, con una circolare recentemente pubblicata [37].

Artigiani e commercianti, però, possono beneficiare della riduzione contributiva, se aderiscono al nuovo regime forfettario: si tratta di una riduzione dei contributi complessivamente dovuti all’Inps, pari al 35%. Questa riduzione, però, non sempre si traduce in un vantaggio, perché determina un minor ammontare dei contributi accreditati per la pensione: in parole semplici, per colpa della riduzione dei contributi si ottiene una pensione più bassa, e si può addirittura arrivare più tardi al pensionamento.

Per approfondire: Contributi Inps 2019 Commercianti e Artigiani

Quota 100: le istruzioni dell’Inps

L’Inps, con una nuova circolare [35], ha illustrato le disposizioni principali relative alla pensione con quota 100,  la nuova tipologia di pensionamento introdotta dal decreto-legge in materia di reddito di cittadinanza e pensioni [36], che prevede dei requisiti flessibili per uscire dal lavoro. Per pensionarsi, difatti, è sufficiente aver compiuto 62 anni di età e possedere 38 anni di contributi.

I 38 anni di contributi, peraltro, possono essere raggiunti anche attraverso il cumulo dei versamenti presenti in gestioni previdenziali diverse, se amministrate dall’Inps: ai fini del diritto alla pensione, sono sommati tutti i periodi non coincidenti, mentre ai fini della misura, cioè dell’importo del trattamento, valgono tutti i contributi accreditati. Nessuna penalizzazione è prevista nel calcolo della pensione, né il ricalcolo contributivo del trattamento.

L’uscita con Quota 100 è differita a causa dell’applicazione delle cosiddette finestre, dei periodi di attesa che cambiano a seconda della categoria di appartenenza del lavoratore e della data di perfezionamento dei requisiti per la pensione.

Inoltre, la pensione Quota 100 è sospesa per chi produce redditi di lavoro dipendente e autonomo (esclusi i redditi derivanti da attività di lavoro autonomo occasionale, sino a 5mila euro annui).

Per fare il punto della situazione: Quota 100, istruzioni Inps.

Come si chiede il reddito di cittadinanza

Il modulo di domanda per il reddito di cittadinanza deve essere predisposto dall’Inps, sentito il ministero del Lavoro, entro 30 giorni dall’entrata in vigore del decreto sul reddito di cittadinanza.

Il modulo di domanda deve essere presentato dal richiedente, a partire dal 6 marzo, alle Poste, o presso uno sportello Caf o ancora, telematicamente, attraverso il nuovo portale del reddito di cittadinanza (redditodicittadinanza.gov.it). Si prevede anche la possibilità di presentare la domanda di reddito di cittadinanza assieme alla dichiarazione Isee, anche online tramite sito web dell’Inps, a breve.

Le informazioni contenute nella domanda del reddito di cittadinanza devono essere comunicate dal sito web, dalle Poste o dal Caf all’Inps, entro 10 giorni lavorativi dalla richiesta.

Per il riconoscimento del beneficio, l’Inps deve verificare, entro 5 giorni lavorativi dalla data di comunicazione, il possesso dei requisiti d’accesso. I Comuni, inoltre, devono verificare i requisiti di residenza e di soggiorno e devono comunicare l’esito della verifica.

In Gazzetta ufficiale il decreto quota 100

Con la pubblicazione del decreto-legge in materia di reddito di cittadinanza e di pensioni [1], cambia notevolmente il panorama delle possibilità per chi vuole uscire dal lavoro. Alla pensione anticipata ordinaria e per i lavoratori precoci, alle quali non si applicheranno, peraltro, gli adeguamenti alla speranza di vita fino al 2026, si aggiunge una nuova possibilità di pensionarsi prima: si tratta della cosiddetta quota 100, che può essere ottenuta, sino al 2021, con un minimo di 62 anni di età e di 38 anni di contributi.
Sono poi state accolte le istanze delle lavoratrici che vogliono anticipare la quiescenza, con la proroga dell’opzione donna: questo regime sperimentale di pensionamento offre la possibilità di percepire il trattamento con 58 anni di età e 35 di contributi, 59 anni di età e 35 di contributi per le lavoratrici autonome. In cambio, però, l’assegno di pensione è ricalcolato con il sistema contributivo. Prorogato anche l’Ape sociale, cioè l’anticipo pensionistico a carico dello Stato, che può essere richiesto a partire dal 63 anni di età.
Ai lavoratori ai quali non mancano più di 3 anni alla quota 100, poi, è data la possibilità di beneficiare di un prepensionamento, sostenuto dall’azienda e dai fondi di solidarietà bilaterali.
La nuova normativa ha inoltre reintrodotto le finestre, dei periodi di attesa che partono dalla maturazione dell’ultimo requisito utile alla pensione sino alla liquidazione del trattamento.

Riscatto agevolato degli anni di laurea

Per gli under 45, è possibile riscattare gli anni di laurea anche ai soli fini dell’incremento dell’anzianità contributiva, cioè ai fini del diritto alla pensione, non della sua misura.

I periodi devono essere valutati con il sistema contributivo.

In quest’ipotesi, il costo del riscatto è costituito dal versamento di un contributo, per ogni anno da riscattare, pari all’imponibile minimo vigente nella gestione Inps Commercianti (15.710 euro per il 2018), moltiplicato per l’aliquota
valida presso il fondo pensione lavoratori dipendenti.

Si deve far riferimento ai valori vigenti alla data di presentazione della domanda. In pratica, ipotizzando che l’imponibile 2019 sia pari a 15.710 euro (il minimale 2019 non è ancora stato reso noto dall’Inps), per calcolare il costo di un anno di riscatto si deve eseguire quest’operazione: 15710 x 33%, dunque per ogni anno riscattato si pagano 5.185 euro circa.

In base a quanto annunciato, la conversione in legge del decreto pensioni prevede l’ampliamento del riscatto agevolato, offrendo la possibilità di richiederlo ai lavoratori sino a 50 anni di età.

Finestre per la quota 100

La pensione quota 100 inizierà ad essere corrisposta da aprile 2019. Per evitare l’esodo di massa dei lavoratori con l’uscita anticipata quota 100, sono state reintrodotte le finestre di attesa, che spostano la decorrenza della pensione. In particolare:

  • i lavoratori del settore privato che maturano i requisiti entro il 31 dicembre 2018, conseguono il diritto alla decorrenza della pensione il 1° aprile 2019;
  • i lavoratori del settore privato che maturano i requisiti dal 1° gennaio 2019, conseguono il diritto alla decorrenza della pensione trascorsi tre mesi dalla data di maturazione dei requisiti stessi;
  • i dipendenti pubblici che maturano i requisiti entro l’entrata in vigore del decreto pensioni, conseguono il diritto alla decorrenza della pensione il 1° agosto 2019;
  • i dipendenti pubblici che maturano i requisiti dal giorno successivo alla data di entrata in vigore del decreto, conseguono il diritto alla decorrenza del trattamento pensionistico trascorsi 6 mesi dalla data di maturazione dei requisiti stessi;
  • la domanda di collocamento a riposo, per i dipendenti pubblici, deve essere presentata all’amministrazione di appartenenza con un preavviso di sei mesi;
  • per i dipendenti del comparto scuola si applica la finestra unica di uscita.

In base a quanto esposto nel decreto, dunque, escluse le finestre per i dipendenti della scuola, e la finestra del 1° aprile e del 1° agosto, rispettivamente dedicate ai lavoratori del settore privato e pubblico, le ulteriori finestre dovrebbero essere mobili, e non finestre fisse.

Sul punto, però, sarebbe opportuno un chiarimento.

Come funziona il divieto di cumulo tra lavoro e pensione quota 100?

In base alle disposizioni del pacchetto previdenza, per chi richiede la pensione quota 100 sarà previsto il parziale divieto di lavorare. Non sarà, però, un divieto di cumulo assoluto tra lavoro e pensione, ma un divieto di cumulo relativo.

Nel dettaglio, il divieto di cumulo tra lavoro e pensione quota 100 sarà operativo solo sino al compimento dell’età pensionabile, dal 2019 pari a 67 anni, ma parziale.

La disposizione sul cumulo dei redditi tra pensione quota 100 e lavoro non è, ad ogni modo chiarissima; in particolare:

  • secondo gli esperti, si potranno percepire redditi di lavoro autonomo e dipendente sino a 5mila euro annui, più redditi di lavoro autonomo occasionale;
  • confrontando l’attuale disposizione con quella della precedente formulazione del decreto pensioni, sembrerebbe invece che non si possano percepire redditi di lavoro autonomo e dipendente, ma solo redditi di lavoro autonomo occasionale sino a 5mila euro annui.

Reddito di cittadinanza: quando e come richiederlo

Il modulo di domanda per il reddito di cittadinanza deve essere predisposto dall’Inps, sentito il ministero del Lavoro, entro 30 giorni dall’entrata in vigore del decreto sul reddito di cittadinanza, in via di approvazione.

Il modulo di domanda deve essere presentato dal richiedente alle Poste, o presso uno sportello Caf. Si prevede anche la possibilità di presentare la domanda di reddito di cittadinanza assieme alla dichiarazione Isee, anche online tramite sito web dell’Inps, a breve.

Le informazioni contenute nella domanda del reddito di cittadinanza devono essere comunicate dal sito web, dalle Poste o dal Caf all’Inps, entro 10 giorni lavorativi dalla richiesta.

Per il riconoscimento del beneficio, l’Inps deve verificare, entro 5 giorni lavorativi dalla data di comunicazione, il possesso dei requisiti d’accesso. I Comuni, inoltre, devono verificare i requisiti di residenza e di soggiorno e devono comunicare l’esito della verifica.

Per sapere tutto sul nuovo sussidio, dalla A alla Z: Reddito di cittadinanza 2019.

Pensione anticipata: riscatto dei periodi scoperti con pace contributiva

Pensionarsi prima coprendo tutti i periodi senza contributi dal 1996 in poi, grazie a una nuova possibilità di riscatto: si tratta di una misura appena introdotta nel cosiddetto “pacchetto previdenza”, il decreto in materia di riforma delle pensioni che sarà, con tutta probabilità, approvato entro metà gennaio 2019, finalizzata ad anticipare l’uscita dal lavoro senza incidere notevolmente sulle casse pubbliche.

In pratica, i lavoratori con periodi scoperti da versamenti potrebbero riscattare tutti i buchi contributivi a partire dal 1996. Nei riscatti saranno compresi tutti gli intervalli non lavorati e non coperti da contribuzione figurativa o da altro tipo di contribuzione, anche non compresi nelle attuali ipotesi di riscatto, come gli anni di laurea o i periodi di aspettativa non retribuita. Questo “riscatto universale” risulta di fatto più simile al versamento di contributi volontari retroattivo che al riscatto vero e proprio, considerando che non richiede particolari requisiti relativi agli intervalli di tempo non coperti da versamenti previdenziali.

Il costo del nuovo riscatto, che dovrà essere calcolato col sistema contributivo, risulterà ridotto rispetto all’attuale costo del riscatto dei contributi, in quanto non sono previsti interessi e sanzioni: per questo motivo la proposta è stata ribattezzata “pace contributiva”, in analogia con la pace fiscale. Inoltre, il costo del riscatto potrà essere detratto al 50% dall’Irpef, in 5 rate annuali. La finalità del riscatto “scontato” è quella di favorire l’uscita dal lavoro, grazie all’aumento dei versamenti utili per il diritto alla pensione; l’intervento dovrebbe servire a finanziare, almeno in parte, la pensione quota 100 e la pensione di cittadinanza.

Per saperne di più: Pensione anticipata con pace contributiva; chi potrà riscattare i periodi non contribuiti, con quali costi, quali periodi potranno essere coperti.

Come si rivaluta la pensione dal 2019

Le pensioni che superano di 3 volte il trattamento minimo subiscono una riduzione della rivalutazione, che dal 2019 cambia, rispetto agli adeguamenti applicati in precedenza. Nel dettaglio:

  • per le pensioni fino a 3 volte il minimo, l’adeguamento è pari al 100%;
  • per le pensioni oltre 3 e fino a 4 volte il minimo è del 97%;
  • per le pensioni oltre 4 e fino a 5 volte il minimo è del 77%;
  • per le pensioni oltre 5 e fino a 6 volte il minimo è del 52%;
  • per le pensioni oltre 6 e fino a 8 volte il minimo è del 47%;
  • per le pensioni oltre 8 e fino a 9 volte il minimo è del 45%;
  • per le pensioni oltre 9 volte il minimo è del 40%.

In pratica, con questo sistema, chi possiede una pensione pari a 1.600 euro dal 2019 beneficia dell’applicazione di una rivalutazione pari al 100% dell’inflazione sui primi 1530 euro (3 volte il minimo nel 2019), mentre per l’importo che supera 3 volte il trattamento minimo ottiene una rivalutazione pari al 97% dell’inflazione.

Questi nuovi adeguamenti non saranno applicati da subito dall’Inps, a causa dell’approvazione tardiva della nuova normativa. Per il mese di gennaio 2019 saranno invece applicati i vecchi adeguamenti, cioè quelli che sarebbero rientrati in vigore dal 2019 in assenza della nuova legge.

Nel dettaglio:

  • le fasce di importo fino a 3 volte il trattamento minimo saranno rivalutate in misura pari al 100% dell’inflazione;
  • per le fasce d’importo tra 3 e 5 volte il minimo si applicherà il 90% dell’inflazione;
  • per le fasce d’importo superiore a 5 volte il minimo si applicherà il 75% dell’inflazione.

Rivalutazione della pensione 2019

Dal 2019 tutte le pensioni e le prestazioni riconosciute dall’Inps, se inferiori a 3 volte il trattamento minimo, aumentano dell’1,1% grazie all’applicazione del meccanismo di perequazione. Ricordiamo che la rivalutazione, o perequazione della pensione, consiste nell’adeguamento dell’importo del trattamento all’inflazione. Con l’attuale normativa, l’adeguamento della pensione in misura pari al 100% dell’inflazione è applicato soltanto ai trattamenti d’importo sino a 3 volte il minimo, ossia sino a 1.522,26 euro mensili (valore 2018; per il 2019 il valore previsto è pari a 1539 euro).

Come si rivaluta la pensione dal 2019?

Le pensioni che superano di 3 volte il trattamento minimo subiscono una riduzione della rivalutazione, che dal 2019 cambia, rispetto agli adeguamenti applicati in precedenza. Nel dettaglio:

  • per le pensioni fino a 3 volte il minimo, l’adeguamento è pari al 100%;
  • per le pensioni oltre 3 e fino a 4 volte il minimo è del 97%;
  • per le pensioni oltre 4 e fino a 5 volte il minimo è del 77%;
  • per le pensioni oltre 5 e fino a 6 volte il minimo è del 52%;
  • per le pensioni oltre 6 e fino a 8 volte il minimo è del 47%;
  • per le pensioni oltre 8 e fino a 9 volte il minimo è del 45%;
  • per le pensioni oltre 9 volte il minimo è del 40%.

In pratica, con questo sistema, chi possiede una pensione pari a 1.600 euro dal 2019 beneficia dell’applicazione di una rivalutazione pari al 100% dell’inflazione sui primi 1530 euro (3 volte il minimo nel 2019), mentre per l’importo che supera 3 volte il trattamento minimo ottiene una rivalutazione pari al 97% dell’inflazione.

Per saperne di più: Come cambiano gli importi delle pensioni dal 2019.

Aumento pensioni 2019

Nel dettaglio, le pensioni riconosciute dall’Inps, nel 2019, aumenteranno in questo modo, salvo interventi del Governo:

  • pensioni fino a 3 volte il minimo: si applicherà un tasso di rivalutazione pari all’1,1%;
  • pensioni di importo da 3 a 4 volte il minimo: si applicherà un tasso di rivalutazione pari all’1,067%;
  • pensioni di importo da 4 a 5 volte il minimo: si applicherà un tasso di rivalutazione pari allo 0,847%;
  • pensioni di importo da 5 a 6 volte il minimo: si applicherà un tasso di rivalutazione pari allo 0,572%;
  • pensioni di importo da 6 a 8 volte il minimo: si applicherà un tasso di rivalutazione pari allo 0,517%;
  • pensioni di importo da 8 a 9 volte il minimo: si applicherà un tasso di rivalutazione pari allo 0,495%;
  • pensioni di importo oltre 9 volte il minimo: si applicherà un tasso di rivalutazione pari allo 0,44%.

Taglio pensioni d’oro 2019

Le pensioni più elevate, d’importo superiore a 100mila euro annui (circa 5mila euro netti al mese), subiranno un taglio fisso in misura percentuale per 5 anni, con l’applicazione di un contributo di solidarietà.

Nello specifico, il taglio delle pensioni d’oro dovrebbe funzionare in questo modo:

  • pensione tra 100 e 130mila euro: taglio dell’assegno pari al 15% per la parte eccedente i 100mila euro;
  • pensione tra 130 e 200mila euro: taglio dell’assegno pari al 15% per la parte eccedente i 100mila euro, taglio dell’assegno pari al 25% per la parte eccedente i 130mila euro;
  • pensione tra 200 e 350mila euro: taglio dell’assegno pari al 15% per la parte eccedente i 100mila euro, taglio dell’assegno pari al 25% per la parte eccedente i 130mila euro, taglio dell’assegno pari al 30% per la parte eccedente i 200mila euro;
  • pensione tra 350 e 500mila euro: taglio dell’assegno pari al 15% per la parte eccedente i 100mila euro, taglio dell’assegno pari al 25% per la parte eccedente i 130mila euro, taglio dell’assegno pari al 30% per la parte eccedente i 200mila euro, taglio dell’assegno pari al 35% per la parte eccedente i 350mila euro;
  • pensione oltre i 500mila euro: taglio dell’assegno pari al 15% per la parte eccedente i 100mila euro, taglio dell’assegno pari al 25% per la parte eccedente i 130mila euro, taglio dell’assegno pari al 30% per la parte eccedente i 200mila euro, taglio dell’assegno pari al 35% per la parte eccedente i 350mila euro, taglio del 40% dell’assegno per la parte eccedente i 500mila euro.

Le pensioni calcolate col sistema integralmente contributivo non saranno tagliate.

Congedo straordinario Legge 104 per il figlio non convivente

La Corte Costituzionale, con una recente sentenza [33], consente anche al figlio non convivente al momento della domanda la possibilità di fruire del congedo straordinario legge 104, ossia del congedo, pari a un massimo di 2 anni nella vita lavorativa, per assistere familiari disabili .

In particolare, la Corte ha dichiarato la parziale incostituzionalità del testo unico maternità-paternità [34], nella parte in cui non elenca tra i beneficiari del congedo straordinario il figlio che, al momento della presentazione della richiesta, ancora non convive con il genitore con handicap grave, se instaura la convivenza successivamente, in caso di mancanza, decesso o in presenza di patologie invalidanti del coniuge convivente, del padre e della madre, anche adottivi, dei figli conviventi, dei fratelli e delle sorelle conviventi, dei parenti o affini entro il terzo grado conviventi, legittimati a richiedere il beneficio in via prioritaria secondo l’ordine determinato dalla legge.

Quota 100 e opzione donna per la scuola

Le novità in materia di pensioni, che saranno presto operative col pacchetto previdenza, interesseranno il personale del comparto scuola soltanto in parte: sia la nuova pensione anticipata con quota 100, che la proroga dell’opzione donna, saranno attuate in due fasi per i dipendenti delle istituzioni scolastiche.

Se quanto previsto dalla nuova normativa sarà confermato, difatti, potrà pensionarsi da settembre 2019 soltanto chi matura i requisiti per la pensione anticipata entro il 31 marzo 2019: questa data vale non solo per la nuova pensione anticipata con quota 100, ma anche per la pensione anticipata ordinaria e per la pensione di anzianità con opzione donna. Chi maturerà i requisiti dopo il 31 marzo 2019 dovrà invece attendere settembre 2020 per la pensione.

Questa particolare disciplina è dovuta al fatto che il personale della scuola è soggetto a delle regole speciali in materia di pensionamento, in quanto l’uscita dal lavoro è basata sul calendario scolastico.

Oltre la metà di chi, appartenente al comparto scuola, sarebbe dovuto uscire nel 2019 con quota 100 e opzione donna, secondo le stime dei sindacati, rimarrà fuori a causa della previsione della finestra unica. Per il personale delle istituzioni scolastiche ci sono, però, anche delle buone notizie:è prevista, difatti, la possibilità di incassare il Tfs o il Tfr (cioè il trattamento di fine servizio ed il trattamento di fine rapporto) immediatamente, con un finanziamento bancario i cui interessi saranno a carico dello Stato.

Per presentare le domande di cessazione dal servizio, in ogni caso, il tempo è poco: la data fissata per l’invio delle istanze online con la procedura web Polis è difatti il 12 dicembre 2018 per insegnanti e personale Ata, mentre i dirigenti scolastici hanno tempo sino al 28 febbraio 2019.

Per saperne di più: Quota 100 scuola.

Pacchetto previdenza: le novità

Pensionamenti con quota 100 solo per 3 anni, sino al 2022- 2023, poi pensione anticipata con 41 anni di contributi per tutti: è questa una delle principali novità del cosiddetto pacchetto previdenza, che sarà presentato a breve.

In buona sostanza, la possibilità di ottenere la pensione quando la quota, cioè la somma degli anni di contributi e dell’età, è almeno pari a 100 (con un’età minima di 62 anni ed un minimo di 38 anni di versamenti), sarà operativa soltanto per un triennio. Al termine dei 3 anni, al posto della quota 100 si potrà ottenere la pensione anticipata con 41 anni di contributi.

Ad oggi, la possibilità di ottenere la pensione anticipata con 41 anni di contributi, o quota 41, esiste già, ma è riservata a particolari categorie tutelate di lavoratori precoci: dal 2022-2023, invece, la quota 41 sarà per tutti, compresi i lavoratori non precoci, cioè che non possiedono almeno 12 mesi di contributi da effettivo lavoro accreditati prima del 19° anno di età.

Ma le novità del pacchetto previdenza non finiscono qui: oltre alla quota 100 solo per 3 anni, è stata confermata la proroga dell’opzione donna, ma per un anno soltanto anziché 3, e la proroga dell’Ape sociale.

Blocco degli adeguamenti alla speranza di vita, inoltre, per la pensione anticipata ordinaria, che resterà ferma a 41 anni e 10 mesi di contributi per le donne, ed a 42 anni e 10 mesi per gli uomini.

Rivalutazione pensione 2019: come cambiano gli importi degli assegni

Nuovo aumento delle pensioni nel 2019, grazie alla perequazione, cioè al nuovo adeguamento delle pensioni all’inflazione (o meglio all’indice Istat Foi, l’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati). Grazie alle perequazioni, nel dettaglio, tutte le prestazioni riconosciute dall’Inps aumenteranno sino a un massimo dell’1,1%, in base all’importo dell’assegno.

A crescere saranno non solo le pensioni dirette (di vecchiaia, di anzianità e anticipata), ma anche l’assegno e la pensione d’invalidità , l’assegno sociale e la pensione di reversibilità. Tra l’altro, le prestazioni che sono soggette a limiti di cumulo con gli altri redditi, come la reversibilità e la pensione d’invalidità, subiranno delle riduzioni più basse.

Per le pensioni più alte, poi, torna il vecchio meccanismo di rivalutazione del trattamento, più generoso rispetto a quello attualmente previsto, con un adeguamento al costo della vita che va dal 100% al 75% dell’inflazione, secondo l’importo dell’assegno, e non dal 100% al 45%. Sulle pensioni alte, però, pende anche la spada di Damocle del possibile intervento relativo al taglio delle pensioni d’oro, che potrebbe comportare l’applicazione di un contributo di solidarietà e l’applicazione di un differente meccanismo di rivalutazione del trattamento.

Per quanto riguarda le pensioni ancora da calcolare, invece, relativamente al calcolo contributivo le novità sono due, una positiva e una negativa: da una parte, la maggiore rivalutazione dei contributi accantonati, superiore all’1,3%. Dall’altra, il calo dei coefficienti di trasformazione, che trasformano i contributi accantonati in pensione.

Per saperne di più: Come cambiano gli importi delle pensioni nel 2019.

Quota 100: limiti per risparmiare sulla manovra

Il Governo inizia a frenare sulla quota 100: questo nuovo intervento, che consente di ottenere la pensione quando la quota, cioè la somma di età e contribuzione, è almeno pari a 100, comporta difatti dei costi elevati. Per diminuire la spesa sono stati allora previsti, per l’accesso alla quota 100, limiti per risparmiare sulla riforma pensioni.

Innanzitutto, non basta il solo requisito della quota, per ottenere il trattamento di pensione, ma è necessario anche possedere una contribuzione minima pari a 38 anni ed aver compiuto almeno 62 anni. In merito ai contributi, potrebbe essere introdotto, poi, un nuovo limite, ossia un tetto massimo di contributi figurativi da utilizzare, pari a 2 o 3 anni.

È stato poi introdotto il divieto di cumulare il reddito di pensione con il reddito da lavoro: ad oggi, si parla di un cumulo limitato, che consentirebbe al pensionato un reddito di lavoro annuo non superiore a 5mila euro, per i primi 3 anni dal pensionamento. Per tagliare le spese si vorrebbe però introdurre un vero e proprio divieto di lavorare sino al compimento dell’età per la pensione di vecchiaia, pari a 67 anni dal 2019.

Infine, l’accesso alla pensione è stato ritardato, attraverso l’introduzione delle cosiddette finestre di attesa: le prime uscite dovrebbero partire da aprile 2019.

Quota 100: le stime ufficiali su quanto si perde

L’ultima stima proposta sulle eventuali perdite con quota 100 è al momento quella dell’Ufficio parlamentare di Bilancio, basata su un campione statistico approssimativo.

Scegliere quota 100 può costare, in termini di minore pensione, dal 5,6% nel caso in cui l’uscita dal lavoro si anticipi di un anno, fino al 34,7% in caso di uscita 6 anni prima.

Bisogna però considerare che con quota 100 la pensione viene intascata per qualche anno in più rispetto agli altri pensionati che restano al lavoro per più tempo, sino all’età per la pensione di vecchiaia: andare in pensione prima significa dunque “prendere di più” dall’Inps.

In parole semplici, la perdita reale, considerando anche le somme percepite in più, va dallo 0,22% di chi si pensiona nel 2019 anziché aspettare il 2020, sino all’8,65% per chi nel 2019 anticipa di 6 anni la pensione.

Bisogna comunque considerare la perdita legata alla ridotta possibilità di cumulare la pensione quota 100 col reddito derivante dall’attività lavorativa.

Secondo una recentissima proposta, il divieto di cumulo dovrebbe durare per 36 mesi e non più per 24 mesi.

Pensione 2019: rivalutazione dei contributi

Cresce la rivalutazione dei contributi accantonati presso l’Inps: il ministero del Lavoro ha difatti comunicato ufficialmente il tasso di capitalizzazione, cioè il valore da utilizzare per rivalutare i contributi relativi alle pensioni che avranno decorrenza a partire dal 1° gennaio 2019.

Il tasso di capitalizzazione corrisponde all’andamento della crescita nominale del prodotto interno lordo (Pil) degli ultimi 5 anni.

Il tasso ufficiale indicato dall’Istat, che si applica ai montanti contributivi (cioè alla somma dei contributi) accantonati al 31 dicembre 2017, è pari a 1,013478: in pratica, i lavoratori che si pensionano nel 2019 devono rivalutare il montante contributivo accreditato al 31 dicembre 2017 dell’1,3478%.

I lavoratori che si pensionano nel 2019 non devono, invece, rivalutare i contributi versati nel 2018, cioè nell’ultimo anno di lavoro prima di accedere alla pensione.

La rivalutazione per chi si pensiona nel 2019, pari all’1,3478%, pur rappresentando un miglioramento è ancora parecchio distante dai valori dei primi anni duemila, precedenti alla crisi, quando si registravano incrementi annui del 4-5%.

Per sapere, nel dettaglio, come funziona il calcolo contributivo, come rivalutare i contributi anno per anno, quali sono i coefficienti di trasformazione legati all’età: Pensione rivalutazione 2019.

Novità riforma pensioni: pensione anticipata con finestre

In base a quanto previsto nel “pacchetto previdenza”, la pensione anticipata ordinaria non subirà un aumento dei requisiti, che restano fermi a:

  • 42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini;
  • 41 anni e 10 mesi di contributi per le donne.

La decorrenza, però, sarà spostata in avanti di 3 mesi con l’applicazione delle finestre.

Novità riforma pensioni 2019: pace contributiva

In arrivo la pace contributiva, cioè la possibilità di riscattare i periodi scoperti da versamenti previdenziali dal 1996 in poi, per chi possiede almeno 20 anni di contributi.

Per approfondire: Pace contributiva.

Novità riforma pensioni 2019: pensioni d’oro

Per le pensioni più alte ritorna il contributo di solidarietà. Il prelievo durerà 5 anni e sarà modulato in 5 aliquote progressive.

Ecco come funzionerà:

  • per le pensioni da 90mila euro annui sino a 130 mila euro: aliquota 8-10%
  • per le pensioni da 130mila euro annui sino a 200 mila euro: aliquota 12-14%
  • per le pensioni da 200mila euro annui sino a 350 mila euro: aliquota 14-16%
  • per le pensioni da 350mila euro annui sino a 500 mila euro: aliquota 16-18%
  • per le pensioni oltre i 500mila euro annui: aliquota del 20%.

Novità riforma pensione 2019: quota 100

Ecco le ultime novità emerse, in merito alla quota 100, dal cosiddetto “pacchetto previdenza”:

  • sarà possibile lavorare anche dopo la liquidazione della pensione, ma per 24 mesi non potranno essere conseguiti redditi di lavoro superiori a 5mila euro annui;
  • sarà possibile ottenere la quota 100 col cumulo dei contributi, ma senza contare i versamenti effettuati nelle casse professionali;
  • sono previste 4 finestre di uscita (una ogni 3 mesi) per i lavoratori del settore privato, due finestre l’anno per i dipendenti pubblici e una finestra annuale per il personale della scuola;
  • nessuna penalità per il calcolo della pensione, eventuali perdite sono eventualmente collegate al minor versamento dei contributi e alle minori rivalutazioni; per capire meglio: Quota 100, quanto si perde?
  • niente quota 100 per chi è già beneficiario dell’isopensione.

Taglio pensioni d’oro con contributo di solidarietà e riduzione perequazione

In base alla più recente proposta di taglio delle pensioni d’oro, sarebbero penalizzate tutte le pensioni nette superiori a 4500 euro mensili,  a prescindere dall’età del pensionamento, attraverso l’applicazione di un contributo di solidarietà sino al 20%.

Inoltre, per le pensioni superiori a 9 volte il trattamento minimo (cioè superiori a 4.566,78 euro mensili) dovrebbe essere abbattuto l’adeguamento al costo della vita dal 25% al 50%.

Per approfondire: Taglio pensioni d’oro 2019.

Pensione quota 100: numero chiuso?

Dopo che l’Unione Europea ha chiesto di modificare la manovra, è molto probabile che ci sarà un ridimensionamento delle risorse destinate alla quota 100. Tra le varie ipotesi allo studio, potrebbe essere prevista una quota 100 non solo con 4 finestre fisse annuali, in modo da dilazionare le uscite dal lavoro, ma anche con una sorta di numero chiuso.

In pratica, le domande di pensione potrebbero essere accolte nei limiti della capienza delle risorse stanziate, pari, in base a quanto reso noto sinora, a 6,7 miliardi di euro nel 2019 ed a 7 miliardi nel 2020. Nel caso in cui fondi avanzino, le risorse residue potrebbero essere convogliate nell’anno successivo, e così via, con il passaggio a regime della quota 100.

Ad ogni modo, il sottosegretario al lavoro, Claudio Durigon, ha ribadito che, nonostante le indicazioni dell’agenzia Moody’s, che ha classificato la quota 100 come una misura temporanea, il pensionamento con quota 100 è una misura strutturale e permanente, che non scadrà dopo un anno.

La pensione quota 100 sarà dunque accessibile a tutti o no? Il tetto massimo di spesa non dovrebbe determinare un numero chiuso vero e proprio, ma solo uno slittamento delle domande di pensione non accolte alla finestra, o all’anno successivo.

