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Quota 100: quanto si perde?

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Quale diminuzione dell’assegno mensile Inps comporta la pensione quota 100 a causa dell’anticipo dell’uscita dal lavoro?

Andare in pensione prima non comporta soltanto vantaggi: l’assegno pensionistico, difatti, si basa anche sui versamenti effettuati, per cui meno contributi sono accreditati, più è bassa la rendita. Questa considerazione vale per tutte le pensioni, salvo casi molto particolari (in cui il trattamento è calcolato soprattutto sulla base degli ultimi redditi, nell’ipotesi che questi calino parecchio al termine della vita lavorativa): in pratica, a prescindere dalla tipologia di trattamento prescelta (pensione anticipata, pensione di vecchiaia, etc.), più tardi si esce dal lavoro, più è alta la pensione.

Per quanto riguarda la nuova pensione quota 100, il presidente dell’Inps Tito Boeri ha recentemente avviato una campagna informativa, per far comprendere agli aspiranti pensionati quanto si perde con questo nuovo trattamento. Vero è che non sono previsti, per la quota 100, ricalcoli o tagli percentuali dell’assegno: la riduzione della pensione è esclusivamente collegata all’anticipo, cioè ai minori contributi versati, all’applicazione di coefficienti collegati all’età e di minori rivalutazioni dei redditi e dei contributi.

Quindi, con la quota 100, quanto si perde? Non esiste una risposta unica a questa domanda: dipende, innanzitutto, dal tipo di pensione col quale ci si confronta (di vecchiaia o anticipata) e dall’effettivo antciipo rispetto al pensionamento ordinario. In secondo luogo, la perdita causata dall’anticipo della data del pensionamento non è uguale per tutti, ma dipende dalla carriera personale. Cerchiamo quindi, dopo aver brevemente ricordato come funziona la quota 100, di capire a quanto potrebbero aumentare le penalizzazioni per chi esce prima dal lavoro.

Come funziona la quota 100?

La quota 100 è una pensione che si può ottenere quando la quota, cioè la somma di età ed anni di contributi, è almeno pari a 100.

Quando l’età o le annualità di contribuzione non corrispondono a una cifra esatta, per calcolare la quota i mesi devono essere trasformati in decimi:

  • ad esempio, se il lavoratore ha raggiunto 63 anni e 6 mesi di età, ai fini del calcolo della quota dovrà indicare 63,5;
  • potrà ottenere la pensione quota 100 se possiede almeno 36 anni e 6 mesi di contributi (perché 100-63,5= 36,5, ossia 36 anni e 6 mesi).

Per ottenere la pensione anticipata quota 100 sarà necessario anche aver compiuto un’età minima di 62 anni, ed avere alle spalle una contribuzione minima pari a 38 anni, raggiunta anche cumulando i versamenti accreditati in gestioni previdenziali diverse. In buona sostanza, anche se si raggiunge la quota 100, non ci si potrà pensionare se l’età non sarà almeno pari a 62 anni e gli anni di contributi almeno pari a 38.

Altre proposte invece fissavano l’età minima a 64 anni e la contribuzione minima a 36 anni, ma sono state scartate.

Quali sono i sistemi di calcolo della pensione?

Per determinare l’importo della pensione, bisogna innanzitutto tener presente che il metodo di calcolo della prestazione non è unico, ma dipende dall’anzianità contributiva e dalla gestione di appartenenza. Presso la generalità dei fondi facenti capo all’Inps, il sistema di calcolo è:

  • retributivo sino al 31 dicembre 2011, poi contributivo (in base a quanto stabilito dalla legge Fornero [1]), per chi possiede oltre 18 anni di contributi al 31 dicembre 1995;
  • retributivo sino al 31 dicembre 1995, poi contributivo, per chi possiede meno di 18 anni di contributi al 31 dicembre 1995 (in questi casi si parla di calcolo misto);
  • integralmente contributivo per chi non possiede contributi alla data del 31 dicembre 1995, o per chi, pur possedendoli, opta per il calcolo contributivo (si devono possedere particolari requisiti per aderire all’opzione contributiva, che solitamente non è, comunque, conveniente), o effettua la totalizzazione dei contributi posseduti in casse diverse, o si pensiona con l’opzione donna.

