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Come essere assunti e non lavorare

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Il curioso fenomeno dei datori di lavoro che assumono dipendenti pur non avendo momentaneamente bisogno di loro.

Da quando è stato introdotto il reddito di cittadinanza, si parla spesso delle crescenti difficoltà dei datori di lavoro nel reperire personale. I beneficiari del sussidio (che, peraltro, non è un sussidio in senso stretto, ma una misura di politica attiva del lavoro), per timore di perdere quanto riconosciuto mensilmente dall’Inps, preferiscono evitare di lavorare come stagionali o a tempo determinato.

Per questo motivo, i datori di lavoro le stanno inventando tutte pur di reperire personale; c’è anche chi assume un dipendente per 6 mesi, pagandolo per l’intero semestre, pur avendo bisogno della sua attività soltanto per 3 mesi: una vera manna dal cielo per chi si è sempre domandato come essere assunto e non lavorare, o come ricevere uno stipendio restando a casa.

Sicuramente, dietro a questa nuova “moda” che equipara l’assunzione del lavoratore ad una “prenotazione” dello stesso, c’è una grave carenza di informazioni, sia da parte dei lavoratori che da parte delle aziende.

Innanzitutto, è doveroso sottolineare che il decreto Sostegni [1] ha previsto la possibilità di sospendere il diritto al reddito di cittadinanza, senza perderlo e senza subire la diminuzione dell’importo, nel caso in cui il beneficiario (o un familiare del nucleo beneficiario) sia impiegato con uno o più contratti a termine. La sospensione opera sino a 6 mesi; il reddito del nucleo non deve superare la soglia di 10mila euro.

Bisogna poi evidenziare che l’assunzione, di per sé, non vincola il dipendente, in quanto il lavoratore è libero di rassegnare le dimissioni, ad eccezione delle ipotesi in cui sia previsto il cosiddetto patto di stabilità, o delle ipotesi di durata minima del patto di prova o, ancora, nelle ipotesi nel caso in cui sia stipulato un contratto a termine.

Inoltre, non si dimentichi il contratto intermittente, o a chiamata, che prevede la possibilità di assumere il lavoratore ma di avvalersi della sua opera solo quando necessario: questo contratto può prevedere, per il dipendente, l’obbligo di rispondere alla chiamata, dietro il pagamento non dell’intero stipendio, ma di un’indennità.

In argomento, è infine fondamentale ricordare che lavoratore e azienda, prima della stipula del contratto di lavoro vero e proprio, possono sottoscrivere una lettera di impegno all’assunzione. Ma procediamo con ordine e proviamo a fare chiarezza.

Il dipendente si può licenziare durante la prova?

Qualora nel contratto di lavoro sia previsto un periodo di prova, sia il datore di lavoro che il lavoratore possono recedere liberamente: la prova, però, deve sempre risultare di durata sufficiente per consentire un’adeguata valutazione del dipendente nello svolgimento delle mansioni affidate.

Di conseguenza, la prova non può essere interrotta prima che sia trascorso un periodo minimo: questo periodo non è previsto dalla legge, ma può essere eventualmente disposto dal contratto collettivo applicato. In ogni caso, deve consentire di verificare in modo effettivo le attitudini e le capacità del lavoratore.

Datore di lavoro e dipendente, poi, possono accordarsi e prevedere una clausola di durata minima della prova: in questo caso, entrambe le parti non possono recedere dal rapporto prima che il periodo stabilito sia trascorso. L’accordo può anche prevedere una penale a carico della parte che recede anticipatamente, a meno che il recesso anticipato non avvenga per impossibilità della prestazione lavorativa o per giusta causa.

Per maggiori approfondimenti: “Guida al patto di prova“.

Il dipendente si può licenziare se è stato stipulato il patto di stabilità?

Il potere del dipendente di dimettersi a proprio piacere in qualsiasi momento può essere limitato non solo dalla clausola di durata minima del patto di prova, ma anche se firma un patto di stabilità: si tratta di un accordo volto a fissare un termine minimo di durata del rapporto di lavoro. In sostanza, prima della scadenza del termine previsto, né l’azienda né il dipendente possono recedere dal contratto lavorativo; in caso contrario, ossia di licenziamento o dimissioni, la parte inadempiente deve corrispondere all’altra una penale.

L’accordo può essere firmato in sede di assunzione, oppure in un momento successivo, purché, ovviamente, in costanza di rapporto.