Quanto si perde con quota 100: campagna informativa Inps per scoraggiare i pensionamenti

Nel frattempo, il presidente dell’Inps Tito Boeri, per scoraggiare un’uscita dal lavoro di massa con la quota 100, sta preparando una campagna informativa destinata agli aspiranti pensionati, con le proiezioni di quanto si andrebbe a perdere anticipando la pensione. Ma quanto si perde anticipando la pensione con quota 100?

In base alle proiezioni dei nostri esperti, non esiste una risposta uguale per tutti, ma dipende:

  • da quanti sono gli anni di anticipo del pensionamento (Boeri confronta il pensionamento a 62 anni col pensionamento a 67 anni, quindi con ben 5 anni di differenza; c’è chi, però, potrebbe comunque pensionarsi prima dei 67 anni, con la pensione anticipata ordinaria Fornero: in questi casi lo scarto sarebbe minore del 21% circa ipotizzato da Boeri);
  • dall’ammontare delle ultime retribuzioni o redditi: Boeri ha ipotizzato una crescita costante, ma le retribuzioni, a fine carriera, potrebbero anche crollare, ad esempio per la richiesta di un part time; in queste ipotesi, chi resta al lavoro vede addirittura diminuire, e non aumentare, la quota retributiva di pensione;
  • per quanto riguarda la quota di pensione da calcolare col sistema contributivo, una penalizzazione, nell’anticipo dell’uscita, sussiste sempre, in quanto chi prima esce versa meno contributi, ottiene minori rivalutazioni ed un coefficiente di trasformazione (la cifra che trasforma la somma dei contributi in assegno di pensione, che cresce all’aumentare dell’età) più basso; la penalizzazione, in termini di “mancato guadagno”, dipende dall’età al momento del pensionamento e dall’ammontare dei redditi, o stipendi.

Per saperne di più: Quanto si perde con la quota 100?

Pensione quota 100: solo per il 2019?

Quota 100 sarà solo per chi riuscirà ad “acchiappare” una delle finestre fisse di uscita previste nel 2019, a partire da febbraio: è quanto emerge dalle considerazioni dell’agenzia di rating Moody’s, in occasione del declassamento dell’Italia. In particolare, riferisce l’agenzia «L’opzione per il pensionamento anticipato è apparentemente una misura one-off, disponibile solo il prossimo anno». Come mai la quota 100 dovrebbe essere valida soltanto nel 2019?

A detta dell’agenzia, il motivo della breve durata della misura è da ricercarsi nei costi elevati che il pensionamento quota 100 comporta, costi destinati a crescere negli anni: inizialmente, difatti, l’impatto della quota 100 sarà ridotto grazie alle finestre, in quanto i pensionati non percepiranno gli assegni dall’Inps per l’annualità intera. La spesa diverrà piena, col diritto alle 13 mensilità di pensione per tutti coloro che usciranno con quota 100 nel 2019, soltanto dal 2020. Considerando, poi, i nuovi pensionamenti del 2020 e degli anni successivi, difficilmente, a detta di Moody’s, il sistema pensionistico italiano reggerà, in modo permanente, l’aumento di spesa che quota 100 dovrebbe comportare: l’impatto dei nuovi costi potrebbe essere sostenibile, invece, nel caso in cui la quota 100 possa essere ottenuta soltanto nel 2019.

Certamente, l’agenzia Moody’s non ha alcun potere legislativo; bisogna anche ricordare che le parti politiche hanno presentato la quota 100 come una misura strutturale, e non destinata a durare soltanto un anno.

Tuttavia, quanto affermato da Moody’s deve essere collegato alla recente risposta del Governo a Bruxelles in merito alla manovra: il Governo, infatti, si è impegnato ad adottare tutte le necessarie misure per non sforare ulteriormente i livelli di deficit del programma.

Quale destino, dunque, per la pensione quota 100: sarà solo per il 2019? Chi è incerto sulla convenienza del pensionamento potrà attendere il 2020 e gli anni successivi? Oppure è meglio cogliere la palla al balzo e “lanciarsi” nella prima finestra disponibile?

Pensionarsi non è uno scherzo, ma è una scelta definitiva: anche se la quota 100 non prevede tagli della pensione, bisogna considerare che chi esce dal lavoro prima perde sempre qualcosa, soprattutto nella quota contributiva della pensione, con riguardo ai contributi non versati ed al coefficiente di trasformazione, la cifra che trasforma i contributi in pensione e che cresce con l’età. Ci si può fare un’idea di quanto si perde leggendo il nostro approfondimento: Quanto si perde con la quota 100?

Bisogna però considerare anche il proprio stato di salute, i problemi familiari, la precarietà del lavoro…Per molti, vale sicuramente il detto: “meglio un uovo oggi che una gallina domani”. Anche perché la gallina, domani, potrebbe non arrivare comunque.

Legge 104: assegno di cura, pensione anticipata, aiuti ai caregiver

Riprendono i lavori, dopo un lungo periodo di stallo, sul Testo unico per il Caregiver familiare: si tratta della normativa che ha il compito di riconoscere la figura del caregiver, ossia della persona che, gratuitamente, assiste un anziano, un disabile o un non autosufficiente; oltre alla definizione del caregiver, con la nuova normativa si dovranno stabilire e organizzare tutti i benefici a favore di chi svolge attività di assistenza familiare.

In particolare, i cinque disegni di legge che dovranno confluire nel Testo unico per il Caregiver familiare [1] prevedono incentivi economici, fiscali, previdenziali e contributi per chi assiste un familiare disabile o non autosufficiente. Dal rimborso delle spese sostenute per l’assistenza, sino a un massimo di 12mila euro all’anno, all’anticipo pensionistico con 30 anni di contributi, ai contributi figurativi per la pensione, sino all’assegno di cura, sono davvero numerose le misure che potrebbero essere attuate a breve.

I disegni di legge alla base del Testo Unico per il caregiver familiare saranno esaminati dalla Commissione Lavoro del Senato: la nuova normativa dovrebbe diventare una sorta di testo unico sull’assistenza, e conterrà, oltre alle agevolazioni illustrate, ed alla definizione della figura di chi presta attività di assistenza gratuita, anche importanti misure per la valorizzazione professionale, l’accesso o il reinserimento lavorativo del caregiver.

Per sapere quali sono le agevolazioni e gli aiuti previsti: Legge 104, le nuove agevolazioni del Testo Unico per i caregiver.

Pensione di cittadinanza e reddito di cittadinanza anche a chi ha la seconda casa

Dopo un primo momento, in cui si era diffusa la notizia che il reddito e la pensione di cittadinanza non spettassero ai proprietari di casa, l’allarme è rientrato: anzi, in base a quanto reso noto nelle recenti indicazioni operative del ministero del Lavoro, il reddito di cittadinanza spetterà anche a chi è proprietario di un secondo immobile (seconda casa, box auto, terreno…), sino, però, al valore massimo di 30mila euro.

Chi è proprietario della prima casa si vedrà, poi, scontata dal reddito di cittadinanza (in base alle più recenti indicazioni, anche dalla pensione di cittadinanza) la quota equivalente a un affitto imputato, che dovrebbe corrispondere a circa 400 euro mensili. Questo perché, come recentemente spiegato dal vicepremier Di Maio, chi non paga l’affitto non ha necessità della quota del reddito di cittadinanza che corrisponde al canone di locazione mensile, pertanto il sussidio deve essere decurtato in modo corrispondente.

In ogni caso, per il diritto al reddito e alla pensione di cittadinanza non si avrà riguardo solo agli immobili posseduti, ma ai redditi prodotti ed al patrimonio del nucleo familiare nel suo complesso: si dovrà dunque far riferimento all’indicatore Isee, e saranno considerati, ai fini della valutazione della situazione economica della famiglia, conti corrente, depositi, libretti e carte prepagate.

Pensione quota 100 da febbraio

Non si dovrà attendere il mese di aprile, ma la quota 100 partirà da febbraio 2019: è quanto stabilito durante il vertice sulla manovra tenutosi nel pomeriggio a Palazzo Chigi. La nuova misura previdenziale, come già specificato nella nota di aggiornamento al Def, consente di andare in pensione una volta raggiunta una quota (somma di età contribuzione) almeno pari a 100, con un’età minima di 62 anni, e purché si possiedano almeno 38 anni di contributi. Quota 100 quindi permetterà di ritirarsi dal lavoro con circa 5 anni di anticipo rispetto a quanto previsto dalla pensione di vecchiaia, per la quale nel 2019 l’età pensionabile sarà aumentata a 67 anni (salvo blocco degli adeguamenti alla speranza di vita). Secondo quanto previsto dall’accordo raggiunto dopo il vertice, la pensione quota 100 da febbraio sarà destinata, potenzialmente, a tutti i lavoratori, e non ci saranno penalizzazioni sull’assegno. Per approfondire: Quota 100 da febbraio.

Pensione quota 100 dal 1° aprile 2019 con finestre fisse

La pensione quota 100 inizierà ad essere corrisposta dal 1° aprile, ma con le finestre: non si tratta di un pesce d’aprile, ma della nuova proposta sull’uscita anticipata con quota 100, volta ad evitare l’esodo di massa dei lavoratori. In particolare, sarebbero previste delle date fisse di uscita ogni 3 mesi: 1° gennaio, 1° aprile, 1° luglio e 1° ottobre, per scaglionare i pensionamenti. In buona sostanza, chi si pensiona con la quota 100 non potrà ricevere il trattamento subito, ma dovrà attendere un arco di tempo, la finestra appunto, tra la maturazione dei requisiti e la liquidazione della pensione. Ma facciamo il punto della situazione sulla pensione quota 100 da aprile 2019 con finestre: come funziona questo nuovo pensionamento anticipato, che cosa sono le finestre, come funzionano le finestre che sono ancora in vigore, come potrebbero funzionare le nuove finestre per la quota 100. Per approfondire: Quota 100 con finestre fisse.

Pensione quota 100: tornano le finestre

In passato si discuteva molto spesso riguardo alle cosiddette finestre per le pensioni: negli ultimi anni, l’argomento ha suscitato scarso interesse perché quasi tutte le finestre sono state abolite dalla legge Fornero. Le finestre, però, potrebbero essere reintrodotte con la quota 100, per evitare l’uscita contemporanea dal lavoro di un enorme numero di persone. Ma che cosa cosa sono queste finestre? Non si tratta, ovviamente, di finestre in senso fisico: la finestra per la pensione, difatti, è un termine di attesa necessario per ricevere il trattamento dall’ente previdenziale. In parole semplici, la finestra è il periodo che trascorre tra la maturazione dei requisiti per la pensione e la liquidazione dell’assegno. Se dall’anno prossimo, con la legge di bilancio 2019, diventerà operativa la pensione quota 100, è probabile che le finestre di attesa siano reintrodotte: in caso contrario, ed in assenza di un tempestivo piano di assunzioni, l’esodo di massa di oltre 400mila lavoratori potrebbe creare dei problemi, soprattutto riguardo ai servizi pubblici essenziali. Ma facciamo il punto della situazione su questi periodi di attesa per il pensionamento: che cos’è la finestra, come funzionano le finestre che sono ancora in vigore, come potrebbe funzionare la finestra pensione quota 100. Per approfondire: pensione quota 100, finestra.

Pensione quota 100 con cumulo dei contributi

La pensione anticipata quota 100, che consentirà l’uscita dal lavoro nel caso in cui la quota, cioè la somma di età e contribuzione, sia almeno pari a 100, sembrerebbe avere parecchie limitazioni. In base a quanto emerge dalla nota di aggiornamento al Def  (Documento di economia e finanza), innanzitutto, non sarà sufficiente raggiungere la quota 100, per ottenere la pensione, ma sarà necessario anche aver maturato 38 anni di contributi ed aver compiuto 62 anni. Nulla di certo si sa sull’applicazione di eventuali penalizzazioni sul trattamento di pensione, che nella nota di aggiornamento al Def non sono menzionate. Non si sa, poi, se la quota 100 sarà raggiungibile o meno attraverso il cumulo dei contributi, cioè sommando la contribuzione presente in gestioni previdenziali differenti. La quota 100 con cumulo dei contributi favorirebbe l’uscita dal lavoro di tutti coloro che hanno avuto una carriera discontinua, con versamenti in casse diverse. Nel caso in cui non sia possibile cumulare i contributi per la quota 100, tutti i lavoratori che hanno versamenti in fondi differenti non potrebbero fruire di questo pensionamento agevolato, a meno che non raggiungano, in almeno un fondo, la quota 100 ed un minimo di 38 anni di contributi, non potendo sommare la contribuzione accreditata in altre gestioni. Per saperne di più: Quota 100 con cumulo.

Pensione quota 100: si può lavorare?

La nuova pensione quota 100, che dovrebbe diventare operativa con la legge di bilancio 2019 e preoccupa l’Europa, potrebbe cambiare ancora, con la previsione di condizioni più severe per ottenerla: in particolare, oltre ai limiti di età e contribuzione, la quota 100 dovrebbe comportare anche il divieto di lavorare. In pratica, si vorrebbe ripristinare il divieto di cumulo tra lavoro e pensione, divieto abolito, per la maggior parte delle pensioni dirette, dal 2008. Non è ancora chiaro, però, se il divieto di cumulo sarà assoluto, come avviene oggi per la pensione anticipata dei lavoratori precoci, oppure relativo, come avviene per l’assegno ordinario d’invalidità e per alcune pensioni d’inabilità. Non si sa, cioè, se i pensionati che lavoreranno si vedranno soltanto ridurre la pensione, oppure se se la vedranno revocare. Il divieto dovrebbe durare, comunque, sino al compimento dell’età pensionabile, cioè dell’età per la pensione di vecchiaia.. Si discute anche riguardo all’introduzione di penalizzazioni percentuali sulla pensione per chi non ha raggiunto l’età pensionabile. Per approfondire: Pensione quota 100: si può lavorare?

Reddito di cittadinanza: quanto dura?

Il reddito di cittadinanza non sarà una misura a tempo indeterminato, ma avrà una durata limitata, come annunciato nei giorni scorsi dal Vicepremier Di Maio, per spronare i disoccupati alla ricerca attiva di un impiego; inoltre, anche prima della scadenza della misura, saranno disposte verifiche periodiche. Non ci sarà tempo per poltrire sul divano: il disoccupato sarà impegnato in lavori di pubblica utilità ed in percorsi di formazione e riqualificazione. Il sussidio, poi, non consisterà in un assegno per i furbetti che hanno intenzione di fare spese pazze, ma in una sorta di social card con la quale si potranno acquistare soltanto i beni essenziali: chi bara sulle condizioni per il diritto al sussidio con false dichiarazioni potrà subire sino a 6 anni di carcere.

Le stesse condizioni, eccezion fatta per la punibilità delle false dichiarazioni ovviamente, non dovrebbero riguardare la pensione di cittadinanza, ossia l’integrazione della pensione sino a 780 euro mensili, che sostituirà l’attuale trattamento minimo e le maggiorazioni, estendendosi però a tutte le pensioni. Non dovrebbe dunque essere prevista una durata massima per la pensione di cittadinanza, né l’erogazione su social card, anche se su quest’ultimo punto al momento nulla è stato chiarito.

Le due misure, in ogni caso, partiranno a breve: la pensione di cittadinanza dal 1° gennaio 2019, e il reddito di cittadinanza dal 1° aprile 2019, dopo l’attuazione della riforma dei centri per l’impiego.  Per approfondire: Reddito di cittadinanza, quanto dura?

Reddito di cittadinanza: social card e stop ai furbetti

Il reddito di cittadinanza non sarà un assegno da 780 euro al mese per i furbetti che hanno intenzione di poltrire sul divano, ma consisterà in una sorta di social card con la quale si potranno acquistare soltanto i beni essenziali: chi bara sulle condizioni per il diritto al sussidio con false dichiarazioni potrà subire sino a 6 anni di galera. Inoltre, non ci sarà tempo per stare in casa a poltrire: le attività da svolgere per il proprio comune e le attività di formazione, riqualificazione e ricerca attiva del lavoro non ne daranno il tempo. Sono queste le novità annunciate dal vicepremier Di Maio in merito alla nuova misura, che, come confermato nella nota di aggiornamento al Def, diventerà operativa dal 2019.

Peraltro, nel 2019 il reddito di cittadinanza sarà riconosciuto in due fasi: inizialmente sotto forma di pensione minima di cittadinanza, cioè d’integrazione sino a 780 euro mensili di tutte le pensioni sotto la soglia di povertà. Completata la riforma dei centri per l’impiego, quindi dopo i primi tre mesi del 2019, verrà poi riconosciuto il reddito di cittadinanza a tutti coloro che si trovano sotto la soglia di povertà.  Ai cittadini in età lavorativa, in cambio del sussidio mensile di 780 euro, si richiederà però la ricerca assidua di un’occupazione, la frequenza di corsi di formazione e di 8 ore di lavoro a favore del proprio Comune di residenza, impegno che non sarà richiesto ai pensionati.

Per quanto riguarda la pensione minima di cittadinanza, l’intervento è stato esposto come un aumento dell’integrazione al trattamento minimo e delle maggiorazioni: ancora non si sa se anche l’integrazione mensile delle pensioni avverrà su carta acquisti, e non con un aumento dell’assegno da parte dell’Inps. L’erogazione degli importi su social card sarebbe indispensabile, secondo il Vicepremier, per evitare spese immorali servendosi del reddito di cittadinanza; in ogni caso, la riforma dei centri per l’impiego, in base a quanto affermato dallo stesso Di Maio, dovrebbe trasformare il reddito di cittadinanza in una misura straordinaria, favorendo l’incontro tra domanda e offerta di lavoro ed assicurando realmente il collocamento dei disoccupati.  Per saperne di più: Reddito di cittadinanza: novità.

Quota 100: niente penalità e limiti

La pensione anticipata quota 100 sarà per tutti, senza limiti di età e contribuzione, senza paletti di alcun genere: lo ha recentemente affermato il ministro Salvini, al termine del vertice sul Def. “Partiremo dall’inizio dell’anno con la piena riforma della legge Fornero. Senza penalizzazioni, senza paletti, senza limiti, senza tetto al reddito”. Quota 100 per tutti, insomma, ma resta fermo il rispetto dell’età minima di 62 anni e della contribuzione minima di 38 anni: in particolare, come confermato nella nota di aggiornamento al Def e spiegato dal ministro Salvini “la quota diventa 101 per chi ha compiuto 63 anni, 102 per chi ne ha compiuto 64, 103 per chi ne ha compiuti 65 e così via…”. Per quanto riguarda l’ammontare del trattamento, non ci saranno penalità o ricalcoli, come recentemente chiarito dal sottosegretario al Lavoro, Claudio Durigon. Per la precisione, non ci sarà nessun taglio dell’assegno anche se l’uscita con quota 100 avviene prima del compimento dell’età per la pensione di vecchiaia: sono dunque cadute tutte le ipotesi di riduzione dei trattamenti con quota 100, dalla penalizzazione percentuale sulla pensione, pari all’1,5% per ogni anno di anticipo rispetto alla maturazione dell’età pensionabile, sino al ricalcolo misto e contributivo della prestazione.  Nulla di certo, al momento, sulla cosiddetta pensione quota 41 e 6 mesi, ossia la possibilità di uscire dal lavoro, per tutti, con 41 anni e 6 mesi di contributi, ma si ritiene che anche questo intervento sarà attuato a breve, mentre è stata recentemente confermata la proroga dell’opzione donna, che consentirebbe alle lavoratrici di uscire dal lavoro a 57 o 58 anni col ricalcolo contributivo dell’assegno. Per fare il punto della situazione: Pensione quota 100 senza penalità e limiti.

Quota 100 senza penalità

La pensione anticipata quota 100 consentirà di ottenere un assegno dall’Inps senza penalità o ricalcoli del trattamento, per favorire le possibilità di uscita e il ricambio generazionale: lo ha recentemente reso noto il sottosegretario al Lavoro, Claudio Durigon. Per la precisione, non ci sarà nessun taglio dell’assegno anche se l’uscita con quota 100 avviene prima del compimento dell’età per la pensione di vecchiaia: cadono dunque tutte le ipotesi di riduzione dei trattamenti con quota 100, dalla penalizzazione percentuale sulla pensione, pari all’1,5% per ogni anno di anticipo rispetto alla maturazione dell’età pensionabile, sino al ricalcolo misto e contributivo della prestazione. In ogni caso, la quota 100 potrà essere ottenuta non prima del compimento dei 62 anni di età e della maturazione di 38 anni di contributi, mentre sono state scartate le altre combinazioni: niente uscita con quota 100 a 64 anni di età con 36 anni di contributi, o a 63 anni di età con 37 anni di contributi, né a 65 anni di età con 35 anni di contribuzione. Senza aver compiuto 62 anni ed aver maturato almeno 38 anni di contributi, l’uscita con la quota 100 è preclusa. Sono queste le ultime novità emerse, allo stato attuale, dal cosiddetto “cantiere pensioni”: le proposte in merito alla nuova pensione anticipata, ad ogni modo, sono molto numerose, e non si fermano alla quota 100. È stata ipotizzata, ad esempio, la cosiddetta pensione quota 41 e 6 mesi, ossia la possibilità di uscire dal lavoro, per tutti, con 41 anni e 6 mesi di contributi, ed è stata recentemente confermata la proroga dell’opzione donna, che consentirebbe alle lavoratrici di uscire dal lavoro a 57 o 58 anni col ricalcolo contributivo dell’assegno; nulla di certo, invece, sulla proroga dell’Ape sociale e  delle salvaguardie per gli esodati. Le risorse disponibili, ad ogni modo, sono poche, dunque la priorità dovrebbe andare alla realizzazione della quota 100, che dovrebbe entrare in vigore con la legge di Bilancio 2019.

Per saperne di più: Quota 100 senza penalità

Blocco requisiti pensione dal 2019

In base alla normativa attuale, dal 1° gennaio 2019 tutti i requisiti per la pensione soggetti all’adeguamento alla speranza di vita aumenteranno. Nello specifico:

  • l’età per la pensione di vecchiaia ordinaria passerà da 66 anni e 7 mesi a 67 anni (ad eccezione degli addetti ai lavori gravosi e degli addetti ai lavori usuranti con almeno 30 anni di contributi);
  • l’età per la pensione di vecchiaia anticipata per invalidità diverrà pari a 61 anni per gli uomini ed a 56 anni per le donne, anziché restare ferma a 60 anni e 7 mesi ed a 55 anni e 7 mesi;
  • l’età per la pensione di vecchiaia contributiva, che richiede soli 5 anni di contributi, passerà da 70 anni e 7 mesi a 71 anni;
  • l’età per la pensione anticipata contributiva passerà da 63 anni e 7 mesi a 64 anni;
  • gli anni di contributi necessari per la pensione anticipata ordinaria saliranno da 41 anni e 10 mesi a 42 anni e 3 mesi per le donne, e da 42 anni e 10 mesi a 43 anni e 3 mesi per gli uomini;
  • gli anni di contributi necessari per la pensione anticipata precoci saliranno a 41 e 5 mesi.
  • l’età per la pensione di vecchiaia in totalizzazione passerà da 65 anni e 7 mesi a 66 anni;
  • gli anni di contributi per la pensione di anzianità in totalizzazione saliranno da 40 e 7 mesi a 41;
  • nessun aumento è previsto per la pensione di anzianità degli addetti ai  lavori usuranti sino al 2026.

Per sapere, nel dettaglio, come cambieranno i requisiti nel 2019: Pensione 2019 che cosa cambia.

Tuttavia, è allo studio dell’esecutivo una nuova proposta, che vorrebbe bloccare, per alcuni anni, gli adeguamenti alla speranza di vita. In questo modo, i requisiti per la pensione non cambierebbero rispetto agli attuali. Il blocco dell’età pensionabile e dei requisiti per la pensione dovrebbe riguardare almeno il biennio 2019-2020.

Quota 100 e pensione di cittadinanza dal 2019

Il Governo ha deciso di fissare il rapporto deficit/Pil per il 2019 al 2,4%: saranno dunque disponibili le risorse necessarie per la cosiddetta riforma delle pensioni. In particolare, è sicuro che sarà realizzata la nuova pensione quota 100, anche se non si conoscono con certezza gli eventuali limiti: in base a quanto reso noto sinora, ci si potrà pensionare con quota 100 se si possiedono almeno 38 anni di contributi e sono stati compiuti 62 anni di età. Forse si eviterà il ricalcolo contributivo del trattamento: potrebbe essere applicato il ricalcolo misto, per coloro che avrebbero diritto al sistema retributivo sino al 31 dicembre 2011, oppure potrebbe essere applicata una penalizzazione percentuale, pari all’1,5% per ogni anno di anticipo nell’uscita dal lavoro rispetto all’età pensionabile (67 anni, dal 2019).

Nulla di certo, invece, sulla cosiddetta pensione quota 41 e 6 mesi, cioè sulla possibilità di raggiungere la pensione anticipata con 41 anni e 6 mesi di contributi: forse l’intervento sarà rinviato al 2020.

Via libera, invece, alla pensione minima di cittadinanza: grazie al reddito di cittadinanza, difatti, tutte le pensioni basse saranno integrate sino alla cifra di 780 euro mensili.

Pensione quota 100 con penalità

La pensione anticipata quota 100 consentirà di ottenere un assegno “pieno” dall’Inps soltanto per chi avrà compiuto l’età pensionabile, ossia l’età utile al trattamento di vecchiaia, pari a 67 anni dal 2019. Per gli altri è prevista una penalizzazione percentuale sulla pensione, pari all’1,5% per ogni anno di anticipo rispetto alla maturazione dell’età pensionabile. In ogni caso, la quota 100 potrà essere ottenuta non prima del compimento dei 62 anni di età e della maturazione di 36 anni di contributi. Gli unici a salvarsi da questi limiti saranno soltanto gli esuberi, per i quali è previsto un prepensionamento con quota 100, che consentirà di anticipare la pensione sino a un massimo di 5 anni e sarà sostenuto dalle aziende e dai fondi di solidarietà. Queste sono le ultime novità emerse, allo stato attuale, dal cosiddetto “cantiere pensioni”: le proposte in merito alla nuova pensione anticipata, ad ogni modo, sono molto numerose, e non si fermano alla quota 100. È stata ipotizzata, ad esempio, la cosiddetta pensione quota 41 e 6 mesi, ossia la possibilità di uscire dal lavoro, per tutti, con 41 anni e 6 mesi di contributi; era stata anche promessa la proroga dell’opzione donna, che consentirebbe alle lavoratrici di uscire dal lavoro a 57 o 58 anni col ricalcolo contributivo dell’assegno, assieme alla proroga delle salvaguardie per gli esodati. Le risorse disponibili, però, sono poche, dunque la priorità dovrebbe andare alla realizzazione della quota 100, che dovrebbe entrare in vigore con la legge di Bilancio 2019. Per saperne di più: Quota 100 con penalità.

Pensione quota 100 con 37 anni di contributi

Dalla pensione quota 100 selettiva alla quota 100 per gli esuberi, dalla quota 100 con 64 anni di età e 36 anni di contributi alla quota 100 col solo paletto anagrafico dei 62 anni, le proposte in merito al nuovo pensionamento anticipato si susseguono a ritmo frenetico. La pensione ottenuta con la quota 100, ossia quando la somma di età e anni di contributi è almeno pari a 100, consentirebbe difatti l’uscita di un ingente numero di lavoratori, quindi risulterebbe difficilmente sostenibile per le casse pubbliche: ecco perché, a fronte degli annunci delle parti politiche, arrivano regolarmente delle controproposte che ridimensionano le promesse in materia di pensioni. Ad oggi, la nuova ipotesi allo studio riguardo al pensionamento anticipato prevede la pensione quota 100 con 37 anni di contributi, ed è affiancata da un’ulteriore proposta che prevede la quota 100 senza limiti di età e contribuzione, ma solo per gli esuberi. In pratica, la generalità dei lavoratori potrebbe accedere alla quota 100 purché si rispetti l’età minima di 62 anni di età e il requisito contributivo minimo di 37 anni (ma la Lega preme perché si abbassino a 36), mentre i lavoratori in esubero potrebbero accedere alla quota 100 senza “paletti”, grazie al sostegno di appositi fondi. Per approfondire: Quota 100 con 37 anni di contributi

Pensione anticipata: riscatto dei contributi scontato con la pace contributiva

Pensionarsi prima coprendo tutti i periodi senza contributi dal 1996 in poi, grazie a un riscatto con costi ridotti: si tratta di una nuova proposta della Lega, finalizzata ad anticipare l’uscita dal lavoro senza incidere notevolmente sulle casse pubbliche. In base a quanto reso noto sinora, i lavoratori potrebbero riscattare tutti i periodi senza contributi a partire dal 1996. Nei riscatti dovrebbero essere compresi tutti gli intervalli non lavorati e non coperti da contribuzione figurativa o da altro tipo di contribuzione, anche non compresi nelle attuali ipotesi di riscatto, come gli anni di laurea o i periodi di aspettativa non retribuita. Questo “riscatto universale” risulta di fatto più simile al versamento di contributi volontari retroattivo che al riscatto vero e proprio, considerando che non richiede particolari requisiti relativi agli intervalli di tempo non coperti da versamenti previdenziali. Il costo del nuovo riscatto, che dovrà essere calcolato col sistema contributivo, risulterà ridotto rispetto all’attuale costo del riscatto dei contributi: per questo motivo la proposta della Lega è stata ribattezzata “pace contributiva”, in analogia con la pace fiscale. La finalità del riscatto “scontato” è quella di favorire l’uscita dal lavoro, grazie all’aumento dei versamenti utili per il diritto alla pensione; l’intervento, poi, assieme all’utilizzo dei nuovi fondi esuberi, dovrebbe servire a finanziare, almeno in parte, la pensione quota 100.

Per approfondire e capire come funziona il riscatto dei contributi: pensione anticipata con pace contributiva.

Taglio delle pensioni sopra i 4500 euro

Chi si è pensionato da giovane, o comunque con un’età inferiore a quella prevista per la pensione di vecchiaia, rischia la riduzione della pensione, se il trattamento supera un determinato ammontare. In particolare, potrebbe essere interessato dal nuovo taglio delle pensioni d’oro, o meglio delle pensioni alte, chi percepisce un trattamento che supera i 4500 euro netti al mese: è quanto previsto dal recente disegno di legge sul taglio degli assegni d’oro, che prevede la riduzione dei trattamenti attraverso l’applicazione di appositi coefficienti di penalizzazione. Il taglio delle pensioni alte può superare, a seconda dei casi, il 23% del trattamento: la penalizzazione non è determinata dal ricalcolo contributivo della pensione, ma dal rapporto tra il coefficiente corrispondente all’età per la pensione di vecchiaia e quello corrispondente all’età del pensionamento. Saranno dunque tagliate le pensioni anticipate, o di anzianità, più alte; nessun taglio, invece, per le pensioni di reversibilità e invalidità, né per le vittime del terrorismo o del dovere. La penalizzazione, che riguarderà un’ampia, ma non enorme, platea di pensionati, comporterà un risparmio che servirà, in base a quanto annunciato, ad aumentare le pensioni minime, quindi a finanziare la pensione minima di cittadinanza da 780 euro al mese. Inoltre, il disegno di legge abolirà i privilegi pensionistici dei sindacalisti.

Per sapere chi subirà il taglio della pensione, e di quanto sarà ridotto il trattamento: Taglio delle pensioni d’oro.

Pensione quota 100 per gli esuberi

La pensione quota 100 non si tocca, come più volte ribadito dal ministro Salvini, che mira a smantellare completamente la legge Fornero. Secondo le valutazioni del ministero dell’Economia, però, si potrebbe attuare, almeno in un primo momento, un intervento più leggero, che comporterebbe una spesa massima di 1,5 miliardi di euro: la pensione quota 100 per gli esuberi. In pratica, inizialmente la quota 100 potrebbe essere dedicata solo ad alcune categorie di lavoratori, che potrebbero anticipare l’uscita dal lavoro sino a un massimo di 5 anni, grazie al sostegno delle aziende e ad appositi incentivi statali. Quest’ipotesi è stata al centro di un incontro tecnico al quale hanno partecipato, tra gli altri, l’esperto di pensioni Alberto Brambilla e il tecnico del lavoro Gianpiero Falasca.