I sistemi di calcolo sono invece differenti per gli iscritti alle casse dei liberi professionisti; anche all’interno delle varie gestioni Inps, ad ogni modo, le modalità di determinazione della pensione possono cambiare, specie per quanto riguarda le quote calcolate col metodo retributivo.

In particolari casi, ad esempio per gli aventi diritto alla pensione d’inabilità, sono applicate delle maggiorazioni nel calcolo della pensione; in altri casi, come per chi richiede l’anticipo pensionistico Ape, sono invece applicate delle penalizzazioni.

Come funziona il calcolo retributivo della pensione?

Il calcolo retributivo della pensione si si basa sugli ultimi stipendi o redditi percepiti ed è diviso in due quote:

  • la quota A, che per la generalità dei dipendenti del settore privato iscritti all’Inps si basa sugli ultimi 5 anni di stipendio, rivalutati, e sul numero di settimane di contributi possedute al 31 dicembre 1992; Per i dipendenti pubblici statali si basa sulle voci fisse e continuative dell’ultimo stipendio moltiplicate per 12, per i dipendenti degli enti locali, iscritti alle ex casse di previdenza amministrate dal tesoro (Cpdel, Cps, Cpi e Cpug), la retribuzione pensionabile è costituita dalle voci dell’ultimo stipendio che hanno caratteristiche di fissità e continuità moltiplicate per 13 mensilità;
  • la quota B, che si basa sugli ultimi 10 anni di stipendio, rivalutati, e sul numero di settimane possedute al 31 dicembre 2011.

Il calcolo è differente, oltreché per i dipendenti pubblici, per gli iscritti alla gestione dei lavoratori dello sport e dello spettacolo, e per diverse altre categorie. Per approfondire: Come si calcola la pensione col retributivo?

Come funziona il calcolo contributivo della pensione?

Per quanto riguarda il calcolo contributivo della pensione, sono coinvolti i periodi:

  • a partire dal 1° gennaio 1996, per chi possiede meno di 18 anni di contributi al 31 dicembre 1995 (cioè ai contribuenti che applicano il metodo misto);
  • a partire dal 1° gennaio 2012, per chi possiede più di 18 anni di contributi al 31 dicembre 1995 (cioè a chi era soggetto al solo calcolo retributivo);
  • a partire dal versamento del 1° contributo, per chi non ha anzianità contributiva al 31 dicembre 1995.

Sono calcolati col contributivo tutti i versamenti accreditati, invece, per chi si avvale dell’opzione Donna, dell’opzione contributiva, del computo nella gestione Separata o della totalizzazione dei contributi.

Il calcolo contributivo non si basa sugli ultimi stipendi o retribuzioni percepite come il sistema retributivo, ma sui contributi effettivamente versati nel corso dell’attività lavorativa, rivalutati e trasformati in rendita da un coefficiente che aumenta all’aumentare dell’età pensionabile.

Anche il calcolo contributivo si divide in due quote:

  • la quota A, sino al 31 dicembre 1995;
  • la quota B, dal 1° gennaio 1996 in poi.

Per ricavare l’assegno di pensione corrispondente alla Quota B, bisogna innanzitutto:

  • accantonare, per ogni anno, il 33% della retribuzione lorda corrisposta dal 1996 (il 33% è l’aliquota valida per la generalità dei lavoratori dipendenti), oppure l’aliquota contributiva prevista dall’Inps per le altre categorie di lavoratori;
  • rivalutare i contributi accantonati ogni anno, in base alla media mobile quinquennale della crescita della ricchezza nazionale, ovvero all’incremento del Pil nominale, che comprende anche il tasso di inflazione che si registra anno per anno;
  • sommare i contributi rivalutati, ottenendo così il montante contributivo;
  • moltiplicare il montante contributivo per il coefficiente di trasformazione, una cifra espressa in percentuale che varia in base all’età, ottenendo così la quota B di pensione.

