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Pensione di garanzia per i lavoratori giovani

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Assegno minimo per chi ha iniziato a versare i contributi Inps dopo il 1996: nuova proposta a favore dei lavoratori con meno anzianità.

Pensione a 75 anni e assegni da fame: è questo, senza mezzi termini, ciò che devono aspettarsi i lavoratori più giovani, che hanno iniziato i versamenti contributivi dopo il 1996. Non si tratta, purtroppo, di previsioni nefaste o allarmistiche, ma estremamente realistiche, considerando che chi non possiede versamenti precedenti al 1996 ha diritto al solo calcolo contributivo della pensione, normalmente penalizzante, e non ha diritto all’integrazione al minimo. Inoltre, i lavoratori che hanno iniziato a contribuire dopo il 1996 non possono pensionarsi a 67 anni (requisito destinato ad aumentare nel tempo), se non raggiungono un assegno almeno pari a 1,5 volte l’assegno sociale, ma devono attendere i 71 anni di età (requisito che aumenterà, negli anni, sino a raggiungere verosimilmente i 75 anni per le generazioni più giovani).

Per rimediare a questa situazione, è appena entrata nel documento programmatico del governo giallorosso la pensione di garanzia per i lavoratori giovani.

Di che cosa si tratta? La proposta non è totalmente nuova, in quanto inizialmente elaborata dal governo Pd nel 2017: in sostanza, la pensione di garanzia consiste in un assegno minimo, garantito mensilmente, a favore dei lavoratori non aventi diritto all’integrazione al trattamento minimo Inps, attualmente pari a 513,01 euro al mese.

Ma non esiste già la pensione di cittadinanza come assegno minimo di garanzia? In realtà, si tratta di due prestazioni economiche con finalità differenti: la pensione di cittadinanza, in fatti, è un sussidio destinato ai nuclei familiari in condizioni economiche precarie. La nuova pensione di garanzia per i giovani, invece, sarà un trattamento di previdenza, e non di assistenza, volto a integrare il reddito di chi avrà alle spalle almeno 20 anni di contributi. Ma procediamo con ordine.

Pensione per chi non possiede contributi prima del 1996

Innanzitutto, è bene fare chiarezza sull’attuale situazione dei lavoratori che hanno iniziato a contribuire dal 1996 in poi. Per questi lavoratori più giovani:

  • il calcolo della pensione è integralmente contributivo, basato sugli accrediti effettuati e sull’età pensionabile, e non sugli ultimi redditi, come il calcolo retributivo;
  • non è possibile ottenere l’integrazione al trattamento minimo Inps e le maggiorazioni, che nella generalità dei casi consentono di arrivare anche a 650 euro al mese di pensione;
  • non è possibile ottenere la pensione di vecchiaia a 67 anni, se l’assegno non è almeno pari a 1,5 volte l’assegno sociale, cioè a circa 687 euro al mese; se l’assegno è inferiore, in pratica, bisogna continuare a lavorare sino a 71 anni per ottenere la pensione di vecchiaia contributiva (per questa pensione bastano però 5 anni di contributi).

Insomma, la situazione dei lavoratori più giovani è veramente critica, considerando anche la precarietà della maggior parte degli appartenenti alla categoria, quindi la presenza di numerosi periodi privi di contributi, non utili alla pensione.

Pensione di garanzia per i giovani

Per rimediare a questa catastrofe, che incombe sulle generazioni più giovani, è allo studio un nuovo trattamento, la pensione minima di garanzia: grazie a questa nuova prestazione economica, i lavoratori privi di versamenti al 1996, con almeno 20 anni di contributi alle spalle, avranno diritto a una pensione minima, al di sotto della quale non si potrà scendere, proprio come avviene per il trattamento minimo.

In base alle precedenti proposte in argomento, la pensione minima dovrebbe essere pari a 650 euro al mese, e potrebbe crescere di 30 euro per ogni anno di lavoro in più, fino a un massimo di 1.000 euro.

Altre proposte prevedono invece la limitazione dell’assegno- soglia per accedere alla pensione di vecchiaia ordinaria, a 67 anni (requisito valido nel biennio 2019-2020): l’assegno minimo dovrebbe ammontare a 1,2 volte l’assegno sociale, quindi a circa 538 euro, e non più a 1,5 volte l’assegno sociale, quindi a 687 euro. In questo modo, si agevolerebbe l’uscita dei lavoratori, senza obbligarli a prestare servizio oltre i 70 anni.


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