Per saperne di più: Pensione quota 100 per gli esuberi

Prepensionamento per gli esuberi

Come sostenere i costi della pensione quota 100? L’Ape sociale sarà prorogata o no? A queste due domande potrebbe fornire una risposta la nuova proposta della Lega, che prevede l’istituzione di un prepensionamento per tutti gli esuberi, prepensionamento che potrebbe essere esteso anche ai beneficiari dell’Ape sociale, e che sosterrebbe, in parte, il peso delle nuove pensioni quota 100. In pratica, dovrebbero essere istituiti tre fondi esuberi, Industria, Commercio e Artigianato, che finanzierebbero i prepensionamenti dei lavoratori dipendenti appartenenti ai tre settori, e che potrebbero finanziare anche gli assegni dei destinatari dell’Ape sociale. I prepensionamenti dovrebbero dar luogo a prestazioni simili all’isopensione ed all’assegno straordinario previsto ad oggi per i lavoratori in esubero. A sostenere i fondi dovrebbero essere le risorse derivanti dai contributi versati con finalità varie (formazione, enti bilaterali, etc.) non utilizzati. Per approfondire: pensione anticipata per gli esuberi.

Niente pensione d’invalidità civile per i residenti all’estero

La corte di Cassazione ha precisato [30] che, se il beneficiario della pensione d’invalidità civile sposta la residenza all’estero, perde il diritto al sussidio durante tale periodo, nonostante la legge che regolamenta la prestazione di assistenza [31] non ponga alcuna preclusione.

Secondo la Cassazione, devono essere rispettate le previsioni del regolamento europeo [32] relativo all’applicazione dei regimi di sicurezza sociale ai lavoratori subordinati, ai lavoratori autonomi e ai loro familiari che si spostano all’interno della Comunità. Il regolamento ha, in particolare, introdotto il principio secondo cui le prestazioni speciali in denaro, sia di assistenza che di previdenza (non aventi però carattere contributivo), non sono esportabili, ma possono essere riconosciute solo nello Stato in cui l’interessato risiede.

Di conseguenza, la pensione di invalidità civile non è dovuta al cittadino residente fuori dal territorio nazionale.

Pensione di cittadinanza dal 2019

Sul reddito di cittadinanza non si torna indietro, ma l’intervento sarà attuato in due fasi: dal 2019, tutte le pensioni basse si trasformeranno in pensione di cittadinanza ed aumenteranno a 780 euro al mese; successivamente, tutti i cittadini senza redditi, o con redditi sotto la soglia di povertà, avranno diritto al reddito di cittadinanza da 780 euro al mese. L’attuazione in due fasi non è dovuta all’assenza di risorse, come chiarito dalla viceministro all’Economia Laura Castelli, ma alla necessaria riforma dei centri per l’impiego, che richiederà circa 4 mesi di tempo. Senza la riforma dei centri per l’impiego, riconoscere il reddito di cittadinanza non sarebbe possibile, in quanto il sussidio è subordinato all’adesione, da parte dei beneficiari, a misure di politica attiva del lavoro. I disoccupati, in pratica, dovranno impegnarsi, supportati dai centri per l’impiego riformati, nella ricerca attiva di lavoro, nella frequenza di corsi di formazione e dovranno lavorare per 8 ore alla settimana a favore del Comune di residenza.

Quest’impegno non è invece richiesto per la pensione di cittadinanza, in quanto la misura interessa i soli pensionati, non più in età lavorativa. La pensione di cittadinanza dovrebbe sostituire sia l’integrazione al trattamento minimo, che ad oggi ammonta a 507,42 euro al mese, che le maggiorazioni sulla pensione, come la maggiorazione sociale e l’incremento al milione: considerando che ad oggi la pensione minima, comprensiva di integrazione al trattamento minimo, maggiorazione sociale e incremento al milione, può arrivare a 643,86 euro mensili, la differenza con la pensione di cittadinanza non sarebbe enorme. La misura, in ogni caso, dovrebbe essere applicata sia alle prestazioni previdenziali, come la pensione di vecchiaia o anticipata, che alle prestazioni di assistenza, come l’assegno sociale. Per approfondire: pensione di cittadinanza 2019.

Pensione quota 41 e 6 mesi

Mentre si riflette sull’introduzione della pensione quota 100, con o senza limiti legati all’età e alla contribuzione, riservata ad alcune categorie o meno, ricalcolata col sistema misto o contributivo, spunta una nuova ipotesi: la pensione quota 41 e 6 mesi.

In questo caso, il termine quota è utilizzato in modo improprio, in quanto la pensione quota 41,6 si potrebbe ottenere senza alcun limite di età, solo con 41 anni e 6 mesi di contribuzione.

Attualmente esiste già una pensione molto simile alla quota 41 e 6 mesi, ma è riservata a particolari categorie di lavoratori precoci (cioè a coloro che possiedono almeno 12 mesi di contributi da effettivo lavoro versati prima del compimento del 19° anno di età): disoccupati di lungo corso, invalidi dal 74%, caregiver e addetti ai lavori gravosi e usuranti. Per la precisione, ad oggi la pensione anticipata dei lavoratori precoci si può ottenere con 41 anni di contributi, ma dal 2019 ne saranno richiesti 41 anni e 5 mesi.

Sarà possibile estendere questa pensione agevolata a tutti? La fattibilità dell’intervento sarà valutata a breve.

Pensione quota 100 a 62 anni, quota 100 perfetta entro tre anni

La pensione con la quota 100, che dovrebbe diventare operativa dal 2019, con la nuova legge di bilancio, non sarà più selettiva, cioè riservata a specifiche categorie di lavoratori, ma sarà aperta a tutti: sarà previsto, però, un limite di età all’accesso, pari a 62 anni. È quanto annunciato dal ministro Matteo Salvini, che però ha anche promesso l’abbattimento di tutti i paletti per la quota 100 entro il 2021: in buona sostanza, la quota 100 sarà inizialmente limitata a chi ha compiuto i 62 anni, ma entro tre anni sarà estesa a tutti. Archiviata la quota 100 a 62 anni, si potrà arrivare alla quota 100 perfetta, dunque a un trattamento che potrà essere ottenuto in tutti i casi in cui la somma di età e anni di contributi è almeno pari a 100: ad esempio con 60 anni di età e 40 anni di contributi. Per sapere tutto sulla quota 100 e sulle ultime novità: Pensione quota 100 a 62 anni.

Naspi: è possibile conoscere esattamente l’importo delle rate in pagamento

Arriva un nuovo servizio dell’Inps per conoscere, mese per mese, l’importo del rateo mensile della Naspi, l’indennità di disoccupazione, in pagamento.

Si può fruire del servizio tramite la propria area personale My Inps, accessibile con le apposite credenziali (Pin Inps dispositivo, identità digitale Spid almeno di secondo livello, carta nazionale dei servizi). Una volta nell’area personale, è sufficiente accedere da “Tutti i servizi”, o dall’apposita maschera di ricerca, alla prestazione “Nuova assicurazione sociale per l’impiego ( Naspi): consultazione domande”.

Una volta entrati nella pagina relativa alla Naspi, bisogna consultare la domanda inviata: cliccando su “Dettagli” si apre il prospetto di calcolo, che indica la durata dell’indennità con gli importi lordi che l’Inps deve liquidare ogni mese.

Una nota avverte il beneficiario della progressiva riduzione del 3% a partire dal 4° mese di erogazione della Naspi.

L’interessato può inoltre verificare gli accrediti mensili della Naspi, accedendo alla propria sezione “My Inps” e cliccando sulla voce “I tuoi avvisi”. All’interno della sezione, sono infatti disponibili gli avvisi di liquidazione di ogni rata di Naspi, nei quali è specificato l’importo lordo liquidato sull’iban indicato nella domanda.

È possibile ricevere anche degli sms di segnalazione degli avvisi, anche per chi ha richiesto la Naspi tramite patronato.

Pensione: arriva la quota 100 selettiva

Iniziano a delinearsi le novità sulle pensioni, attese con la legge di Bilancio 2019. Per quanto riguarda l’attesissima pensione anticipata quota 100, in particolare, sulla base delle risorse disponibili per l’intervento non emergono buone novità;  per poter rendere sostenibile il nuovo pensionamento anticipato, difatti, vi sarebbero due strade: limitare la quota 100 soltanto a categorie tutelate di lavoratori, come gli esuberi, oppure stabilire dei limiti rigidi per l’uscita dal lavoro con questo strumento, come un’età minima, un minimo di anni di contributi, oppure il ricalcolo misto o contributivo del trattamento (che, risultando penalizzante rispetto al calcolo contributivo, dovrebbe scoraggiare i lavoratori che vogliono anticipare la pensione). Al momento, l’ipotesi più accreditata, e che sembrerebbe comportare il minor esborso da parte delle casse pubbliche, è la cosiddetta quota 100 selettiva, cioè riservata solo ad alcuni lavoratori tutelati: le categorie agevolate, però, devono ancora essere definite; se la platea dei destinatari della quota 100 dovesse essere eccessivamente ampia, reperire i fondi necessari potrebbe risultare un’impresa ardua. Per approfondire e fare il punto della situazione sulle novità delle pensioni: Quota 100 selettiva.

Trattenute sulle pensioni in cumulo e totalizzazione

L’Inps, con un nuovo messaggio [29] , ha chiarito come devono essere effettuate le trattenute sulla pensione, se questa è ottenuta in regime di cumulo o di totalizzazione, quindi liquidata attraverso quote di competenza di casse diverse. In generale, i limiti validi in merito alle trattenute si applicano sull’intera pensione, comprensiva delle diverse quote. In caso di riscatto in corso di pagamento, sulla pensione in cumulo o totalizzazione non è possibile applicare trattenute: gli oneri di riscatto devono essere saldati prima della pensione; in caso contrario, sono valutati i soli periodi per i quali sono già stati incassati i versamenti.

Tagli alle pensioni alte

Inizia a prendere forma il disegno di legge sui tagli alle pensioni d’oro: è stato confermato che il provvedimento riguarderà le pensioni sopra i 4mila euro, ma ad essere coinvolti saranno soltanto coloro che si sono pensionati prima del raggiungimento dell’età per la vecchiaia. A essere tagliate saranno solo le quote retributive della pensione: non sarà operato il ricalcolo contributivo del trattamento, ma si applicherà un coefficiente di riduzione pari al rapporto tra l’età, al momento della decorrenza della pensione, e l’età vigente, sempre nell’anno di decorrenza della pensione, per il trattamento di vecchiaia. Per saperne di più: Tagli pensioni alte.

Taglio alle pensioni d’oro

In arrivo la stretta sulle pensioni d’importo superiore ai 4mila euro netti mensili: le nuove misure sono attese con un disegno di legge che dovrà essere presentato prima della pausa estiva, quindi in tempi molto brevi.
Come saranno tagliate le pensioni d’oro? Ancora non si sa se le riduzioni saranno effettuate con un ricalcolo delle pensioni più elevate, eliminando il cosiddetto squilibrio contributivo che le allontana dal valore dei contributi versati, oppure con un contributo di solidarietà, come richiesto dalla Lega. Il ricalcolo, ammesso che vengano superate le numerose difficoltà tecniche in merito, garantirebbe risparmi tra i 300 e i 600 milioni annui, secondo una recente stima.
L’intervento interesserà poco più di 75mila pensioni, considerando l’importo dei singoli trattamenti; i pensionati coinvolti dal taglio delle rendite d’oro salgono a 100mila, però, se si prendono in considerazione i redditi da pensione derivanti dal cumulo di più trattamenti, ed a oltre 108mila se si considerano anche i pensionati che percepiscono l’assegno da una cassa professionale. Il taglio potrebbe oscillare tra il 10 e il 12% dell’assegno di pensione, a seconda del tipo di intervento.

Pensioni scuola: respinte 4600 domande

Oltre 4600 domande di pensione del personale della scuola respinte dall’Inps: non parte nel migliore dei modi l’accertamento del diritto a pensione per i docenti ed i dirigenti scolastici, che da quest’anno è di competenza dell’Inps e non del Miur (ministero Pubblica Istruzione, Università e Ricerca). L’accertamento, come aveva chiarito l’Inps nella circolare dello scorso gennaio [28], riguarda sia le cessazioni forzate che i pensionamenti volontari. Il problema, stando a quanto esposto in un recente comunicato stampa dell’istituto, sarebbe causato unicamente dall’aumento del numero delle domande di pensione, pari a circa 41mila: la percentuale di reiezione delle istanze di pensionamento sarebbe dunque in linea con quella dello scorso anno. Secondo i sindacati e gli esperti, invece, le domande di pensione sarebbero state respinte a causa dalla diversa modalità di calcolo delle giornate utili al diritto a pensione: l’Inps smentisce, specificando che l’eventuale differente modalità di calcolo adottata dal ministero in ogni caso può comportare esclusivamente limitate divergenze, con riferimento ai periodi pre-ruolo riconosciuti con provvedimenti di competenza del Miur. Il problema potrebbe essere dovuto, tra gli altri fattori, anche al fatto che l’Inps si sia occupato in via diretta dell’accertamento della maturazione dei requisiti per la pensione utilizzando i propri archivi, e non più i dati in possesso dell’amministrazione, a seguito dell’incorporazione dell’Inpdap nell’Inps e dell’accentramento della gestione delle posizioni assicurative dei pubblici dipendenti. Questo cambiamento causa notevoli criticità, considerando che l’archivio delle posizioni assicurative Inps è stato avviato solo agli inizi degli anni 2000, e tutti i dati precedenti sono stati inseriti a posteriori, comportando la presenza di errori e omissioni nell’estratto conto contributivo (che comunque, come recentemente chiarito, non possono pregiudicare la pensione dei dipendenti pubblici.

L’Inps ha comunque rassicurato gli aspiranti pensionati, chiarendo che effettuerà degli accertamenti sulle domande respinte. Nel frattempo, l’elevato numero di ricorsi che stanno per essere presentati dai pensionati potrebbe rendere incerta la situazione delle cattedre all’inizio dell’anno.

Pensione quota 100 e quota 41: fumata nera dal decreto Dignità

Il decreto Dignità affronta molti temi importanti, come il lavoro a termine, la somministrazione, la delocalizzazione, la guerra al gioco d’azzardo. Non è stato toccato ancora, però, l’argomento pensioni: al momento, le ipotesi più gettonate restano la pensione quota 100, che, secondo le ultime proposte, richiederebbe il ricalcolo misto, un minimo di 64 anni di età e di 36 anni di contributi, e la pensione quota 41, che però è diventata, secondo le ultime ipotesi, quota 42. La pensione quota 42 dovrebbe maturare con 42 anni di contributi a prescindere dall’età, ma ancora non è stato chiarito se potrà essere ottenuta da tutti i lavoratori o soltanto dalle categorie tutelate dalla pensione precoci. Non è nemmeno chiaro se queste nuove pensioni sostituiranno la pensione anticipata ordinata e contributiva previste dalla legge Fornero. Per fare il punto della situazione: Pensione quota 100 e quota 42.

In arrivo la quattordicesima 2018 per i pensionati

In pagamento, assieme alla pensione di luglio 2018, la somma aggiuntiva, o quattordicesima. Quest’indennità è riconosciuta dall’Inps a chi possiede un reddito che non supera 2 volte il trattamento minimo.

Per il 2018, grazie alla rivalutazione del trattamento minimo, aumentano le soglie di reddito entro le quali si ha diritto alla quattordicesima: in particolare, possono ricevere la somma aggiuntiva sulla pensione coloro che hanno un reddito non superiore a:

  • 13.696,92 euro, se possiedono oltre 25 anni di contributi;
  • 13.612,92 euro, se possiedono oltre 15 anni di contributi ma meno di 25 anni;
  • 13.528,92 euro, se possiedono sino a 15 anni di contributi.

Per saperne di più: Quattordicesima 2018, a quanto ammonta e a chi spetta.

Ape sociale, domande in scadenza il 15 luglio 2018

Il tempo stringe per i lavoratori appartenenti alle categorie tutelate che vogliono beneficiare dell’Ape sociale entro il 2018: scade infatti il 15 luglio 2018 il termine per presentare le domande di certificazione dei requisiti per l’anticipo pensionistico. L’Ape sociale, lo ricordiamo, offre la possibilità di uscire dal lavoro con 3 anni e 7 mesi di anticipo grazie a un assegno pagato dallo Stato, pari alla futura pensione (ma con un tetto massimo di 1500 euro mensili). Sarà comunque possibile, dopo il 15 luglio, presentare altre domande di certificazione dei requisiti, purché entro il 30 novembre 2018: in quest’ultimo caso, però, l’accesso all’anticipo pensionistico potrà essere accolto solo se risulteranno risorse residue. Per poter presentare la domanda nel 2018, ad ogni modo, è necessario che il requisito contributivo (30 anni o 36 anni di contributi, a seconda della categoria di appartenenza, con un massimo di 2 anni di sconto per le donne), assieme agli altri requisiti richiesti per le specifiche categorie di beneficiari dell’Ape sociale siano maturati entro il 31 dicembre 2018.  Non si sa ancora, invece, se l’Ape sociale sarà prorogata al 2019: probabilmente questo strumento sarà sostituito dalla pensione anticipata quota 100 e quota 41. Per approfondire: Ape sociale, come e quando presentare la domanda.

Niente pensione per gli statali che continuano a lavorare dopo il pensionamento

I dipendenti pubblici che prestano nuovamente servizio dopo essersi pensionati non hanno diritto a una nuova pensione, o meglio al supplemento di pensione: questo trattamento, infatti, non è previsto per gli iscritti alle gestioni pubbliche dell’Inps (ex Inpdap). Per non “buttare al vento” gli anni di contributi in più ci sono, comunque, delle soluzioni:

  • arrivare a 20 anni di contributi per percepire una pensione autonoma (questo, però, non sempre è possibile, in quanto superato il limite d’età ordinamentale si viene cessate forzatamente dal servizio);
  • ottenere una pensione unica chiedendo la rifusione [27]: in pratica, si deve rinunciare alla vecchia pensione e si devono restituire le rate di trattamento ricevute durante il nuovo servizio; questa soluzione è molto onerosa e non sempre è praticabile.

Poter percepire una nuova pensione, per i dipendenti pubblici, risulta dunque difficilissimo, al contrario di quanto avviene per la generalità dei dipendenti, che possono contare sulla pensione supplementare o sul supplemento di pensione: proprio per combattere questa discriminazione, sono recentemente state intraprese delle cause.

Pensioni 2019: nuovo calcolo, importi più bassi

Calcolo contributivo della pensione ancora più povero dal 1° gennaio 2019: a partire da questa data, infatti, dovranno essere utilizzati i nuovi coefficienti di trasformazione, che servono a “trasformare” in pensione il montante contributivo, cioè la somma dei contributi. Per diminuire l’impatto dell’aumento dei requisiti per la pensione sui coefficienti di trasformazione, che diventano più alti al crescere dell’età pensionabile, questi coefficienti sono stati abbassati da un nuovo decreto del ministero del lavoro [26]. Chi può già andare in pensione, dunque, è bene che lo faccia nel 2018, per non perdere l’applicazione dei coefficienti più vantaggiosi. L’impatto sarà maggiore per chi è soggetto al calcolo integralmente contributivo della pensione, moderato per chi ha diritto al calcolo misto e più leggero per chi ha diritto al calcolo retributivo sino al 2011. Per approfondire: Nuovi coefficienti di trasformazione 2019.

Pensione anticipata quota 100 e 41: ricalcolo contributivo

Pensione anticipata quota 100 e quota 41 con penalità, ma non per tutti: secondo una nuova proposta della Lega, difatti, chi sceglierà di collocarsi a riposo con questo nuovo tipo di pensione, in cambio dell’uscita anticipata dal lavoro dovrà accettare il ricalcolo contributivo della pensione a partire dal 1996. Non cambierà nulla, dunque, per i contribuenti cosiddetti misti, che possiedono meno di 18 anni di contributi al 31 dicembre 1995, e naturalmente anche per coloro che non possiedono contributi alla stessa data, i cosiddetti contributivi puri. La penalizzazione sulla pensione si farà sentire, invece, per chi possiede dai 18 anni di contributi in su al 31 dicembre 1995, ed avrebbe diritto al calcolo retributivo sino al 31 dicembre 2011.

Blocco della pensione per debiti col fisco

In base a quanto spiegato dall’Inps con un recente messaggio [25], ogni volta in cui la Pubblica Amministrazione deve effettuare, in favore di un contribuente ed a qualsiasi titolo, un pagamento di almeno 5mila euro (questo limite, prima pari a 10mila euro, è stato ridotto alla metà dalla legge di bilancio 2018), deve sospendere l’accredito e interrogare l’Agente della Riscossione per verificare se il beneficiario è debitore di somme per non aver pagato una o più cartelle. L’esattore, nella maggior parte dei casi Agenzia Entrate Riscossione, ha 5 giorni di tempo per rispondere. Se sono pendenti debiti, l’agente per la riscossione ha 60 giorni di tempo per attivare la procedura di riscossione, notificando al debitore l’ordine di versamento delle somme dovute.

Se risultano debiti, dunque, il pagamento è sospeso per un massimo di 60 giorni. Lo stesso è previsto anche in caso di pensioni d’importo pari o superiore a 5mila euro.

Rei reddito d’inclusione per tutti, nuovo modello di domanda

L’Inps ha appena pubblicato un nuovo modello di domanda del Rei, il reddito d’inclusione. Dal 1° giugno 2018, difatti, la misura è estesa a tutte le famiglie, comprese quelle senza figli minori o inabili, disoccupati over 55 e donne in gravidanza. Sono stati poi aumentati gli importi del Rei. Per saperne di più: Come si calcola il Rei.

Pensione anticipata quota 100 e quota 41

Secondo il programma del Governo Lega- Movimento 5 stelle, dovrebbero essere introdotte a breve due nuove pensioni anticipate, dette quota 100 e quota 41.

La cosiddetta pensione quota 100 offrirebbe ai lavoratori la possibilità di uscire dal lavoro quando la quota, cioè la somma dell’età e degli anni di contributi del lavoratore, risulta almeno pari a 100.

Secondo alcune proposte, per pensionarsi con la quota 100 sarebbe comunque necessaria un’età minima e un numero minimo di anni di contributi: si parla di un minimo di 64 anni o di 61 anni di età, e di un minimo di 35 o 36 anni di contributi.

La quota 100 risulterebbe in ogni caso più vantaggiosa dell’attuale pensione anticipata, che ad oggi, come abbiamo osservato, si può ottenere con 41 anni e 10 mesi di contributi per le donne e con 42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini (dal 2019, saranno necessari, rispettivamente, 42 anni e 3 mesi di contributi e 43 anni e 3 mesi): ad esempio, se il lavoratore ha 64 anni di età, con la quota 100 potrebbe pensionarsi con soli 36 anni di contributi.

La seconda nuova proposta è la pensione quota 41: questa consentirebbe di pensionarsi con 41 anni di contributi, a prescindere dall’età (il termine quota in questo caso è usato impropriamente, perché 41 sono i soli anni di contributi necessari per ottenere il trattamento, non la somma di contributi ed età).

Ad oggi questa possibilità esiste già ma, come abbiamo visto, soltanto per i lavoratori precoci, cioè per coloro che possiedono almeno 12 mesi di contributi da effettivo lavoro accreditati prima del 19° anno di età.

La nuova pensione quota 41 sarebbe comunque soggetta agli adeguamenti legati alla speranza di vita: dal 2019, pertanto, sarebbe possibile pensionarsi con 41 anni e 5 mesi di contributi, dal 2021 con 41 anni e 8 mesi, dal 2023 con 41 anni e 11 mesi, e così via, con aumenti di 3 mesi ogni biennio.

Si parla, infine, di prorogare l’opzione Donna, una pensione di anzianità che consentirebbe alle donne di uscire dal lavoro a 57 o 58 anni, con un minimo di 35 anni di contributi, in cambio del ricalcolo contributivo dell’assegno.

Pensione in regime di cumulo per i professionisti: liquidazione dei trattamenti in arrivo

Sono vicine al pagamento le prime pensioni in regime di cumulo per i liberi professionisti:

l’Inps, con un nuovo comunicato stampa [24], ha difatti appena informato che sono diventati operativi gli accordi sul cumulo con:

Enpam (Ente Nazionale di Previdenza e Assistenza dei Medici e Odontoiatri);
Inarcassa (Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza per gli Ingegneri ed Architetti Liberi Professionisti);
Enpapi (Ente Nazionale di Previdenza e Assistenza della Professione Infermieristica);
Enpaf (Ente Nazionale di Previdenza ed Assistenza Farmacisti);
Enpav (Ente Nazionale di Previdenza ed Assistenza dei Veterinari);
Enpap (Ente Nazionale di Previdenza e Assistenza per gli Psicologi);
Eppi (Ente di Previdenza dei Periti Industriali e dei Periti Industriali Laureati);
Cipag (Cassa Italiana di Previdenza ed Assistenza Geometri);
Inpgi (Istituto Nazionale di Previdenza dei Giornalisti Italiani);
Cassa Forense;
Cnpr (Associazione Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza a favore dei Ragionieri e Periti commerciali).
La sottoscrizione delle convenzioni ha permesso di procedere alla lavorazione delle prime 500 domande di pensione in regime di cumulo pervenute.
È stata inoltre completata l’attività di formazione che permette alle Casse di previdenza dei professionisti, che hanno sottoscritto l’accordo, di utilizzare gli applicativi informatici necessari per la definizione delle singole posizioni pensionistiche.

È dunque possibile, per gli iscritti alle casse professionali elencate, fare domanda di pensione in regime di cumulo, se si possiedono i requisiti necessari. È consigliabile inviare la domanda anche per coloro la cui gestione previdenziale non ha ancora sottoscritto la convenzione con l’Inps, per ottenere almeno la priorità nella lavorazione della pratica, una volta che la situazione dovesse sbloccarsi.

Sospensione dei contributi per i lavoratori autonomi in malattia

L’Inps, con una nuova circolare [22], ha spiegato come usufruire delle possibilità offerte dal Jobs Act dei lavoratori autonomi [23]: la nuova normativa riconosce una tutela più ampia alla maternità e alla malattia degli imprenditori e dei liberi professionisti.

In particolare, il Jobs Act autonomi introduce la possibilità, in caso di malattia o infortunio di durata superiore ai 60 giorni, di sospendere il versamento dei contributi.

La sospensione del versamento dei contributi opera per l’intera durata della malattia o dell’infortunio fino ad un massimo di 2 anni.

Al termine della sospensione, il lavoratore deve versare i contributi e i premi maturati durante il periodo di sospensione, ma può dilazionarli in un numero di rate mensili pari a 3 volte i mesi di sospensione.

Queste disposizioni interessano sia i titolari di partita Iva, sia i collaboratori coordinati e continuativi .

Come noto, è obbligato a versare i contributi:

  • il professionista, se titolare di partita Iva o associato;
  • il committente, se il rapporto è una collaborazione coordinata e continuativa; 1/3 dei contributi è a carico del lavoratore.
    Di conseguenza, in caso di malattia o infortunio grave il committente deve procedere nel seguente modo:
  • inviare il flusso UniEmens del lavoratore interessato indicando il codice di sospensione S1;
  • sospendere il versamento dei contributi (1/3 a carico del collaboratore e 2/3 a carico dell’azienda committente);
  • effettuare il versamento in un’unica soluzione o richiedere la rateazione degli importi sospesi (con aggravio degli interessi legali) al termine del periodo di sospensione, e comunque trascorsi due anni dall’inizio dell’evento.
    Analogamente, nel caso di malattia o infortunio grave il professionista deve procedere nel seguente modo:
  • indicare nel quadro RR, sez. II, l’importo della contribuzione sospesa;
  • sospendere il versamento della contribuzione dovuta (saldo e/o acconto dovuto nel periodo di sospensione);
    presentare all’Istituto una richiesta di sospensione tramite il Cassetto previdenziale liberi professionisti Gestione separata – Comunicazione bidirezionale;
  • effettuare il versamento in unica soluzione o richiedere la rateazione degli importi (con aggravio degli interessi legali) al termine del periodo di sospensione e comunque trascorsi due anni dall’inizio dell’evento.

Domanda di accompagnamento semplificata per anziani

L’Inps, con un nuovo messaggio [21], ha reso noto che è possibile, per gli anziani, usufruire di una modalità semplificata di invio della domanda di assegno di accompagnamento.

In particolare, chi ha già raggiunto l’età per accedere all’assegno sociale, cioè chi ha almeno 66 anni e 7 mesi, può ottenere l’indennità di accompagnamento molto più facilmente: in un primo momento, la domanda semplificata sarà accessibile solo per chi richiede l’accompagnamento tramite patronato, per poi essere estesa a chi presenterà la domanda online di riconoscimento dei requisiti per l’indennità.

La nuova domanda semplificata è suddivisa in due sezioni:

  • la prima è relativa all’inserimento dei dati obbligatori e comprende i dati anagrafici, i recapiti, gli eventuali dati del coniuge, del rappresentante legale e la sezione relativa all’accertamento richiesto;
  • la seconda sezione consente di acquisire i seguenti dati:
    • l’eventuale ricovero;
    • l’eventuale delega alla riscossione di un terzo e in favore delle associazioni;
    • la modalità di pagamento.

In buona sostanza, la seconda sezione corrisponde al modello AP70, e serve alla verifica dei dati socio-economici per il diritto all’accompagnamento: questa seconda sezione è comunque facoltativa, perché il beneficiario dell’accompagnamento può scegliere di inviare il modello AP70 per conto proprio, una volta ottenuto il riconoscimento dei requisiti sanitari per l’indennità.

Nella domanda semplificata è prevista, infine, una sezione “Allegati” per l’inserimento di dichiarazioni di responsabilità e di altri documenti necessari in relazione alla tipologia di richiesta.

Inps, avvisi bonari in arrivo per artigiani e commercianti

Gli iscritti alle gestioni Inps degli artigiani e dei commercianti che non hanno pagato la scadenza di febbraio 2018 hanno ancora la possibilità di mettersi in regola. Con un nuovo messaggio [20], difatti, l’Inps ha comunicato l’inizio delle elaborazioni per l’emissione degli avvisi bonari relativi alla rata in scadenza a febbraio 2018 .

Gli avvisi bonari sono a disposizione dei contribuenti all’interno del Cassetto previdenziale Artigiani e Commercianti, all’interno del portale web dell’Inps, al seguente indirizzo: “Cassetto Previdenziale per Artigiani e Commercianti” > “Posizione Assicurativa” > “Avvisi Bonari”.

Come di consueto, è stata predisposta anche la relativa comunicazione visualizzabile al seguente indirizzo: “Cassetto Previdenziale per Artigiani e Commercianti” > “Posizione Assicurativa” > “Avvisi Bonari generalizzati”.

Contestualmente è inviata una email di alert ai titolari della posizione contributiva e ai loro intermediari che abbiano fornito tramite il Cassetto il loro indirizzo di posta elettronica.

Qualora l’iscritto avesse già effettuato il pagamento, potrà comunicarlo utilizzando l’apposito servizio presente al seguente indirizzo: “Cassetto Previdenziale per Artigiani e Commercianti” > “Sezione Comunicazione bidirezionale” > “Comunicazioni” > “Invio quietanza di versamento”.

In caso di mancato pagamento l’importo dovuto verrà richiesto tramite avviso di addebito con valore di titolo esecutivo.

Pensione avvocati, ok al cumulo

Finalmente operativo il cumulo dei contributi per gli avvocati: la Cassa Forense ha infatti aderito alla convenzione Inps- Adepp (l’associazione che riunisce le gestioni previdenziali dei liberi professionisti) in materia di cumulo, in quanto sono stati superati i problemi relativi ai costi d’istruttoria.

Di conseguenza, le domande di pensione in regime di cumulo già presentate inizieranno ad essere evase da maggio 2018: una buona notizia per tutti quegli avvocati che possiedono contributi in gestioni diverse, come Inps dipendenti, ex Inpdap o gestione Separata, oltreché nella Cassa Forense, e che grazie al cumulo potranno pensionarsi prima, riunendo i contributi.

Ape, pagamento della liquidazione per gli statali

L’Ape volontario, a differenza dell’Ape sociale, non fa slittare i termini di pagamento del Tfr o del Tfs (trattamento di fine rapporto e trattamento di fine servizio). La liquidazione, difatti, viene corrisposta alle scadenze ordinariamente previste.