Come funziona il ricalcolo contributivo?

Per determinare la Quota A della pensione (cioè la quota sino al 31 dicembre 1995, che nella generalità dei casi è calcolata col sistema retributivo), in caso di opzione per il sistema contributivo, computo nella gestione Separata, totalizzazione o opzione donna, il procedimento è piuttosto complicato, e cambia a seconda della gestione previdenziale di appartenenza.

Il complesso meccanismo dovrebbe risultare più semplice spiegato in questo modo (il procedimento esposto può essere applicato alla generalità dei dipendenti del settore privato; ci sono delle piccole differenze per i dipendenti pubblici):

  • si prendono le 10 retribuzioni annue precedenti il 1996 (o le retribuzioni 1993-1995 per i dipendenti pubblici);
  • si applica l’aliquota contributiva pensionistica riferita all’epoca del versamento (quella del 1995, ad esempio, era pari al 27,12% per la generalità dei dipendenti);
  • si rivalutano i contributi così ottenuti, sulla base della media quinquennale del Pil nominale;
  • si ricava una media annua di contribuzione (capitalizzata) dividendo il totale della somma complessivamente accantonata per 10 (o per 3, per i dipendenti pubblici);
  • si moltiplica il risultato ottenuto per il numero complessivo degli anni di anzianità, valutati però ponderandoli con il rapporto tra l’aliquota contributiva vigente in ciascun anno e la media delle aliquote contributive vigenti nei 10 (o 3) anni precedenti quello in cui viene esercitata l’opzione;
  • si ottiene, così, il montante contributivo della quota A, che deve essere moltiplicato per il coefficiente di trasformazione per trasformarsi in quota A di pensione.

Si possono, in alternativa, sommare i due montanti contributivi, della Quota A e della Quota B, per giungere al montante contributivo totale, che viene poi trasformato in rendita dal coefficiente di trasformazione, che varia in base all’età pensionabile.

Come funziona il calcolo misto?

Il calcolo misto della pensione è un sistema di calcolo intermedio tra il retributivo e il contributivo. È applicato a chi possiede meno di 18 anni di contributi al 31 dicembre 1995.

Il calcolo misto, nella generalità delle gestioni Inps, funziona in questo modo:

  • si applica il calcolo retributivo Quota A per le annualità sino al 31 dicembre 1992;
  • si applica il calcolo retributivo Quota B per le annualità dal 1° gennaio 1993 al 31 dicembre 1995;
  • si applica il calcolo contributivo dal 1996.

Quanto si perde col ricalcolo contributivo?

Facciamo ora un esempio pratico di calcolo per capire qual è la perdita nell’applicazione del calcolo contributivo rispetto al calcolo retributivo.

Ipotizziamo che Mario, con un montante contributivo, già rivalutato, pari a 350mila euro, si pensioni a 62 anni nel 2019, utilizzando il calcolo integralmente contributivo.

Per calcolare la pensione contributiva di un lavoratore che si pensiona a 62 anni, dobbiamo applicare 4,79% (coefficiente operativo dal 2019 per chi si pensiona a 62 anni) al montante contributivo: dobbiamo dunque moltiplicare 350.000 per 4,79%, ed otteniamo 16.765.

Dividendo per 13 l’importo annuale, si giunge all’assegno mensile: la pensione lorda è dunque pari a 1.289,62 euro.

Facciamo ora un confronto sommario col calcolo retributivo (sulla base di un rendimento del 2% annuo), ipotizzando che la retribuzione pensionabile mensile di Mario ammonti a 2mila euro e che gli anni di contributi posseduti siano 38: col calcolo retributivo, la pensione di Mario ammonterebbe a (2000 x 38 x 2%) 1.520 euro mensili; utilizzando il calcolo contributivo, c’è dunque una perdita del 15% rispetto al retributivo.

