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Contratto collettivo: si può cambiare?

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Il datore di lavoro può modificare a suo piacimento il Ccnl scelto, oppure è obbligato ad applicarlo indefinitamente?

Il rapporto di lavoro subordinato non è disciplinato soltanto dagli accordi tra le parti, cioè tra il dipendente e il datore di lavoro: le regole fondamentali del rapporto sono infatti stabilite dalla legge e dai contratti collettivi applicati. Si tratta di accordi sottoscritti dai sindacati e dalle associazioni dei datori di lavoro, con cui si disciplinano gli aspetti giuridici ed economici del rapporto lavorativo non riservati alla legge.

L’azienda, in base al settore di appartenenza, può scegliere il contratto collettivo da applicare: se, però, non è applicato uno dei contratti sottoscritti dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, è necessario garantire comunque ai lavoratori pari diritti, rispetto a quelli previsti dagli accordi menzionati.

Ma il contratto collettivo si può cambiare? In altre parole, l’azienda può applicare un Ccnl diverso da quello inizialmente scelto?

La questione, alla quale di recente ha risposto la Cassazione [1], non è semplice: la scelta del contratto collettivo è libera, ma deve essere assicurato il rispetto di trattamenti economici e normativi “minimi” a favore del lavoratore. Inoltre, l’applicazione di un contratto collettivo determina l’acquisizione di specifici diritti in capo al dipendente.

Proviamo allora a fare chiarezza.

Che cos’è il contratto collettivo?

Il contratto collettivo di lavoro è un accordo sottoscritto dalle associazioni sindacali dei lavoratori e dalle associazioni dei datori di lavoro, con cui si disciplinano gli aspetti giuridici ed economici del rapporto di lavoro non regolamentati da norme di legge. Il contratto collettivo può essere sottoscritto anche da un singolo datore di lavoro.

Il contratto collettivo ha:

  • una parte obbligatoria, nella quale sono indicati i diritti e gli obblighi reciproci delle organizzazioni che concludono l’accordo;
  • una parte normativa, nella quale sono fissate le regole alle quali si devono uniformare i contratti individuali di lavoro, cioè i contratti stipulati tra il singolo datore di lavoro ed il singolo lavoratore; questa seconda parte contiene anche le regole sulla retribuzione e sulle sue integrazioni o maggiorazioni (mensilità aggiuntive, premi, indennità etc.).

Quali tipi di contratti collettivi si possono stipulare?

Il contratto collettivo può essere:

  • interconfederale: definisce regole generali che interessano tutti i lavoratori, indipendentemente dal settore produttivo di appartenenza;
  • contratto collettivo nazionale di categoria (Ccnl), o di primo livello;
  • contratto di secondo livello, che può essere aziendale o, in alternativa, territoriale, ed è sottoscritto nell’ambito di specifici settori.

Chi è obbligato a rispettare i contratti collettivi?

I contratti collettivi sono efficaci, in base alle previsioni di legge, solo nei confronti di coloro che sono iscritti alle associazioni che li hanno stipulati. Tuttavia, sono di fatto estesi, almeno per alcuni aspetti ed in particolare per quelli attinenti ai minimi retributivi, anche nei confronti dei non iscritti ai sindacati.

Inoltre, al datore di lavoro è richiesto [2]:

  • il rispetto degli accordi e contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale;
  • in alternativa, la corresponsione ai lavoratori di trattamenti economici e normativi almeno pari a quelli previsti da tali contratti.

Si può cambiare il contratto collettivo applicato?

Solo la scadenza contrattuale rende possibile il recesso dal contratto collettivo applicato e la sostituzione con un nuovo contratto, a meno che le parti sociali firmatarie decidano di procedere con la disdetta: lo ha chiarito la Cassazione, con una recente sentenza [1].

La vigenza del contratto collettivo, difatti, crea un vero e proprio diritto individuale all’applicazione del suo contenuto in capo al lavoratore: solo alla scadenza, fermi restando i diritti acquisiti, come il livello retributivo raggiunto, si può procedere con la sostituzione del contratto collettivo di riferimento.

In assenza di una scadenza del contratto collettivo, come avviene spesso negli accordi di secondo livello, la legittimità del recesso dal contratto collettivo può essere giustificata:

  • nel rispetto dei criteri di buona fede e correttezza;
  • soltanto se non risultano lesi i diritti intangibili dei lavoratori, derivanti dalla precedente disciplina più favorevole ed acquisiti in via definitiva.

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