In particolare, se il servizio cessa per dimissioni, richieste a seguito dell’anticipo pensionistico volontario,  la prima rata del Tfr o del Tfs decorre dopo 24 mesi e 90 giorni dalla data di cessazione del rapporto di lavoro; negli altri casi il termine di pagamento della prima rata della liquidazione risulta pari a 12 mesi e 90 giorni dalla data di cessazione del rapporto di lavoro. Solo nel caso in cui il rapporto termini per inabilità o decesso del lavoratore, il pagamento avviene in 105 giorni (15 più  90 giorni) dalla cessazione dal servizio.

Se la liquidazione maturata supera i 50mila euro lordi, l’importo è corrisposto in più rate,  la prima rata pari a 50mila euro lordi, la seconda pari all’eccedenza compresa tra i 50 e i 100 mila euro del Tfr o Tfs lordo maturato, l’eventuale terza rata  pari alla parte eccedente la somma di 100mila euro lordi. La seconda e la terza rata vengono poste in pagamento a distanza rispettivamente di dodici e ventiquattro mesi dalla corresponsione della prima rata.

La liquidazione ricevuta può essere utile per estinguere anticipatamente l’intera o parte del prestito pensionistico- Ape volontario prima che sia liquidata la pensione, evitando così le penalizzazioni.

Ape sociale e pensione anticipata, possibile integrare le domande

L’Inps, con un nuovo messaggio [19], ha reso noto che potranno essere integrate sia le domande di Ape sociale, che quelle di pensione anticipata per i lavoratori precoci, entro il 20 aprile 2018, senza che questo comporti la modifica del numero di protocollo/data/ora di ricezione rilasciato al momento dell’invio.

L’integrazione dovrà però riguardare esclusivamente l’allegazione del nuovo modello AP116, aggiornato in considerazione delle novità introdotte dalla legge di bilancio 2018, e non i dati forniti al momento dell’invio della domanda.

Dal 20 aprile 2018 pagamento delle pensioni in regime di cumulo per i liberi professionisti 

L’Inps inizierà a pagare le prime pensioni in regime di cumulo per i professionisti  a partire dal 20 aprile 2018. Stanno infatti giungendo al termine  le adesioni alla convenzione per il pagamento delle pensioni tra l’Inps e l’Adepp, l’associazione delle gestioni previdenziali di categoria. La convenzione, in particolare, è già stata firmata dall’Enpam, la cassa dei medici e degli odontoiatri,  da Inarcassa, la cassa degli ingegneri e degli architetti, dall’Enpav (veterinari), da Enpapi (infermieri), Eppi (periti industriali), Cipag (geometri), Enpaf (farmacisti) e Enpap(psicologi). Nei prossimi giorni l’adesione dovrebbe essere perfezionata anche da Cassa Forense, la gestione previdenziale degli avvocati, dalla cassa dei dottori commercialisti ed esperti contabili, dalla cassa ragionieri (Cnpr) e dalla cassa dei consulenti del lavoro (Enpacl). Una volta ratificata la convenzione, l’Inps potrà iniziare a liquidare i primi assegni dei professionisti che hanno fatto domanda di cumulo e possiedono tutti i requisiti richiesti: i primi pagamenti partiranno dal prossimo 20 Aprile.

Nuovi requisiti per la pensione confermati dall’Inps

In pensione 5 mesi più tardi: la conferma arriva dall’Inps, che con una nuova circolare [18] ha illustrato i nuovi requisiti per l’uscita dal lavoro relativi al biennio 2019-2020, più severi a causa degli adeguamenti alla speranza di vita.

L’Inps ha anche spiegato che, a causa delle modifiche apportate dalla legge di Bilancio 2018, la variazione della speranza di vita relativa al biennio 2021-2022 sarà pari alla differenza tra la media dei valori registrati nel biennio 2017-2018 e il valore registrato nell’anno 2016. A decorrere dal 2023, la variazione della speranza di vita relativa a ciascun biennio di riferimento sarà pari alla differenza tra la media dei valori registrati nei singoli anni del biennio stesso e la media dei valori registrati nei singoli anni del biennio immediatamente precedente. Ad esempio, per il biennio 2023-2024 la variazione della speranza di vita corrisponderà alla differenza tra la media dei valori registrati nel biennio 2019-2020 e la media dei valori registrati nel biennio 2017-2018. In ogni caso, a decorrere dal 2021 gli adeguamenti biennali non potranno superare i tre mesi: l’eventuale parte eccedente andrà dunque a sommarsi agli adeguamenti successivi, fermo restando che anche questi non potranno superare i tre mesi.

In buona sostanza, considerando che dal 2019 l’età per la pensione di vecchiaia ordinaria è pari a 67 anni, nel 2021 l’età pensionabile non potrà essere superiore a 67 anni e 3 mesi; lo stesso vale per la pensione anticipata, per la quale dal 2019 sono richiesti 43 anni e 3 mesi di contributi (42 anni e 3 mesi per le donne); nel 2021 il requisito non potrà superare i 43 anni e 6 mesi (42 e 6 mesi per le donne9.

Nel caso di diminuzione della speranza di vita l’adeguamento non viene effettuato; il decremento viene considerato nei conteggi dei successivi adeguamenti, fermo restando il limite di tre mesi.

Per approfondire: Nuovi requisiti per la pensione 2019.

Pensione addetti ai lavori usuranti e turni notturni: scadenza domande

Scade il 1° maggio 2018 il termine per inviare la domanda di certificazione dei requisiti per l’accesso alla pensione di anzianità con le quote (la quota è la somma dell’età pensionabile e degli anni di contributi accreditati), per i lavoratori addetti a mansioni usuranti ed ai turni notturni. In particolare, deve presentare la domanda entro il 1° maggio 2018 chi matura i requisiti per la pensione anticipata con le quote dal 1° gennaio al 31 dicembre 2019.

Ricordiamo che il requisito minimo per accedere alla pensione di anzianità è la quota 97,6, con un minimo di 61 anni e 7 anni di età e di 35 anni di contributi. I requisiti sono più elevati per chi possiede contributi da lavoro autonomo e per gli addetti ai turni notturni che hanno lavorato per meno di 78 notti l’anno. Da quest’anno, però, chi ha lavorato in turni avvicendati da 12 ore (di cui 6 collocate in periodi notturni) ha diritto a una maggiorazione del servizio notturno pari al 50%.

Per approfondire: Domanda di pensione anticipata lavori usuranti e notturni.

Maggiorazione per lavoro notturno con turni di 12 ore

I lavoratori che sono impiegati in cicli produttivi organizzati su turni di 12 ore hanno diritto a una maggiorazione per il calcolo delle notti svolte, ai fini della pensione anticipata per lavoro notturno. Devono però aver svolto l’attività lavorativa per almeno 6 ore nel periodo notturno, inteso come l’intervallo che va dalla mezzanotte alle 5 del mattino. Inoltre, i turni avvicendati devono essere organizzati sulla base di un accordo collettivo sottoscritto entro il 31 dicembre 2016,

Considerata la gravosità di questi turni, la legge di Bilancio 2018, come chiarito da una nuova circolare Inps [17], riconosce la moltiplicazione delle giornate lavorative di turno per 1,5: in questo modo, è più semplice raggiungere il requisito delle 64, 72 o 78 notti.

Pagamenti in arrivo per le pensioni dei professionisti in regime di cumulo

In dirittura d’arrivo le pensioni dei liberi professionisti in regime di cumulo dei contributi: dopo il blocco delle domande di pensione, difatti, causato dalla tassa Boeri, ossia da un importo pari a 65 euro da pagare all’Inps per la gestione delle pratiche relative al cumulo, la situazione è stata ora chiarita.

In particolare, l’assemblea dei presidenti delle casse previdenziali dei liberi professionisti (Adepp) ha approvato all’unanimità il nuovo schema di convenzione con l’Inps sulle pensioni in cumulo, schema in cui è stabilito che gli oneri sulla gestione delle pratiche di pensione sarà proporzionalmente diviso tra Inps e casse professionali.

Pagamenti in arrivo, dunque, per le pensioni in cumulo dei professionisti che, a migliaia, hanno presentato le relative domande ormai da parecchi mesi; si pone, a questo punto, la questione degli arretrati che dovranno essere corrisposti ai professionisti che hanno maturato i requisiti del trattamento da tempo. Gli arretrati non sono, comunque, l’unica questione alla base di probabili futuri contenziosi: fanno discutere, ad esempio, l’applicazione del ricalcolo contributivo del trattamento da parte di parecchie casse professionali, assieme al fatto che i contributi versati presso le casse stesse prima del 1995 non sono validi per il passaggio dal calcolo della pensione misto a quello retributivo. Queste problematiche rendono il cumulo dei contributi assai simile alla totalizzazione.

In ogni caso, i pagamenti delle pensioni in cumulo dei professionisti potranno essere effettuati solo una volta che la convenzione tra Inps e Adepp sarà effettivamente sottoscritta, e collaudata la piattaforma informatica grazie alla quale Inps e Casse dialogheranno per gestire le pensioni.

Rei: reddito d’inclusione esteso, aumenti sino a 540 euro

In attesa del reddito di cittadinanza o del reddito di avviamento al lavoro, cambia e si rafforza il reddito d’inclusione Rei, divenuto operativo di recente: si tratta, lo ricordiamo, di un assegno mensile, che può spettare sino a un massimo di 18 mesi, destinato alle famiglie con figli minori o inabili, donne in gravidanza o disoccupati over 55. Dal 1° luglio 2018, il Rei spetterà a tutte le famiglie aventi i requisiti economici, a prescindere dalla composizione del nucleo familiare, e passerà dalla soglia massima di 485 euro all’importo massimo mensile di circa 540 euro. Lo ha chiarito l’Inps, con una circolare appena pubblicata [16].

Domande Ape sociale 2018 in scadenza

Il tempo stringe per i lavoratori appartenenti alle categorie tutelate che vogliono beneficiare dell’Ape sociale, cioè della possibilità di uscire dal lavoro con 3 anni e 7 mesi di anticipo grazie a un assegno pagato dallo Stato: l’Inps, con una recente circolare, ha difatti ricordato che il termine per presentare le domande di certificazione dei requisiti per l’Ape sociale scade il 31 marzo 2018 [1].

Sarà comunque possibile, dopo questa data, presentare altre domande di certificazione dei requisiti entro il 15 luglio 2018, oppure, tardivamente, entro il 30 novembre 2018 ma, in quest’ultimo caso, l’accesso all’anticipo pensionistico potrà essere accolto solo se risulteranno risorse residue.

Per poter presentare la domanda nel 2018, ad ogni modo, è necessario che il requisito contributivo (30 anni o 36 anni di contributi, a seconda della categoria di appartenenza, con un massimo di 2 anni di sconto per le donne), assieme agli altri requisiti richiesti per le specifiche categorie di beneficiari dell’Ape sociale siano maturati entro il 31 dicembre 2018.

Non si sa ancora, invece, se l’Ape social sarà prorogata al 2019: si attende, a questo proposito, l’emanazione di un apposito intervento legislativo.

Pensioni, tassa Boeri cancellata per sbloccare i pagamenti

Ancora bloccate le pensioni dei professionisti che hanno presentato la domanda di cumulo dei contributi presenti in casse diverse: nonostante le casse dei liberi professionisti, difatti, abbiamo tutte firmato la convenzione con l’Inps In materia di pensioni in regime di cumulo, l’Inps ha disconosciuto la convenzione stessa, chiedendo il pagamento di una nuova tassa, ribattezzata tassa Boeri (il nome deriva dal presidente dell’istituto, sostenitore di questa nuova tassa), finalizzata a sostenere gli oneri delle pratiche pensionistiche. Ne abbiamo parlato nell’articolo Pensioni bloccate dalla tassa Boeri.

Successivamente, il ministero del Lavoro ha proposto una nuova convenzione nella quale la tassa Boeri è stata, di fatto, cancellata, e gli oneri legati alla gestione delle pratiche di pensione sono ripartiti, con modalità ancora da definire, tra l’Inps e le casse professionali. L’Inps, con un comunicato stampa [15], ha confermato la possibilità di aderire alla nuova convenzione: la parola passa ora alle casse dei liberi professionisti, che si ritiene risponderanno positivamente alla tassa Boeri cancellata per sbloccare i pagamenti.

Nel caso in cui le casse professionali aderiscano, le domande di pensione in regime di cumulo potranno essere finalmente sbloccate e le pensioni liquidate.

Pensioni bloccate dall’Inps per la tassa Boeri

Fumata nera sulle pensioni in regime di cumulo per i liberi professionisti: nonostante tutte le casse professionali, difatti, abbiano ratificato la convenzione con l’Inps, l’ente ha disconosciuto l’accordo, pretendendo il pagamento di una nuova tassa da 65 euro per ogni pensione, ribattezzata tassa Boeri.

Allo stato dei fatti, dunque, nonostante il via libera di tutte le gestioni previdenziali, la pensione, per i liberi professionisti che possiedono contributi in casse diverse e hanno deciso di fruire del cumulo, non può essere ancora pagata. Non si sa se e quando la diatriba potrà essere risolta: le casse stanno valutando l’avvio di un contenzioso contro l’Inps.

Iscrizione Inps degli artigiani irregolari

L’Inps, con un nuovo messaggio [14], ha ricordato che, in base all’attuale normativa, il lavoratore privo dei requisiti di legge per lo svolgimento di attività artigiana, e quindi per l’iscrizione alla gestione artigiani, non può essere esonerato dall’adempimento degli obblighi previdenziali per il periodo di esercizio effettivo dell’attività, quindi dal versamento dei contributi Inps alla gestione speciale artigiani.

La previsione normativa si basa sul presupposto logico che l’attività artigiana non autorizzata, una volta evidenziata la palese irregolarità di esercizio, deve essere cessata, con conseguente cessazione dell’obbligo contributivo.

Pertanto, il  lavoratore resta iscritto alla gestione previdenziale artigiani fino alla data di emissione della delibera della Commissione Provinciale Artigianato (o Organismo equipollente) che ne decreta la cancellazione o la non iscrivibilità all’Albo delle Imprese Artigiane, trattandosi appunto di attività svolta in assenza dei requisiti di legge.

Nessun contributo Inps da pagare per la definizione agevolata

Se il contribuente, sottoposto ad accertamento fiscale, si avvale della definizione agevolata delle liti pendenti, non è tenuto a pagare all’Inps i contributi sul maggior reddito imponibile accertato. Lo ha chiarito il tribunale di Siracusa [12]. La scelta della definizione agevolata non ha, difatti, valore di accettazione o riconoscimento della base imponibile accertata in via induttiva dall’agenzia delle Entrate,  perchè non si tratta di un’ipotesi assimilabile all’accertamento con adesione e manca una prova puntuale da parte dell’Inps di corrispondenza al vero del reddito accertato.

La pensione dell’avvocato non aumenta a seguito di accertamento fiscale

L’accertamento con adesione non dà luogo al ricalcolo della pensione liquidata dalla Cassa Forense. Lo ha stabilito la Cassazione [13], basandosi sul fatto che il regolamento della cassa calcola la pensione di vecchiaia sui redditi professionali dell’iscritto, senza considerare possibili variazioni operate da successivi accertamenti di natura fiscale.

Questo, nonostante la normativa sull’accertamento con adesione stabilisca che l’accertamento sia rilevante ai fini dei contributi previdenziali e assistenziali, la cui base imponibile sia riconducibile a quella delle imposte dei redditi. Si tratta infatti di una norma di natura tributaria, che non disciplina i riflessi previdenziali, che devono invece essere regolamentati dall’ordinamento delle singole gestioni.

Pensione in regime di cumulo, ricalcolo contributivo

Il cumulo dei contributi, per chi è iscritto a una cassa professionale (come Cassa Forense e Inarcassa) somiglia sempre di più alla totalizzazione, che prevede il ricalcolo della pensione col sistema contributivo, salvo il diritto ad autonomo trattamento presso una delle casse coinvolte. Quasi tutte le gestioni previdenziali dei liberi professionisti, difatti, hanno deciso di applicare il ricalcolo contributivo del trattamento, normalmente penalizzante, agli iscritti che ottengono la pensione attraverso il cumulo della contribuzione (che, lo ricordiamo, consente di sommare i contributi presenti presso fondi diversi per il diritto alla pensione; per determinare la misura della pensione ogni cassa calcola la propria quota secondo il proprio regolamento previdenziale).

Inarcassa, ad esempio, ossia la cassa degli ingegneri e degli architetti, non applica il ricalcolo contributivo soltanto a chi possiede l’anzianità contributiva minima utile alla pensione di vecchiaia unificata (pari a 32 anni e 6 mesi di contributi nel 2018). Tutti gli altri utilizzatori del cumulo subiscono il ricalcolo della pensione sulla base della contribuzione posseduta, senza considerare i redditi migliori, quindi vengono, di fatto, penalizzati dalla scelta di pensionarsi sommando i contributi posseduti in casse diverse.

Lo stesso succede, ad esempio, agli avvocati, che ottengono la pensione calcolata col sistema reddituale solo se raggiungono almeno 33 anni di contributi (34 dal 2019); i ragionieri non subiscono il ricalcolo contributivo soltanto se richiedono la pensione di vecchiaia in cumulo, mentre se richiedono la pensione anticipata sono sempre assoggettati a questo tipo di calcolo.

Insomma, la pensione in regime di cumulo dei contributi non ha grandi differenze con la totalizzazione, a causa delle regole applicate dalle casse professionali; l’unico lato positivo resta la mancata applicazione del ricalcolo contributivo alle quote di pensione erogate dalle gestioni Inps [4].

Quanto stabilito dalle casse professionali è comunque legittimo, perché garantisce la sostenibilità a lungo termine. Le prime pensioni in regime di cumulo, per i professionisti, saranno liquidate a breve: in questi giorni le casse stanno infatti ratificando la convenzione tra Inps e Adepp (l’associazione delle gestioni previdenziali dei liberi professionisti). Ratificata la convenzione, arriverà il via libera operativo alla liquidazione delle domande di pensione in cumulo.

Pensione anticipata, Ape sociale e blocco età pensionabile, ok ai nuovi lavori gravosi

Ok definitivo all’ampliamento dei lavori gravosi: è stato difatti appena pubblicato in Gazzetta Ufficiale il decreto [11] che estende a 15 le categorie degli addetti ai lavori particolarmente faticosi e rischiosi, che possono godere di importanti benefici pensionistici.

In particolare, da ora in poi possono usufruire dell’Ape sociale, della pensione anticipata precoci e del blocco dell’età pensionabile gli operai agricoli, gli operai siderurgici ed i lavoratori del vetro fuori dal perimetro dei lavori usuranti, i lavoratori marittimi imbarcati ed i pescatori.

Ecco, nel dettaglio, chi sono i nuovi addetti ai lavori gravosi:

  • operai agricoli specializzati: si tratta di coloro che pianificano ed eseguono tutte le operazioni necessarie a coltivare prodotti agricoli destinati al consumo alimentare e non, rendendo produttive colture in pieno campo, coltivazioni legnose, vivai, serre ed orti stabili;
  • operai specializzati della zootecnica: si tratta di coloro che si occupano della cura, della alimentazione e della custodia di animali da allevamento, per produrre carne o altri prodotti destinati al consumo alimentare, o alla trasformazione e produzione industriale
  • operai agricoli non specializzati: si tratta di coloro che curano e mettono a produzione in modo non specialistico o univoco una o più tipologie di coltura e di allevamento;
  • operai non qualificati nell’agricoltura e nella manutenzione del verde;
  • operai non qualificati addetti alle foreste, alla cura degli animali, alla pesca e alla caccia;
  • pescatori della pesca costiera, in acque interne, in alto mare, dipendenti o soci di cooperative;
  • siderurgici di prima e seconda fusione: fonditori, operatori di altoforno, convertitori e di forni di raffinazione, operatori di forni di seconda fusione, colatori di metalli e leghe e operatori di laminatoi, operatori di impianti per il trattamento termico dei metalli, conduttori di forni ed altri impianti per la lavorazione del vetro (lavoratori del vetro addetti a lavori ad alte temperature non già ricompresi tra i lavori usuranti), della ceramica e di materiali assimilati;
  • marittimi imbarcati a bordo: marinai di coperta e operai assimilati (coloro che conducono macchine e motori navali, barche e battelli, o che supportano le operazioni di trasporto marittimo);
  • personale viaggiante dei trasporti marini ed acque interne.

Decorrenza pensione anticipata lavoratori precoci

La pensione anticipata precoci decorre, ricorrendone i requisiti, dal mese successivo alla presentazione della domanda, come chiarito dall’Inps con una nuova circolare [9].

Per gli iscritti alle gestioni esclusive dell’assicurazione generale obbligatoria, la pensione decorre dal giorno successivo alla risoluzione del rapporto di lavoro.

Se la pensione anticipata precoci è ottenuta attraverso il cumulo dei contributi, la decorrenza è dal primo giorno del mese successivo alla presentazione della domanda.

Per le nuove categorie di beneficiari della pensione anticipata precoci (caregiver che assistono parenti o affini sino al 2° grado, nuove categorie di addetti ai lavori usuranti, nuove categorie di disoccupati), che abbiano presentato sia la domanda di verifica delle condizioni sia quella di accesso al beneficio entro il 1 marzo 2018,  la pensione anticipata avrà decorrenza, in deroga al regime stabilito per il 2018,  dal primo giorno del mese successivo al perfezionamento di tutti i requisiti, compresa la cessazione dell’attività lavorativa. Il trattamento non potrà in ogni caso avere decorrenza anteriore al 1° febbraio 2018.

Questo, perché coloro che rientrano nelle citate categorie non hanno potuto, in precedenza, presentare la domanda di verifica delle condizioni di accesso, nonché la domanda di accesso all’agevolazione completa di tutti gli elementi necessari per l’istruttoria.

Domanda Ape sociale

Il tempo stringe per i lavoratori appartenenti alle categorie tutelate che vogliono fruire della possibilità di pensionarsi con 3 anni e 7 mesi di anticipo: l’Inps, con una recente circolare, ha difatti ricordato che il termine per presentare le domande di Ape sociale scade il 31 marzo 2018 [10]. Sarà comunque possibile, dopo questa data, presentare la domanda entro il 15 luglio 2018, oppure, tardivamente, entro il 30 novembre 2018 ma, in quest’ultimo caso, potrà essere accolta solo se vi sono risorse residue.

Per poter presentare la domanda nel 2018, ad ogni modo, è necessario che il requisito contributivo (30 anni o 36 anni di contributi, a seconda della categoria di appartenenza, con un massimo di 2 anni di sconto per le donne), assieme agli altri requisiti richiesti per le specifiche categorie di beneficiari dell’Ape social, siano maturati entro il 31 dicembre 2018. Chi matura i requisiti nel 2019 deve invece attendere l’emanazione di un successivo intervento legislativo.

Decorrenza Ape sociale

Per le nuove categorie di beneficiari dell’Ape sociale (caregiver che assistono parenti o affini di 2° grado, nuove categorie di addetti ai lavori usuranti, nuove categorie di disoccupati), che abbiano presentato sia la domanda di verifica delle condizioni sia quella di accesso al beneficio entro il 31 marzo 2018,  l’anticipo pensionistico avrà decorrenza, in deroga al regime stabilito per il 2018, dal primo giorno del mese successivo al perfezionamento di tutti i requisiti, compresa la cessazione dell’attività lavorativa. Il trattamento non potrà in ogni caso avere decorrenza anteriore al 1° febbraio 2018.

Questo, perché coloro che rientrano nelle citate categorie non hanno potuto, in precedenza, presentare la domanda di verifica delle condizioni di accesso, nonché la domanda di accesso all’agevolazione completa di tutti gli elementi necessari per l’istruttoria.

Aumento età pensionabile

Per ottenere la pensione di vecchiaia ordinaria è necessario possedere, nel 2018, almeno 66 anni e 7 mesi di età, assieme ad almeno 20 anni di contributi (15 anni per chi rientra nella Deroga Amato o nell’Opzione Contributiva Dini); l’assegno di pensione, inoltre, non deve risultare inferiore a 1,5 volte l’assegno sociale (cioè a circa 673 euro) se il trattamento è calcolato col sistema interamente contributivo.

Dal 2019, a causa dell’incremento della speranza di vita media riscontrato dall’Istat, il requisito di età è aumentato di a 5 mesi: si potrà dunque ottenere la pensione di vecchiaia a 67 anni.

Gli incrementi, successivamente, saranno pari a 3 mesi ogni biennio, salvo variazioni nel caso in cui si rilevino incrementi o decrementi della speranza di vita diversi da quelli previsti originariamente.

Blocco età pensionabile per addetti ai lavori gravosi

L’età pensionabile aumenta per tutti, uomini e donne, dal 2019, a 67 anni, e aumentano di 5 mesi tutti i requisiti per le pensioni soggetti agli adeguamenti alla speranza di vita.

L’età pensionabile resta però ferma a 66 anni e 7 mesi per gli addetti ai lavori gravosi: ricordiamo che gli addetti ai lavori gravosi sono coloro che rientrano in 15 categorie di addetti a mansioni particolarmente faticose e rischiose, e che possono beneficiare dell’Ape sociale con 36 anni di contributi (35 anni per le donne con un figlio, 34 anni per le donne che hanno da 2 figli in su).

Perché gli interessati possano essere riconosciuti come addetti ai lavori gravosi ai fini delle agevolazioni pensionistiche, è necessario che abbiano svolto le attività faticose e rischiose previste dalla legge per almeno 7 anni nell’ultimo decennio prima del pensionamento, oppure per 6 anni nell’ultimo settennio.

Ad ogni modo, l’età pensionabile resterà inalterata solo se in possesso di almeno 30 anni di contributi.

Aumento età per la pensione di vecchiaia contributiva

Chi ha diritto al calcolo interamente contributivo del trattamento, ha diritto alla pensione di vecchiaia con soli 5 anni di contributi e senza soglie di accesso, ma con 70 anni e 7 mesi di età. Dal 2019, a causa degli incrementi della speranza di vita media, l’età per la pensione di vecchiaia contributiva aumenterà a 71 anni.

Aumento età per la pensione di vecchiaia anticipata per invalidità

La pensione di vecchiaia anticipata per invalidità, che può essere ottenuta da chi possiede un’invalidità pensionabile minima dell’80% con almeno 55 anni e 7 mesi di età per le donne e 60 anni e 7 mesi per gli uomini, più 20 anni di contributi (15 in alcuni casi), subisce dal 2019 un aumento del requisito di età. In particolare sarà possibile pensionarsi con un’età minima di 56 anni per le donne e di 61 anni per gli uomini. La finestra di attesa, dalla maturazione dell’ultimo requisito alla data della pensione, è pari a 12 mesi.

Aumento requisiti pensione anticipata

La pensione anticipata, introdotta a partire dal 2012 dalla legge Fornero [1] al posto della pensione di anzianità, è un trattamento che può essere raggiunto con un determinato numero di anni di contributi, a prescindere dall’età. Un limite di età esiste per la sola pensione anticipata contributiva (alla quale può accedere a 63 anni e 7 mesi di età solo chi è assoggettato al calcolo contributivo della pensione).

Il requisito contributivo previsto per la pensione anticipata ordinaria è più basso per i lavoratori precoci (cioè che possiedono almeno 12 mesi di contributi da lavoro accreditati prima del 19° anno di età) che appartengono a determinate categorie tutelate (le stesse categorie destinatarie dell’Ape sociale): questi lavoratori possono pensionarsi con 41 anni di contributi.

I requisiti previsti per fruire dell’ordinaria pensione anticipata, sino al 31 dicembre 2018, sono:

  • 41 anni e 10 mesi di contributi per le donne;
  • 42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini.

Il requisito successivamente aumenterà di 5 mesi nel 2019, cioè a 43 anni e 3 mesi per gli uomini ed a 42 anni e 3 mesi per le donne. Gli incrementi, successivamente, saranno pari a 3 mesi ogni biennio, salvo variazioni nel caso in cui si rilevino incrementi o decrementi della speranza di vita diversi da quelli previsti originariamente.

Dal 2019 aumenta di 5 mesi anche il requisito per la pensione anticipata dei lavoratori precoci, che sale così a 41 anni e 5 mesi.

Per la pensione anticipata contributiva gli attuali requisiti sono:

  • 63 anni e 7 mesi di età;
  • 20 anni di contributi;
  • un assegno pari ad almeno 2,8 volte l’assegno sociale (ossia, per il 2018, a 1.268,40 euro mensili, poiché l’assegno sociale è pari a 453 euro).

Dal 2019 il requisito di età aumenterà a 64 anni.

Domanda di pensione lavoratori precoci

l’Inps, con una recente circolare, ha  ricordato che il termine per presentare le domande per la cosiddetta pensione anticipata quota 41 scade il 1° marzo 2018 [1]. Sarà comunque possibile, dopo questa data, presentare la domanda tardivamente ma, in questo caso, potrà essere accolta solo se vi sono risorse residue.

Per poter presentare la domanda nel 2018, ad ogni modo, è necessario che i 41 anni di contributi, assieme agli altri requisiti richiesti per le specifiche categorie di beneficiari della pensione anticipata precoci, siano maturati entro il 31 dicembre 2018. Chi matura i requisiti nel 2019 deve inviare la domanda per il beneficio precoci, invece, entro il 1° marzo 2019, oppure può inviare l’istanza tardivamente entro il 30 novembre 2019: la pensione anticipata con 41 anni di contributi (che dal 2019 si potrà ottenere con 41 anni e 5 mesi di contributi, per effetto degli incrementi legati alla speranza di vita media), difatti, è una misura permanente, che non ha scadenza.

Ricordiamo che la pensione anticipata per i lavoratori precoci può essere ottenuta, innanzitutto, soltanto coloro che possiedono almeno 12 mesi di contributi da effettivo lavoro accreditati prima del compimento del 19º anno di età, se iscritti alla previdenza obbligatoria prima del 1996 ed appartenenti a particolari categorie tutelate: disoccupati di lungo corso, caregiver, invalidi dal 74% in su e addetti ai lavori gravosi.

Modifica del meccanismo di calcolo dell’aspettativa di vita

A partire dal 2021, l’aspettativa di vita sarà calcolata considerando la media del biennio immediatamente precedente, confrontata con la media del biennio ancora anteriore; per il 2021, ad esempio, l’aspettativa di vita dovrebbe essere calcolata sulla base della media del biennio 2018-2019, confrontata con la media del biennio 2016-2017: l’eventuale aumento determinerebbe un incremento dei requisiti per la pensione legati all’aspettativa di vita sul biennio 2021-2022.

Nel caso invece in cui si riscontri una diminuzione della speranza di vita media, il decremento sarà scomputato nella verifica per il biennio successivo: non ci sarà quindi un calo dell’età pensionabile, ma solo un congelamento dei requisiti. L’adeguamento dell’età di pensionamento alla speranza di vita, in ogni caso, continuerà a essere verificato ogni due anni.

Qual è, invece, la situazione attuale? Ad oggi si applica ancora quanto disposto dalla riforma delle pensioni 2010 [2], poi confermato dalla legge Fornero [1]: la normativa prevede, in particolare, degli adeguamenti periodici alla speranza di vita, biennali dal 2019. Gli adeguamenti previsti nelle apposite tabelle possono essere però disattesi, sia nel caso in cui la speranza di vita media riscontrata sia maggiore rispetto alle proiezioni, sia nel caso in cui invece si registrino decrementi nell’aspettativa di vita media: in quest’ultima ipotesi, però, i requisiti previsti per la pensione non possono mai diminuire, ma vengono soltanto bloccati per un biennio.

Aumento età pensionabile lavoratori marittimi

Per i lavoratori marittimi addetti al pilotaggio, sia uomini che donne, nel 2018 l’età per la pensione di vecchiaia anticipata aumenta a 61 anni e 7 mesi.

Per i lavoratori marittimi adibiti al servizio di macchina o stazione radiotelegrafica a bordo, aumenta invece a 58 anni e 7 mesi, unitamente ad almeno 20 anni di contributi (1040 settimane), di cui 520 al servizio di macchine o di stazioni radiotelegrafiche di bordo.

Aumento età pensionabile poligrafici

Per i dipendenti di aziende poligrafiche in crisi aumentano i requisiti per il prepensionamento: non si tratta di requisiti di età, ma contributivi. Per l’uscita dal lavoro, in particolare, sono richiesti 37 anni e 7 mesi di contributi. Nei loro confronti, tuttavia, la legge di Bilancio 2018 ha previsto una salvaguardia della vecchia normativa (ossia della normativa vigente sino al 31 dicembre 2013) per tutelare coloro che avevano siglato accordi di Cigs (cassa integrazione straordinaria) entro il maggio 2015.