In questo caso è stata prospettata una retribuzione costante nell’arco della vita lavorativa. Se si ipotizza, però, una crescita delle retribuzioni nell’ultimo decennio di carriera, come accade in gran parte delle situazioni, quindi una retribuzione media pensionabile pari a 2300 euro, il divario tra calcolo retributivo e contributivo sale di parecchio: otterremmo infatti una pensione mensile pari a 1748 euro (2300 x 38 x 2%), contro una pensione contributiva pari a 1289,62 euro, con una perdita del 26,22%.

Un caso molto più raro, ma possibile, è quello del crollo delle retribuzioni negli ultimi anni di carriera. Ipotizzando una retribuzione media pensionabile pari a 1600 euro, ad esempio, otterremmo una pensione retributiva pari a 1.216 euro mensili (2300 x 38 x 2%), più bassa della pensione contributiva.

È dunque indispensabile valutare volta per volta la convenienza della scelta.

Quanto si perde col ricalcolo misto?

Nel caso in cui la pensione sia calcolata col sistema misto, la perdita è minore, in quanto il calcolo retributivo si applica comunque, anche se per un periodo più breve. Anche in queste ipotesi, è comunque necessario valutare caso per caso, a seconda della retribuzione pensionabile e del montante contributivo posseduti.

Pensione quota 100: quanto si perde?

Secondo quanto annunciato di recente, alla pensione quota 100 non dovrebbero essere applicate delle penalizzazioni, né il ricalcolo misto o contributivo.

Considerando che per la quota 100 non sono previsti tagli, decurtazioni e ricalcoli, come mai chi si pensiona con quota 100 perde parte dell’assegno, come annunciato dal presidente dell’Inps nella recente campagna informativa?

In realtà, la perdita è calcolata in termini di mancato guadagno: anche se per il tipo di pensione richiesta non sono previste penalizzazioni nel calcolo, difatti, uscire dal lavoro prima comporta comunque un minor versamento di contributi, e nell’utilizzo di un coefficiente di trasformazione più basso (si tratta della cifra che trasforma la somma dei contributi rivalutati in pensione, che cresce al crescere dell’età), che si traduce in un assegno minore. La penalizzazione, però, dipende dal sistema di calcolo utilizzato, e può essere minima se la maggior parte delle annualità è calcolata con il sistema retributivo.

La riduzione della pensione, dunque, dipende sia dalla tipologia di calcolo che si utilizza, sia da l’anticipo rispetto all’età pensionabile. Ma vediamo subito alcuni esempi pratici, per capire meglio quanto perde chi esce prima.

Quanto si perde con la quota 100: esempio calcolo retributivo

Ecco quanto potrebbe perdere (o guadagnare) un dipendente che esce 5 anni prima con quota 100, con riguardo alla sola quota assoggettata al calcolo retributivo:

  • il lavoratore, pensionandosi oggi con quota 100, ha una retribuzione media pensionabile pari a 20mila euro annui, e 20 anni di contributi assoggettati al calcolo retributivo(ipotizziamo che gli altri anni di versamenti posseduti siano assoggettati al calcolo contributivo), con un’aliquota di rendimento del 2% annuo; ottiene dunque una quota retributiva di pensione annua pari a 8mila euro (20.000 x 20 x 2%);
  • il lavoratore decide di attendere la pensione di vecchiaia; chiede, però, un part time, e la sua retribuzione media pensionabile scende a 15mila euro annui; gli anni della quota retributiva restano sempre 20, e l’aliquota del 2% non cambia; restando al lavoro ottiene dunque una quota retributiva di pensione annua pari a 6mila euro, e perde 2mila euro all’anno;
  • ipotizziamo, invece, che dalla permanenza al lavoro derivi una promozione, che determini l’innalzamento della retribuzione media pensionabile a 25mila euro annui; gli anni della quota retributiva restano sempre 20, e l’aliquota del 2% non cambia; restando al lavoro ottiene una quota retributiva di pensione annua pari a 10mila euro, e guadagna 2mila euro all’anno.