Le parti, durante il periodo di vigenza del patto, non possono recedere dal contratto se non per impossibilità della prestazione lavorativa o per giusta causa, ossia per una causa che non consenta la prosecuzione, neanche provvisoria, del rapporto.

Più specificamente, le parti, nell’esercizio della loro autonomia privata, possono stipulare:

  • un patto di stabilità nell’interesse del solo lavoratore ed a carico del datore di lavoro che s’impegna, per un periodo predeterminato, a non licenziare il dipendente;
  • un patto di stabilità (o meglio di permanenza) nell’interesse del solo datore di lavoro ed a carico del lavoratore che si impegna – di regola, a fronte del pagamento di un corrispettivo –, a non dimettersi, per un periodo prefissato;
  • un patto di stabilità nell’interesse di entrambe le parti.

Per quanto riguarda il dipendente, al momento della stipula del contratto di lavoro, le parti possono prevedere che, in caso di dimissioni anticipate, il lavoratore debba corrispondere al datore di lavoro una determinata somma di denaro a titolo di penale. Spesso, ad esempio, la penale viene fissata per importi decrescenti in relazione alla durata del rapporto stesso [1], oppure viene stabilito un risarcimento del danno commisurato ai costi che il datore ha sostenuto per la formazione del dipendente [2].

Il dipendente si può licenziare se è stato assunto a termine?

Nel contratto di lavoro subordinato a tempo determinato, il lavoratore non può rassegnare le dimissioni prima del termine [3], a meno che non sussista una giusta causa che non consente la prosecuzione del rapporto. Lo stesso vale per il datore di lavoro.

In assenza di giusta causa, il dipendente non può dimettersi prima della scadenza del contratto, neanche fornendo il preavviso, in quanto nel contratto a termine non è previsto alcun preavviso di dimissioni, così come non è previsto il preavviso di licenziamento.

In caso di dimissioni senza giusta causa del dipendente a termine, il lavoratore è tenuto a risarcire il danno provocato al datore di lavoro per inadempimento contrattuale.

Non sbaglia del tutto, dunque, chi assume un dipendente a termine ancora prima che inizi a lavorare per “prenotarlo”. Dimentica, però, che è possibile stipulare un impegno all’assunzione, oppure un contratto di lavoro intermittente.

Come funziona il lavoro intermittente?

Attraverso il contratto di lavoro a chiamata, o intermittente, il lavoratore si rende disponibile a svolgere una determinata prestazione, ma solo dietro apposita chiamata del datore di lavoro.

Il contratto di lavoro a chiamata può essere di due tipi:

  • con obbligo di rispondere alla chiamata del datore di lavoro: in questo caso, il lavoratore ha diritto a un’indennità per i periodi in cui resta a disposizione;
  • senza obbligo di rispondere alla chiamata: in questa ipotesi, il dipendente non ha diritto ad alcuna indennità, in assenza della prestazione lavorativa.

Il contratto intermittente con obbligo di rispondere alla chiamata rappresenta dunque un’ottima soluzione per quei datori di lavoro che desiderano “prenotare” il lavoratore ma, al momento, non hanno bisogno della sua opera. Bisogna però ricordare che non è sempre possibile stipulare questo tipo di contratto, ma solo in casi specifici ed entro determinati limiti. Ne abbiamo parlato in: “Lavoro a chiamata, come fare“.

Impegno all’assunzione

Hai bisogno di assumere un dipendente tra qualche tempo, ma temi che il lavoratore possa essere chiamato da un’altra azienda prima di prendere servizio? La soluzione non è assumerlo per non lavorare, ma stipulare un impegno all’assunzione.

La lettera di impegno all’assunzione può vincolare il solo datore di lavoro, oppure entrambe le parti. In quest’ultimo caso, datore di lavoro e lavoratore si vincolano alla futura stipula del contratto di lavoro con un vero e proprio contratto preliminare.

Qualora il contratto di lavoro non sia stipulato e l’inadempimento sia imputabile al solo lavoratore, benché il datore di lavoro possa richiedere il risarcimento del danno, è consigliabile inserire nella lettera di impegno un’apposita clausola penale con cui venga disposto il riconoscimento, a favore dell’azienda, di un’indennità risarcitoria; ferma restando la possibilità di provare il maggior danno subito.

Non bisogna confondere la lettera di impegno all’assunzione con la lettera di intenti, in quanto in quest’ultima non è presente un vero e proprio obbligo di stipulare il contratto di lavoro definitivo.

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