Aumento età pensionabile personale viaggiante

Per il personale viaggiante addetto ai servizi pubblici di linea, appartenenti all’ex Fondo Trasporti, l’età per la pensione di vecchiaia anticipata aumenta a 61 anni e 7 mesi, sia per gli uomini che per le donne. Per questi lavoratori, difatti, la normativa sull’armonizzazione dei requisiti ha stabilito che l’età per l’uscita dal lavoro può essere può essere anticipata sino a un massimo di 5 anni rispetto a quella previsto per la generalità degli iscritti all’Inps.

Aumento età pensionabile lavoratori dello spettacolo

Per alcune categorie di lavoratori dello spettacolo iscritti all’ex Enpals (oggi, a seguito dell’assorbimento da parte dell’Inps, al Fondo lavoratori dello Spettacolo) aumentano i requisiti per ottenere la pensione di vecchiaia anticipata.

In particolare:

  • per i lavoratori del gruppo ballo l’età per la pensione di vecchiaia anticipata sale a 46 anni e 7 mesi;
  • per i lavoratori del gruppo cantanti, artisti lirici e orchestrali, l’età per la pensione di vecchiaia anticipata sale a 61 anni e 7 mesi per gli uomini ed a 59 anni e 7 mesi per le donne; .la prestazione si acquisisce a condizione che si possano vantare almeno 20 anni di contributi e di anzianità assicurativa presso il fondo (con la particolarità che i due requisiti possono non maturarsi contemporaneamente, dato che un anno di contributi si acquista con un numero minimo di giornate convenzionali, generalmente 120), e che si possieda almeno un contributo versato prima del 31 dicembre 1995;
  • per gli appartenenti al gruppo attori, conduttori, maestri d’orchestra e figurazione e moda, i requisiti di età per la pensione di vecchiaia anticipata salgono a 64 anni e 7 mesi per gli uomini ed a 62 anni e 7 mesi per le donne; anche per questi soggetti, la prestazione si acquisisce a condizione che si possano vantare almeno 20 anni di contributi e di anzianità assicurativa presso il fondo e che si possieda almeno un contributo versato prima del 31 dicembre 1995;
  • per gli altri lavoratori iscritti al fondo dello spettacolo l’età per la pensione di vecchiaia ordinaria, nel 2018, è pari a quella prevista per la generalità dei lavoratori, ossia a 66 anni e 7 mesi, in quanto non godono di alcun’agevolazione previdenziale rispetto alla generalità degli iscritti all’Inps.

Aumento età pensionabile sportivi professionisti

L’età pensionabile aumenta nel 2018 anche per gli sportivi professionisti iscritti all’ex Enpals, oggi al fondo di previdenza degli sportivi professionisti.

Nel dettaglio, per coloro che sono in possesso di almeno un contributo versato al 31 dicembre 1995, l’età pensionabile sale a 53 anni e 7 mesi per gli uomini ed a 51 anni e 7 mesi per le donne, a condizione che possiedano almeno 20 anni anzianità assicurativa e di contributi con la qualifica di sportivo professionista.

Semplificazione accesso alla pensione per gli addetti ai lavori usuranti

Gli adempimenti per la domanda di pensione degli addetti ai lavori usuranti sono stati recentemente semplificati. La legge di Bilancio 2018 ha inoltre introdotto un bonus per chi svolge lavoro notturno per meno di 78 giorni all’anno ed è impiegato in cicli produttivi del settore industriale su turni di 12 ore (sulla base di accordi collettivi sottoscritti entro il 31 dicembre 2016). In questi casi, i giorni lavorativi effettivamente svolti devono essere moltiplicati per il coefficiente 1,5: questo dovrebbe comportare il perfezionamento dei requisiti pensionistici anticipatamente.

Restano, invece, invariati sino al 2026 i requisiti contributivi, di età e le quote per l’accesso alla pensione.

La domanda di pensione, per gli addetti ai lavori usuranti, deve essere presentata all’Inps entro il 1° maggio 2018, se si maturano i requisiti per la pensione di anzianità con le quote nel 2019. Per chi matura i requisiti nel 2018, invece, la data di presentazione dell’apposita domanda di certificazione dei requisiti all’Inps è già passata: la scadenza era difatti fissata al 1° maggio 2017. Si ha comunque diritto alla liquidazione della pensione, ma posticipata, a seconda del ritardo nella presentazione dell’istanza.

Per sapere, con precisione, chi appartiene alle categorie degli addetti ai lavori usuranti, e quali sono i requisiti per la pensione, si veda: Elenco lavori usuranti.

Ape prorogata al 2019

È stato prorogato sino al 31 dicembre 2019 l’Ape volontario, cioè l’anticipo pensionistico che può essere ottenuto attraverso un prestito bancario e consente di uscire dal lavoro sino a 3 anni e 7 mesi prima della maturazione dei requisiti per la pensione di vecchiaia.

Proroga in vista anche per l’Ape sociale, ossia per l’anticipo pensionistico a carico dello Stato, che può essere richiesto, come l’Ape volontario,  a partire dai 63 anni di età e che sostiene il lavoratore fino al perfezionamento del requisito d’età per la pensione di vecchiaia (dal 2018 pari a 66 anni e 7 mesi per tutti), per un massimo di 3 anni e 7 mesi. L’assegno è uguale alla futura pensione, ma non può superare 1.500 euro mensili.

Possono accedere all’Ape sociale, nello specifico, i lavoratori che, al momento della domanda, abbiano già compiuto 63 anni di età, e che siano, o siano stati, iscritti all’assicurazione generale obbligatoria (Ago, che comprende gli iscritti al fondo pensione lavoratori dipendenti e alle gestioni speciali dei lavoratori autonomi), alle forme sostitutive ed esclusive della stessa, o alla gestione Separata Inps, purché cessino l’attività lavorativa e non siano già titolari di pensione diretta.

I beneficiari dell’Ape sociale devono possedere almeno 30 anni di contributi (contando tutti i periodi non coincidenti maturati presso le gestioni Inps; è previsto lo sconto di un anno nel requisito contributivo per le donne con un figlio, di 2 anni per le donne che hanno dai 2 figli in su) se appartengono alle categorie dei disoccupati, dei caregiver e degli invalidi dal 74%, almeno 36 anni di contributi (salvo la riduzione appena esposta per le donne con figli) se appartengono alle 15 categorie di addetti ai lavori gravosi.

L’età minima per l’accesso all’Ape sociale, per chi raggiunge l’età pensionabile dal 2019, è spostata a 63 anni e 5 mesi a causa degli incrementi legati alla speranza di vita.

Per la proroga dell’Ape sociale al 2019, la cui possibilità è prevista nella legge di Bilancio 2018, si attende, ad ogni modo, un successivo intervento legislativo.

Ape sociale per addetti ai lavori gravosi

Nella legge di Bilancio 2018 è stato poi previsto l’ampliamento dell’Ape social a 4 nuove categorie di addetti ai lavori gravosi, che potranno beneficiare anche del blocco dell’età pensionabile.

Si tratta di:

  • operai siderurgici di prima e seconda fusione e lavoratori del vetro addetti a lavori ad alte temperature fuori dal perimetro dei lavori usuranti;
  • operai dell’agricoltura, della zootecnia e pesca;
  • marittimi imbarcati a bordo e personale viaggiante dei trasporti marini ed acque interne;
  • pescatori della pesca costiera, in acque interne, in alto mare dipendenti o soci di cooperative.

È stato inoltre abolito, per gli addetti ai lavori gravosi, il vincolo di una tariffa Inail pari almeno al 17 per mille ed è previsto che le attività gravose possano essere svolte:

  • per almeno 6 anni nell’ultimo settennio antecedente il pensionamento;
  • per almeno 7 anni nell’ultimo decennio antecedente il pensionamento.

Questi lavoratori potranno poi avere accesso, così come tutte le categorie di destinatari dell’Ape sociale, alla pensione anticipata precoci con 41 anni di contributi, se possiedono almeno 12 mesi di contributi da effettivo lavoro accreditati prima del compimento del 19° anno di età.

Ape sociale disoccupati

Per quanto riguarda la categoria dei disoccupati, anch’essi destinatari dell’Ape sociale, la misura è stata estesa anche a coloro il cui rapporto di lavoro è cessato a seguito di un contratto a termine, se hanno alle spalle almeno 18 mesi di contratti negli ultimi 3 anni.

Inoltre potranno accedere all’Ape sociale anche coloro che sono stati rioccupati con un contratto di lavoro subordinato, con i voucher o col contratto di prestazione occasionale o il libretto famiglia per non più di 6 mesi complessivamente [3].

Ape sociale caregiver

Per quanto riguarda i caregiver, un’altra categoria di beneficiari dell’Ape sociale, potranno accedere alla misura coloro che assistono un disabile portatore di handicap grave convivente, anche se familiare entro il 2° grado, qualora i suoi genitori o il coniuge abbiano compiuto 70 anni, oppure siano anch’essi affetti da patologie invalidanti o siano deceduti.

Ape rosa

In merito ai requisiti contributivi previsti per l’Ape sociale, la legge di Bilancio 2018 ha riconosciuto una riduzione degli anni di contributi richiesti per le lavoratrici con figli: questa misura è conosciuta col nome di Ape Rosa.

Lo sconto contributivo previsto, in particolare, è pari a un anno per ogni figlio, sino a un massimo di 2 anni di riduzione del requisito contributivo richiesto.

In questo modo, le donne con almeno due figli appartenenti alla categoria degli invalidi, dei caregiver o dei disoccupati, possono richiedere l’Ape sociale con un minimo di 28 anni di contributi, mentre le appartenenti alla categoria degli addetti ai lavori gravosi possono richiedere la misura con un minimo di 34 anni di contributi.

Proroga Ape volontario

La legge di Bilancio 2018, oltre alla proroga dell’Ape sociale, come abbiamo detto, ha anche previsto la proroga dell’Ape volontario per coloro che maturano i requisiti previsti per le misure entro il 31 dicembre 2019. In particolare, nella manovra è stato previsto un apposito fondo in cui dovranno confluire le risorse utili alla proroga delle misure.

Ricordiamo che aderendo all’Ape volontario il lavoratore può ricevere un assegno, a partire dai 63 anni di età, se possiede almeno 20 anni di contributi, sino alla data di maturazione della pensione di vecchiaia, con un anticipo massimo possibile pari a 3 anni e 7 mesi.

Considerando che l’età per la pensione di vecchiaia, attualmente, è pari a 66 anni e 7 mesi, l’anticipo può essere richiesto con un minimo di 63 anni di età; per coloro che matureranno i requisiti per la pensione di vecchiaia dal 2019, però, il requisito slitta a 63 anni e 5 mesi di età, dato che dal 2019 l’età pensionabile sarà elevata a 67 anni. In caso di futuri adeguamenti alla speranza di vita nel 2021, il decreto sull’Ape volontario prevede la concessione dell’Ape supplementare, ossia un allungamento del periodo di percezione dell’anticipo.

L’Ape volontario è ottenuto grazie a un prestito bancario, che deve essere restituito in 20 anni, una volta perfezionati i requisiti per la pensione e che comporta (assieme all’assicurazione obbligatoria e al contributo per il fondo di solidarietà) una penalizzazione, sulla futura pensione, pari a circa il 5% dell’importo per ogni anno di anticipo. La penalizzazione può essere calcolata in anticipo grazie al nuovo simulatore, disponibile nel sito web dell’Inps.

L’Ape volontario sarà attivato a breve: per richiederlo si dovrà prima provvedere a farsi rilasciare un’apposita certificazione dall’Inps, poi, scelto il prestito e il soggetto finanziatore, si dovrà inoltrare la domanda di Ape e la domanda di pensione.

Niente Ape volontario per chi possiede contributi in casse diverse

Niente anticipo pensionistico per chi possiede contributi in gestioni previdenziali diverse, se nessuna delle casse, da sola, raggiunge 20 anni di accrediti contributivi: lo ha stabilito l’Inps, con una nuova circolare [8Inps Circ. n.28/2018.]. Diversamente da quanto accade per l’Ape sociale, dunque, non è possibile combinare l’anticipo pensionistico con il cumulo della contribuzione. Questo penalizza notevolmente chi ha avuto una carriera frammentaria; risulta penalizzato anche chi, pur raggiungendo 20 anni di contributi in una sola gestione, possiede una contribuzione poco elevata e non può cumulare i contributi posseduti presso altre casse per aumentare l’importo della pensione. L’Ape volontario, difatti, non può essere ottenuto se la futura pensione risulta inferiore a 1,4 volte il trattamento minimo (ossia se è sotto i 710 euro mensili): potendosi considerare la contribuzione di una cassa sola per il calcolo della futura pensione in rapporto al diritto all’Ape, è chiaro che gli accessi all’anticipo pensionistico saranno notevolmente ristretti.

È invece ammesso il vecchio cumulo tra i contributi posseduti presso il fondo Inps dipendenti e le gestioni speciali dei lavoratori autonomi (artigiani, commercianti, coltivatori diretti), in quanto si tratta di un cumulo d’ufficio. Chi, poi, vuole raggiungere l’Ape volontario comunque, nonostante possieda contribuzione accreditata presso gestioni diverse, può avvalersi della ricongiunzione dei contributi a titolo oneroso

Ape aziendale

L’Ape aziendale consiste nella possibilità, per l’azienda, di incentivare l’esodo dei lavoratori con almeno 63 anni di età, offrendo un contributo che serva ad abbassare i costi dell’Ape volontario.

Nello specifico, il datore di lavoro può, con il consenso del lavoratore dipendente interessato dall’esodo, incrementare la somma dei contributi accreditati a quest’ultimo, versando un contributo all’Inps in un’unica soluzione al momento della richiesta dell’Ape.

Il contributo non deve essere inferiore, per ciascun anno o sua frazione di anticipo rispetto alla maturazione del diritto alla pensione di vecchiaia, all’importo della contribuzione volontaria basata sulla retribuzione percepita dal lavoratore prima del pensionamento.

Il contributo aggiuntivo serve ad incrementare la misura della pensione che il lavoratore riceve una volta terminata la fruizione dell’Ape, abbassando in questo modo l’incidenza sulla prestazione delle rate di restituzione del prestito finanziario.

Rita, anticipo della pensione integrativa

La Rita, rendita integrativa anticipata, consiste nella possibilità di ottenere in anticipo la pensione complementare, rispetto alla maturazione dei requisiti previsti per la pensione principale: in questo modo, il costo dell’Ape volontario può essere diminuito o addirittura azzerato, nel caso in cui la rendita anticipata sia consistente.

Hanno diritto alla pensione integrativa anticipata, o Rita, nel dettaglio, gli iscritti alla previdenza complementare che risultano disoccupati da almeno 24 mesi (non più da almeno 48 mesi), possiedono almeno 20 anni di contributi e maturano entro 5 anni i requisiti per la pensione di vecchiaia.

Inoltre, la rendita può essere richiesta con un anticipo di 10 anni rispetto alla data di maturazione dei requisiti della pensione principale, nell’ipotesi in cui l’anticipo decennale sia previsto dallo statuto o dal regolamento del fondo di previdenza complementare a cui il lavoratore aderisce.

Pensione professionisti con cumulo dei contributi

È stata siglata tra Inps e Adepp (l’associazione delle gestioni previdenziali dei liberi professionisti) una convenzione che disciplina il riconoscimento delle pensioni in totalizzazione e cumulo gratuito, per i professionisti che possiedono contributi accreditati sia presso le casse private che presso le gestioni Inps.

Nelle prossime settimane, le 18 casse dei liberi professionisti dovranno formalizzare l’adesione alla convenzione, mentre l’Inps, nel frattempo, provvederà a rendere operativa la piattaforma informatica per la raccolta delle domande e l’erogazione delle pensioni in regime di cumulo.

Pagamento a breve, dunque, per la pensione in cumulo dei professionisti, attesa da oltre un anno: nonostante il via libera al cumulo dei contributi sia arrivato non solo dall’Inps [4], ma dalla maggior parte delle casse dei liberi professionisti (Inarcassa, Enpam, Cipag, CNPR, Cassa Forense…), con apposite circolari [5], senza l’operatività della convenzione Inps Adepp le pensioni non possono essere liquidate.

Reddito d’inclusione Rei

Dal 1° luglio 2018 non sarà più richiesto, per ottenere il reddito d’inclusione, che nel nucleo familiare siano presenti figli minori o inabili, donne in gravidanza o disoccupati over 55. In più, per le famiglie da 5 componenti in su la misura massima del Rei sale a 534 euro mensili.

Prepensionamento con 7 anni di anticipo

L’isopensione e l’assegno straordinario, due trattamenti meglio conosciuti sotto il nome di prepensionamento o scivolo pensionistico, consentiranno agli esuberi l’uscita dal lavoro con 7 anni di anticipo. Per approfondire: Pensione con 7 anni di anticipo, come funziona.

Pensione d’invalidità civile

La pensione d’invalidità civile, o assegno di assistenza per gli invalidi civili parziali, è una prestazione dell’Inps che spetta a chi possiede un’invalidità riconosciuta dal 74% al 99%, se è disoccupato e non supera determinati limiti di reddito.

La pensione mensile d’invalidità, dal 2018, aumenta da 279,47 euro a 282,55 euro. Il limite di reddito personale annuo che consente di aver diritto alla prestazione è pari a 4.853,29 euro.

In presenza di determinate condizioni, spetta una maggiorazione pari a 10,33 euro.

Pensione invalidi civili totali

La pensione mensile per gli invalidi civili in misura pari al 100%, o pensione di inabilità civile, ha lo stesso importo dell’assegno di assistenza, dunque, per il 2018, è pari a 282,55 euro.

Il limite di reddito personale che consente di aver diritto alla prestazione, però, è più alto ed è pari a 16.664,36 euro annui.

In presenza di determinate condizioni, anche in questo caso, spetta una maggiorazione pari a 10,33 euro.

Inoltre, nei casi in cui spetta il cosiddetto incremento al milione, l’incremento della maggiorazione è pari, dal 2018, a 361,31 euro.

Indennità di frequenza

L’indennità di frequenza spettante ai minori, dal 2018, aumenta da 279,47 euro a 282,55 euro. Il limite di reddito personale annuo che consente di aver diritto alla prestazione è pari a 4.853,29 euro.

In presenza di determinate condizioni, spetta, come per la pensione d’inabilità e invalidità, una maggiorazione pari a 10,33 euro.

Assegno sociale sostitutivo

L’assegno sociale sostitutivo, o derivante dall’invalidità civile, dal 2018 è concesso a 66 anni e 7 mesi di età e non più a 65 anni e 7 mesi, proprio come l’assegno sociale ordinario. L’importo dell’assegno sociale sostitutivo, per il 2018, è pari a:

  • 368,91 euro mensili per gli invalidi civili parziali, con un limite di reddito personale pari a 4.853,29 euro annui; a determinate condizioni è possibile ottenere la maggiorazione base, pari a 84,09 euro mensili, e la maggiorazione ulteriore, pari a 12,92 euro, dell’assegno sociale; inoltre, a partire dal 70° anno di età, è possibile ottenere l’incremento della maggiorazione, pari a 190,86 euro;
  • 368,91 euro mensili per gli invalidi civili totali, con un limite di reddito personale annuo pari a 16.664,36 euro; a determinate condizioni è possibile ottenere la maggiorazione base dell’assegno sociale, pari a 84,09 euro mensili; inoltre, a partire dal 70° anno di età, è possibile ottenere l’incremento della maggiorazione, pari a 190,86 euro.

Pensione sociale sostitutiva

L’importo della pensione sociale sostitutiva, per il 2018, è pari a:

  • 289,24 euro mensili per gli invalidi civili parziali, con un limite di reddito personale pari a 4.853,29 euro annui; a determinate condizioni è possibile ottenere la maggiorazione base [3], pari a 84,09 euro mensili, e la maggiorazione ulteriore [4], pari a 12,92 euro, dell’assegno sociale; inoltre, a partire dal 70° anno di età, è possibile ottenere l’incremento della maggiorazione, pari a 270,53 euro;
  • 289,24 euro mensili per gli invalidi civili totali, con un limite di reddito personale annuo pari a 16.664,36 euro; a determinate condizioni è possibile ottenere la maggiorazione base dell’assegno sociale [3], pari a 84,09 euro mensili; inoltre, a partire dal 70° anno di età, è possibile ottenere l’incremento della maggiorazione, pari a 270,53 euro.

Pensione speciale sordomuti

La pensione speciale per i sordomuti, per il 2018, è pari a 282,55 euro mensili.

Il limite di reddito personale che consente di aver diritto alla prestazione è pari a 16.664,36 euro annui.

In presenza di determinate condizioni spetta una maggiorazione pari a 10,33 euro.

Inoltre, nei casi in cui spetta il cosiddetto incremento al milione, l’incremento della maggiorazione è pari, dal 2018, a 361,31 euro.

Indennità di comunicazione

L’indennità di comunicazione mensile spettante ai sordomuti per il 2018 è pari a 256,21 euro. Non ci sono limiti di reddito per averne diritto.

Pensione per ciechi assoluti

La pensione per ciechi assoluti, per il 2018, è pari a 305,56 euro mensili.

Il limite di reddito personale che consente di aver diritto alla prestazione è pari a 16.664,36 euro annui.

In presenza di determinate condizioni spetta una maggiorazione pari a 10,33 euro.

Inoltre, nei casi in cui spetta il cosiddetto incremento al milione, l’incremento della maggiorazione è pari, dal 2018, a 338,30 euro.

Per i ciechi assoluti ultra65enni la pensione mensile, per il 2018, è pari a 305,56 euro.

Il limite di reddito personale che consente di aver diritto alla prestazione è pari a 16.664,36 euro annui.

In presenza di determinate condizioni spetta una maggiorazione pari a 71,50 euro.

Inoltre, nei casi in cui spetta il cosiddetto incremento al milione, l’incremento della maggiorazione è pari, dal 2018, a 266,80 euro.

Pensione per ciechi parziali

La pensione per i ciechi parziali, per il 2018, è pari a 282,55 euro mensili.

Il limite di reddito personale che consente di aver diritto alla prestazione è pari a 16.664,36 euro annui.

In presenza di determinate condizioni spetta una maggiorazione pari a 10,33 euro.

Per i ciechi parziali ultra65enni la pensione mensile, per il 2018, è pari a 282,55 euro.

Il limite di reddito personale che consente di aver diritto alla prestazione è pari a 16.664,36 euro annui.

In presenza di determinate condizioni spetta una maggiorazione pari a 71,50 euro.

Inoltre, nei casi in cui spetta il cosiddetto incremento al milione, dal 70° anno di età, l’incremento della maggiorazione è pari, dal 2018, a 289,81 euro.

Assegno per i decimisti

L’assegno per i decimisti, cioè per chi ha un residuo visivo non superiore in ciascun occhio ad un decimo, con eventuale correzione ottica, per il 2018 è pari a 209,70 euro mensili.

Il limite di reddito personale che consente di aver diritto alla prestazione è pari a 8.011,78 euro annui.

In presenza di determinate condizioni spetta una maggiorazione pari a 10,33 euro.

Indennità per i ventesimisti

L’indennità mensile spettante ai ventesimisti, cioè a chi ha un residuo visivo in ciascuno degli occhi, con eventuale correzione di lenti, non superiore ad un ventesimo, per il 2018 è pari a 209,51 euro. Non ci sono limiti di reddito per averne diritto.

Indennità di accompagnamento

L’indennità di accompagnamento, o accompagno, che spetta agli invalidi al 100% non in grado di compiere gli atti quotidiani della vita o di camminare senza l’aiuto di un accompagnatore, per il 2018 è pari a 516,35 euro. Non ci sono limiti di reddito per averne diritto.

Per i ciechi assoluti, l’assegno di accompagnamento è pari a 915,18 euro mensili. Anche in questo caso non sono previsti limiti di reddito per averne diritto.

Pensione per i talassemici

Per gli affetti da talassemia major e depranocitosi, l’indennità mensile spettante è pari a 507,42 euro, senza limiti di reddito.

Assegno sociale

L’assegno sociale, nel 2018, è pari a 453 euro, ed è erogato, come la pensione, per 13 mensilità: pertanto, la sua misura annuale è pari a 5.889 euro.

L’assegno sociale può spettare in misura intera o ridotta, a seconda del reddito posseduto. In particolare:

  • ai beneficiari non coniugati privi di reddito, spetta in misura intera;
  • ai beneficiari coniugati con reddito inferiore a 5.889 euro annui, spetta in misura intera;
  • ai non coniugati con reddito sino a 5.889 euro annui, spetta in misura ridotta;
  • ai coniugati con reddito sino a 11.778 euro annui, spetta in misura ridotta.

L’importo dell’assegno sociale può essere aumentato, grazie a due diverse maggiorazioni:

  • maggiorazione pari a 12,92 euro mensili, spettante, dal 2001 [6], per tutti coloro che hanno un’età superiore ai 65 anni, ed un reddito inferiore a 6.056,96 euro, se non sposati, o inferiore a 12.653,42 euro, se coniugati;
  • maggiorazione pari a 190,86 euro, spettante, dal 2002 [7], per i pensionati con almeno 70 di età, per i pensionati con reddito sino a 8.370,18 euro, se non sposati, o sino a 14.259,18 euro, se coniugati; tale maggiorazione può competere anche ai minori di 70 anni che hanno versato un determinato ammontare di contributi: in particolare, la riduzione di età si calcola in ragione di 1 anno ogni 5 anni di contribuzione versata (ad esempio, se Tizio possiede 10 anni di contributi, può accedere alla maggiorazione a 68 anni di età).

La maggiorazione e l’incremento possono essere concessi in misura ridotta fino a concorrenza dei limiti di reddito.

Calendario pensioni

Cambia, infine, il calendario del pagamento delle pensioni 2018, che tornano a essere liquidate il primo giorno bancabile.

Reddito di cittadinanza: novità

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Reddito di cittadinanza: quando arriva, carta acquisti, requisiti Isee, durata massima, offerte di lavoro.

Il reddito di cittadinanza non è un assegno da 780 euro al mese per i furbetti che hanno intenzione di poltrire sul divano, ma consiste in una sorta di social card con la quale si possono acquistare beni e servizi di base e pagare bollette, mutuo e affitto: chi bara sulle condizioni per il diritto al sussidio con false dichiarazioni rischia sino a 6 anni di galera. Non è possibile, per i beneficiari del reddito di cittadinanza, stare in casa a poltrire: le attività da svolgere obbligatoriamente per il proprio comune e le attività di formazione, riqualificazione e ricerca attiva del lavoro non ne danno il tempo. Sono queste le novità emerse dal decreto sul reddito di cittadinanza [1] in merito alla nuova misura, che, come confermato di recente, diventerà pienamente operativa da aprile 2019.

Peraltro,  il sussidio è riconosciuto a due fasce di destinatari: per gli over 67, sotto forma di pensione minima di cittadinanza, cioè d’integrazione sino a 780 euro mensili di tutte le pensioni sotto la soglia di povertà, mentre a tutti coloro che si trovano sotto la soglia di povertà ed in età lavorativa spetta il reddito di cittadinanza vero e proprio.  Ai cittadini in età lavorativa, in cambio del sussidio mensile di 780 euro, si richiede però la ricerca assidua di un’occupazione, la frequenza di corsi di formazione e orientamento e di 8 ore di lavoro a favore del proprio Comune di residenza, impegno che non è richiesto ai pensionati, ai disabili, a chi già lavora e agli studenti.

Per quanto riguarda la pensione minima di cittadinanza, il sussidio, anche se esposto come un aumento “di fatto” dell’integrazione al trattamento minimo e delle maggiorazioni, è accreditato su carta acquisti, la carta Rdc, e non con un aumento dell’assegno da parte dell’Inps.

L’erogazione degli importi su social card è indispensabile, secondo chi ha ideato la misura, per evitare spese voluttuarie, come il gioco d’azzardo, servendosi del reddito di cittadinanza; in ogni caso, la riforma dei centri per l’impiego, in base a quanto affermato dal Vicepremier Di Maio, dovrebbe trasformare il reddito di cittadinanza, per coloro che si trovano in età lavorativa, in una misura straordinaria, favorendo l’incontro tra domanda e offerta d’impiego ed assicurando realmente il collocamento dei disoccupati.

Ma procediamo per ordine, e facciamo il punto della situazione sul reddito di cittadinanza: novità, come funziona, chi sono i beneficiari, a quanto ammonta, quali sono i requisiti e gli adempimenti richiesti, come ottenerlo.

Che cos’è il reddito di cittadinanza?

Cerchiamo innanzitutto di capire le caratteristiche fondamentali del nuovo reddito di cittadinanza: questo sussidio consiste in una prestazione economica mensile, esentasse, accreditata a favore di coloro che possiedono un reddito sotto la soglia di povertà relativa.

È considerato al di sotto della soglia di povertà ai fini del reddito di cittadinanza chi possiede un reddito inferiore ai 780 euro mensili, in caso di nucleo familiare con un solo componente assoggettato al pagamento dell’affitto: questa soglia è diminuita per chi è proprietario dell’abitazione principale e non paga l’affitto, ed è aumentata per chi ha un nucleo familiare con più componenti.

In base a quanto emerge dal decreto in materia, il reddito di cittadinanza non è riconosciuto con un assegno, ma accreditando l’importo spettante in una carta acquisti, la carta Rdc. La carta Rdc consentirà di prelevare, in contanti, sino a 210 euro al mese, di pagare le utenze, di acquistare beni e servizi di base, e di inviare un bonifico per pagare l’affitto o il mutuo.

Come funziona la pensione di cittadinanza?

Il reddito di cittadinanza non interesserà soltanto i lavoratori che si trovano sotto la soglia di povertà, ma anche i pensionati. Nello specifico, tutti coloro che hanno almeno 67 anni di età avranno diritto a un’integrazione della pensione sino a un massimo di 780 euro mensili, se possiedono i requisiti per il sussidio (l’integrazione è più bassa per chi non paga l’affitto). L’attuale integrazione al trattamento minimo, pari a 513 euro mensili, e le ulteriori maggiorazioni, dovrebbero dunque essere incrementate dalla pensione di cittadinanza.

In base alla bozza di decreto in materia, l’integrazione avverrà attraverso l’erogazione dell’importo spettante su una carta acquisti.

A quanto ammonta il reddito di cittadinanza?

Il reddito di cittadinanza ammonta sino a un massimo di 780 euro per ogni persona adulta e disoccupata senza alcun reddito, con affitto o mutuo a carico; per chi ha un reddito sotto soglia, il reddito di cittadinanza integra gli importi percepiti sino ad arrivare a 780 euro al mese. Nello specifico, l’importo del reddito di cittadinanza è determinato da due quote:

  • la prima quota, a integrazione del reddito familiare, ammonta a una soglia massima pari a 6mila euro annui, 500 euro al mese (630 euro al mese, 7.560 euro annui nel caso di pensione di cittadinanza) per il singolo componente; in presenza di più componenti si può arrivare a massimo 12.600 euro, cioè a 1.050 euro al mese (1.323 euro al mese, 15.876 euro annui in caso di pensione di cittadinanza);
  • la seconda quota, a integrazione del reddito familiare, è riconosciuta ai nuclei che pagano l’affitto dell’abitazione, ed è pari al canone annuo previsto dal contratto di affitto (150 euro al mese, 1.800 euro annui nel caso di pensione di cittadinanza);
  • la seconda quota è pari alla rata del mutuo, fino a un massimo di 150 euro al mese, 1.800 euro annui, nel caso di nuclei familiari residenti in abitazioni di proprietà per il cui acquisto o per la cui costruzione sia stato stipulato un contratto di mutuo da un componente della famiglia.

In ogni caso il beneficio economico:
• non può superare la soglia di 9.360 euro annui (780 euro al mese) nel caso di nucleo familiare con un solo componente,
ridotta del valore del reddito familiare; la misura massima in caso di più componenti può arrivare a 19.656 euro all’anno (1.638 euro al mese, anche se nel concreto risulta minore);
• non può essere inferiore a 480 euro annui (40 euro al mese).