In conclusione, non è detto che il lavoratore che si ritira prima dal lavoro perda parte della quota retributiva: la retribuzione o il reddito, pur permanendo in attività, potrebbe infatti calare, determinando una riduzione della quota calcolata col sistema retributivo.

I periodi conteggiati nel retributivo, invece, non possono mai aumentare, ma restano fermi al 31 dicembre 1995, per i contribuenti misti, o al 31 dicembre 2011, per gli ex retributivi “puri”.

Quanto si perde con la quota 100: esempio calcolo contributivo 

È più semplice calcolare a quanto ammonta la perdita nel calcolo contributivo della pensione. Procediamo subito con un esempio pratico, riguardo alla quota della pensione calcolata col sistema contributivo:

  • il lavoratore ha uno stipendio lordo (imponibile contributivo Inps) pari a 30mila euro;
  • ogni anno, sono accreditati ai fini della pensione 9.900 euro di contributi (in quanto l’aliquota contributiva per la generalità dei dipendenti è il 33%);
  • se il lavoratore decide di pensionarsi 5 anni prima, perde 49.500 euro di contributi (per comodità, non stiamo considerando la rivalutazione dei contributi);
  • ipotizzando che il lavoratore si pensioni a 62 anni, questi 49.500 euro di contributi si traducono in 2.773,98 euro annui in meno di pensione, ossia in circa 213 euro al mese di pensione in meno: moltiplicando il montante contributivo di 49.500 per il coefficiente di trasformazione per chi si pensiona a 67 anni, difatti (5,604% dal 2019), otteniamo 2.773,98 euro, la pensione annua persa a causa del mancato trattenimento in servizio, che si traduce in 213,38 euro al mese (2.773,98 : 13 mensilità);
  • se consideriamo anche la perdita relativa all’applicazione di un coefficiente di trasformazione più basso, la decurtazione della pensione è ancora più evidente: ipotizzando che il montante contributivo già cumulato dal lavoratore sia pari a 200mila euro, questa parte di montante si traduce in una pensione pari a:
  • 9580 euro annui, per chi si pensiona a 62 anni, col coefficiente di trasformazione del 4,79% (200.000 x 4,79%), pari a 736,92 euro al mese;
  • 11.208 euro annui, per chi si pensiona a 67 anni, col coefficiente di trasformazione del 5,604% (200.000 x 5,604%), pari a 862,15 euro al mese;
  • il lavoratore che si pensiona 5 anni prima perde dunque, nella quota contributiva, un totale di 338,61 euro mensili (la differenza dovuta all’applicazione del diverso coefficiente di trasformazione, più la differenza dovuta al minor versamento di contributi.

La penalizzazione è minore, nel caso in cui il lavoratore maturi i requisiti per la pensione anticipata ordinaria prima dei requisiti per la pensione di vecchiaia; risulta una decurtazione minore anche per chi ha redditi o stipendio bassi.

Quota 100: le stime ufficiali su quanto si perde

L’ultima stima proposta sulle eventuali perdite con quota 100 è al momento quella dell’Ufficio parlamentare di Bilancio, basata su un campione statistico approssimativo.

Scegliere quota 100 può costare, in termini di minore pensione, dal 5,6% nel caso in cui l’uscita dal lavoro si anticipi di un anno, fino al 34,7% in caso di uscita 6 anni prima.

Bisogna però considerare che con quota 100 la pensione viene intascata per qualche anno in più rispetto a chi resta al lavoro per più tempo, sino all’età per la pensione di vecchiaia: andare in pensione prima significa dunque “prendere di più” dall’Inps.

In parole semplici, la perdita reale, considerando anche le somme percepite in più, va dallo 0,22% di chi si pensiona nel 2019 anziché aspettare il 2020, sino all’8,65% per chi nel 2019 anticipa di 6 anni la pensione.


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