Per ogni componente del nucleo, il reddito aumenta di 0,4 punti se maggiorenne, e di 0,2 punti se minorenne.

Il reddito di cittadinanza e la pensione di cittadinanza risultano, in ogni caso, esentasse.

Reddito di cittadinanza con la carta acquisti

Il reddito di cittadinanza viene riconosciuto, in base a quanto esposto nel decreto pensioni, tramite carta acquisti, che funzionerà in modo simile alla vecchia social card ed alla carta Rei, erogate alle famiglie più bisognose.

Con la carta Rdc, le operazioni consentite sono diverse. Innanzitutto, è possibile acquistare gli stessi beni e servizi che, ad oggi, è possibile acquistare con la carta Rei (la carta nella quale è accreditato il reddito d’inclusione). Si tratta, per grandi linee, dei generi alimentari, dei beni acquistabili in farmacia, parafarmacia e nella grande distribuzione.
È vietato qualsiasi acquisto legato al gioco d’azzardo: no, dunque, ai gratta e vinci, alle scommesse, alle schedine del Lotto o del Super Enalotto, ed a qualsiasi concorso a premi.
Con la carta Rdc è possibile anche pagare le utenze, come la bolletta dell’elettricità, dell’acqua e del gas.
Per approfondire: Carta Rdc.

Chi ha diritto al reddito di cittadinanza?

Possono chiedere il reddito di cittadinanza i cittadini maggiorenni che soddisfano le seguenti condizioni:

  • si trovano in stato di disoccupazione o risultano inoccupati (cioè hanno perso il posto o non hanno mai lavorato); coloro che hanno presentato le dimissioni sono esclusi dal reddito per un anno, così come i detenuti ed i ricoverati in una struttura a carico dello Stato;
  • sono in possesso della cittadinanza italiana o di paesi facenti parte dell’Unione europea, o sono familiari di un titolare del diritto di soggiorno o del diritto di soggiorno permanente, o cittadini di Paesi terzi in possesso del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo;
  • sono residenti in Italia da almeno 10 anni, di cui gli ultimi due, considerati al momento della presentazione della domanda e per tutta la durata dell’erogazione del beneficio, in modo continuativo;
  • possiedono un Isee del nucleo familiare in corso di validità, inferiore a 9.360 euro;
  • possiedono un valore del reddito familiare inferiore a 6 mila euro, per il singolo componente, o a 7.560 euro, in caso di pensione di cittadinanza; l’importo è elevato sino a 9.360 euro per chi paga l’affitto ed è da adeguare col parametro della scala di equivalenza;
  • possiedono al massimo due immobili nel nucleo familiare, ma il secondo immobile non deve avere un valore superiore a 30mila euro;
  • possiedono un patrimonio mobiliare familiare (conti, carte prepagate, titoli, libretti, partecipazioni…) non superiore a 6mila euro; la soglia è incrementata di 2mila euro per ogni componente del nucleo familiare successivo al primo, fino ad un massimo di 10 mila euro, incrementati di ulteriori mille euro per ogni figlio successivo al secondo; i  massimali sono ulteriormente incrementati di 5mila euro per ogni componente con disabilità, come definita a fini Isee, presente nel nucleo;
  • nessun componente del nucleo deve possedere autoveicoli immatricolati nei 6 mesi precedenti, o con cilindrata superiore a 1.600 cc e motoveicoli di cilindrata superiore a 250 cc, immatricolati nei 2 anni precedenti, navi o imbarcazioni da diporto; sono esclusi i veicoli adibiti al trasporto di disabili.

Risulta dunque indispensabile essere in possesso della dichiarazione Isee per beneficiare del reddito o della pensione di cittadinanza.

Chi lavora o percepisce la disoccupazione ha diritto al reddito di cittadinanza?

Il reddito di cittadinanza è compatibile con l’attività lavorativa: nello specifico, se il lavoratore ha un contratto part time, il suo salario viene integrato, attraverso il reddito di cittadinanza, fino ad arrivare a 780 euro al mese.

Naspi e altre prestazioni collegate allo stato di disoccupazione saranno compatibili col reddito di cittadinanza sino al limite di 780 euro mensili.

Chi percepisce prestazioni di assistenza avrà diritto al reddito di cittadinanza?

Il decreto prevede che, ai fini del reddito di cittadinanza, il reddito familiare è determinato al netto dei trattamenti assistenziali eventualmente inclusi nell’Isee non più in godimento, ed include i trattamenti assistenziali in corso di godimento da parte dei componenti del nucleo familiare, fatta eccezione per le prestazioni non sottoposte alla prova dei mezzi, come l’assegno di accompagnamento.

Nel valore dei trattamenti di assistenza non rilevano il pagamento di arretrati, le riduzioni nella compartecipazione al costo dei servizi e le esenzioni e agevolazioni per il pagamento di tributi, i rimborsi di spese sostenute, i buoni servizio o altri  titoli che svolgono la funzione di sostituzione di servizi. Non rileva il bonus bebè.

Obbligo di lavorare per chi percepisce il reddito di cittadinanza

In base a quanto previsto dal decreto in materia, il reddito di cittadinanza obbliga il beneficiario non solo a cercare assiduamente un lavoro ed a riqualificarsi, ma anche ad offrire lavoro gratuito per il proprio Comune di residenza.

Le attività lavorative e di riqualificazione impegneranno i beneficiari quasi ogni giorno.

Chi si rifiuterà di lavorare per il proprio Comune perderà il sussidio; il reddito si perderà anche nel caso in cui si rifiutino tre offerte di lavoro congrue, oppure la prima offerta di lavoro, se si percepisce il sussidio di cittadinanza in fase di rinnovo. Per sapere quando un’offerta di lavoro è equa: Offerta di lavoro congrua per il reddito di cittadinanza.

Per quanto riguarda, nello specifico, la partecipazione alle iniziative di politica attiva del lavoro previste per il beneficiario del reddito, sarà obbligatorio (a meno che l’interessato non sia pensionato):

  • iscriversi presso i centri per l’impiego e offrire subito la disponibilità al lavoro;
  • iniziare un percorso per essere accompagnati nella ricerca del lavoro dimostrando la reale volontà di trovare un impiego;
  • offrire la propria disponibilità per progetti comunali utili alla collettività;
  • frequentare percorsi per la qualifica o la riqualificazione professionale;
  • effettuare ricerca attiva del lavoro per almeno 2 ore al giorno;
  • comunicare tempestivamente qualsiasi variazione del reddito;
  • accettare uno dei primi tre lavori congrui che verranno offerti, oppure la prima offerta di lavoro congrua, se si percepisce il sussidio di cittadinanza in fase di rinnovo; in base a un recente emendamento al decreto, la retribuzione deve risultare superiore alla misura massima del reddito di cittadinanza fruibile dal singolo (vale a dire a 780 euro mensili), più il 10%: in parole semplici, l’offerta di lavoro, per essere considerata congrua, deve offrire uno stipendio mensile almeno pari a 858 euro (780 euro +78  euro, il 10%).

Chi ha un lavoro a tempo pieno, ma è sottopagato, avrà comunque diritto all’integrazione del reddito, senza bisogno di partecipare alle iniziative di politica attiva del lavoro.

Per saperne di più: Reddito di cittadinanza, adempimenti.

Per ottenere la pensione di cittadinanza si deve lavorare?

Per ottenere la pensione di cittadinanza non sarà necessario lavorare, in quanto i beneficiari del sostegno sono gli over 67. I beneficiari della pensione di cittadinanza sono esonerati da tutte le misure di politica attiva del lavoro.

Che cosa succede a chi imbroglia?

Se si ottiene il reddito di cittadinanza sulla base di false dichiarazioni, o si lavora in nero, non solo si perderà il sussidio, ma si rischieranno sino a 6 anni di carcere: è stabilito nel decreto in materia di reddito di cittadinanza.

Come si chiede il reddito di cittadinanza?

Il modulo di domanda per il reddito di cittadinanza è stato predisposto dall’Inps e può essere scaricato dal portale web dell’istituto: si tratta del modello SR 180.

Il modulo di domanda deve essere presentato dal richiedente, a partire dal 6 marzo, alle Poste, o presso uno sportello Caf o ancora, telematicamente, attraverso il nuovo portale del reddito di cittadinanza (redditodicittadinanza.gov.it). Si prevede a breve la possibilità di presentare la domanda di reddito di cittadinanza assieme alla dichiarazione Isee, anche online tramite sito web dell’Inps.

Le informazioni contenute nella domanda del reddito di cittadinanza devono essere comunicate dal sito web, dalle Poste o dal Caf all’Inps, entro 10 giorni lavorativi dalla richiesta.

Per il riconoscimento del beneficio, l’Inps deve verificare, entro 5 giorni lavorativi dalla data di comunicazione, il possesso dei requisiti d’accesso. I Comuni, inoltre, devono verificare i requisiti di residenza e di soggiorno e devono comunicare l’esito della verifica.

Una volta accertati i requisiti del reddito, al cittadino è consegnata una carta acquisti (la carta Rdc: si tratta di una prepagata Postepay), che viene ricaricata ogni mese con l’importo del reddito di cittadinanza.

Reddito di cittadinanza 2019

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Pensione minima e reddito minimo contro la povertà: come funziona, a quanto ammonta, a chi spetta, quali requisiti e adempimenti per ottenerlo?

Operativo a partire dalla fine di aprile il reddito di cittadinanza da 780 euro al mese, che viene riconosciuto a due fasce di destinatari: alle famiglie con soli componenti over 67 è erogata la pensione minima di cittadinanza, che costituisce, di fatto, un’integrazione di tutte le pensioni sotto la soglia di povertà. Il reddito di cittadinanza spetta invece a tutti coloro che, in età lavorativa, si trovano sotto la soglia di povertà. I primi assegni sono attesi dal 27 aprile 2019.

È quanto recentemente annunciato dal nuovo Governo, che ha inserito il reddito di cittadinanza tra gli interventi previsti successivamente all’entrata in vigore della legge di Bilancio 2019, in un apposito decreto in materia di previdenza e assistenza [1], del quale è attesa a breve la conversione in legge.

Ai cittadini, in cambio del sussidio mensile sino a 780 euro (per i single; per le famiglie con più componenti, l’integrazione prevista è maggiore), si richiede però la ricerca assidua di un’occupazione, assieme alla frequenza di corsi di formazione e 8 ore di lavoro a favore del proprio Comune di residenza. Sono esclusi dalle attività di politica attiva del lavoro i disabili, coloro che hanno compiuto 67 anni, gli studenti e coloro che già lavorano.

Il sussidio risulta sicuramente più incisivo rispetto all’attuale reddito d’inclusione Rei, dato che quest’ultima misura, attualmente ancora vigente, offre un reddito massimo di quasi 540 euro mensili, per una famiglia di 5 e più persone (gli importi sono inferiori per i nuclei familiari di meno componenti, si parte da un minimo di circa 190 euro al mese); il reddito di cittadinanza richiede tuttavia un impegno notevole per il beneficiario, e il soddisfacimento di numerose condizioni.

La riforma dei centri per l’impiego, in base a quanto afferma il Governo, dovrebbe comunque trasformare il reddito di cittadinanza in una misura straordinaria, favorendo l’incontro tra domanda e offerta di lavoro ed assicurando realmente il collocamento dei disoccupati, aspetto in cui gli attuali strumenti previsti in abbinamento al Rei si sono rivelati poco efficaci.

La pensione minima di cittadinanza da 780 euro costituirà invece una misura strutturale, non essendo possibile chiedere ai pensionati di cercare lavoro per aumentare il reddito: le risorse necessarie potrebbero risultare ad ogni modo sostenibili, con la riduzione del sussidio per chi non paga l’affitto o il mutuo, e grazie alla previsione dei limiti di reddito Isee e dei limiti patrimoniali.

Ma procediamo per ordine, e facciamo il punto della situazione sul reddito di cittadinanza 2019: come funziona, chi sono i beneficiari, a quanto ammonta, quali sono i requisiti e gli adempimenti richiesti, come ottenerlo.

Come funziona il reddito di cittadinanza?

Cerchiamo innanzitutto di capire le caratteristiche fondamentali del nuovo reddito di cittadinanza: questo sussidio consiste in una prestazione economica mensile, esentasse, accreditata a favore di coloro che possiedono un reddito sotto la soglia di povertà, assieme a ulteriori requisiti patrimoniali.

È considerato al di sotto della soglia di povertà ai fini del reddito di cittadinanza chi possiede un reddito inferiore ai 780 euro mensili, in caso di nucleo familiare con un solo componente, su cui grava l’affitto o il mutuo: in caso di nucleo con più componenti, il reddito è aumentato dello 0,4 per il coniuge e dello 0,2 per ogni figlio minore, sino a un massimo di 2,1. Con riferimento al singolo componente, bisogna anche possedere una soglia di reddito personale non superiore ai 6mila euro annui, che sale a 7.560 euro se il beneficiario ha diritto alla pensione di cittadinanza.

L’indicatore Isee della famiglia (si tratta, in pratica, di un indice che “misura la ricchezza delle famiglie”) richiesto per il diritto al sussidio ammonta a 9.360 euro. Inoltre sono previsti limiti legati al patrimonio mobiliare e immobiliare.

La prestazione è accreditata con una carta acquisti, una carta Postepay, che consentirà di pagare le utenze, l’affitto e il mutuo, di prelevare contanti sino a un massimo di 210 euro al mese e l’acquisto di beni e servizi di base.

Come funziona la pensione di cittadinanza?

Il reddito di cittadinanza non interessa soltanto i lavoratori che si trovano sotto la soglia di povertà, ma anche i pensionati. A questo proposito, la nuova normativa dispone infatti che, per i nuclei familiari composti esclusivamente da uno o più componenti di età pari o superiore a 67 anni, il reddito di cittadinanza assume la denominazione di pensione di cittadinanza, quale misura di contrasto alla povertà delle persone anziane.

I requisiti per l’accesso e le regole di definizione del beneficio economico sono le stesse del reddito di cittadinanza, salvo dove diversamente specificato. L’attuale integrazione al trattamento minimo, pari a 513 euro mensili, e le ulteriori maggiorazioni, sono dunque ulteriormente integrate dalla pensione di cittadinanza per chi ne ha i requisiti.

Anche la pensione di cittadinanza è accreditata su carta acquisti: eventuali pensione e trattamenti, quindi, non sono integrati direttamente.

A quanto ammonta il reddito di cittadinanza?

Il reddito di cittadinanza e la pensione di cittadinanza ammontano a un massimo di 780 euro mensili per ogni persona adulta senza reddito, con un mutuo o l’affitto a carico; per chi ha un reddito sotto soglia, il reddito di cittadinanza integra gli importi percepiti sino ad arrivare a 780 euro al mese. Nello specifico, l’importo del reddito di cittadinanza è determinato da due quote:

  • la prima quota, a integrazione del reddito familiare, ammonta a una soglia massima pari a 6mila euro annui, 500 euro al mese (630 euro al mese, 7.560 euro annui nel caso di pensione di cittadinanza) per il singolo componente; in presenza di più componenti si può arrivare a massimo 12.600 euro, cioè a 1.050 euro al mese (1.323 euro al mese, 15.876 euro annui per la pensione di cittadinanza);
  • la seconda quota, a integrazione del reddito familiare, è riconosciuta ai nuclei che pagano l’affitto dell’abitazione, ed è pari al canone annuo previsto dal contratto di affitto, sino a un massimo di 3.360 euro all’anno, 280 euro al mese (150 euro al mese, 1.800 euro annui per chi percepisce la pensione di cittadinanza);
  • la seconda quota è pari alla rata del mutuo, fino a un massimo di 150 euro al mese, 1.800 euro annui, nel caso di nuclei familiari residenti in abitazioni di proprietà per il cui acquisto o per la cui costruzione sia stato stipulato un contratto di mutuo da un componente della famiglia.

In ogni caso il beneficio economico:
• non può superare la soglia di 9.360 euro annui (780 euro al mese) nel caso di nucleo familiare con un solo componente,
ridotta del valore del reddito familiare; la misura massima in caso di più componenti può arrivare, in teoria, a 19.656 euro annui, 1.638 euro mensili; in concreto, per il 2019, la soglia massima arriva a 1.330 euro mensili per il reddito di cittadinanza ed a 1.473 euro mensili per la pensione di cittadinanza;
• non può essere inferiore a 480 euro annui (40 euro al mese).

Come aumenta il reddito di cittadinanza?

Facciamo alcuni esempi per capire come aumenta il reddito di cittadinanza, al crescere dei componenti del nucleo familiare.

Per un single senza reddito che paga l’affitto, la quota base del reddito è 500 euro al mese, a cui vanno aggiunti 280 euro d’integrazione per il canone di locazione (ipotizzando che sia pari o superiore a 280 euro al mese): l’importo ammonta dunque a 780 euro mensili.

Per una famiglia di tre persone che paga l’affitto, con genitori disoccupati a reddito zero e figlio minorenne a carico, il reddito di cittadinanza del nucleo aumenta del 40% per il coniuge e del 20% per il figlio minore: in pratica, l’importo della quota base di 500 euro va aumentato dello 0,4 e dello 0,2, quindi ammonta a 800 euro, ai quali vanno aggiunti i 280 euro mensili d’integrazione per l’affitto. Il reddito mensile ammonta quindi a 1080 euro.

Per una famiglia di 5 persone, con genitori disoccupati a reddito zero e 3 figli minorenni a carico, il reddito di cittadinanza del nucleo aumenta del 40% per il coniuge e del 20% per ogni figlio minore: in pratica, l’importo della quota base di 500 euro va aumentato dello 0,4 e dello 0,6, quindi ammonta a mille euro, ai quali vanno aggiunti i 280 euro mensili d’integrazione per l’affitto. Il reddito mensile ammonta quindi a 1280 euro.

Il reddito di cittadinanza e la pensione di cittadinanza sono esentasse e non pignorabili.

Chi ha diritto al reddito di cittadinanza?

Possono chiedere il reddito di cittadinanza e la pensione di cittadinanza i cittadini maggiorenni che soddisfano le seguenti condizioni:

  • si trovano in stato di disoccupazione o risultano inoccupati (cioè hanno perso il posto o non hanno mai lavorato); se beneficiari di pensione di cittadinanza, studenti o lavoratori, il requisito non è richiesto; coloro che hanno presentato le dimissioni sono esclusi dal reddito per un anno, così come i detenuti ed i ricoverati in una struttura a carico dello Stato;
  • sono in possesso della cittadinanza italiana o di paesi facenti parte dell’Unione europea, o sono familiari di un titolare del diritto di soggiorno o del diritto di soggiorno permanente, o cittadini di Paesi terzi in possesso del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo;
  • sono residenti in Italia da almeno 10 anni, di cui gli ultimi due, considerati al momento della presentazione della domanda e per tutta la durata dell’erogazione del beneficio, in modo continuativo;
  • possiedono un Isee del nucleo familiare inferiore a 9.360 euro;
  • possiedono un valore del reddito familiare inferiore a 6 mila euro, per il singolo componente, o a 7.560 euro, in caso di pensione di cittadinanza; l’importo è elevato sino a 9.360 euro per chi paga l’affitto ed è da adeguare col parametro della scala di equivalenza;
  • possiedono immobili, oltre alla prima casa, per un valore inferiore a 30mila euro;
  • possiedono un patrimonio mobiliare familiare (conti, carte prepagate, titoli, libretti, partecipazioni…) non superiore a 6mila euro; la soglia è incrementata di 2mila euro per ogni componente del nucleo familiare successivo al primo, fino ad un massimo di 10 mila euro, incrementati di ulteriori mille euro per ogni figlio successivo al secondo; i massimali sono ulteriormente incrementati di 5mila euro per ogni componente con disabilità, come definita a fini Isee, presente nel nucleo;
  • nessun componente del nucleo deve possedere autoveicoli immatricolati da meno di 6 mesi, o con cilindrata superiore a 1.600 cc e motoveicoli di cilindrata superiore a 250 cc, immatricolati nei 2 anni precedenti, navi o imbarcazioni da diporto; sono esclusi i veicoli per disabili;
  • è presente una  dichiarazione Isee in corso di validità per il nucleo familiare.

Chi lavora o percepisce la disoccupazione ha diritto al reddito di cittadinanza?

Il reddito di cittadinanza, come abbiamo osservato, è compatibile con l’attività lavorativa: nello specifico, se il lavoratore ha un contratto part time, il suo salario viene integrato, attraverso il reddito di cittadinanza, fino ad arrivare a 780 euro al mese. L’integrazione non potrà superare i 500 euro al mese.

Naspi e altre prestazioni collegate allo stato di disoccupazione sono compatibili col reddito di cittadinanza sino al limite di 780 euro mensili.

Chi percepisce prestazioni di assistenza avrà diritto al reddito di cittadinanza?

Il decreto prevede che ai fini del reddito di cittadinanza, il reddito familiare è determinato al netto dei trattamenti assistenziali eventualmente inclusi nell’Isee non più in godimento, ed include i trattamenti assistenziali in corso di godimento da parte dei componenti del nucleo familiare, fatta eccezione per le prestazioni non sottoposte alla prova dei mezzi, come l’assegno di accompagnamento.

Nel valore dei trattamenti di assistenza non rilevano il pagamento di arretrati, le riduzioni nella compartecipazione al costo dei servizi e le esenzioni e agevolazioni per il pagamento di tributi, i rimborsi di spese sostenute, i buoni servizio o altri  titoli che svolgono la funzione di sostituzione di servizi. Non rileva il bonus bebè.

Per ottenere il reddito di cittadinanza si deve lavorare?

In base a quanto previsto dal decreto in materia, il beneficiario del reddito di cittadinanza si deve impegnare non solo a cercare assiduamente un lavoro ed a riqualificarsi, ma anche a svolgere gratuitamente attività per il proprio Comune di residenza.

Per chi si rifiuterà di lavorare è prevista la decadenza dal sussidio. Sono però esonerati i disabili (come definiti dalla legge sul collocamento mirato, cioè gli appartenenti alle categorie protette), gli studenti e coloro che già lavorano, nonché coloro che percepiscono la pensione di cittadinanza. Possono essere esonerati coloro che hanno carichi di cura ed i disabili gravi, come definiti ai fini Isee (vedi: Reddito di cittadinanza, benefici per disabili).

Per quanto riguarda, poi, la partecipazione alle iniziative di politica attiva del lavoro previste per il beneficiario del reddito, per l’interessato è obbligatorio (a meno che non si tratti di una persona esonerata):

  • iscriversi presso i centri per l’impiego e offrire subito la disponibilità al lavoro;
  • iniziare un percorso per essere accompagnato nella ricerca del lavoro, dimostrando la reale volontà di trovare un impiego;
  • offrire la propria disponibilità per progetti comunali utili alla collettività, sino a un massimo di 8 ore alla settimana;
  • frequentare percorsi per la qualifica o la riqualificazione professionale;
  • cercare attivamente lavoro ogni giorno;
  • comunicare tempestivamente qualsiasi variazione del reddito;
  • accettare uno dei primi tre lavori congrui che verranno offerti, o il primo lavoro, in fase di rinnovo della percezione del sussidio; in base a un recente emendamento al decreto, un’offerta di lavoro non può essere considerata congrua se la retribuzione non risulta almeno pari a 858 euro mensili.

Chi ha un lavoro a tempo pieno, ma è sottopagato, ha comunque diritto all’integrazione del reddito, senza bisogno di partecipare alle iniziative di politica attiva del lavoro.

I beneficiari del reddito saranno assistiti, in queste attività, da dei tutor, i navigator. Per approfondire: Navigator centro per l’impiego, bando e requisiti.

Ma vediamo più nel dettaglio tutti gli adempimenti per ottenere il reddito di cittadinanza.

Quali sono gli adempimenti per mantenere il reddito di cittadinanza?

Una volta ottenuto il sussidio, i componenti del nucleo familiare maggiorenni devono dichiarare l’immediata disponibilità al lavoro, presso i centri per l’impiego o tramite un’apposita piattaforma digitale (Siulp), entro 30 giorni dal riconoscimento del beneficio.

Sono esonerati i componenti del nucleo studenti, disabili (come definiti dalla normativa sul collocamento mirato), con carichi di cura, già occupati o di età pari o superiore a 65 anni.

Il richiedente, se non rientra tra gli esonerati, entro 30 giorni dal riconoscimento del beneficio, è convocato dal centro per l’impiego se uno dei componenti della sua famiglia:

  • è disoccupato da non più di due anni;
  • ha un’età inferiore ai 26 anni;
  • è beneficiario della Naspi, di un altro sussidio di disoccupazione, o ne ha terminato la fruizione da non più di un anno;
  • ha sottoscritto un Patto di servizio in corso di validità presso i centri per l’impiego.

La dichiarazione di immediata disponibilità deve essere resa anche dagli altri componenti non esonerati del nucleo, entro i 30 giorni successivi al primo incontro del richiedente o del suo sostituto.

Patto per il lavoro

I beneficiari del reddito di cittadinanza non esonerati dagli obblighi devono stipulare, presso un centro per l’impiego o un intermediario accreditato, un patto per il lavoro, che ha le stesse caratteristiche del patto di servizio personalizzato previsto per chi richiede l’indennità di disoccupazione, ma prevede delle attività aggiuntive.

In particolare, sottoscrivendo il patto per il lavoro ci si obbliga a:

  • collaborare con l’operatore che deve redigere il bilancio delle competenze, per definire il contenuto del patto per il lavoro;
  • accettare espressamente gli obblighi e rispettare gli impegni previsti nel patto per il lavoro e, in particolare:
  • registrarsi sull’apposita piattaforma digitale, e consultarla quotidianamente come supporto nella ricerca del lavoro;
  • svolgere attività di ricerca attiva di lavoro, secondo le modalità definite nel patto;
  • accettare di essere avviato ai corsi di formazione o riqualificazione professionale, o ai progetti per favorire l’auto-imprenditorialità, secondo le modalità individuate nel patto, tenuto conto del bilancio delle competenze, delle inclinazioni professionali o di eventuali specifiche propensioni;
  • sostenere i colloqui psicoattitudinali e le eventuali prove di selezione finalizzate all’assunzione, su indicazione dei servizi competenti e in attinenza alle competenze certificate;
  • accettare almeno una di tre offerte di lavoro congrue; in caso di fruizione del beneficio in fase di rinnovo, deve essere accettata, a pena di decadenza dal beneficio, la prima offerta utile di lavoro congrua;
  • offrire la propria disponibilità per la partecipazione a progetti comunali utili alla collettività, in ambito culturale, sociale, artistico, ambientale, formativo e di tutela dei beni comuni, da svolgere presso il comune di residenza, mettendo a disposizione un massimo di 8 ore alla settimana.

Patto per l’inclusione sociale

Nel caso in cui la famiglia affronti problematiche complesse, non legate soltanto alla mancanza di lavoro, e una condizione di forte disagio e povertà, i beneficiari devono sottoscrivere un patto per l’inclusione sociale, che coinvolge i centri per l’impiego, i servizi sociali e gli altri servizi territoriali competenti.

Quando non si può rifiutare un’offerta di lavoro?

Chi percepisce il reddito di cittadinanza deve accettare almeno una di tre offerte di lavoro congrue, la prima offerta di lavoro congrua in fase di rinnovo del sussidio.

Ma quando un’offerta di lavoro è congrua ai fini del reddito di cittadinanza? In base a quanto disposto dal decreto sul reddito di cittadinanza:

  • se il lavoratore percepisce il reddito di cittadinanza da non più di 6 mesi, l’offerta di lavoro deve avere le seguenti caratteristiche:
    • dal punto di vista della coerenza professionale, deve riguardare uno dei settori individuati nel patto di servizio sottoscritto dal lavoratore;
    • la retribuzione offerta deve essere maggiore di 1,2 volte l’indennità di disoccupazione percepita, se il disoccupato percepisce un trattamento di sostegno al reddito;
    • la distanza dal luogo di lavoro non può essere superiore a 100 km dalla residenza dell’interessato, o comunque deve essere raggiungibile in 100 minuti con i mezzi di trasporto pubblici, se si tratta di prima offerta; la distanza dal luogo di lavoro non può essere superiore a 250 km dalla residenza dell’interessato se si tratta di seconda offerta; la sede di lavoro può trovarsi ovunque, nel territorio italiano, se si tratta di terza offerta;
  • se il lavoratore percepisce il reddito di cittadinanza da oltre 6 mesi, l’offerta di lavoro deve avere le seguenti caratteristiche:
    • dal punto di vista della coerenza professionale, deve riguardare uno dei settori individuati nel patto di servizio sottoscritto dal lavoratore, o contigui ai settori individuati;
    • la retribuzione offerta deve essere maggiore di 1,2 volte l’indennità di disoccupazione percepita, se il disoccupato percepisce un trattamento di sostegno al reddito;
    • la distanza dal luogo di lavoro non può essere superiore a 100 km dalla residenza dell’interessato, o comunque deve essere raggiungibile in 100 minuti con i mezzi di trasporto pubblici, se si tratta di prima offerta; la distanza dal luogo di lavoro non può essere superiore a 250 km dalla residenza dell’interessato se si tratta di seconda offerta; la sede di lavoro può trovarsi ovunque, nel territorio italiano, se si tratta di terza offerta;
  • se il lavoratore ha ottenuto il rinnovo del reddito di cittadinanza, l’offerta di lavoro deve avere le seguenti caratteristiche:
    • dal punto di vista della coerenza professionale, può riguardare qualsiasi settore lavorativo;
    • la retribuzione offerta deve essere maggiore di 1,2 volte l’indennità di disoccupazione percepita, se il disoccupato percepisce un trattamento di sostegno al reddito;
    • la sede di lavoro, esclusivamente nel caso in cui nel nucleo familiare non siano presenti componenti di minore età o disabili, può trovarsi ovunque nel territorio italiano; in questo caso, il beneficiario continua a percepire il reddito di cittadinanza per altri 3 mesi, a titolo di compensazione per le spese di trasferimento sostenute.

Il rapporto di lavoro, per quanto riguarda la durata, deve essere:

  • a tempo indeterminato;
  • a termine o con contratto di somministrazione, con una durata di almeno tre mesi.

Per quanto riguarda l’orario di lavoro, il rapporto deve essere a tempo pieno, o a tempo parziale, con un orario non inferiore all’80% rispetto all’orario dell’ultimo contratto di lavoro.

Lo stipendio previsto, poi, non deve essere inferiore ai minimi della contrattazione collettiva. In base a un recente emendamento al decreto, la retribuzione deve risultare superiore alla misura massima del reddito di cittadinanza fruibile dal singolo (vale a dire a 780 euro mensili), più il 10%: in parole semplici, l’offerta di lavoro, per essere considerata congrua, deve offrire uno stipendio mensile almeno pari a 858 euro (780 euro +78  euro, il 10%).

Per quanto riguarda la pensione di cittadinanza, invece, non sarà necessario lavorare, in quanto rivolta agli over 67. In un certo senso, la pensione di cittadinanza funzionerà in modo analogo all’attuale integrazione al trattamento minimo ed alle maggiorazioni, perché si tratta di un sussidio condizionato dal reddito, e  non dalle misure di politica attiva del lavoro. L’integrazione, però, sarà accreditata nella carta acquisti.

Che cosa succede al reddito di cittadinanza se rifiuto un lavoro?

L’interessato che percepisce il reddito di cittadinanza può rifiutare al massimo due proposte lavorative congrue (come  definite dal decreto sulla riforma degli ammortizzatori sociali, come integrato dal decreto sul reddito di cittadinanza) nell’arco del periodo di fruizione del reddito. Ha anche la possibilità di recedere dall’impiego per due volte nell’arco dello stesso periodo. Se, però, percepisce il reddito in fase di rinnovo, deve accettare il primo lavoro congruo proposto.

In caso contrario, perde il sussidio. Ad ogni modo, per chi rifiuta un’offerta di lavoro congrua sono previsti severi controlli della Guardia di Finanza, volti a verificare lo svolgimento di lavoro nero. Si rischia anche il carcere, ne abbiamo parlato in: Reddito di cittadinanza, controlli per chi rifiuta il lavoro.

Come si perde il reddito di cittadinanza?

È molto facile decadere dal diritto al reddito di cittadinanza: per chi utilizza documenti falsi, omette informazioni obbligatorie o non dichiara le variazioni di reddito è prevista addirittura la reclusione, assieme alla perdita del sussidio per 10 anni.

Nel dettaglio, se per ottenere o mantenere il beneficio sono utilizzati o presentati dichiarazioni e documenti falsi o attestanti cose non vere, o si omettono informazioni dovute, chi consegue indebitamente il sussidio è punito:

  • con la reclusione da 2 a 6 anni;
  • con la revoca retroattiva del beneficio;
  • con l’impossibilità di chiedere il sussidio prima che siano decorsi 10 anni dalla condanna.

Le sanzioni sono le stesse per chi non comunica la variazione del reddito: la variazione del reddito è presunta nel caso in cui sia accertato che l’interessato lavora in nero o “in grigio”, cioè che ha un rapporto di lavoro non dichiarato o un rapporto per il quale è dichiarata una retribuzione più bassa, come il “finto part time”.

Si decade dal reddito di cittadinanza anche quando uno dei componenti del nucleo familiare:

  • non sottoscrive il patto per il lavoro o il patto per l’inclusione sociale, ad eccezione dei casi di esclusione ed esonero;
  • non partecipa, in assenza di giustificato motivo, alle iniziative di carattere formativo o di riqualificazione, o ad altre iniziative di politica attiva o di attivazione;
  • non lavora gratuitamente nell’ambito dei progetti comunali, se istituiti;
  • rifiuta un’offerta di lavoro congrua, dopo averne già rifiutate due;
  • rifiuta un’offerta congrua dopo il rinnovo del beneficio;
  • non effettua le comunicazioni obbligatorie, o effettua comunicazioni mendaci producendo un beneficio economico del reddito di cittadinanza maggiore;
  • non presenta una dichiarazione Isee aggiornata, in caso di variazione del nucleo familiare;
  • rende una dichiarazione mendace (anche nella dichiarazione Isee).

Riduzione del reddito di cittadinanza

Se gli interessati non si presentano alle convocazioni disposte nel patto è prevista:

  • la decurtazione di una mensilità del sussidio, in caso di prima mancata presentazione;
  • la decurtazione due mensilità alla seconda mancata presentazione;
  • la decadenza dalla prestazione, in caso di ulteriore mancata presentazione.

Nel caso di mancata partecipazione, in assenza di giustificato motivo, alle iniziative di orientamento, da parte anche di un solo componente del nucleo familiare, si applicano le seguenti sanzioni:

  • la decurtazione di due mensilità, in caso di prima mancata presentazione;
  • la decadenza dalla prestazione in caso di ulteriore mancata presentazione.

In caso di mancato rispetto degli impegni previsti nel patto per l’inclusione sociale relativi alla frequenza dei corsi di istruzione o di formazione da parte di un componente minorenne, o degli impegni di prevenzione e cura volti alla tutela della salute, individuati da professionisti sanitari, si applicano le seguenti sanzioni:

  • la decurtazione di due mensilità dopo un primo richiamo formale al rispetto degli impegni;
  • la decurtazione di tre mensilità al secondo richiamo formale;
  • la decurtazione di sei mensilità al terzo richiamo formale;
  • la decadenza dal beneficio in caso di ulteriore richiamo.

L’Inps si occupa di applicare le sanzioni diverse da quelle penali e del recupero del sussidio non dovuto: le informazioni sulle violazioni sono trasmesse all’istituto dai centri per l’impiego e dai comuni.

Se il reddito di cittadinanza non è integralmente speso nel mese di fruizione, può essere ridotto sino al 20%. Per approfondire: Come utilizzare la carta Rdc.

Se l’interessato decade dal sussidio, il reddito di cittadinanza può essere richiesto solo decorsi 18 mesi dalla data del provvedimento di decadenza. Non può essere richiesto prima del termine da un altro componente della famiglia.

Nel caso facciano parte del nucleo familiare componenti minorenni o con disabilità, il termine per richiedere nuovamente il reddito di cittadinanza è ridotto a 6 mesi.

Come si chiede il reddito di cittadinanza?

Il modulo di domanda per il reddito di cittadinanza è stato predisposto dall’Inps: si tratta del modulo SR 180, che può essere scaricato anche dal portale web dell’istituto.

Il modulo di domanda deve essere presentato dal richiedente, a partire dal 6 marzo, alle Poste, o presso uno sportello Caf o ancora, telematicamente, attraverso il nuovo portale del reddito di cittadinanza (redditodicittadinanza.gov.it). Si prevede anche la possibilità di presentare la domanda di reddito di cittadinanza assieme alla dichiarazione Isee, online tramite sito web dell’Inps, a breve.

Le informazioni contenute nella domanda del reddito di cittadinanza devono essere comunicate dal sito web, dalle Poste o dal Caf all’Inps, entro 10 giorni lavorativi dalla richiesta.

Per il riconoscimento del beneficio, l’Inps deve verificare, entro 5 giorni lavorativi dalla data di comunicazione, il possesso dei requisiti d’accesso. I Comuni, inoltre, devono verificare i requisiti di residenza e di soggiorno e devono comunicare l’esito della verifica.

Le domande per il reddito possono essere inviate ogni mese.

Firmare un contratto di lavoro è vincolante?

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Quali sono le conseguenze alle quali datore di lavoro e dipendente vanno incontro firmando la lettera di assunzione.

Hai firmato un contratto di lavoro da poco, stai per iniziare l’attività, ma all’improvviso ti è arrivata una nuova proposta d’impiego molto più vantaggiosa. Puoi disdire il contratto di lavoro, dal momento che non hai ancora preso servizio?

Oppure sei un datore di lavoro: hai firmato la lettera di assunzione, che il dipendente ha accettato, ma non hai ancora inviato la comunicazione di assunzione al centro per l’impiego, dato che l’inizio dell’attività lavorativa sarà tra qualche giorno. Nel frattempo, per via di un grave problema dell’azienda venuto alla luce da poco, ti sei accorto che i fondi non sono più sufficienti per retribuire un lavoratore subordinato: in questo caso, è possibile “fare retromarcia” sull’assunzione, dal momento che l’attività non è iniziata e nessuna comunicazione telematica è stata inviata?

In altre parole, firmare un contratto di lavoro è vincolante, o lo è solo nel caso in cui il dipendente abbia già iniziato l’attività? In quali casi si può recedere dagli impegni presi?

Efficacia del contratto di lavoro

L’efficacia del contratto di lavoro è pari all’efficacia di qualsiasi altro contratto: se sussistono gli elementi essenziali, cioè oggetto, causa e consenso delle parti, il contratto è pienamente valido e vincolante.

Per la validità del contratto, peraltro, non è prevista la forma scritta (che serve, comunque, ai fini della prova dell’esistenza del rapporto, e che può essere disposta dalla legge per la validità di alcune clausole, come il termine). Ma procediamo per ordine.

Quando il contratto di lavoro è valido

Perché il contratto di lavoro sia valido:

  • il lavoratore deve avere almeno 16 anni, e devono essere verificate le condizioni previste dalla legge per il lavoro minorile (vedi: Qual è l’età minima per lavorare?);
  • il datore di lavoro deve avere almeno 18 anni;
  • perché l’accordo sia valido la volontà espressa non deve essere viziata da errore, violenza o dolo;
  • la causa del contratto di lavoro (cioè lo scambio tra prestazione del lavoratore e retribuzione) deve essere lecita, cioè conforme alla legge, all’ordine pubblico e al buon costume;
  • l’oggetto, cioè l’attività (manuale o intellettuale) che il lavoratore deve prestare, deve essere lecito, possibile, determinato o determinabile.

Quando il contratto di lavoro è totalmente nullo

Il contratto di lavoro è totalmente nullo se:

  • mancano la causa o l’oggetto: in questo caso, però, la nullità non ha effetto per il periodo in cui il rapporto ha avuto esecuzione;
  • la causa o l’oggetto sono illeciti: in questo caso la nullità ha effetto anche per il periodo in cui il rapporto ha avuto esecuzione.

Quando il contratto di lavoro è annullabile

Se sono riscontrati vizi del consenso (errore, violenza o dolo), o è verificata l’assenza della capacità di una delle parti, o di entrambe, il contratto viene annullato, ma ne sono fatti salvi gli effetti per il periodo in cui il rapporto ha avuto esecuzione.

Ad esempio, se il contratto di lavoro è concluso “a suon di minacce”, da parte dell’uno o dell’altro contraente, sicuramente è annullabile per violenza.

Se il datore di lavoro ha firmato la lettera di assunzione sulla base di un curriculum falso, il contratto può essere annullato per dolo della controparte.

Errore nel contratto di lavoro

Le ipotesi di errore nella conclusione del contratto di lavoro sono più complesse; in base a quanto previsto dal codice civile [1], l’errore è essenziale quando:

  • ricade sulla natura o sull’oggetto del contratto, sull’identità o sulla qualità della prestazione o dell’altro contraente, sulla disciplina legale alla quale è sottoposto il contratto;
  • è tale da determinare la parte a concludere un contratto che altrimenti non avrebbe concluso.

L’errore che riguarda situazioni esterne al contratto e relative alla sfera privata del contraente, come i motivi che lo spingono a concludere l’accordo, non rilevano [2].

Ad esempio, se il lavoratore firma il contratto di lavoro, poi si pente perché riceve una proposta migliore, o per altre ragioni esterne, non può chiedere l’annullamento del contratto.

Trattative tra datore e lavoratore

In base a quanto osservato, se sussistono gli elementi essenziali, il contratto di lavoro è pienamente valido e vincolante.

Dei vincoli per le parti, però, possono derivare addirittura dalla fase preliminare al contratto vero e proprio, cioè dalle trattative.

In particolare, anche per il contratto di lavoro, come avviene per la generalità dei contratti, le parti devono comportarsi secondo correttezza e buona fede sin dallo svolgimento delle trattative, in modo che sia tutelato l’interesse dei contraenti a non essere coinvolti in trattative inutili. Si tratta della cosiddetta responsabilità precontrattuale.

Se le trattative sono giunte ad una fase avanzata, tale da far ritenere, ragionevolmente, che il contratto di lavoro sarà concluso, e una delle parti si tira indietro, l’altra parte ha il diritto di chiedere il risarcimento del danno (ad esempio, per essere stata indotta a sostenere spese, o a rinunciare a un altro impiego).

Lettera d’impegno all’assunzione: è vincolante?

Spesso il datore di lavoro, prima della conclusione vera e propria del contratto, rilascia al lavoratore una lettera di impegno all’assunzione, che ha la funzione di contratto preliminare.

La lettera di impegno all’assunzione è vincolante se viene firmata da entrambe le parti; se la firma riguarda solo il datore, il lavoratore non ha l’obbligo di accogliere le condizioni proposte.

L’obbligo che si instaura tra le due parti sottoscrivendo la lettera d’impegno è un obbligo giuridico: se il datore non rispetta la stipula del contratto o le modalità prestabilite, o se il lavoratore non assume l’incarico come concordato, la parte inadempiente può essere condannata al risarcimento del danno.

In caso di mancato rispetto, da parte del datore di lavoro, dell’impegno ad assumere, il lavoratore ha il diritto:

  • di pretendere che sia emessa una sentenza costitutiva che produca gli effetti dell’assunzione (a condizione che la lettera d’impegno contenga tutti gli elementi essenziali del contratto di lavoro);
  • in alternativa, ha diritto alla risoluzione del contratto.

In entrambe le situazioni, si ha comunque diritto al risarcimento del danno.

Patto di prova: recesso senza preavviso

Se il contratto di lavoro è stato stipulato da poco tempo, per un determinato periodo di tempo datore e lavoratore possono recedere liberamente e senza preavviso, nel caso in cui sia stato stipulato, per iscritto, e contestualmente al contratto di lavoro, il patto di prova.

La funzione del patto di prova è quella di permettere ad entrambe le parti di valutare la convenienza del rapporto di lavoro.

Al termine della prova, se entrambe le parti ne ritengono favorevole l’esito, l’assunzione diventa definitiva ed il periodo lavorato si computa nell’anzianità di servizio. Per approfondire: Patto di prova, come funziona.

Recesso dal contratto di lavoro

Ad ogni modo, dal contratto di lavoro è possibile recedere:

  • col licenziamento, intimato dal datore di lavoro: per licenziare il dipendente devono esistere delle ragioni considerate valide dalla legge (giustificato motivo oggettivo o soggettivo), e deve essere rispettato il periodo di preavviso prescritto dal contratto collettivo applicato; il preavviso non è necessario nel caso di licenziamento per giusta causa; se il licenziamento è illegittimo, il lavoratore, a seconda delle ipotesi e della categoria di appartenenza, può aver diritto al risarcimento, a un’indennità o alla reintegra;
  • con le dimissioni, rassegnate dal lavoratore: se le dimissioni sono rassegnate per motivi personali, deve essere rispettato il periodo di preavviso; il preavviso non è necessario nel caso di dimissioni per giusta causa;
  • con la risoluzione consensuale, nel caso in cui entrambe le parti siano d’accordo sul recesso;
  • per la scadenza del termine, in caso di contratto a tempo determinato;
  • in ulteriori casi particolari (morte del lavoratore, impossibilità sopravvenuta…).

Patto di stabilità

Nel contratto individuale di lavoro le parti possono impegnarsi a non recedere dal rapporto per un certo periodo di tempo (pena il pagamento di una penale) inserendo un patto di stabilità; questo patto, o clausola di durata minima garantita, può essere stipulato nell’interesse del solo datore di lavoro, del lavoratore, oppure di entrambi.


Navigator per reddito di cittadinanza: bando e requisiti

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In uscita il bando per il reclutamento dei tutor che dovranno trovare un lavoro ai beneficiari del reddito: condizioni per essere ammessi.

Probabilmente, non tutti i beneficiari del reddito di cittadinanza riusciranno a trovare lavoro; di sicuro, però, grazie al sussidio troveranno una nuova occupazione parecchie migliaia di persone in tutta Italia: si tratta dei navigator.

Chi sono i navigator? I navigator sono dei tutor, che si occuperanno di seguire personalmente i beneficiari del reddito di cittadinanza per trovare loro un nuovo impiego: dovranno aver conseguito una laurea magistrale (l’elenco delle lauree utili non è ancora stato completato). Inizialmente, si parlava di inserire tra i requisiti dei navigator anche 4 anni di esperienza nella consulenza del lavoro: questo requisito, in base a quanto reso noto sinora, è stato accantonato perché sarebbe praticamente impossibile trovare migliaia di laureati, disoccupati, ma con esperienza pluriennale nell’amministrazione e nel reclutamento del personale.

I navigator da assumere dovrebbero infatti essere 10mila in tutta Italia: 6mila assunti da Anpal Servizi (Agenzia nazionale politiche attive del lavoro), con una selezione scritta, ed altri 4mila assunti dalle regioni tramite concorso.

Al momento, il bando per il reclutamento dei navigator non è ancora uscito, ma è stato appena pubblicato da Anpal Servizi il bando per scegliere la società che si dovrà occupare della selezione dei navigator.

Ma procediamo per ordine, e facciamo il punto sui navigator per reddito di cittadinanza: requisiti, inquadramento contrattuale e durata dell’impiego, quali saranno le loro mansioni.

Quali sono i requisiti per diventare navigator?

Per diventare tutor dei beneficiari del reddito di cittadinanza, in base a quanto annunciato, i requisiti sono i seguenti:

  • possesso di una laurea magistrale: al momento, le lauree utili inserite sono Giurisprudenza, Economia, Scienze politiche, Statistica e Scienze della formazione; si sta discutendo sulla possibilità di inserire le lauree magistrali in Filosofia e Sociologia;
  • voto di laurea: come ulteriore “paletto”, dovrebbe essere stabilita una votazione di laurea minima pari a 100/110; in alternativa, potrebbero partecipare alla selezione solo i 60mila navigator col voto di laurea più alto;
  • potrebbe anche essere introdotto un limite massimo di età per partecipare, pari a 55 anni;
  • per quanto riguarda lo stato di disoccupazione, non è ancora stato chiarito se il possesso di questa condizione sarà necessario per partecipare alla selezione; quel che è certo e che il lavoro come navigator richiederà un impegno non indifferente, che difficilmente sarebbe compatibile con un’altra occupazione.

Qual è l’inquadramento dei navigator?

I navigator saranno inquadrati con un contratto di collaborazione (quindi come co.co.co. o parasubordinati).

Il compenso previsto è pari a 30mila euro lordi l’anno, che corrispondono a 2500 euro lordi al mese (sono previste 12 mensilità); al netto (togliendo la contribuzione previdenziale a carico del lavoratore, l’Irpef e le addizionali) si parla di 1700 euro al mese.

Quali sono le mansioni dei navigator?

I navigator dovranno fare da tutor ai beneficiari del reddito di cittadinanza impegnati in un percorso di politica attiva del lavoro.

Il percorso prevede, per i beneficiari del reddito, i seguenti obblighi:

  • collaborare con l’operatore addetto alla redazione del bilancio delle competenze, per definire il contenuto del patto per il lavoro;
  • registrarsi sull’apposita piattaforma digitale per il reddito di cittadinanza, e consultarla quotidianamente come supporto nella ricerca del lavoro;
  • svolgere attività di ricerca attiva di lavoro, secondo le modalità definite nel patto;
  • partecipare ai corsi di formazione o riqualificazione professionale, o ai progetti per favorire l’auto-imprenditorialità, secondo le modalità individuate nel patto per il lavoro;
  • sostenere i colloqui psicoattitudinali e le eventuali prove di selezione per trovare un impiego attinente alle competenze certificate;
  • accettare almeno una di tre offerte di lavoro congrue; in caso di fruizione del sussidio in fase di rinnovo, deve essere accettata, a pena di decadenza dal beneficio, la prima offerta utile di lavoro congrua (per approfondire: Offerta di lavoro congrua per il reddito di cittadinanza);
  • offrire la propria disponibilità per la partecipazione a progetti comunali utili alla collettività, in ambito culturale, sociale, artistico, ambientale, formativo e di tutela dei beni comuni, da svolgere presso il comune di residenza, mettendo a disposizione un massimo di 8 ore alla settimana

Il navigator supporterà dunque il beneficiario del reddito in tutte queste attività, e controllerà il loro regolare svolgimento. Dovrà anche segnalare eventuali violazioni ed inadempienze da parte del beneficiario del sussidio.

Bando di selezione navigator

Il bando per la selezione dei navigator da parte di Anpal Servizi non è ancora stato pubblicato, ma è stato pubblicato il bando per scegliere l’ente che si occuperà delle selezioni.

Ogni Regione, poi, potrà reclutare i navigator tramite un apposito bando di concorso: ad oggi, nessuna regione ha ancora indetto le selezioni.

Prova di selezione navigator

In base a quanto emerso dall’avviso pubblico, la prova di selezione scritta consisterà in un test a risposta multipla, composto da un massimo di 100 quesiti su 10 materie, nelle percentuali indicate:

  • quesiti di cultura generale 10%
  • quesiti psicoattitudinali 10%
  • quesiti di logica 10%
  • quesiti di informatica 10%
  • quesiti sui modelli e gli strumenti di intervento di politica del lavoro 10%
  • quesiti sul reddito di cittadinanza 10%
  • quesiti sulla disciplina dei contratti di lavoro 10%
  • quesiti sul sistema di istruzione e formazione 10%
  • quesiti sulla regolamentazione del mercato del lavoro 10%
  • questi su economia aziendale 10%

L’Anpal richiede che la società di selezione predisponga una banca dati di 1.500 test, in relazione alle materie oggetto dell’esame della prova selettiva, rispettando le percentuali stabilite.

I test dovranno essere preparati da esperti negli argomenti elencati e prevedere 4 risposte multiple predefinite, di cui una sola inequivocabilmente esatta, mentre le restanti saranno errate.

I quesiti e le relative risposte dovranno essere predisposti considerando un livello culturale universitario.

In sede di correzione dovrà essere prevista la possibilità di attribuire un punteggio negativo o nessun punteggio per ogni risposta sbagliata, multipla o omessa.

Il punteggio assegnato alle risposte esatte, multiple o omesse dovrà essere rapportato in centesimi.

A parità di votazione finale, dopo il test sarà scelto il candidato più giovane.

La prova di selezione si dovrà svolgere in tre o più giornate (per un massimo di sei) e in più sessioni giornaliere, a Roma.

Assegno ordinario invalidità: importo e requisiti

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Come funziona ed a quanto ammonta il trattamento riconosciuto dall’Inps per chi ha un’invalidità superiore ai due terzi.

Hai un’invalidità riconosciuta superiore ai due terzi, cioè la tua capacità lavorativa è ridotta a meno di un terzo? Sei iscritto presso una delle gestioni amministrate dall’Inps, come il Fondo pensioni lavoratori dipendenti o le gestioni speciali dei lavoratori autonomi, o, ancora, la gestione separata? Hai alle spalle almeno cinque anni di contributi previdenziali, di cui almeno tre versati nell’ultimo quinquennio? Forse non sai che, anche se continui a lavorare, hai diritto all’assegno ordinario di invalidità.

Questa prestazione, riconosciuta dall’Inps, è calcolata, proprio come la pensione, sulla base dei contributi versati e della posizione previdenziale personale. Di conseguenza, il calcolo dell’assegno di invalidità può essere effettuato utilizzando il sistema retributivo, contributivo o misto, a seconda dell’anzianità contributiva e della gestione di appartenenza.

Ma procediamo per ordine, e facciamo il punto sull’assegno ordinario di invalidità: importo e requisiti.

Quali sono i requisiti per l’assegno ordinario di invalidità?

Hanno diritto a percepire l’assegno ordinario di invalidità i lavoratori che possiedono un’invalidità riconosciuta superiore ai due terzi, quindi una riduzione della capacità lavorativa a meno di un terzo.

Attenzione al requisito del riconoscimento dell’invalidità utile all’assegno ordinario, che non va confuso col riconoscimento dell’invalidità civile. L’invalidità utile all’assegno ordinario corrisposto dall’Inps, difatti, è valutata sulla base delle attitudini lavorative dell’interessato, e non sulla base della capacità lavorativa generica, come avviene per il riconoscimento dell’invalidità civile. Inoltre, per il diritto all’assegno ordinario, l’invalidità non deve essere preesistente all’inizio del rapporto assicurativo con l’Inps, a meno che non ci sia stato un aggravamento o si sia verificato il sopraggiungere di nuove infermità.

Oltre all’invalidità riconosciuta, per il diritto all’assegno ordinario è richiesto anche il possesso di almeno 5 anni di contribuzione, di cui 3 devono essere versati nell’ultimo quinquennio. Ai fini dei 5 anni, non si considerano utili alcune tipologie di contributi, figurativi e non, come quelli versati per la malattia di durata superiore a un anno, o i periodi di servizio militare eccedenti rispetto al servizio di leva, o, ancora, i periodi di lavoro prestato all’estero presso paesi non convenzionati con l’Italia.

Come si calcola l’assegno ordinario di invalidità?

L’assegno ordinario è calcolato alla pari della generalità delle pensioni corrisposte dall’Inps. Il calcolo dell’assegno è dunque:

  • retributivo sino al 31 dicembre 2011, poi contributivo, per chi possiede oltre 18 anni di contributi al 31 dicembre 1995;
  • retributivo sino al 31 dicembre 1995, poi contributivo, per chi possiede meno di 18 anni di contributi al 31 dicembre 1995 (calcolo misto);
  • interamente contributivo per chi non possiede versamenti alla data del 31 dicembre 1995.

Ricordiamo che, mentre il calcolo retributivo si basa sugli ultimi anni di reddito o stipendio e sulle settimane versate sino al 2011 (sino al 1995 per chi utilizza il calcolo misto), il calcolo contributivo si basa sulla contribuzione effettivamente accreditata e sull’età pensionabile.

Per saperne di più: Come calcolare pensione Inps

Riduzione dell’assegno ordinario di invalidità

L’assegno ordinario di invalidità è compatibile con i redditi derivanti da un’attività lavorativa, ma viene ridotto se i redditi di lavoro superano un determinato ammontare. In particolare, la riduzione è pari:

  • al 25%, se il reddito di lavoro supera di quattro volte il trattamento minimo Inps (che nel 2019 ammonta a 513,01 euro mensili ed è erogato per 13 mensilità);
  • al 50%, se il reddito di lavoro supera di cinque volte il trattamento minimo Inps.

L’assegno può inoltre subire una seconda riduzione: se l’assegno già ridotto resta lo stesso superiore al trattamento minimo, cioè supera 513,01 euro mensili, può subire un secondo taglio, o, più precisamente, una trattenuta, nel caso in cui l’anzianità contributiva sia inferiore a 40 anni.

In particolare:

  • se l’interessato percepisce redditi di lavoro dipendente, la trattenuta è pari al 50% della quota di assegno che eccede il trattamento minimo, entro comunque l’importo dei redditi da lavoro percepiti;
  • se l’interessato percepisce redditi di lavoro autonomo, la trattenuta è pari al 30% della quota eccedente il trattamento minimo, ma non può essere superiore al 30% del reddito prodotto.

Questa seconda riduzione non può essere applicata in alcune particolari ipotesi. Per saperne di più: Riduzione assegno ordinario d’invalidità.

Integrazione dell’assegno ordinario di invalidità

L’integrazione al trattamento minimo dell’assegno ordinario d’invalidità è regolata da un’apposita disciplina: nello specifico, anche l’assegno ordinario, alla pari della generalità delle pensioni Inps, deve essere integrato sino all’importo del trattamento minimo, ce per il 2019 ammonta a 513,01 euro mensili.

L’assegno ordinario è integrato al minimo da una somma pari all’ammontare dell’assegno sociale (457,99 euro per il 2019).

Chi possiede redditi propri assoggettabili all’Irpef (l’imposta sul reddito delle persone fisiche) superiori a due volte l’ammontare annuo dell’assegno sociale non ha diritto all’integrazione dell’assegno ordinario d’invalidità.

In pratica, se il reddito supera, per il 2019, 11.907,74 euro, l’interessato non ha diritto all’integrazione al minimo della prestazione d’invalidità.

Come regolarizzare lavoratore domestico

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Assunzione di colf e badanti: procedura, documenti, contratto di lavoro, comunicazione all’Inps, inquadramento.

Hai deciso di avvalerti regolarmente dell’aiuto di una colf o di una badante: hai però paura di assumerla regolarmente, perché temi che i contributi da versare all’Inps siano troppo cari.

Non hai nulla da temere, in realtà: i contributi a carico del datore di lavoro domestico sono ben più leggeri, rispetto ai contributi previdenziali dovuti dalla generalità dei datori di lavoro. Nello specifico, per ogni ora di lavoro del collaboratore domestico, i contributi dovuti vanno da un minimo di 1,04 euro (di cui 26 centesimi a carico del lavoratore), a un massimo di 2,11 euro (di cui 49 centesimi a carico del lavoratore). Ne abbiamo parlato in: Calcolo contributi colf.

Ciò che devi temere, invece, è la mancata regolarizzazione della colf, o della badante: per non aver inviato la comunicazione di assunzione, difatti, rischi una sanzione amministrativa piuttosto salata, oltre alle sanzioni per il mancato versamento dei contributi all’Inps. Inoltre, se la collaboratrice domestica non ha il permesso di soggiorno, rischi l’arresto e un’ammenda.

Mettere in regola la colf, o la badante, comunque, non è affatto complicato: la procedura di assunzione è notevolmente più semplice, rispetto all’assunzione di un lavoratore subordinato da parte di un’impresa o di un professionista.

Se devi avvalerti dell’aiuto della collaboratrice familiare solo temporaneamente, poi, puoi utilizzare i cosiddetti nuovi voucher, ora libretto famiglia. Per approfondire: Guida al libretto famiglia.

Ma procediamo per ordine e vediamo come regolarizzare lavoratore domestico.

Procedura di assunzione lavoratore domestico

L’assunzione dei lavoratori domestici può avvenire direttamente, da parte del datore di lavoro, o tramite i sindacati di categoria o gli enti di patronato autorizzati dal ministero del Lavoro.

I lavoratori stranieri appartenenti all’Unione Europea sono assunti secondo le ordinarie procedure stabilite per i lavoratori italiani.

Assunzione lavoratore domestico straniero

Per i lavoratori extracomunitari, la procedura è differente a seconda della situazione dell’interessato:

se già presente in Italia, con permesso di soggiorno valido per l’attività lavorativa, può essere assunto con le procedure ordinarie in vigore per i lavoratori italiani;

se residente all’estero, è necessario seguire una particolare procedura, che inizia con la richiesta di nulla osta al lavoro; il nulla osta è rilasciato a condizione che il datore di lavoro possa sostenere le spese per retribuzione, vitto, alloggio e contributi per il lavoratore da assumere; il datore di lavoro deve accertare, in ogni caso, che il lavoratore sia in possesso del permesso di soggiorno valido per lo svolgimento di lavoro subordinato;

se si tratta di un ingresso “fuori quota” di un collaboratore familiare, con rapporto di lavoro a tempo pieno in corso all’estero da almeno 1 anno, è necessaria l’acquisizione di un contratto di lavoro autenticato dalla rappresentanza diplomatica o consolare; il nulla osta non può essere rilasciato a favore di collaboratori familiari di cittadini stranieri.

Documenti necessari per assumere il lavoratore domestico

All’atto dell’assunzione, il lavoratore deve consegnare al datore di lavoro una copia dei seguenti documenti:

  • documento di identità personale;
  • codice fiscale;
  • documenti assicurativi e previdenziali (eventuale iscrizione all’INPS con altri datori di lavoro e relativo codice lavoratore);
  • tessera sanitaria o altro documento sanitario aggiornato attestante l’idoneità al lavoro e l’assenza di patologie pregiudizievoli per il lavoratore o per la famiglia;
  • eventuali diplomi o attestati professionali specifici;
  • per l’assunzione di lavoratori minorenni (che abbiano assolto l’obbligo scolastico e compiuto 16 anni) che preveda la convivenza, deve essere allegata una dichiarazione scritta di consenso dei genitori o di chi esercita la responsabilità genitoriale, vidimata dal sindaco del Comune di residenza

Lettera di assunzione del lavoratore domestico

Il contratto di lavoro domestico, o lettera di assunzione, deve contenere i seguenti elementi:

  • data di inizio del rapporto di lavoro;
  • mansioni e livello di inquadramento;
  • previsione o meno della convivenza;
  • residenza del lavoratore ed eventuale diverso domicilio, valido agli effetti del rapporto di lavoro; se il rapporto è di convivenza, il lavoratore deve indicare l’eventuale domicilio proprio, diverso da quello della convivenza;
  • durata dell’orario di lavoro e collocazione delle ore di attività;
  • collocazione della mezza giornata di riposo settimanale in aggiunta alla domenica;
  • retribuzione concordata;
  • contributi di assistenza contrattuale;
  • luogo di svolgimento dell’attività lavorativa e previsione di eventuali temporanei spostamenti per villeggiatura o altri motivi familiari;
  • periodo di ferie annuali;
  • eventuale durata del periodo di prova;
  • eventuale obbligo di una tenuta di lavoro fornita dal datore;
  • eventuale spazio affidato all’addetto per custodire i propri effetti personali;
  • ulteriori clausole specifiche.

Il datore di lavoro deve inoltre indicare se il lavoratore domestico viene assunto:

  • per un’attività discontinua assistenziale di attesa notturna (con indicazione dell’ora di inizio e cessazione dell’assistenza);
  • per garantire esclusivamente la presenza notturna;
  • in regime di convivenza a servizio ridotto (precisando l’orario effettivo pattuito e la sua disposizione temporale).
  • l’anzianità di servizio maturata nel livello A, se si tratta di un lavoratore con meno di 12 mesi di esperienza professionale, non addetto all’assistenza di persone.

Comunicazione di assunzione all’Inps

Il datore di lavoro, dopo aver consegnato il contratto di lavoro, deve comunicare l’assunzione all’Inps entro le ore 24 del giorno precedente a quello di instaurazione del rapporto di lavoro, anche se festivo.

Non è dunque obbligato, come la generalità dei datori di lavoro, a comunicare telematicamente l’assunzione ai centri per l’impiego, con modello Unilav.

Con la comunicazione all’Inps si considerano, comunque, assolti tutti gli obblighi legali di denuncia nei confronti degli enti previdenziali e uffici competenti.

La comunicazione di assunzione si può inviare all’Inps tramite:

  • sito web dell’Inps, accedendo con le proprie credenziali (pin dispositivo, Spid, carta nazionale dei servizi);
  • contact center integrato – numero verde Inps (803.164, oppure 06.164.164 per chi chiama da telefono mobile);
  • intermediari abilitati (consulenti e liberi professionisti, oppure associazioni sindacali).

Inquadramento del lavoratore domestico

In base al contratto collettivo dei lavoratori domestici [1], colf, badanti e collaboratori sono inquadrati in quattro livelli:

  • A e AS: in questi livelli sono inquadrati:
    • i collaboratori familiari generici, non addetti all’assistenza di persone, senza esperienza professionale o con esperienza inferiore a 12 mesi;
    • i lavoratori che, in possesso della necessaria esperienza, svolgono con competenza le proprie mansioni, relative ai profili lavorativi indicati, a livello esecutivo e sotto il diretto controllo del datore di lavoro;
  • B e BS: in questi livelli sono inquadrati i collaboratori familiari che, in possesso della necessaria esperienza, svolgono con specifica competenza le proprie mansioni, anche se a livello esecutivo;
  • C e CS: in questi livelli sono inquadrati i collaboratori familiari che hanno specifiche conoscenze di base sia teoriche che tecniche, relative allo svolgimento dei compiti assegnati, e che operano con totale autonomia e responsabilità;
  • D e DS: in questi livelli sono inquadrati i collaboratori familiari che, in possesso dei necessari requisiti professionali, ricoprono specifiche posizioni di lavoro caratterizzate da responsabilità, autonomia decisionale o coordinamento.

Se il datore di lavoro deve assumere un collaboratore per sostituire, con prestazioni limitate alla copertura dei giorni di riposo, uno o più lavoratori a tempo pieno addetti all’assistenza di persone non autosufficienti, inquadrati nei livelli CS o DS, deve inquadrare il lavoratore, a sua volta, nel livello CS o DS.

Come fare la fattura elettronica

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Fattura PA e fattura elettronica tra privati, aziende e professionisti: come crearla, inviarla e riceverla.

Non hai mai fatto una fattura elettronica e non hai la minima intenzione di imparare? Purtroppo, da quest’anno non ne puoi più fare a meno: dal 1° gennaio 2019 è entrato in vigore, infatti, l’obbligo di fattura elettronica tra privati per imprese e professionisti. In buona sostanza, se sei un professionista, o un imprenditore, ed emetti fatture alle imprese, ai liberi professionisti (B2B) o ai consumatori (B2C), dal 1° gennaio 2019 devi inviarla in forma elettronica.

L’obbligo di fatturazione elettronica, tra l’altro, è in vigore già da tempo per chi deve inviare fatture agli enti pubblici: in questo caso, bisogna creare una fattura PA e inoltrarla tramite il sistema d’interscambio dell’Agenzia delle Entrate. Per chi scarica le spese del carburante, poi, dal 1° luglio 2018 è obbligatorio ricevere la fattura elettronica dal distributore.

Ma che cos’è una fattura elettronica? Basta inviare una fattura via mail perché sia considerata elettronica? Come si fa la fattura PA? Come funziona il sistema d’interscambio? Come ci si abilita per ricevere una fattura elettronica? Vediamo, grazie alla nostra guida, come fare la fattura elettronica: come abilitarsi ai servizi delle Entrate, come creare, inviare e monitorare la fattura elettronica e la fattura PA, come ricevere le fatture elettroniche.

Che cos’è la fattura elettronica?

Chiariamo innanzitutto che cos’è la fattura elettronica. Il Decreto Iva [1] la definisce come fattura emessa e ricevuta in un qualunque formato elettronico.

Le 3 caratteristiche fondamentali della fattura elettronica sono:

  • integrità: Il destinatario deve essere assolutamente certo che il contenuto non sia stato alterato in fase di emissione e trasmissione dei dati. Il documento deve quindi essere integro;
  • autenticità: il destinatario deve essere assolutamente certo che la fattura provenga da chi l’ha emessa;
  • leggibilità: il documento deve essere disponibile e visualizzabile, anche tramite un processo di conversione del formato, in forma leggibile per l’uomo su di uno schermo.

L’autenticità dell’origine e l’integrità del contenuto possono essere garantite:

  • con sistemi di controllo di gestione che assicurino un collegamento affidabile fra la fattura e la cessione dei beni o la prestazione dei servizi;
  • con apposizione di firma elettronica qualificata o digitale dell’emittente;
  • con sistemi di trasmissione elettronica dei dati;
  • con altre tecnologie in grado di garantire l’autenticità dell’origine e l’integrità dei dati.

Che cos’è la fattura PA

La fattura PA è la fattura elettronica che deve essere trasmessa alla Pubblica Amministrazione (per cessione di beni o prestazione di servizi effettuate nei confronti di un Ente pubblico).

La fattura PA deve avere le seguenti caratteristiche:

  • rispondere ai requisiti della fattura elettronica e poter essere trasmessa tramite il Sistema di Interscambio (SDI);
  • essere in formato XML, unico formato ad essere accettato dal Sistema di Interscambio;
  • essere contrassegnata dalla firma elettronica qualificata di chi emette la fattura apposta al formato XML;
  • essere contrassegnata dal codice identificativo univoco dell’ufficio destinatario della fattura, come riportato nell’ Indice della Pubblica Amministrazione (IPA, una sorta di elenco contenente gli “indirizzi elettronici” degli enti pubblici);
  • se la fattura si riferisce a cessione di beni o prestazione di servizi oggetto di un bando pubblico o di una commessa aggiudicata, deve recare il Codice unico di progetto (CUP) assegnato dalla PA;
  • essere inviata tramite Pec con le modalità previste dalla norma attuativa.

Che cos’è il sistema d’interscambio?

Il Sistema d’interscambio è una sorta di “postino virtuale”, attraverso cui si trasmettono e ricevono le fatture PA, che:

  • fornisce i servizi di accreditamento al sistema stesso;
  • riceve le fatture elettroniche trasmesse;
  • convalida e gestisce i flussi della fatture;
  • indirizza le fatture all’Ente destinatario;
  • notifica l’esito dei flussi tramite ricevute.

L’automazione di questi processi è possibile grazie al formato XML del documento: il formato PDF non può integrare una fattura elettronica perché non consente la lettura automatica dei dati e l’invio diretto alla PA o al diverso destinatario interessato.

Trasmissione telematica di fatture e corrispettivi

La fattura elettronica per le operazioni tra privati e la trasmissione tramite Sistema d’Interscambio costituiscono una vera e propria “rivoluzione” nel panorama degli adempimenti. Dal 1° gennaio 2019, difatti, i contribuenti, a causa dell’obbligo di fatturazione elettronica non solo verso imprese e professionisti, ma anche verso i consumatori finali, trasmettono, di fatto, tutte le operazioni in entrata e in uscita alle Entrate.

Sono comprese anche le operazioni certificate da ricevute e scontrini: i corrispettivi giornalieri, difatti, possono essere memorizzati elettronicamente e trasmessi telematicamente all’Agenzia delle Entrate, senza più necessità, per il commerciante, di emettere lo scontrino.

Latrasmissione elettronica delle operazioni comporta una lunga serie di vantaggi in termini di adempimenti burocratici.

Vantaggi per i contribuenti che trasmettono telematicamente tutte le operazioni

I vantaggi previsti per chi comunica elettronicamente le operazioni sono notevoli:

  • esonero dall’obbligo di presentare lo Spesometro, la Blacklist e i contratti stipulati da società di leasing;
  • esonero di comunicazione degli acquisti di beni da San Marino;
  • esonero dalla presentazione dei modelli Intrastat per gli acquisti intracomunitari di beni;
  • accesso in via prioritaria ai rimborsi Iva;
  • riduzione di un anno dei termini di decadenza per la notifica degli accertamenti;
  • nessun obbligo di registrazione dei corrispettivi (perché memorizzati e trasmessi elettronicamente);
  • nessun obbligo di rilascio ricevute e scontrini fiscali;
  • assistenza fiscale per i contribuenti minori, esonero dal visto di conformità e dalla garanzia per i rimborsi Iva.

Questi vantaggi dal 2019 sono previsti per tutti, a causa dell’obbligo di trasmettere tutte le fatture B2B (cioè tra imprese e professionisti) e B2C (ai consumatori finali) in formato elettronico.

Come ci si abilita ai servizi web delle Entrate per la fattura elettronica?

Per poter usare il servizio di fatturazione elettronica, per prima cosa occorre iscriversi, collegandosi al sito, cliccando su “Area riservata” nella home page del portale web delle Entrate, e selezionando la voce “Registrazione”. Occorre inserire i propri dati personali:

  • ultima dichiarazione dei redditi presentata: modello utilizzato (730, ex-Unico, Cu);
  • codice fiscale;
  • soggetto tramite cui si è presentata la dichiarazione (sostituto/intermediario, Poste, servizi telematici, Agenzia delle entrate);
  • reddito complessivo in unità di euro senza decimali né punti (ad esempio, per 33.500,11 indicare 33500); se il reddito è negativo, si indica l’importo preceduto da segno meno (ad esempio, -56587).

A questo punto, la pagina fornisce un codice di identificazione personale, il pin. Il sistema chiede di specificare se l’utente è un privato o un’azienda e se possiede la Carta nazionale dei servizi. In quest’ultimo caso, infatti, l’utente beneficia di una procedura di registrazione semplificata e immediata: selezionando Area riservata → Accedi a Entratel/Fisconline → Accesso con smart card, il sistema, effettuati i necessari controlli, fornisce al richiedente il codice pin completo e chiede di scegliere una password personale. In caso contrario, il pin sarà composto da sole quattro cifre e quelle mancanti, per ragioni di sicurezza, saranno inviate per posta dopo circa due settimane.

La registrazione è possibile anche tramite l’app dell’Agenzia scaricabile dal sito o dai principali store, oppure andando personalmente o delegando una persona di fiducia mediante procura speciale, presso un qualsiasi ufficio territoriale dell’Agenzia muniti di documento di riconoscimento e compilando il modulo di richiesta di registrazione.

In alternativa, è possibile accedere ai servizi di fatturazione elettronica delle entrate attraverso l’identità unica digitale Spid.

Come si ottiene lo Spid?

Il sistema Spid dà al cittadino la possibilità di avere delle credenziali uniche per accedere ai servizi pubblici online, compresi quelli dell’Agenzia delle Entrate: le credenziali sono però utilizzabili in modo differente, a seconda del livello di identità Spid richiesto:

  • il primo livello di sicurezza permette l’autenticazione con id e password stabilite dallo stesso utente;
  • il secondo livello permette l’autenticazione con una password valida per tutti i servizi ed una seconda password momentanea (la cosiddetta OTP, one time password) inviata all’utente per accedere allo specifico servizio;
  • il terzo livello permette invece l’autenticazione tramite smart card abbinata a una password.

Per avere l’identità unica ci si deve rivolgere ai gestori di identità digitale (Identity Provider): si tratta di soggetti privati accreditati dall’Agid (l’Agenzia per l’Italia digitale) che forniscono al cittadino le identità digitali e le gestiscono, dopo averlo identificato e averne verificato i dati. È possibile effettuare le operazioni di identificazione anche a distanza e online.

Attualmente lo Spid può essere richiesto ai seguenti gestori:

  • Sielte;
  • InfoCert S.p.a;
  • Poste Italiane S.p.a;
  • Intesa;
  • Namirial;
  • Telecom Italia Trust Technologies Srl.

Una volta scelto il provider, il cittadino può sempre cambiarlo e può, inoltre, avere più di un’identità digitale.

Come si usano i servizi Fisconline delle Entrate?

Completata la registrazione e una volta in possesso del pin completo, della Carta nazionale dei servizi o dello Spid, è sufficiente riaprire il sito, inserire le credenziali e cliccare su “Scrivania”. Non resta che scegliere il servizio che serve:

  • inviare la propria dichiarazione dei redditi;
  • pagare imposte, tasse e contributi con il modello F24;
  • registrare il contratto di affitto;
  • scegliere la cedolare secca;
  • accedere al proprio cassetto fiscale, il servizio online, sempre offerto dall’Agenzia delle entrate che permette di controllare in tempo reale la propria posizione fiscale;
  • comunicare le proprie coordinate bancarie per l’accredito dei rimborsi;
  • ricevere assistenza sulle comunicazioni di irregolarità grazie al servizio Civis;
  • annullare documenti inviati per errore;
  • ottenere le ricevute telematiche della documentazione inviata;
  • consultare i dati catastali degli immobili di proprietà;
  • accedere ai servizi di fatturazione elettronica.

Gli intermediari dell’Agenzia delle Entrate, come i consulenti del lavoro e i commercialisti, utilizzano, per accedere alla fatturazione elettronica e PA, il canale Entratel.

Come si accede al servizio fatture e corrispettivi?

È possibile accedere direttamente ai servizi di fatturazione, previa autenticazione, collegandosi al sito Iva servizi (https://ivaservizi.agenziaentrate.gov.it/ser/).

Una volta selezionata l’utenza di lavoro, si deve andare al servizio fatturazione. Si accede così al servizio fatture e corrispettivi.

Come si genera la fattura elettronica?

Per generare la fattura elettronica si deve selezionare la voce Generazione ed andare nel riquadro Crea nuovo file:

Si può scegliere se creare una fattura ordinaria, semplificata o una fattura PA.

Una volta cliccata la voce di proprio interesse, bisogna inserire i seguenti dati:

  • dati personali: ragione sociale o nome e cognome, codice fiscale, partita Iva, indirizzo;
  • dati del cliente: ragione sociale o nome e cognome, codice fiscale, partita Iva, indirizzo, codice destinatario (indispensabile per inviare la fattura col sistema d’interscambio);
  • tipo documento: bisogna scegliere se si tratta di una fattura, di una nota di credito, di una parcella, di un acconto o anticipo su fattura o parcella.

Bisogna poi inserire tutti i dati rilevanti della fattura: numero del documento, data di emissione, importo per beni/servizi e quantità, aliquota Iva applicata, eventuali esenzioni con relativa norma di legge, eventuale applicazione della cassa professionale, eventuale applicazione dello Split Payment (scissione dei pagamenti, per le operazioni verso una pubblica amministrazione, in quanto gli enti pubblici non corrispondono l’Iva all’impresa, ma la versano direttamente allo Stato; lo Split Payment è stato abolito per i professionisti dal 14 luglio 2018 ).

Nella maschera Dati contratto, per quanto riguarda la fattura PA, è possibile aggiungere il codice CIG (codice identificativo di gara) e il codice CUP (codice unico di progetto), necessario in caso di fatture relative a opere pubbliche, interventi di manutenzione straordinaria, interventi finanziati da contributi comunitari e in ulteriori specifiche ipotesi.

Bisogna poi inserire la causale della fattura nella maschera Causale.

Le pubbliche amministrazioni non possono procedere al pagamento delle fatture elettroniche che non riportano i codici CIG e CUP.

Possono poi essere compilati ulteriori campi, a seconda della situazione specifica:

  • i dati relativi all’eventuale ritenuta d’acconto: importo, aliquota (solitamente il 20%), causale della ritenuta (La lettera che appare anche nel modello 770, solitamente A per le prestazioni di lavoro autonomo);
  • i dati relativi all’eventuale pagamento di bolli;
  • i dati relativi a sconti o maggiorazioni, con la relativa percentuale;
  • va poi compilato il campo Articolo 73 se il documento viene emesso secondo modalità e termini stabiliti dal decreto che consente all’interessato di emettere nello stesso anno più documenti aventi stesso numero;
  • i dati relativi all’eventuale ordine di acquisto;
  • i dati relativi all’eventuale convenzione, o alle eventuali convenzioni stipulate;
  • i dati relativi all’eventuale documento di trasporto (DDT), i dati di trasporto e i dati relativi alle eventuali operazioni accessorie (fattura principale);
  • i dati relativi all’eventuale stato di avanzamento lavori (SAL);
  • i dati relativi a eventuali veicoli: prima immatricolazione e totale percorso;
  • i dati relativi a eventuali fatture collegate;
  • i dati di pagamento: codice Iban e dati bancari o istituto postale, beneficiario, termini di pagamento e scadenza, data di decorrenza e importo di eventuali penali, sconti per pagamenti anticipati;
  • eventuali allegati.

Terminata la compilazione delle maschere necessarie, si arriva al riepilogo, che riporta i dati salienti.

A questo punto, bisogna cliccare su Conferma. Se ci si accorge di aver sbagliato qualcosa, si può cliccare su Riabilita la modifica.

Si deve poi cliccare su Controlla File.

Se appare la dicitura “Il file ha superato i controlli del Sistema Ricevente” si può cliccare su Salva XML e salvare la fattura nel proprio pc.

Per quanto riguarda la fattura elettronica ordinaria, la schermata finale offre direttamente la possibilità di controllare il file, sigillarlo e inviarlo.

Come si firma la fattura elettronica?

La fattura salvata in formato xml deve poi essere firmata col proprio dispositivo di firma elettronica, se è una fattura PA. La firma della fattura elettronica indirizzata a un’impresa o a un professionista (B2B), oppure a un consumatore (B2C) non è obbligatoria.

Per sa come procedere, si veda la nostra guida: Come si fa la firma elettronica.

Una volta collegato il dispositivo di firma (un lettore di smart card, ovviamente con la carta inserita, o una penna usb), e scaricato l’apposito software per la firma elettronica (Dike, Firma Certa), posizionandosi sul file XML salavto con il tasto destro del mouse, si può scegliere la voce Firma (non è necessario firmare e marcare).

Il sistema chiede poi di scegliere tra l’estensione .xml o .p7m.

Bisogna poi firmare il documento digitando il codice pin che è stato fornito col dispositivo di firma.

Se la fattura verso un’impresa, un professionista o un privato viene firmata digitalmente, il sistema d’interscambio Sdi effettua:

  • la verifica di autenticità del certificato di firma;
  • la verifica di integrità, per garantire che il documento ricevuto non sia stato modificato successivamente all’apposizione della firma.

Il sistema può quindi verificare se il certificato di firma elettronica è scaduto o revocato, se l’autorità di certificazione non è affidabile, se manca o non è coerente il riferimento temporale. Se l’esito dei controlli è negativo, la fattura viene scartata e quindi si considera non emessa.

Se la fattura digitale non è firmata, i controlli non vengono attivati, e la fattura viene considerata emessa indipendentemente dalla verifica di autenticità del documento. Nella fattura PA, invece, la firma digitale è obbligatoria.

Come si invia la fattura elettronica?

Firmato il documento, dal sito Iva servizi delle Entrate ci si deve posizionare, in Fatture e corrispettivi, sulla maschera Trasmissione e scegliere il file firmato.

Dopo aver cliccato su invia, apparirà la conferma di avvenuta trasmissione, con data e ora operazione e codice Id del file trasmesso.

La funzione Invia è direttamente disponibile dalla schermata finale del form online con cui è predisposta la fattura dai servizi delle Entrate.

Come si controlla la fattura elettronica?

Una volta inviata, la fattura elettronica può essere monitorata dal sito Fatture e corrispettivi, oppure dalla sezione Sdi.fatturaPA.gov.it-strumenti- monitorare la fattura PA, se si tratta di una fattura PA. Da questi canali è possibile anche controllare le fatture ricevute.

Per quanto riguarda le fatture B2B, per il controllo si deve entrare nella sezione Fatture e Corrispettivi, Monitoraggio dei file trasmessi, accedendo al riquadro File fattura, ed alla maschera di ricerca delle fatture emesse; è possibile cercare la fattura:

  • in base all’identificativo SdI:
  • in base all’identificativo fiscale del trasmittente o del destinatario;
  • in base allo stato del file;
  • in base alla data di invio.

Come si riceve la fattura PA?

Chi è accreditato ai canali SdiCoop o SdiFtp può ricevere le fatture elettroniche su canali dedicati; diversamente, si deve avere una casella di posta elettronica certificata. L’indirizzo pec deve essere comunicato al fornitore e la fattura sarà recapitata direttamente sulla Pec.

Per evitare l’invio della Pec al fornitore, è possibile preregistrarsi con la funzionalità web «Registrazione delle modalità prescelte per la ricezione delle fatture» accessibile dal servizio «Fatture e corrispettivi».

In questa sezione si deve indicare se si intende ricevere le fatture elettroniche attraverso un apposito canale (che può essere offerto anche da un intermediario o da un apposito software), indicando il proprio codice destinatario, oppure tramite pec, in questo caso il codice personale sarà composto da tanti zeri.

Le fatture ricevute si possono monitorare dalla sezione Fatture e Corrispettivi, Monitoraggio dei file trasmessi, accedendo al riquadro File fattura, ed alla maschera di ricerca delle fatture ricevute.

Per semplificare l’invio della fattura elettronica, dalla sezione Fatture e corrispettivi è possibile generare un codice QR, cliccando sul riquadro Generazione QR Code partita Iva. Il fornitore potrà così leggere il codice con un’apposita applicazione ed acquisire tutti i dati utili alla fatturazione.

Come si emette la fattura elettronica ai privati senza partita Iva?

Se si deve emettere la fattura elettronica a un privato senza partita Iva, oppure a un consumatore finale, o a un professionista aderente al regime dei minimi o al forfettario, nella creazione della fattura bisogna valorizzare il campo “Codice Destinatario” con un codice convenzionale “0000000”, anziché inserire il codice a 7 cifre del destinatario.

Il codice è “0000000”anche nel caso in cui il destinatario sia un’azienda o un professionista che ha scelto di ricevere le fatture tramite pec.

In ogni caso, chi emette la fattura ha l’obbligo di consegnare al consumatore finale la fattura in forma cartacea o pdf (la cosiddetta copia cortesia). Solo se il consumatore lo esonera espressamente dall’obbligo, può evitare questo adempimento.

Come si riceve la fattura elettronica per i consumatori e i forfettari?

Per i consumatori finali, i forfettari e gli aderenti al regime dei minimi, la ricezione della fattura avviene tramite un’apposita area riservata del sito web dell’Agenzia delle Entrate oppure consegnando copia informatica o analogica.

Come si conserva la fattura elettronica?

Ad oggi i destinatari delle fatture elettroniche possono scegliere tra tre modalità alternative di conservazione, a seconda della categoria di appartenenza e delle modalità con cui i documenti sono inviati:

  • il servizio gratuito messo a disposizione dall’Agenzia delle Entrate;
  • l’archiviazione delle copie informatiche delle fatture elettroniche;
  • l’archiviazione delle copie in formato cartaceo o digitale (solo per chi non è obbligato all’emissione delle fatture elettroniche).

Come si conserva la fattura elettronica col servizio delle Entrate?

I servizi delle Entrate offrono la possibilità di conservare elettronicamente le fatture ricevute dal Servizio di interscambio (Sdi), utilizzando un servizio gratuito messo a disposizione dall’Agenzia.

Per utilizzare queste modalità di conservazione, l’impresa deve aderire all’accordo di servizio pubblicato nell’area riservata sul sito web dell’agenzia delle Entrate, accedendo autonomamente, o tramite intermediario abilitato, con delega.

Una volta effettuata l’adesione, per conservare la fattura bisogna accedere alla sezione Conservazione, scegliere il file fattura da conservare ed inviarlo, dalla maschera Invia file.

Come si conserva la fattura elettronica con copia informatica?

La seconda modalità di conservazione, indicata da una recente circolare delle Entrate, consiste nell’archiviazione delle fatture elettroniche con copie informatiche, in uno dei formati consentiti: pdf, jpg, txt, considerati idonei ai fini della conservazione.

In pratica, se il professionista o l’impresa dispone di un sistema di conservazione sostitutiva, che adotta per le proprie fatture, può utilizzarlo anche per le fatture elettroniche, dopo aver proceduto alla loro conversione in formato leggibile, come il “Pdf”, unitamente a tutti i documenti fiscali.

Si devono ancora tenere i registri Iva?

Gli operatori Iva in regime di contabilità semplificata che emettono solo fatture, grazie all’obbligo di fatturazione elettronica non devono più tenere gli appositi registri Iva.
Operatori economici e consumatori finali possono acquisire una copia delle fatture elettroniche emesse e ricevute grazie a un sistema offerto dal portale delle Entrate Fatture e Corrispettivi, al quale bisogna registrarsi con credenziali Spid, Cns o Fisconline/Entratel. Per approfondire: Come abilitarsi ai servizi web per la fatturazione elettronica.

Coloro che emettono e ricevono solo fatture, effettuando e ottenendo pagamenti tracciabili sopra i 500 euro, si vedono ridurre di due anni i termini di decadenza dell’accertamento fiscale.

Quando deve essere emessa la fattura elettronica?

La fattura elettronica può essere anche differita, cioè emessa entro il giorno 15 del mese successivo a quello in cui è effettuata l’operazione, in conformità a quanto previsto dal decreto Iva [1]. In questo modo c’è più tempo per la trasmissione allo Sdi, ma al momento dell’operazione bisogna rilasciare al cliente un documento di trasporto o equipollente, anche cartaceo.

Bisogna trasmettere elettronicamente i documenti di trasporto?

L’obbligo di trasmissione in modalità elettronica non si estende ai Ddt, i documenti di trasporto. Tuttavia, nella fattura elettronica vanno indicati tutti i Ddt a cui il documento si riferisce.

Cosa significa lavoratore categorie protette?

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Quali sono i lavoratori disabili che hanno diritto al collocamento mirato e alla tutela della Legge 68.

La normativa sul reddito di cittadinanza [1] esonera dagli adempimenti collegati al patto per il lavoro i disabili lavoratori che appartengono alle categorie protette. Che cosa significa lavoratore categorie protette? Chi sono i lavoratori che appartengono alle categorie protette? Appartengono alle cosiddette categorie protette i lavoratori tutelati dalla legge 68 [2], la legge che tutela le persone svantaggiate nell’inserimento nel mercato del lavoro attraverso il collocamento mirato.

In base a questa legge, in particolare, le aziende che occupano almeno 15 dipendenti sono tenute a riservare una parte dei posti disponibili ai lavoratori svantaggiati che appartengono alle categorie protette: grazie a questo beneficio, detto quota di riserva, ai lavoratori svantaggiati tutelati dalla legge 68 è offerta dunque la priorità per l’inserimento nelle aziende. L’insieme degli interventi finalizzati alla tutela occupazionale delle categorie protette è detto collocamento obbligatorio, termine che è stato poi sostituito da “collocamento mirato”, in quanto il lavoratore svantaggiato non deve essere valutato in base ai suoi limiti, ma in base alle sue competenze e capacità.

Per garantire una tutela completa e il coinvolgimento nel mercato del lavoro delle persone svantaggiate, sono stati istituiti servizi per l’impiego specifici che, in collaborazione coi servizi sociali, sanitari, educativi e formativi costituiscono le liste relative alle categorie protette, programmano e realizzano interventi mirati e provvedono all’avviamento al lavoro degli iscritti nelle liste. Ma procediamo per ordine, e vediamo chi sono, nel dettaglio, i lavoratori che rientrano nelle categorie protette, chi si può iscrivere alle liste e in che cosa consistono i benefici connessi al collocamento mirato.

Quali sono i lavoratori che appartengono alle categorie protette?

Appartengono alle categorie protette i seguenti lavoratori disabili:

  • le persone in età lavorativa con minorazioni fisiche, psichiche o sensoriali ed i portatori di handicap intellettivo, in possesso di un’invalidità (riduzione della capacità lavorativa) superiore al 45%;
  • gli invalidi del lavoro, con un grado di invalidità, accertato dall’Inail, superiore al 33%;
  • i ciechi assoluti o con un residuo visivo non superiore a 1/10 a entrambi gli occhi;
  • i sordomuti, cioè le persone colpite da sordità sin dalla nascita o prima dell’apprendimento della parola;
  • le persone che percepiscono l’assegno di assistenza per gli invalidi civili parziali, o pensione d’invalidità civile, per accertamento da parte dell’Inps di una riduzione permanente a meno di 1/3 della capacità lavorativa;
  • gli invalidi di guerra, gli invalidi civili di guerra e gli invalidi per servizio con minorazioni ascritte dalla 1° all’8° categoria.

Possono beneficiare di una particolare tutela anche le seguenti categorie di lavoratori non disabili:

  • orfani e coniugi superstiti dei lavoratori deceduti per causa di lavoro, guerra o servizio, o per l’aggravarsi dell’invalidità derivante da tali cause;
  • coniugi e figli di grandi invalidi di guerra, di servizio o di lavoro;
  • profughi italiani rimpatriati;
  • familiari delle vittime del terrorismo e della criminalità organizzata.

Chi è invalido totale appartiene alle categorie protette?

Chi risulta totalmente invalido, o inabile (con percentuale di invalidità pari al 100%) può iscriversi nelle liste delle categorie protette per accedere al lavoro o a percorsi di inserimento mirato, ma soltanto se possiede ancora una residua capacità lavorativa.

Non può iscriversi chi ha un’inabilità totale e permanente a qualsiasi attività lavorativa.

Liste di collocamento mirato

Per beneficiare delle tutele occupazionali previste dalla legge 68 non basta appartenere alle categorie protette, ma è necessario anche iscriversi alle liste di collocamento mirato.

Chi può iscriversi alle liste di collocamento mirato?

Nello specifico, per poter risultare iscritto negli elenchi della Legge 68, il lavoratore appartenente alle categorie protette deve risultare in stato di disoccupazione o in situazioni lavorative compatibili con il mantenimento di questa condizione.

Nel dettaglio, si mantiene lo stato di disoccupazione, o meglio di non occupazione (per approfondire: Differenza tra stato di disoccupazione e di non occupazione), necessario all’iscrizione nelle graduatorie, se:

  • si è occupati con rapporto di lavoro subordinato di durata fino a 6 mesi (in questo caso lo stato di disoccupazione è sospeso);
  • il lavoro svolto, subordinato o parasubordinato, produce un reddito inferiore ad 8mila euro lordi all’anno;
  • il lavoro svolto produce un reddito inferiore a 4.800 euro lordi all’anno, se autonomo;
  • il lavoro è svolto, a prescindere dai limiti di reddito, per attività lavorative nell’ambito di particolari progetti.

Se non viene svolto alcun lavoro dipendente la persona disabile iscritta nell’elenco della Legge 68 deve presentarsi spontaneamente al centro per l’impiego, almeno una volta all’anno, per riconfermare (sottoscrivendo un apposito modulo) la propria immediata disponibilità al lavoro (si tratta della cosiddetta conferma Did).

Se la conferma della disponibilità non viene effettuata, il disabile perde lo stato di disoccupazione, con conseguente cancellazione dall’elenco della Legge 68.

Come ci si iscrive alle liste di collocamento mirato?

La procedura per l’iscrizione nelle liste delle categorie protette è piuttosto lunga ed articolata, e prevede anche un colloquio e una relazione da parte dell’apposita commissione sanitaria.

L’ente competente per la stesura degli elenchi (la graduatoria è unica per tutte le disabilità) è il servizio per l’inserimento mirato dei disabili. Per saperne di più: Come iscriversi alle liste di collocamento mirato.

Come si rientra nella quota di riserva delle aziende?

Le aziende che occupano almeno 15 dipendenti sono tenute a riservare una parte dei posti disponibili ai lavoratori svantaggiati che appartengono alle categorie protette.

Nel dettaglio, i datori di lavoro, sia pubblici che privati, sono tenuti ad avere alle loro dipendenze i lavoratori disabili appartenenti alle categorie protette nella seguente misura:

  • se occupano oltre 50 dipendenti, la quota di riserva deve essere pari al 7% dei lavoratori occupati;
  • se occupano da 36 a 50 dipendenti, la quota è pari a 2 lavoratori;
  • da 15 a 35 dipendenti, è sufficiente un lavoratore.

Per i lavoratori tutelati non appartenenti alla categoria dei disabili, invece, è riservata una quota pari all’1%, solo nelle aziende che occupano oltre 50 dipendenti.

È possibile computare nella quota di riserva sia i lavoratori che diventano disabili successivamente all’assunzione, sia quelli che, sebbene già disabili al momento dell’assunzione, non siano stati avviati per il tramite del collocamento mirato, purché abbiano una riduzione della capacità lavorativa superiore al 60%, o al 45% se disabili psichici, o al 33% se invalidi del lavoro.

Per poter computare il disabile all’interno della quota di riserva, è sufficiente che l’azienda presenti un’apposita richiesta d’inserimento di persona con disabilità nella quota d’obbligo.

Per approfondire: Assunzione obbligatoria di disabili.

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